spettroscopia
La materia vestita di righe, bande e colori
Si chiamano spettri le sequenze continue di colori – come i sette dell’arcobaleno – o di righe colorate che possono presentarsi separate tra loro o, al contrario, essere riunite in folti gruppi. Ogni riga corrisponde a una frequenza della radiazione elettromagnetica. La spettroscopia è la scienza che studia queste configurazioni per ricavarne importanti informazioni sulla struttura della materia, non soltanto terrestre, ma anche celeste
Per trasformare un raggio di luce solare, ‘trasparente’ ai nostri occhi, in un variopinto arcobaleno bastano mezzi elementari come le gocce d’acqua che restano sospese nell’atmosfera dopo un temporale o un prisma di vetro, uno strumento ottico che disperde la luce del Sole nelle sue componenti. La gamma di colori che così si ottiene prende il nome di spettro e in esso, tradizionalmente, si possono individuare sette colori diversi, ciascuno corrispondente a un ben preciso intervallo di frequenze della radiazione elettromagnetica.
Per ‘catturare’ e studiare gli spettri si è sviluppata un’apposita scienza, la spettroscopia, che oggi si interessa non soltanto alla luce visibile, ma anche a quella parte di radiazione elettromagnetica che i nostri occhi non riescono a cogliere: i raggi infrarossi, gli ultravioletti, le radiazioni molto energetiche, come raggi X e γ. La spettroscopia ha avuto origine nel Seicento, quando Isaac Newton si è servito di un prisma di vetro per disperdere la luce, ma è diventata ufficialmente una scienza solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. In quest’epoca gli scienziati tedeschi Gustav Robert Kirchhoff e Robert Wilhelm Bunsen hanno scoperto che gli spettri sono vere e proprie impronte digitali lasciate dagli elementi chimici e che esaminandoli si può ricavare la composizione chimica della sostanza da cui sono stati emessi.
Durante le ricerche condotte sugli spettri, i due scienziati tedeschi hanno così individuato il rubidio e il cesio, elementi allora ignoti, e soprattutto hanno dato inizio all’astrofisica, perché la spettroscopia consente di studiare la struttura della materia extraterrestre dal solo esame della luce giunta sulla Terra da stelle e galassie.
Già sul finire dell’Ottocento i metodi spettroscopici hanno dato un primo importante risultato in questo settore. Nello spettro della luce proveniente dal Sole è stato individuato un nuovo elemento, ancora sconosciuto sulla Terra, l’elio, nome tratto dal greco èlios che vuol proprio dire «Sole».
Non tutti gli spettri sono continui e colorati quanto l’arcobaleno che si ottiene dall’esame della luce solare. Esistono anche spettri di righe, in cui linee brillanti e separate appaiono a frequenze d’onda ben definite su un fondo nero uniforme, e spettri a bande, dove sempre su un fondo nero si formano successioni assai fitte di righe che si addensano a gruppi in corrispondenza di certi intervalli di frequenze.
Ottenere uno spettro non è difficile: bastano una lampada (o un’altra sorgente elettromagnetica), un’emulsione fotografica per fissarlo e un sistema di lenti e prismi. Vediamo un esempio concreto.
L’occhio umano (visione) è più sensibile verso la luce di colore giallo che verso quella di colore rosso o blu, e infatti i lampioni stradali che devono garantire l’illuminazione pubblica emettono proprio luce gialla. Se ne esaminiamo lo spettro, otteniamo su un fondo nero due righe brillanti molto vicine tra loro, il caratteristico doppietto giallo del sodio (v. fig.). Per chi si occupa di spettroscopia si tratta di un indizio inequivocabile della presenza di questo elemento (infatti le lampade stradali gialle sono a vapori di sodio): ritroviamo puntualmente le due righe del doppietto anche nell’esame spettroscopico dell’improvviso bagliore giallo che si ottiene quando gettiamo granelli di sale da cucina (cloruro di sodio) direttamente sulla fiamma.
