Spese giudiziali e compensazione
C’è un minimo comune denominatore nel continuo intervento riformatore che il legislatore dedica al processo civile, ed in particolare alle spese di lite? Nel contributo che segue si offre una risposta positiva al quesito, individuando tre linee direttive principali: la valorizzazione del principio di causalità, non già della mera soccombenza, come criterio ordinario di addebito delle spese; l’introduzione di sanzioni per il contenzioso temerario; la drastica diminuzione dell’ambito operativo della compensazione. Lo scritto si conclude poi con una rassegna delle principali pronunce di legittimità rese nell’ultimo anno in materia di spese giudiziali.
Nel cantiere di riforme che è ormai da oltre un ventennio divenuto il rito processuale civile, cantiere aperto dalle leggi 26.11.1990, n. 353 e 20.12.1995, n. 534, di introduzione del giudice unico di primo grado ed ancor oggi contraddistinto da continui “lavori in corso”, uno dei settori in cui gli interventi legislativi sono più affollati e continui è quello relativo alle spese di lite1.
In proposito, negli ultimi anni le modifiche sono diventate vorticose, atteso che, a partire dalla l. 18.6.2009, n. 69, è stato emendato il co. 1 ed introdotto l’ultimo comma dell’art. 91 c.p.c. in tema di condanna alle spese; è stato due volte riscritto l’art. 92, co. 2, c.p.c., in tema di compensazione; è stato introdotto l’art. 96, co. 3, c.p.c. in tema di condanna per lite temeraria; sono state dettate disposizioni rilevanti anche nella normativa speciale, con l’art. 13 d.lgs. 4.3.2010, n. 28, in tema di mediazione e l’art. 4, co. 1, d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito dalla l. 10.11.2014, n. 162, in tema di negoziazione assistita. Pertanto, l’ennesima riscrittura dell’art. 92, co. 2, c.p.c., ad opera dell’art. 13 del citato d.l. n. 132/2014 e nell’ambito di un più ampio restyling del rito civilistico, non è che l’ultimo tassello di un intervento riformatore molto più articolato ed ampio2.
Volendo ricercare coerenza in tale intervento, può forse ritenersi che la direzione legislativa sia stata triplice: per un verso, addebitare ordinariamente le spese sulla base del principio di causalità, del quale la soccombenza è solo un indice, ma non l’unica o principale ragione; per un secondo verso, introdurre sanzioni economiche punitive per il contenzioso temerario e promosso con abuso del processo; per un terzo ed ultimo verso, ridurre fortemente, fin quasi a sfiorare la soppressione, l’ambito operativo della compensazione.
Comune denominatore di tali interventi legislativi è quello della valorizzazione del principio di autoresponsabilità della parte, chiamata a valutare con la massima attenzione le proprie strategie processuali; mentre l’effetto mediato che si persegue è la riduzione del contenzioso, sul presupposto che una maggiore severità nella disciplina delle spese, dovrebbe favorire la deflazione del contenzioso azionato per motivi futili e fondato su ragioni palesemente inconsistenti.
Nelle pagine che seguono si cercherà di focalizzare la triplice evoluzione sopra descritta, concludendo poi con una breve rassegna degli ulteriori profili problematici affrontati dalla Cassazione in tema di spese.
Come detto, i tre punti su cui si è incentrato l’intervento legislativo sono la rivitalizzazione del principio di causalità come indice della soccombenza, l’introduzione della lite temeraria e la riduzione dell’ambito operativo della compensazione.
2.1 La soccombenza e l’art. 91 c.p.c.
Il primo profilo attiene al principio di causalità. È infatti noto che l’originaria formulazione del co. 1 dell’art. 91 c.p.c., prevedeva semplicemente che il giudice condannasse «la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte».
Con la l. n. 69/2009, a tale comma è stato aggiunto l’inciso per il quale il giudice «se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta». Trattasi di proposta che, secondo la tesi largamente maggioritaria, può provenire anche dal giudice e non solo dalla controparte3; deve essere formulata necessariamente in giudizio4; necessita di forma dettagliata ed idonea a definire integralmente la lite, pur se non pare necessario anche il requisito dell’offerta reale5.
In modo ancor più severo, l’art. 13 d.lgs. n. 28/20106, riferendosi al rapporto tra la proposta mediatoria rifiutata ed il provvedimento giurisdizionale definitorio del giudizio, sancisce che quando quest’ultimo «corrisponde interamente al contenuto della proposta», il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta successivamente alla formulazione, condanna la parte vincitrice al rimborso delle spese sostenute dalla soccombente nel periodo successivo alla formulazione della proposta, condanna la stessa vincitrice al versamento allo Stato di un’ulteriore somma corrispondente al contributo unificato dovuto.
