Vedi SPINA dell'anno: 1966 - 1997
SPINA (Σπῖνα, Spina)
Città etrusca della pianura padana, che le fonti letterarie indicano nell'antico delta del Po e che gli scavi archeologici degli ultimi decenni hanno rivelato a circa 6 km ad O di Comacchio (Ferrara), nelle "valli" (bacini lagunari) Trebba e Pega.
Con le suppellettili recuperate a valle Trebba sorse nel 1935 il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, dove sono pure raccolti i materiali scavati successivamente a valle Pega, e nel basso ferrarese (v. ferrara, e vol. iii, 625-627).
1. Corografia. - Ad intendere la particolare topografia urbana di S. e la funzione storica stessa della città, è indispensabile tener presente la corografia dell'antico delta del Po, prescindendo dall'odierno delta lobato, formatosi per effetto della rotta di Ficarolo (sec. XII d. C.) e del "taglio" di Porto Viro. Infatti l'antico triangolo deltizio si sviluppò più a S della sporgenza attuale, in quell'area dove è venuta a formarsi la pianura ferrarese, come indicano concordemente gli scrittori classici e l'analitica ricostruzione che del mutevole paesaggio hanno compiuto gli studiosi moderni.
Tra il Po di Ariano (o di Goro) e il Primaro-Reno, l'analisi del micro-rilievo del piano consente di seguire (attraverso i dossi fluviali residui) l'andamento dei singoli bracci del delta, a partire dall'inizio delle ramificazioni (i ϑριγάβολοι = trifurcum, di Polibio, ii, 16) fino al litorale rettilineo d'età preromana e alle cuspidi deltizie sviluppatesi più a valle, in età successiva. In particolare il dosso fluviale del Sandalo-Reno (ricalcato in gran parte dall'odierna strada provinciale Ferrara-Ostellato-Comacchio-Portogaribaldi) riproduce il percorso di un ramo di Po che, dopo aver intersecato la linea di spiaggia preromana fra le valli Trebba e Pega, costruì in età romana e medievale la cuspide deltizia del lido di Magnavacca (Portogaribaldi): qui è da ravvisare il pliniano ostium Sagis (Nat. hist., iii, 120). S. rappresentò, appunto, il centro di foce di questo ramo mediano, quantunque Plinio denomini ostium Spineticum (o Eridanum) la foce più meridionale del delta antico, corrispondente a quella odierna del Primaro-Reno. Trattasi probabilinente di indicazione itineraria (dovuta ai navigatori provenienti dal S, i quali imboccavano questa foce per raggiungere la città lagunare), non va escluso peraltro che qualche nucleo spinetico fosse impiantato in quel settore del delta. Certo è che i documenti archeologici provengono dalle valli Trebba e Pega, in mezzo alle quali passava il ramo Sagis; e presso il loro margine occidentale (precisamente a valle Lepri) si distaccava e volgeva a S (verso Motta della Girata) una ramificazione a noi nota come Padus Vetus nei documenti medievali.
Accanto alla rete fluviale, fu determinante per l'impianto e lo sviluppo di S. la situazione delle terre emergenti, che in antico si limitavano alle dune litoranee. Per il fenomeno di progressivo avanzamento della linea di spiaggia - già attestato specificamente dagli antichi (Ps. Scylax, 17; Plin., Nat. hist., iii, 120) - il lido preromano va riconosciuto a circa 10-12 km ad O di quello attuale, in quei fasci paralleli di cordoni e tumuli sabbiosi, che attraversano le valli Trebba e Pega da N a S. Una morfologia così vincolativa non poteva consentire una struttura urbana unitaria e compatta, bensì un insediamento sparso e allungato lungo le dune predette, come appunto è risultato ora dalle esplorazioni della città e della necropoli (v. esplorazione archeologica, vol. iii, p. 549).