Gli spettri di cui ci siamo occupati sino a ora sono spettri d’emissione perché sono stati ottenuti esaminando, grazie a uno spettrometro, la luce emessa dalla sorgente eccitata. Lo spettrometro disperde la luce nelle sue componenti grazie a un prisma o a un reticolo di diffrazione (una lastra di vetro o di metallo con incisa una fittissima griglia di fenditure) e determina la corrispondente lunghezza d’onda della radiazione. In genere gli spettri continui sono emessi da solidi e liquidi riscaldati (per esempio, tali sono le emissioni del ferro riscaldato al calore bianco), mentre le righe sono visibili quando la materia è rarefatta, come nei gas eccitati. Gli spettri a bande sono invece propri delle molecole allo stato di gas o vapore dove gli atomi sono uniti tra loro da legami chimici.
Esaminare direttamente la luce emessa da una lampada al sodio non è l’unica tecnica offertaci dalla spettroscopia per studiare questo elemento. Possiamo anche servirci di una tecnica indiretta e analizzare lo spettro di un raggio di luce che ha attraversato un’ampolla contenente vapori di sodio. In queste condizioni, come tutti i gas, il sodio assorbe dalla luce solare proprio le frequenze corrispondenti a quelle che può emettere e ciò che otteniamo è uno spettro d’assorbimento (v. fig.). È un po’ come disporre del negativo di uno spettro d’emissione, dove ora le porzioni scure sono state sostituite dai colori e viceversa.
In questo modo gli spettri diventano vere e proprie impronte digitali perché non esistono spettri comuni a due elementi distinti, anche se uno stesso elemento può avere spettri diversi (righe che appaiono, mentre altre scompaiono), ma ciò deriva dalla modalità con cui è stato ricavato lo spettro e dal grado di eccitazione della sostanza che l’ha emesso. Anche tra gli spettri d’assorbimento si distinguono quelli continui, quelli a righe e quelli a bande. Nello spettro solare, per esempio, si osservano bande scure di assorbimento in corrispondenza degli elementi presenti nell’atmosfera gassosa che circonda la nostra stella e che quindi assorbono alcune lunghezze d’onda della radiazione emesse dalla superficie solare.
Ogni spettro rappresenta un’impronta fedele della struttura atomica o molecolare che l’ha emesso o lo ha assorbito. Consideriamo il caso più semplice, quello di un gas dove gli atomi sono così rarefatti da non interferire fra loro. Come abbiamo visto, lo spettro d’emissione è formato da alcune righe luminose su fondo scuro, ciascuna corrispondente a una specifica frequenza che l’atomo preso in considerazione è in grado di emettere. Ogni riga, infatti, corrisponde al ‘salto’ di un elettrone dell’atomo da un livello energetico all’altro; ma non tutti i livelli energetici sono permessi e quindi otteniamo per i gas, anziché uno spettro continuo, uno spettro a righe che riflette la struttura del singolo atomo. Nei solidi e nei liquidi (per esempio, nelle soluzioni) dove esistono anche interazioni tra atomi e atomi, lo spettro che si ottiene è continuo.
La spettroscopia, dunque, è un utile strumento per indagare la struttura della materia oltre che per capire quali elementi formano una certa sostanza. Ciò non vale solo per la luce visibile: esistono anche spettri di radiazioni non visibili come i raggi X o come i raggi gamma che si ottengono ‘illuminando’ il campione da esaminare con fasci di neutroni.
La spettroscopia permette inoltre di determinare la configurazione delle molecole esaminando i loro moti vibrazionali, cioè le vibrazioni delle molecole quando vengono investite da un raggio di luce, e non solo le transizioni tra livelli energetici: si tratta della tecnica nota come spettroscopia Raman (dal nome del suo ideatore, il fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman), largamente diffusa negli ambiti della fisica e della chimica per i quali è importante determinare le architetture molecolari.