SPERLONGA
(App. III, II, p. 791)
Nuovi studi e indagini hanno consentito di chiarire i caratteri dell'impianto costruttivo e dell'apparato decorativo della villa marittima di età tardorepubblicana situata a sud ovest di Sperlonga. La villa inglobava una grotta che misura 21,50 m di larghezza all'entrata, 30 m circa di profondità, e raggiunge m 11,50 di altezza. In epoca protoimperiale, a nord della villa fu eretto su di un terrazzo artificiale un portico a due navate, lungo più di 50 m, addossato perpendicolarmente al pendio. La parete posteriore del portico separa la villa vera e propria da un grande edificio quadrangolare provvisto di numerosi ambienti in reticolato di pietra calcarea, in cui è senz'altro da riconoscere una caserma pretoriana d'età tiberiana. Infatti una serie di quindici ambienti a forma di L, che si aprono lungo il muro posteriore del portico, non possono essere altro che stalle per i cavalli dei pretoriani. Tali strutture sorsero quando la più antica villa fu trasformata nel praetorio, cui Speluncae nomen est menzionato da Suetonio (Tiberio, 39), e nel quale, secondo lo stesso Suetonio e secondo Tacito (Annali, 4, 59, 1-5), l'imperatore Tiberio aveva rischiato di perdere la vita a causa di una caduta di massi. Il più importante intervento costruttivo effettuato in età tiberiana nella grotta fu l'allestimento di un teatro naturale nel quale furono rappresentate, in quattro grandi gruppi marmorei (copie di famose opere ellenistiche in bronzo), le più importanti imprese eroiche compiute da Ulisse a Troia e nel corso del suo ritorno a Itaca, e precisamente il recupero della salma di Achille, il ratto del Palladio, l'accecamento di Polifemo e il salvataggio della nave da Scilla. Alla stessa età tiberiana è pure da attribuire la realizzazione della piscina circolare, che si apre anteriormente in un'altra vasca rettangolare di uguale larghezza, nella quale si trova un triclinio a isola con una peschiera a esso adiacente, suddivisa in quattro settori.
Accanto alla grotta principale si apre un passaggio secondario, attraverso il quale una sorgente d'acqua affluisce nella piscina rettangolare. Quest'apertura taglia uno sperone calcareo collegato a mo' di ponte con il massiccio roccioso, al quale con un lavoro di scalpello venne conferita la forma di una prua di nave, rivestita di mosaico di vetro, di cui si conservano alcuni frammenti. Uno di essi, a sfondo rosso e bordo bianco, reca l'iscrizione NAVIS ARGO PH. Si tratta di un'allusione al mito delle Planctai, le rocce a strapiombo che Ulisse deve evitare, sebbene ciò comporti il passaggio dello stretto tra Scilla e Cariddi. Le due lettere PH vengono interpretate come abbreviazione di Puppis Haemonia, definizione poetica della nave Argo da parte di Ovidio (Ars amatoria, 1, 6). Non solo la nave Argo, ma tutta l'iconologia di S. trova espressione nei poemi di Ovidio, a cominciare dalle due imprese rappresentate a sinistra e a destra dell'ingresso alla grotta, e cioè, rispettivamente, Ulisse che recupera la salma di Achille (il cui modello è il celebre gruppo cosiddetto di Pasquino, che rappresenta Menelao con il cadavere di Patroclo), e il ratto del Palladio, copia di un altro famoso gruppo ellenistico. Ovidio (Metamorfosi, 13, 280-85 e 336-49) afferma chiaramente che la vittoria su Troia fu concessa a Ulisse proprio per queste due imprese. Le Metamorfosi (14, 188-213) forniscono anche la più dettagliata descrizione del cannibalismo di Polifemo, e a Scilla e Cariddi si fa riferimento non meno di tre volte (13, 730-34; 14, 60-67 e 70 ss.); inoltre vi troviamo la celebrazione di Ganimede (10, 155-61). Il ratto di Ganimede, secondo Virgilio (Eneide, 1, 28), era la prima ragione della guerra di Troia, che avrebbe comportato la fuga di Enea e la fondazione di Roma. Il gruppo di Ganimede rapito dall'aquila di Giove era collocato su un basamento cubico, tagliato nella roccia in cima alla grotta. Un solco obliquo, praticato sulla grotta, permetteva a Tiberio che giaceva sul triclinio in cornu sinistro di vedere dal basso il gruppo di Ganimede stagliarsi contro il cielo. Da questo punto di vista si ha l'impressione che Ganimede venga a discendere proprio sul triclinio, come coppiere dell'imperatore, paragonato a Giove. È interessante a tal proposito ricordare che Tiberio, dopo il crollo di S., si recherà a Capri per abitare nella Villa Iovis, e che anche nel grande Cammeo di Francia egli viene rappresentato sotto le sembianze di Giove. A S. solo l'imperatore poteva vedere Ganimede quasi dirigersi verso di lui, mentre gli altri ospiti, che osservavano il gruppo contro la roccia sopra la grotta, ricevevano l'impressione opposta, cioè quella di una figura che si muoveva verso l'alto. L'iconologia di S. si spiega solo facendo riferimento alla personalità di Tiberio, che in Ulisse e in suo figlio Telegono, leggendario fondatore di Tusculum (da dove provenivano i Claudi), riconosceva i capostipiti della propria famiglia, mentre egli, per adozione, era anche discendente di Enea e Iulus. Nella stessa S. a quest'ultimo era dedicata un'erma, e anche Venere Genitrice vi era venerata con un grande rilievo.
La decorazione della grotta di S., sebbene in senso diverso, è come il Foro di Augusto in Roma un altro grandioso esempio del modo in cui si è formata l'ideologia imperiale giulio-claudia. La caduta di Troia a opera di Ulisse, il suo salvare le armi di Achille, il suo privare Troia della protezione divina e l'aver provocato la fuga di Enea e la fondazione di Roma, tutto era avvenuto per volontà degli dei: essi si erano serviti degli eroi Ulisse ed Enea, e di questi due Tiberio a S. si dichiara discendente. Era anche volontà degli dei, evidentemente, che Tiberio diventasse un princeps carismatico. Questo è il messaggio politico della decorazione della grotta di S., eseguita da un gruppo di tre scultori rodii di nome Atenodoro figlio di Agesandro, Agesandro figlio di Paionio, Polidoro figlio di Polidoro, resi a noi noti dall'iscrizione sulla nave del gruppo di Scilla: sono gli stessi scultori, che, secondo Plinio il Vecchio (36, 37), hanno eseguito la copia del gruppo di Laocoonte commissionato dai consiglieri dell'imperatore Tiberio. Vedi tav. f.t.
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