2. Vicende storiche. - Le origini del centro di foce del Po sono per ora affidate alle tradizioni leggendarie su cui insistono gli antichi: per Ellanico e Dionigi d'Alicarnasso (1, 18) fondatori furono i Pelasgi, per Giustino (xx, i, ii) i Tessali, per Plinio (Nat. hist., iii, 120) Diomede. Forse i documenti archeologici di una S. pre-etrusca potranno emergere dagli strati inferiori del settore più occidentale dell'antico litorale, presso valle Lepri.
Le altre notizie letterarie sul fiorire di S. trovano valida conferma in un quadro storico più generale e nei grandiosi risultati degli scavi, solo che si attenui l'affermazione di S. ἑλληνίς degli autori greci (Strab., v, i, 7; Ps. Scylax, 17): infatti cercheremmo invano gli elementi probativi per parlare di una colonia.
Invece il momento storico della talassocrazia di S. e del "tesoro" che gli Spineti possedettero a Delfi (Dionys. Halicarn., i, 18; Strab., v, i, 7; Plin., Nat. hist., iii, 120) si collega agevolmente all'espansione etrusca nell'Italia settentrionale (cfr. Ps. Scylax, 17), da cui S. sortì la funzione di scalo marittimo dell'Etruria padana e di grande emporio, che richiamò correnti commerciali e culturali principalmente dal Mediterraneo orientale. A partire dalla fine del VI sec. a. C., l'attività marinara attuata dagli Etruschi a S. si dovette far sentire soprattutto come azione di polizia sul mare, la quale promosse e garantì intense relazioni con la Grecia, tanto da permettere l'accoglimento della città in seno all'anfizionia delfica.
Né mancò a S. la presenza dei Greci, come attestano i nomi personali graffiti (al pari di altri etruschi e venetici) sui vasi della necropoli. Ma si trattò evidentemente di un nucleo etnico legato all'attività commerciale, nella quale la componente greca fu di gran lunga la più attiva, con notevolissima preminenza attica. In particolare fra il 480 e il 380 l'importazione di prodotti attici è quasi esclusiva, onde gli aspetti più appariscenti della civiltà spinetica furono greci, com'è pure chiaro dal confronto con i documenti archeologici della vicina Felsina.
Lo sfaldamento del dominio etrusco nella Padània nel IV sec. e forse anche perturbamenti idraulici alla foce del Po, determinarono il declino della città, alla quale - secondo la verosimile tradizione accolta da Dionigi di Alicarnasso (1, 18) - pose fine un assedio dei Galli. Tale evento si verificò probabilmente nei primi decenni del III sec., quando cessano anche i documenti archeologici. Tuttavia qualche nucleo abitato non mancò in seguito sul sito di S.: da Strabone (v, i, 7) sappiamo dell'esistenza di un villaggio e inoltre l'archeologia attesta una necropoli romana a valle Trebba (C.I.L., v, 2435), una villa romana presso valle Lepri e la pieve paleocristiana di S. Maria in Pado Vetere, recentemente messa in luce nel settore S-O di valle Pega, a Motta della Girata.
3. Scavi archeologici. - L'ubicazione di S. e gli aspetti culturali e artistici del centro scomparso sono stati precisati solo da scavi archeologici, relativamente recenti. La scoperta della necropoli avvenne nel 1922 durante i lavori di sistemazione del bacino lagunare di "valle" Trebba, da poco prosciugato. Ivi, dapprima A. Negrioli e in seguito S. Aurigemma, portarono in luce 1213 tombe fino al 1935 (alle quali sono da aggiungere altre 145 esplorate nel 1962-3). La bonificazione idraulica di un adiacente bacino, "valle" Pega, consentì la ripresa degli scavi sotto la direzione di P. E. Arias nel 1954 e poi di N. Alfieri, con il risultato di altre 2703 tombe fino al 1962.