Più blandamente, ma sempre nella direzione dell’addebito delle spese di lite a chi ha dato causa al contenzioso, è l’ancora più recente art. 4, co. 1, d.l. n 132/2014, secondo il quale la mancata risposta od il rifiuto all’invito alla negoziazione assistita, «può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio».
Sulla base di tale recente ed articolato disposto normativo, deve concludersi che la regola iuris per l’ordinario addebito della spese di lite, è non già quella della soccombenza, ma piuttosto quella, così come già in passato ritenuto da autorevole dottrina7, della causalità nella genesi della lite; causalità che può trovare il suo indice nella soccombenza, ma che ben può prescindere dalla stessa, così come nei casi sopra indicati di mancata accettazione di una proposta conciliativa poi rivelatasi aderente alla decisione giurisdizionale, rendendo necessario un processo che si sarebbe potuto evitare8.
Anche la giurisprudenza di legittimità si è ormai saldamente assestata nel ritenere che «l’obbligo del rimborso delle spese processuali si fonda sul principio di causalità», nel senso che la parte soccombente va individuata come quella che «abbia dato causa al processo o alla sua protrazione» (Cass., ord. 21.1.2015, n. 930; nei medesimi termini, Cass., ord. 13.1.2015, n. 373; Cass., 17.10.2012, n. 22952 e Cass., 30.3.2010, n. 7625).
2.2 La lite temeraria e l’art. 96, co. 3, c.p.c.
Il secondo dei tre punti indicati in premessa è la sanzione economica per il contenzioso temerario, prevista dall’art. 96, co. 3, c.p.c., a tenore del quale, quando pronuncia sulle spese, «il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».
In base al piano tenore letterale della norma, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio verso qualunque parte processuale e non ha limite nella determinazione dell’importo della condanna, cosicché la Suprema Corte ha ritenuto congrua e ragionevole una condanna al triplo delle spese di lite (Cass., 30.11.2012, n. 21570), mentre la giurisprudenza di merito una condanna al quadruplo9 od al quintuplo10.
Parimenti incontroverso è che la domanda non è proponibile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata; è formulabile per la prima volta anche in sede di precisazione delle conclusioni, non mutando petitum e causa petendi dell’azione; non incide sul valore della controversia.
Nonostante l’imprecisa formulazione, stante il richiamo all’art. 91 c.p.c. che parla di «sentenza», si considera la norma applicabile a tutti i procedimenti conclusi con una pronuncia sulle spese, e quindi anche ai decreti di volontaria giurisdizione e alle ordinanze nei cautelari ante causam o nei sommari di cognizione11.
Per la tesi qui preferita, poi, la pronuncia, se resa d’ufficio, non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., essendo posterius e non prius logico della decisione di merito12.
La questione, inizialmente molto dibattuta, della necessità o meno di un danno sofferto da controparte, è stata recentemente composta dall’intervento delle Corti Supreme, poiché la tesi che ritiene non necessaria tale presenza, già largamente maggioritaria in giurisprudenza di merito e dottrina, ha ottenuto l’avallo sia della Corte costituzionale (cfr. C. cost., ord. 31.5.2012, n. 138); sia della Cassazione, che ponendo a confronto la norma di cui al co. 1 con quella di cui al co. 3, ha ritenuto quest’ultima integrare una «vera e propria pena pecuniaria … indipendente dalla prova del danno causalmente derivato» (Cass., 30.7.2010, n. 17902).
Quanto all’obiezione circa il fatto che il danno punitivo presupporrebbe la condanna a favore dello Stato, può replicarsi che la scelta normativa di prevedere la condanna a favore di controparte, è stata effettuata al fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione13.
Definita è anche l’ulteriore tematica inizialmente controversa, relativa al fatto che, per procedere alla condanna ai sensi del co. 3, siano o meno necessari i requisiti di malafede o colpa grave previsti dal co. 1: la Cassazione ha infatti condivisibilmente aderito alla tesi più garantista e già prima maggioritaria, che richiede comunque la presenza di tali requisiti (Cass., 30.12.2014, n. 27534; Cass., 18.11.2014, n. 24546; Cass., 11.2.2014, n. 3003; Cass., 30.11.2012, n. 21570); e quindi, citando uno dei più grandi maestri del diritto processuale, la sanzione deve applicarsi solo a chi si dedica alla «difesa dell’indifendibile»14.
Infine, le differenziazioni strutturali tra il co. 1 e il co. 3 dell’art. 96. c.p.c., consistenti nel fatto che la pronuncia di cui al co. 3 è possibile in via officiosa ed in assenza di un danno, rendono astrattamente possibile il cumulo tra le due condanne (Cass., 27.2.2013, n. 4925).
