SPESE
. Diritto. - Sono tutto ciò che è sborsato per una data cosa o impiegato in essa. Si distinguono spese fatte per la cosa e spese fatte per conseguire i frutti di una cosa fruttifera; spese necessarie, cioè indispensabili alla conservazione della cosa, le quali possono essere ordinarie e straordinarie; spese utili, che ne aumentano il reddito; spese voluttuarie, che ne accrescono la bellezza. Questa tripartizione troviamo enunciata ed esemplificata in Tituli ex corpore Upiani, VI, 14-17.
Il regime delle spese viene particolarmente in considerazione nella restituzione della dote e nella rivendicazione della proprietà. Nel diritto romano classico, al marito convenuto per la restituzione della dote con l'actio rei uxoriae, era riconosciuta, tra le altre retentiones, anche quella propter impensas, che originariamente concerneva, secondo una dottrina largamente ricevuta, le impensae necessariae (le quali diminuivano ipso iure la dote); più tardi, anche le impensae utiles, per lo meno quando fossero state eseguite con il consenso della donna. Nel diritto giustinianeo, abolite le retentiones, le impense necessariae e utiles possono opporsi in compensazione: è concesso lo ius tollendi (il diritto di togliere le accessioni) per le spese voluttuarie, qualora la donna non voglia pagarne l'importo, neppure se fatte col suo consenso.
Il rimborso delle spese al possessore di buona o mala fede, convenuto con la rei vindicatio, è diversamente regolato nel diritto classico e nel giustinianeo (v. rivendicazione: Diritto romano): nell'epoca classica il possessore di mala fede non aveva alcun diritto a risarcimento di spese: il diritto giustinianeo invece eguagliò, quasi, a questo riguardo la posizione del possessore di mala fede a quella del possessore di buona fede partendo dal principio dominante in questo diritto, che nemo debet ex aliena iniuria locupletari.
Nel diritto italiano vigente, delle spese necessarie compete sempre il rimborso (art. 1150 cod. civ.); delle utili, è dovuto sempre che sussistano tuttora i miglioramenti ed è, di regola, dovuto nella misura della somma minore che risulta tra lo speso e il migliorato (art. 705 cod. civ.), talvolta nella misura effettiva del miglioramento (art. 1018, 1528 cod. civ.); delle voluttuarie il rimborso non compete di regola mai.
L'usufruttario sopporta tutte le spese necessarie alla manutenzione della cosa; e così l'enfiteuta. Il rimborso delle spese sostenute spetta al depositario, al comodatario, al creditore pignoratizio, al mandatario, rispettivamente per la conservazione della cosa data in deposito, o a comodato, o in pegno, o per l'esecuzione dell'incarico affidato: nel diritto romano erano chieste con l'actio contraria (e così con l'actio contraria depositi, o commodati, o pignoraticia, o mandati): per l'eventualità di queste spese che, quando vi siano state, debbono essere rimborsate, i contratti di deposito, comodato, pegno, mandato, anziché come contratti unilaterali, sono classificati come contratti bilaterali imperfetti. Il rimborso di queste spese spetta anche al tutore, al curatore, al procuratore, al condomino, al coerede, al socio (nel diritto romano veniva chiesto rispettivamente con l'actio contraria tutelae, con l'actio negotiorum gestorum, con l'actio communi dividundo, con l'actio familiae erciscundae, con l'actio pro socio).
Bibl.: S. Riccobono, Distinzione delle impensae e la regola "fructus intelleguntur deductis impensis", in Archivio giuridico, LVIII, p. 60 segg.; F. Schulz, Impensae necessariae dotem ipso iure minuunt, in Zeitschrift der Sav.-Stift. für Rechtsgesch., XXXIV (1913), p. 57 segg.; S. Riccobono, Dal diritto romano al diritto moderno, Palermo 1915, p. 319 segg.; M. Pampaloni, in Riv. it. per le scienze giuridiche, 1911; M. Ricca Barberis, Le spese sulle cose immobili e il loro risarcimento, Torino 1914; id., Il concetto delle spese di produzione, in Studi in onore di G. P. Chironi, I, Torino 1915, p. 363 segg.; P. Bonfante, Corso di diritto romano, I, Roma 1925, p. 362 segg.; II, Roma 1928, 2ª parte, p. 307.
Spese giudiziali.