Nel 1956, con l'ausilio della fotografia aerea, fu possibile individuare le tracce dell'abitato di S., sulle dune litoranee antistanti alla necropoli (v. esplorazione archeologica, p. 549). I saggi finora praticati rivelano caratteristiche costruttive assai modeste, riferibili ad abitazioni lignee, come peraltro è attestato per la fase iniziale di Ravenna romana (Strab., v, i, 6) e per Adria veneto-etrusca, ambedue collocate in analogo ambiente lagunare.
Di particolare interesse a S. appare il quartiere presso Motta della Girata, dove il Padus Vetus corre a ridosso delle antiche dune litoranee: da questo ramo del Po fu derivato un canale navigabile (largo 15-20 m e lungo circa 2 km) con tracciato rettilineo, da O ad E. Ad esso corrisponde la disposizione parallela o ortogonale di una serie di canali minori circostanti che furono le vie d'acqua della città lagunare e delimitano riquadri sabbiosi, corrispondenti ad insulae urbane. È chiara la ricerca di una struttura regolare, per quello che poteva consentire quel singolare paesaggio geografico.
È probabile peraltro che si tratti del più tardivo insediamento spinetico, come fanno pensare sia la necessità dell'intervento dell'uomo per mantenere il collegamento con il mare, sia il fatto che sulla vicina Motta della Girata si ha la pieve di S. Maria in Pado Vetere, estrema continuazione demografica della città scomparsa.
Comunque i valori storici e artistici di S. restano affidati ai 4061 corredi tombali, i quali presentano aspetti concordanti pur nella dive sità topografica di provenienza dalle valli Trebba e Pega, del resto adiacenti fra di loro.
Le tombe si trovano sempre sulle dune sabbiose dell'antico litorale, alla profondità massima di circa m 2 dall'odierno piano di campagna. I segnacoli funerari lavorati sono rarissimi: non più di qualche cippo o arula, a cui, di recente, si sono aggiunte un paio di stele di tipo villanoviano; ma tutti sono anepigrafi. Più consueti sono i ciottoloni fluviali, che furono in antico importati dalle foci dei fiumi appenninici dell'alto Adriatico. Pur ammettendo che l'assoluta carenza di materiali costruttivi nella zona abbia promosso la riutilizzazione di tali manufatti sia nell'antichità che nel Medioevo, tuttavia la mancanza di esteriorizzazione del sepolcro appare quasi una norma. Ad essa del resto corrisponde l'assenza di architettura per l'interno delle tombe: quasi tutte quelle ad inumazione sono completamente terragne, tranne una non grande percentuale di seppellimenti entro cassa lignea. Anche tra gl'incinerati, soltanto due tombe (nn. 344 e 485 di valle Trebba) posseggono un sarcofago marmoreo; negli altri casi le ceneri si trovano entro un dolio o ziro o un vaso attico (mentre in qualche caso particolare, le ossa combuste furono deliberatamente poste fuori di qualsiasi recipiente).
In riguardo al rito si hanno i seguenti rapporti percentuali nelle singole necropoli: a valle Trebba gl'inumati furono 794 (58%), gli incinerati 514 (38%) e le tombe il cui rito non si poté accertare 50 (4%). Poco diverse le risultanze di valle Pega: 1695 (63%) gl'inumati, 754 (28%) i cremati, 254 (9%), di incerto rito.
L'orientamento del defunto è costantemente da N-O a S-E, e la disposizione del corredo in prevalenza sulla destra. L'"obolo di Caronte", che si ritrova presso la mano destra, è sempre costituito da un aes rude, con assenza assoluta di moneta coniata.
Gli oggetti di corredo sono soprattutto fittili, con grande dovizia di ceramica attica a figure rosse, di cui S. rappresentò un eccezionale mercato di importazione. Altre correnti commerciali sono indicate dagli oggetti esotici: ceramiche sicule, magnogreche e raramente etrusche; bronzi e oreficerie etrusche, accanto a qualche bronzo paleoveneto; ambre baltiche, e portaprofumi di pasta vitrea o di alabastro dall'Egitto.
