SPILIMBERGO
(Spengenberch, Spelimberg nei docc. medievali)
Cittadina del Friuli-Venezia Giulia, sita presso il fiume Tagliamento (prov. Pordenone).La più antica menzione documentaria di S. risale al 1120 e riporta la forma Spengenberch; nel secolo successivo si alternarono le forme Spengenberch e Spelimberg. I toponimi attestati dai documenti richiamano, nel suffisso berg ('monte, roccia' oppure 'casa di pietra'), il significato di 'luogo di pietra fortificato'. Il toponimo, di origine germanica, rimanda quindi all'esistenza di un castello, o comunque di una struttura fortificata. La nascita di S. sembra legata alle consuetudini feudali dell'investitura, come luogo concesso in beneficio a un signore, in virtù dell'ubicazione strategica, a controllo dei passaggi sul Tagliamento. Il primo nucleo abitativo sorse intorno al castello, delimitato dalla cinta muraria a mezzaluna, attestato da un documento fin dal 1244. Successivamente crebbe il borgo Valbruna, chiuso dalla seconda cinta urbana, eretta a opera di Walterpertoldo a partire dal 1304. Il documento principale per la storia urbanistica di S., borgo feudale, legato fin dall'origine alla famiglia di castellani di Spengenberch, è costituito da un atto del 5 dicembre 1320 con il quale i signori di S. dividono in due porzioni i propri possedimenti. Pochi anni dopo, nel 1334, anno in cui è citata per la prima volta la torre Portaia, si compì una vera e propria lottizzazione, dando vita al nuovo impianto con le case disposte a spina di pesce. Tale borgo nuovo appariva già realizzato nel 1361, allorché un incendio ne distrusse quattro fugas di case, raggiungendo anche gli edifici di Valbruna e del borgo vecchio. Nel 1367 si stabilirono precisi criteri per l'erezione di nuovi edifici privati e per ampliare quelli esistenti. Ancora, nel 1382, si istituì il dazio dell'obolo. Grazie al contributo di un piccolo per ogni boccio di vino e di ogni libbra di carne venduti, entro cinque anni, dovevano essere erette delle case.Un elemento caratteristico della struttura urbana di S. è derivato dalla scelta di lasciare vuoto lo spazio tra duomo e castello; più che di una piazza vera e propria si tratta di uno slargo, di un prato, destinato a divenire uno spazio pubblico, un luogo di transito, di pesatura, di dazio. Sullo sfondo si delinea il lato settentrionale del duomo, le cui vicende architettoniche, recentemente chiarite, si snodano dal 1284 al 1359.Dedicato alla Vergine, il duomo nacque come chiesa privata, di fondazione signorile, quando, nel 1284, Walterpertoldo, ottenuta la concessione dal nipote Fulcherio, vescovo di Concordia Sagittaria, ne promosse l'edificazione. La costruzione fu condotta lentamente, con almeno una consistente interruzione dei lavori, come si evince dall'analisi muraria. Alla prima fase costruttiva si deve l'erezione della zona orientale, tripartita con cappelle a terminazione rettilinea, cui sono accostate a sinistra la cappella di S. Michele e a destra la sagrestia. Tale sviluppo planimetrico è già presente nella cripta. Alla zona orientale è addossato, in evidente disassamento, il corpo longitudinale suddiviso in tre navate da pilastri quadrilobati nella zona occidentale e a pianta rettangolare nella zona adiacente quella absidale. Solo le cappelle absidali sono voltate a crociera costolonata, mentre il corpo longitudinale presenta un tetto a capriate lignee. Il corpo orientale, caratterizzato all'esterno da un'archeggiatura a pieno centro che ricade su lesene, dovette essere realizzato entro il Duecento, se la cappella di S. Michele, visibilmente aggiunta più tardi, può essere effettivamente messa in relazione al documento del 1315 (Furlan, 1985, p. 85). L'edificio doveva comunque essere completato entro la metà del 14° secolo.Quando nel 1358 fu consacrato l'altare maggiore, la chiesa era già decorata da affreschi; nella cappella di sinistra un'Adorazione dei Magi, datata al 1350 dall'iscrizione che menziona anche il nome del committente, probabilmente identificabile con Paolo gastaldo dei conti di S. e sovrastata da un Cristo in mandorla tra angeli, mostra l'esito immediato dell'impresa udinese di Vitale da Bologna, seppure nella versione, più appesantita e impacciata, di un maestro che difficilmente può essere identificato con Cristoforo da Bologna, come si è supposto (Walcher, 1980). Allo stesso periodo risalgono altri lacerti, in parte poi ricoperti dall'importante ciclo avviato nella cappella maggiore. La decorazione di quest'ultima, che coinvolge tutte le pareti dell'abside centrale, riprende nell'impaginazione generale e nell'impostazione delle singole scene il grande ciclo veterotestamentario e neotestamentario commissionato a Vitale da Bologna dal patriarca Bertrando per il coro del duomo di Udine. Si tratta di una copia intenzionale, come rivelano le riprese palmari delle pose e di alcuni dettagli; nondimeno, sono proprio alcune significative divergenze, riscontrabili nella gamma cromatica più tenue e addolcita, nella funzione della linea di contorno, nelle pose normalizzate e nei gesti più composti, nell'indulgere nei particolari descrittivi delle vesti e delle acconciature, rese con tessiture pittoriche minute e puntigliose, a caratterizzare il linguaggio del Maestro di S., già battezzato Maestro dei Padiglioni (Coletti, 1933), rispetto all'inconfondibile espressionismo della pennellata più sintetica e gestuale di Vitale.Il Maestro di S., cui spettano la progettazione dell'intero ciclo e l'esecuzione di gran parte delle scene, dopo essersi formato nel cantiere udinese di Vitale (1348), arricchì il suo linguaggio con l'esperienza diretta delle opere dipinte da Tomaso Barisini a Treviso (1348-1358 ca.). Le floride figure femminili, dai trepidi incarnati e gli occhi sognanti, inspiegabili senza la conoscenza delle vergini del ciclo di S. Orsola in S. Margherita a Treviso (ante 1356; Treviso, Mus. Civ. Luigi Bailo), mettono pienamente in luce la sapiente sintesi operata dal Maestro di S. tra la lezione di Vitale da Bologna e il magistero di Tomaso Barisini, realizzata immediatamente a ridosso della consacrazione dell'altare maggiore (Zuliani, 1996, p. 35).Nella seconda metà del secolo si snodano i vari riquadri votivi affrescati all'interno; la decorazione nell'ultimo decennio coinvolge anche le murature esterne: in particolare figure di profeti sono dipinte entro le archeggiature trilobate del fianco settentrionale, dove si apre il portale strombato firmato da Zenone da Campione (1376) con l'Incoronazione di Maria assunta in cielo, sormontato da un protiro pensile.Al palazzetto daziario, così chiamato perché ritenuto il luogo di riscossione dei dazi e delle gabelle imposte dai signori, di fronte al castello e con funzione di sfondo alla piazza, con ampio portico al piano terreno e finestre concentrate al centro del primo piano, è stato riferito il documento rogato sub domo communis (Carreri, 1895, p. 94) nel 1341. Da questa data non si discostano molto né la tipologia della bifora ad archi acuti trilobati inscritti in estradossi a pieno centro sovrapposti, né la forma e il trattamento plastico dei capitelli. Pochi sono gli edifici civili in cui sia chiaramente leggibile la tessitura muraria medievale, ancora trecentesca. La vitalità artistica del borgo è ben rappresentata inoltre dai consistenti lacerti affrescati in S. Cecilia e in S. Giovanni dell'Eremo.
Bibl.:
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