Speroni, Sperone
Medico, filosofo, letterato (Padova 1500-1588), una delle figure di maggior spicco del fervido aristotelismo padovano, che si mescola e succede alla corrente platonico-fiorentina del Bembo e del Gabriele. Dinanzi a D. assume una posizione che lo accomuna al Varchi, al Piccolomini, al Tomitano, posizione di riserva e a volte di ostilità verso il Bembo e la sottile eleganza delle sue tesi grammaticali e stilistiche. Di questo orientamento letterario ci ha lasciato ampia testimonianza nei discorsi critici, dal Dialogo delle lingue (del 1530 o di poco posteriore) alla Canace, al Dialogo della Istoria (1585-1586), che abbracciano un ampio arco del Cinquecento. In tali scritti i riferimenti a D. e alla sua opera sono continui. Nelle dispute interpretative lo S. si schiera nettamente in favore di alcune tendenze dell'esegesi dantesca, che egli ritiene abbiano in sé potenza innovatrice e possano portare a un approfondimento e arricchimento critico. Il suo pensiero su D. si chiarisce soprattutto nei due Discorsi sopra D., composti con l'intento di confutare B. Bulgarini. Lo S. difende D. " a viso aperto " contro lo scrittore senese e i critici che lo seguivano, affermando che D. poteva fare " aulico, cortigiano, cioè nobile ", il " volgar nostro moderno, basso da sé ", solo operando, come fece, una scelta, prendendo i vocaboli " dalle provincie di tutta Italia " (Dialogo della Istoria, II 278) e che le sue " locuzioni sono toscanissime, più di quale altro che mai scrivesse toscano ", i vocaboli " non sempremai, perché la lingua, non usata a significare così alti concetti, come era il suo, non li avea ancora formati ", per cui D. " li prende or dal latino or dalle altre provincie d'Italia " (Sopra D., II 511).
L'elogio più vivo e sincero, tanto da divenire una vera apologia, lo S. lo riserva alla Commedia, alla quale, com'egli dice, D. incominciò a pensare " innanzi al suo esilio ", imperniandola su " una azione sola e meravigliosa " che è " narrazione d'un sogno ", tutta legata alla " laude di Beatrice ". E inoltre afferma che D. forse " volea andare alla felicità per la strada della vita attiva e civile, che non è bona, ma è consigliato andarvi per la lunga della contemplazione, ed ecco che prepone questa sua opera ad ogni altra operazione umana quando nel canto XI del Paradiso dice: ‛ O insensata cura de' mortali ' " (Sopra D., II 509). Tutto il poema è definito " rara cosa " per la " disposizion dello 'nferno, l'invenzione del Purgatorio; l'andare in cielo: ma in questa rarità rare sono la opinione della fortuna, la cognizione imperfetta dei dannati, la generazione de' corpi aerii fatta dalla potenzia e virtù informativa delle anime " (II 518). Né mancano l'accenno alla " copiosità nelle descrizioni " e alla grandezza " nello imitare " Virgilio " nella brevità e nello studio de' versi, e nella chiarezza ".
Nella valutazione del pensiero dantesco le interpretazioni di episodi e figure servono allo S. anche per difendere il concetto d'amore della sua Canace. Nelle pagine dedicate a Paolo e Francesca, ad esempio, l'esame dei personaggi è condotto seguendo un sottile filo psicologico e non trascura di prendere in considerazione l'atteggiamento di D. di fronte alla vita interiore che egli stesso ha infuso nei due amanti.
Bibl. - M. Barbi, La fortuna di D. nel sec. XVI, Pisa 1890; B. Nardi, Saggi sull'aristotelismo padovano dal sec. XIV al XVI, Firenze 1958; A. Vallone, L'interpretazione di D. nel Cinquecento, ibid. 1969, 135 ss.; ID., Aspetti dell'esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce 1966, 61-127; M. Marti, S. S. retore e pensatore, in Dal certo al vero, Roma 1962, 251-272.