(N. Alfieri)
Ceramica, bronzetti e arti minori. - Le necropoli di S. scoperte finora sono, come è stato detto, quelle di valle Trebba e di valle Pega, e comprendono i materiali di oltre quattromila sepolcri fino al settembre 1963. Le tombe della necropoli di valle Trebba (1358) e quella di valle Pega (2703) non presentano diversità essenziali di materiali che giustifichino un diverso apprezzamento della loro epoca. Se dobbiamo trarre qualche conclusione dall'esame dei corredi, forse è lecito affermare che valle Trebba presenta ceramiche di assai poco anteriori a valle Pega, ma senza notevoli variazioni. Infatti, oltre alla presenza delle ceramiche a figure nere a valle Trebba (che però sono tutte tarde, e, quindi, non servono davvero a conferire un carattere arcaico alla necropoli) abbiamo, fra le figure rosse, una kỳlix del Pittore di Bonn (v.) un decoratore di coppe appartenente alla cerchia di Nikosthenes. A valle Pega, oltre ad una kỳlix del Pittore di Brygos, una kỳlix del Pittore di Epidromos, una pelìke ed un'anfora panatenaica del Pittore di Berlino, attestano l'esistenza di vasi a figure rosse databili alla fine del VI sec. a. C.; la maggior parte delle ceramiche appartiene tuttavia all'attività degli artigiani intorno al periodo 460-400 a. C., naturalmente con qualche eccezione per qualche vaso più antico. E, del resto, per S., proprio questo il periodo più fiorente attestato anche dalla necropoli di valle Trebba.
I vasi a figure nere sono veramente di scarso rilievo; noi sappiamo che questa tecnica, come ha dimostrato anche lo scavo dell'acropoli ateniese e quello dell'agorà, è continuata a lungo ben dentro il V secolo. A S. sono appunto rappresentate tutte quelle fabbriche a figure nere del tardo arcaismo e dello stile severo, che hanno trovato una loro sistemazione attraverso l'analitico vaglio del Beazley (v.). Esse si collocano qui fra la fine del VI ed il secondo venticinquennio del V sec. a. C.; si tratta soltanto di circa 150 vasi a figure nere, comprese alcune anfore panatenaiche, mai apparse prima d'ora a S. (come l'anfora del Pittore di Berlino della tomba 11 C di valle Pega). I vasi più diffusi in questa tecnica sono le oinochòai, le lèkythoi, le hydriai, le òlpai e gli skỳphoi; pochissime kỳlikes, una sola anfora ed un solo alàbastron.
Questi vasi a figure nere rappresentano una forma scadente dell'artigianato di quel tipo, che evidentemente sopravviveva in classi povere nelle quali si smerciavano i prodotti di officine meno alla moda. Pur comparendo sui vasi a figure nere alcuni miti, come quello della gigantomachia, di Achille e Pentesilea, del ratto di Teti da parte di Peleo, della centauromachia, il repertorio figurativo essenziale è quello dionisiaco. I ceramisti rappresentati sono il Gruppo CHC, la Classe di Atene 581, il Gruppo del Gallo, il Pittore di Gela (attivo lungamente fra il 510 ed il 475 a. C.), il Gruppo dei Punti di Edera (dalla decorazione accessoria a rami di edera che si trovano sul collo), la Classe del Vaticano G. 50, l'officina del Pittore della Linea Paonazza, il Pittore di Atena con la sua fabbrica, le Classi di Sèvres, di Londra B 630, i Pittori di Rodi 13485, di Würzburg 351, di Haimon, delle Mezze Palmette, ed infine quello di Beldam.