2.3 La compensazione e l’art. 92 c.p.c.
Dopo causalità e lite temeraria, la terza colonna sulla quale si regge l’intervento riformatore riguarda la drastica riduzione dell’ambito operativo della compensazione, con lo scopo di applicare con effettività il noto principio chiovendiano secondo il quale il processo deve dare a chi ha un diritto tutto quello che egli ha diritto di conseguire, ciò che sarebbe disatteso se la parte vittoriosa non avesse rifuse le spese di lite15.
L’art. 13 d.l. n. 132/2014 ha infatti modificato l’art. 92 c.p.c., rendendo ora possibile la compensazione, oltre che nel caso di soccombenza reciproca, solo per «assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti».
Quella attualmente vigente, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, è la quarta versione dell’articolo in esame, ripetutamente modificato per scoraggiare la compensazione e limitare la discrezionalità del giudice.
L’iniziale impianto codicistico prevedeva la compensazione, oltre che per soccombenza reciproca, nel caso di «giusti motivi»; con la l. 28.12.2005, n. 263, i giusti motivi vanno «esplicitamente indicati nella motivazione»; a partire dalla l.
n. 69/2009 (per il regime transitorio cfr. art. 58), dai giusti motivi si passa alle «gravi ed eccezionali ragioni»; adesso, occorre invece la «assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti». La possibilità di compensare le spese, totalmente o parzialmente, si riduce a tre casi.
Il primo è dato dall’assoluta novità della questione trattata, laddove l’aggettivo «assoluta» è stato inserito nella legge di conversione, per sottolineare l’eccezionalità della situazione: in tutta evidenza, poi, la novità deve essere oggettiva e non soggettiva; ed oltre che nuova, la questione dev’essere opinabile.
Il secondo caso è il mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, ed anche in tale situazione il riferimento alle «questioni dirimenti» è stato introdotto in sede di conversione, per circoscrivere il più possibile l’ambito di operatività della norma.
Il terzo caso è quello, presente sin dall’originaria versione della norma, della soccombenza reciproca. Discende, da un lato, che divengono ora certamente erronee in diritto, le statuizioni, diffusamente presenti nelle pronunce di merito soprattutto nella materia lavoristica e di famiglia, di compensazione delle spese per “debolezza di una parte”, “natura personale dei rapporti tra le parti”, “incertezza dei fatti”, natura “meramente processuale della decisione”, presenza di “evidenti ragioni equitative”16.
E discende altresì che la compensazione per soccombenza reciproca, da ipotesi residuale rispetto a quella per «giusti motivi» prima ed «eccezionali ragioni» poi, diverrà ora l’ipotesi principale.
Ciò è infatti reso possibile anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la soccombenza reciproca deriva non solo dall’accoglimento di parte delle plurime domande azionate; ma anche dall’accoglimento di alcuni capi di un’unica domanda, ovvero dell’unica domanda per un importo inferiore a quello domandato (Cass., 13.1.2015, n. 281; Cass., ord. 23.9.2013, n. 21684; Cass., ord. 4.1.2013, n. 134; Cass., 10.12.2012, n. 22388; Cass., 21.10.2009, n. 22381).
Diverse sono poi le sentenze di legittimità che, nell’ultimo anno, sono state chiamate ad affrontare ulteriori questioni in tema di spese di lite.
In particolare, in materia di patrocinio a spese dello Stato, è stato chiarito che il giudice non può rigettare l’istanza sul rilievo della mancata documentazione dell’iscrizione all’elenco dei difensori, e ciò per la natura pubblica dell’elenco, l’inesistenza di un obbligo del difensore di indicare tale iscrizione ed il potere del giudice di acquisire le relativa informazione (Cass., 7.4.2015, n. 9264).
Dando continuità ad una posizione già assunta a Sezioni Unite con la pronuncia 29.5.2012, n. 8516 e poi sempre confermata, è stato ribadito che, nel caso di opposizione a decreto di liquidazione del patrocinio a spese dello Stato, parte necessaria è il Ministero della giustizia e non l’Agenzia delle entrate (Cass., 31.10.2014, n. 23279).
Sempre confermando i propri precedenti (tra questi, Cass., 19.6.2012, n. 10053), la Cassazione ha spiegato che l’ammissione al patrocinio non comporta che siano a carico dello Stato le spese che il beneficiato sia eventualmente condannato a pagare a favore delle altre parti del processo (Cass., 23.10.2014, n. 22575).
Si è poi statuito che il rilevamento dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 30.5.2012, n. 115, relativa ad impugnazioni integralmente respinte o dichiarate inammissibili o improcedibili, è atto dovuto da parte del giudice: infatti, l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito (Cass., ord. 21.1.2015, n. 930; Cass., S.U., 17.10.2014, n. 22035; Cass., ord. 13.5.2014, n. 10306).