Sono quelle a cui ha dato luogo una lite (tasse di bollo, diritti di cancelleria, di ufficiali giudiziarî, accessi, spese di testimonî, ecc. onorarî di periti, procuratori e avvocati, ecc.); per l'art. 370 cod. proc. civ. a tali spese è condannata la parte soccombente, la quale quindi, oltre le spese proprie, è tenuta a rifondere le spese dell'avversario; qualora si tratti di lite temeraria, la parte soccombente è condannata anche ai danni.
Nel diritto romano, condannato in tempo antico alle spese era il litigante in malafede; in seguito qualunque soccombente, sia per la difficoltà pratica di determinare la malafede, sia per l'uso radicatosi fra i giuristi di considerare le spese come una diminuzione del diritto, che quindi deve esser risarcita con l'attuazione del diritto stesso. Una evoluzione analoga presenta la condanna nelle spese nel diritto medievale e moderno: da un periodo primitivo, che non ammette condanna nelle spese, si arriva, attraverso una seconda fase che l'accoglie come pena del litigante temerario, all'epoca presente, nei principali ordinamenti della quale il principio della condanna assoluta ritorna a dominare. Attualmente la condanna nelle spese si giustifica come una conseguenza stessa del processo, che, per giungere all'attuazione della legge a favore di chi ha ragione, non deve costituire per costui una diminuzione patrimoniale; essa appare come una conseguenza del principio che la legge deve essere attuata come se ciò avvenisse nel momento stesso della domanda. Il fondamento della condanna nelle spese sta perciò nel fatto oggettivo della soccombenza.
La compensazione delle spese è ammessa dalla legge italiana (art. 370 cod. proc. civ.) quando concorrano giusti motivi, i quali, secondo la moderna dottrina, non possono dipendere che da reciproca soccombenza. Se le parti soccombenti siano più, le spese si ripartiscono tra loro per capi o in ragione del loro interesse nella lite, salvo che si tratti di condanna per obbligazione solidale nel qual caso ciascuna può esser tenuta alle spese solidalmente.
Talvolta il legislatore regola le spese non in base alla soccombenza, ma, per considerazioni particolari, in modo indipendente da questa (così in caso di contumacia, di perenzione d'istanza, di rinuncia agli atti, ecc.).
La soccombenza non può esservi se non quando vi sia dichiarazione di diritto, e quindi sia attuata la legge a favore di una parte e contro l'altra: nasce quindi da una sentenza di merito, mentre le sentenze interlocutorie devono riservare le spese. D'altra parte, poiché la soccombenza suppone un nesso di causalità tra il soccombente e la lite, non sempre vi ha soccombenza e condanna nelle spese pur essendovi dichiarazione di diritto a favore di una parte: in genere ciò accade nelle sentenze d'accertamento quando l'incertezza non è derivata dal fatto del soccombente (come nella verificazione di scritture, art. 282 cod. proc. civ.), e in tutti quei casi nei quali l'adesione del convenuto non può evitare il processo; in tali casi le spese saranno sopportate dall'attore vincitore: se però il convenuto si oppone e contrasta la pretesa dell'attore, le spese seguiranno la regola generale e quindi graveranno sul soccombente.
La condanna nelle spese, che è di regola pronunziata contro le parti e a favore delle parti, può eccezionalmente esser pronunziata contro e a favore di persone che, pur agendo nel processo, non rivestono la figura di parti; ciò avviene nella condanna personale degli eredi beneficiarî, tutori, curatori e amministratori in genere (art. 372 cod. proc. civ.), e nella distrazione delle spese a favore dei rappresentanti legali (avvocati e procuratori) che le abbiano anticipate (art. 373).
Durante il processo le spese sono sopportate da ciascuna parte per suo conto: al litigante povero il fisco anticipa le spese mediante l'istituto del gratuito patrocinio (v. patrocinio).
Bibl.: Trattati generali: G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3ª ed., Napoli 1928, p. 902 segg.; id., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli 1934; F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova 1933, p. 455 segg. Opere monografiche: G. Chiovenda, La condanna nelle spese giudiziali, Torino 1901; 2ª ed., Roma 1935 (opera fondamentale sia per la sistematica sia per la storia dell'istituto); C. Lessona, L'onere delle spese tra le parti, Roma 1896; O. Sechi, Spese giudiziali, in Digesto italiano.