Ma sono le ceramiche a figure rosse di S. che costituiscono veramente un caso unico nella civiltà greca, sia del centro che della periferia. Non esiste un altro luogo antico che rappresenti la fase centrale dell'attività dei ceramisti greci con tanta ricchezza di documentazione di alto livello, e con tanta organicità. Ma, oltre a questa affermazione che possiamo fare in piena certezza, dobbiamo aggiungere che a S. mancano del tutto le firme dei pittori di vasi. Questo perché il periodo più acerbo e più ricco di esperienza della ceramica greca firmata ci manca quasi del tutto (abbiamo già detto che fra i grandi ceramisti arcaici, mancano quasi tutti, e che solo recentemente è stata identificata una coppa del Pittore di Brygos); è altrettanto certo che per quanto riguarda questo punto, la situazione può mutare da un momento all'altro, a causa di nuove scoperte. Molti ceramisti, un tempo assenti nel primo decennio delle scoperte di S., sono ormai autorevolmente presenti con prodotti tutt'altro che trascurabili, come ad esempio il Pittore di Chicago o quello di Kleophon. La fisionomia della ceramica nella necropoli è destinata a trasformarsi ed a consolidarsi notevolmente dopo ogni campagna di scavo.
Ad ogni modo, nei corredi non compaiono i pittori di kỳlikes. Anche Douris, che pure ha tanta importanza per l'evoluzione della pittura vascolare delle kỳlikes, manca quasi del tutto; e ciò sembra strano se si osserva che, invece, è presente a Felsina con opere di notevole impegno. Tuttavia, non sembra che la situazione sia diversa per quanto concerne il grande periodo della ceramica greca, verso la metà del V secolo. Così pure mancano Oltos, Epiktetos, Euthymides, mentre di questi ceramisti resta soltanto una pallida eco attraverso qualche affine artigiano (Pittori di Harrow, di Bonn, ad esempio); e manca il Pittore di Kleophrades.
Ma più delle assenze, nella ceramica greca di S., contano le presenze; e veramente non si può dire che esse non siano significative, quando pensiamo che fra i ceramografi abbiamo il Pittore dei Niobidi, con numerosi e grandi vasi che confermano la particolare influenza che su di lui ha avuto la pittura parietale di Mikon e di Polignoto di Thasos. La monumentale amazzonomachia dove, oltre alla solita contrapposizione delle figure dei combattenti in duelli maestosi, si intravvede anche la rappresentazione della porta della rocca assediata, è forse la più importante accanto a quella dei crateri di Napoli e del museo di Bologna. Altre scene generiche, di libazione e di partenza di guerriero, su di un altro cratere, ovvero di gigantomachia su di un cratere a calice, rientrano sempre nello stile terso grandioso e, diremmo "pulito" di questo pittore, che tuttavia non ha la forza espressiva di altri maestri come il Pittore di Pentesilea o quello di Borea.
Il Pittore di Pentesilea era scarsamente rappresentato a S. prima degli scavi di questi ultimi anni; poche e insignificanti kỳlikes lo indicavano, fino a quando apparvero, nel 1955, la kỳlix con Zeus e Ganimede, e nel 1956 la più grande kỳlix che si conosca, con le fatiche di Teseo internamente e due episodi omerici estremamente drammatici (v. pentesilea, pittore di). Era un contributo essenziale al repertorio del nostro grande pittore, ed allo studio della sua formazione stilistica. Nelle figure solenni e contenute nel dolore dei Troiani, sulla parte esterna, era ben confermata quella tendenza appassionata e severa ad indagare le passioni umane, che il pittore aveva rivelato nelle coppe di Monaco e di Londra.
Il gruppo dei pittori polignotei, cioè intorno alla scuola di Polygnotos il ceramografo (presente in un grande cratere con gigantomachia), è piuuosto cospicuo; si va dal gruppo generico rappresentato dal cratere della t. 128 valle Trebba, dove si snoda una scena di danza orgiastica in onore di Dioniso Sabazio e Cibele, assai importante dal punto di vista religioso, al Pittore di Kleophon, presente in un grandioso cratere con scena religiosa delfica, e quello Shuvalov, che è assai diffuso a S., con piccoli prodotti della sua officina (specialmente oinochòai a bocca ondulata piuttosto fini) al Pittore Christie e ad Aison, del quale resta un cratere a calice con gigantomachia, certo fra i più significativi esempi dell'applicazione di schemi pittorici della pittura parietale polignotea nella ceramica greca.