La condanna non può però riguardare giudizi in cui è soccombente la Pubblica Amministrazione (Cass., 8.5.2014, n. 9938) o comunque impugnazioni proposte dalla parte ammessa al patrocinio (Cass., 20.6.2015, n. 15662; Cass., 25.11.2014, n. 25005; Cass., 11.6.2014, n. 18523; Cass., ord. 18.2.2014, n. 3860), poiché in entrambi i casi la pubblica amministrazione sarebbe contemporaneamente creditrice e debitrice.
Infine, sull’istanza di distrazione delle spese non va instaurato il contraddittorio, per difetto di interesse della controparte (Cass., 20.6.2014, n. 21228).
1 Sul punto, sia permesso richiamare Morlini, G., Il punto sulle spese di lite e la responsabilità per lite temeraria, in Resp. civ. prev., 2012, 2081 ss.; Id., Effettività della tutela, sanzione processuale e finalità deflativa, nella disciplina delle spese di lite, in Giur. mer., 2011, 2159 ss.
2 Per l’ultimo intervento normativo sull’art. 92 c.p.c., si vedano D’Ascola, P., Riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014, in Il Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 489 s.; Gradi, M., Inefficienza della giustizia civile e fuga dal processo, Messina, 2014, 1821; Scarselli, G., Il nuovo art. 92 comma 2 c.p.c., in Foro it., 2015, V, 4953.
3 Di questo avviso sono anche Dalfino, D., Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, in Foro it., 2010, V, 105; Passanante, L., Il nuovo regime delle spese processuali, in Il processo civile riformato, a cura di M. Taruffo, Torino, 2011, 232.
4 Così De Marzo, G., Le spese giudiziali e le riparazioni nella riforma del processo civile, in Foro it., 2009, V, 397; Pagni, I., “La riforma” del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori), in Corr. giur., 2009, 1320.
5 In questo senso Luiso, F.P., Diritto processuale civile, I, Milano, 2009, 426; Potettì, D., Novità della L. n. 69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità aggravata, in Corr. mer., 2010, 939. Contra però Menchini, S., Sub art. 91, in Balena, G. Caponi, R. Chizzini, A. Menchini, S., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 24.
6 Sul punto, pregevole è il contributo di Vaccari, M., La proposta conciliativa nella nuova disciplina delle spese di lite, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 610 ss.
7 Doveroso è il richiamo a Cordopatri, F., che già in Spese giudiziali (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. dir., XVIII, Milano, 1999, 332, aveva riconnesso il regime delle spese di lite al principio di causalità.
8 Si veda Acierno, M.Graziosi, A., La riforma del 2009 nel primo grado di cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 163; Mocci, M., Il punto sulle spese processuali alla luce della riforma, in Riv. dir. proc., 2011, 911; Scrima, A., Compensazione e condanna alle spese, in Giur. mer., 2009, suppl. 78.
9 Cfr. Trib. Milano, 25.11.2014, in www.expartecreditoris.it, e Trib. Milano, 21.10.2014, in Giur. it., 2015, 865.
10 Cfr. Trib. Padova, 10.3.2015, in www.expartecredtoris.it.
11 Cfr. Trib. Lamezia Terme, 12.7.2011, in www.altalex.com; Trib. Verona, ord. 21.3.2011, in Giur. mer., 2011, 2161; Trib. Piacenza, ord. 22.11.2010, in Guida dir., 2011, fasc. 3, 46; Trib. Torino, ord. 16.10.2010, in Giur. mer., 2011, 2701.
12 In questo senso Buffone, G., Un grimaldello normativo in ambito civile per frenare la proliferazione di liti temerarie, in Guida dir., 2011, fasc. 3, 50; Demarchi, G.P., Il nuovo processo civile, Milano, 2009, 52; Esposito, A.F., Questioni risolte e questioni ancora controverse in tema di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., in Giur. mer., 2012, 12372. Contra solo Giordano, A., Il litigante temerario paga «in ogni caso», in Giur. it., 2012, 2119.
13 Così, convincentemente, Finocchiaro, G., Accessi infondati e abusi del rito: nel mirino della nuova responsabilità aggravata, in Guida dir., 2010, fasc. 4950, 27.
14 Chiovenda, G., La condanna nelle spese giudiziali, Roma, 1935, 331.
15 Già Pajardi, P., La responsabilità per le spese ed i danni del processo, Milano, 1959, 3, parlava di una singolare forma di «strabismo intellettuale», in ragione della quale i giudici spendono le loro migliori energie per la decisione di merito, poi solo sommariamente delibano sulle spese.
16 La normativa interna risulta ora più severa di quella sovranazionale, poiché l’art. 69, co. 3, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, prevede, per la compensazione delle spese nei procedimenti davanti alla Corte, oltre che la soccombenza reciproca, anche la sussistenza di «motivi eccezionali».