Abbastanza presente è Hermonax, tuttavia con alcuni prodotti generici; importante per noi è la piena espressione drammatica, ispirata ai momenti più intensi del teatro tragico, che emerge nei grandi crateri del Pittore di Borea, nella monumentale plasticità delle figure di un cratere con Achille, Neottolemo, Fenice e Peleo, ed in quel cratere con personaggi troiani del Pittore di Chicago. La produzione post-polignotea di S. non presenta davvero grandi personalità; accanto a quella del Pittore di Eretria, appena segnalato da modeste scene generiche, è quella di Polion con un grande cratere dove ad Hera sul trono, si alterna, dall'altro lato, la figura di Tamiri che suona alla presenza delle Muse e di un coro di èidola che circondano un'ara. Fra i pittori più tardi, un frammento di cratere del Pittore di Talos, ed un cratere del Pittore di Ifigenia. Fra i vasi italioti che cominciano ad apparire nei corredi spinetici, non va dimenticato un cratere con Penteo dilaniato dalle menadi. Dei ceramisti del IV sec. ricordiamo i Pittori di Meleagro, del Ragazzo Grasso, degli Ovuli Bruni, e quelli del Gruppo di Kerč; presenti con scene di lotta fra grifi ed Arimaspi, ovvero fra donne degli Arimaspi e grifi.
Delle ceramiche non attiche di S. dobbiamo ricordare quelle beotiche, evidenti nei crateri con volti femminili, grandi, rappresentati sul ventre del vaso, nonché negli skỳphoi con scene di corsa di atleti. Ma più singolare ancora è l'apparizione di una speciale ceramica di tipo locale che, studiata vari anni or sono (Felletti Maj), ha rivelato sempre di più il suo carattere estremamente provinciale, ma anche i suoi evidenti contatti con le fabbriche beotiche (v. alto-adriatica, ceramica). Essa produce, sia a S., con notevole abbondanza, sia a Numana che ad Adria (ma in minore quantità) crateri a campana èd oinochòai tipiche a labbro ondulato, decorate di figure isolate o di teste femminili che richiamano quelle frequenti su parecchi vasi etruschi dell'Italia centrale (Todi, Perugia, Orvieto) ed anche dell'Italia meridionale, specialmente della Puglia.
Tuttavia, più che ad una influenza àpula, sia per la forma delle palmette che per la particolare decorazione figurata (nella quale un impressionante dinamismo lineare anima i personaggi con poche energiche pennellate) è preferibile credere ad un contatto con le fabbriche beotiche a figure rosse, ancora assai attive nel IV sec, per quanto sciatte nella loro espressione. Fra le teste femminili, i satiri, le menadi di questa produzione (che sembra, sempre di più proprio spinetica e, veramente, non sapremmo davvero attribuirla a Numana e ad Adria, molto meno ricche di vasi alto-adriatici) non mancano tipi di grande immediatezza espressiva, legati a quella facilità italica di rappresentazione, presente specialmente nei bronzetti dell'Italia centrale (v. italica, arte). Ecco perché crediamo possibile e logico ammettere una produzione locale di artigiani permeati di cultura italica, spiegabile in un centro costiero non lontano dalle Marche e dal Piceno. Ed accenni a materiali piceni forse possono rintracciarsi anche negli utensili bronzei spinetici.
Le oreficerie spinetiche non sono, tranne in qualche raro caso, di particolare originalità. Sia i diademi aurei (uno dei quali con foglie d'edera applicate sul frontale) che gli orecchini a cornucopia e una bulla con erma doppia di negroide, sembrano piuttosto opere di artigiani e più precisamente tarantini; ma la loro origine può ancora essere discussa e lo sguardo può appuntarsi verso le oreficerie microasiatiche ioniche e del Ponto. Ad eccezione di questa bulla, databile al più tardi nel primo decennio nel V sec. a. C., tutti gli altri gioielli sono della seconda metà inoltrata del V sec. e della prima metà del IV. Anche le ambre figurate, piuttosto rare, ed i grossi chicchi lavorati e sagomati a pigna od a forma di vasi rivelano un attivo scambio specialmente con l'Etruria.
Ancora, fra la produzione artigiana non greca non va dimenticato l'accentuato rapporto di S. con la cultura artistica paleoveneta. Esso appare sempre più chiaramente oggi, dopo la scoperta di alcune situle figurate, non lontane dall'artigianato di Este (v.), e dopo quella di una fibbia chiaramente paleoveneta, databile intorno alla metà del V sec. a. C.
Nella serie di terrecotte plastiche spinetiche, invero non numerose, si può accennare a quelle maschere muliebri di grandi dimensioni, forse di uso cultuale, che sembrano riferirsi ad una delle "due dee", ed ai vasetti configurati a testa femminile o di negro assai frequenti. Fra gli askòi di produzione etrusca, sono frequenti quelli configurati a papera, di produzione chiusina o volterrana (si era pensato anche a fabbrica orvietana; ma, ancora, Orvieto [v.] è assai lungi da una definizione storica), che spesso hanno sul corpo delle Lase dipinte seminude.
Un numero non estremamente cospicuo, ma significativo, di bronzetti arricchisce i corredi spinetici; si tratta specialmente di cimase di candelabri e di qualche tipico elemento di lucerna. Le statuette delle cimase rappresentano atleti in atto d'indossare la corazza, o con strigile o disco in mano, di produzione corrente; la figura più notevole, fra i bronzetti di valle Trebba, è quella di Achille che si recide un ricciolo sulla tomba di Patroclo (Il., xxiii, v, 134) che è ripetuta anche in una cimasa di dimensioni minori da valle Pega. Altri bronzetti, come quello di un adorante in atto di alzare la mano verso l'alto, di un satiro, di un giovane storpio, di un efebo che si incorona, sono espressioni - insieme col gruppetto di candelabro (ripetuto due volte) di Hermes con una figura femminile, sulla cui spalla pone familiarmente la mano quasi a siguificarne il possesso (un Hermes psychopompòs, dunque), abbastanza evidenti di un artigianato etrusco tardo. Rare, ma notevoli, le rappresentazioni plastiche di figurette destinate a decorare le anse di grandi vasi bronzei, cavalieri che tengono i destrieri per il guinzaglio ed atleti. Una phiàle mesòmphalos di stagno, con apoteosi di Eracle, documenta l'estensione dei rapporti commerciali di S. con l'Italia meridionale (Cales e la sua produzione fittile), in una grecità dunque, mediata, nella seconda metà del IV sec., mentre una maschera fittile ibero-punica dimostra i contatti di S. anche con Cartagine.
E certamente altre novità sorgeranno quando tutti i materiali di questa immensa necropoli saranno pubblicati nelle relazioni di scavo, almeno per la necropoli di valle Pega. Per esempio, è recentissima la scoperta di elementi certi di tradizione villanoviana, come un paio di stele di arenaria a disco, del tipo delle stele felsinee. Questo problema, sconvolgerà senz'altro le nostre idee sul centro di S., e contribuirà ad arretrare, anche, la cronologia tradizionale della sua fondazione.
Ma qui preme mettere in risalto, come conclusione, il carattere etrusco di questa necropoli tanto vasta e ricca di ogni sorta di corredi di varia provenienza, anche se l'influenza attica è naturalmente prevalente. Se, infatti, è vero che i vasi attici di dimensioni eccezionali (alcuni superano, anche sotto questo aspetto, quelli provenienti dall'Etruria) sono documento ineccepibile dell'artigianato greco, non è dubbio però che il carattere dei corredi, con i bronzetti uniti ai vasi, con ceramica locale di chiara ispirazione italico-greca, propone il problema della composizione etnica di questa città. E più andiamo avanti nella conoscenza dei materiali delle necropoli, e più ci convinciamo che la maggioranza del centro di S. aveva una chiara formazione etrusca. Non soltanto per quella commistione di corredi cui si è fatto cenno, ma per la singolare importanza ed estensione che i miti greci assumono sui prodotti eccezionali destinati a Spina.
Ora S., con queste scene mitiche, parecchie delle quali uniche, per ora, nel repertorio figurativo (coppa del Pittore di Pentesilea, cratere del Pittore di Chicago, cratere del Gruppo di Polygnotos, cratere del Pittore di Kleophon, ecc.) è il centro antico più significativo, attraverso il quale è possibile di confermare quanto già si intuiva dall'esame dei corredi sepolcrali delle grandi città come Tarquinia, Vulci, Caere, Veio: la ceramica greca, arricchita dalla richiesta etrusca, era sollecitata proprio dall'accentuato gusto per le evocazioni figurate, comprensibile in una civiltà così varia, così forte assimilatrice di altre culture anche lontane. Questo è il senso vero e nuovo, quindi, della grande necropoli. Esso si spiega se ricordiamo che, nonostante le testimonianze letterarie circa la sua origine greca (ma non si parla mai, a S., di una colonizzazione greca vera e propria), la cultura fondamentale di S. è etrusca, legata alla vita dei grandi centri dell'Italia centrale, anche se la città lagunare, come emporio marittimo, dovette avere una popolazione il cui carattere misto i corredi sepolcrali stanno rivelando.
(P. E. Arias)
Bibl.: Per una prima storia e illustrazione del problema di S. si veda: S. Aurigemma, Il R. Museo di Spina, I ed., Ferrara 1935; II ed., Ferrara 1936; per una ulteriore conoscenza delle scoperte e dei vasi greci di S.: Alfieri, Arias, Hirmer, Spina, Firenze 1958. La bibliografia generale e completa su S. è stata data alla fine della Guida al Museo Archeologico di Ferrara, di N. Alfieri-P. E. Arias, Firenze, 1960, pp. 187-190; uno sguardo complessivo ai materiali è in Catalogo Mostra Etruria Padana, Bologna 1961, p. 263 ss. (Alfieri); p. 270 ss. (Arias). V. inoltre: P. Pelagatti, Nuove fabbriche della Beozia, in Arch. Class., XIV, 1962, p. 29 ss. a proposito delle accentuate apparizioni di ceramica nei corredi spinetici; P. E. Arias, Il carattere etrusco di Spina, in Arte Ant. e Mod., XVII, 1962, p. 8 ss.; R. Bloch, Remarques sur un masque ibéro-punique, ibid., XVII, 1962, p. 55 ss.; S. Patitucci, Osservazioni sul cratere della tomba 128 di Valle Trebba, ibid., XVIII, 1962, p. 146 ss.; G. Gualandi, Le ceramiche del Pittore di Kleophon rinvenute a Spina, ibid., XIX, 1962, p. 227 ss.; N. Alfieri, Dalle necropoli di Spina. Una phiale mesomphalos di stagno, in Hommages Grenier, 1961, p. 89 ss.; id., Un cratere a volute del Pittore di Chicago, in Arte Ant. e Mod., XVII, 1962, p. 28 ss.; id., Un cratere del Pittore di Borea con mito del ciclo troiano, ibid., XXI, 1963, p. 3 ss.; id., Tradizioni villanoviane a Spina, in Preistoria dell'Emilia e Romagna, Bologna 1963, p. 75 ss. Per la descrizione delle singole tombe: S. Aurigemma, Scavi di Spina, La necropoli di Valle Trebba, I, Roma 1960; I, 2, Roma 1965.
(N. Alfieri - P. E. Arias)