Specula principum carolingi e l’immagine di Costantino
«Procedit novus Constantinus ad lavacrum, deleturus leprae veteris morbum sordentesque maculas gestas antiquitus recenti latice deleturus»1. Con queste parole, scritte verso la fine del VI secolo, Gregorio di Tours introdusse nell’Occidente latino un epiteto ben noto nella rarda antichità – novus Constantinus – e destinato a divenire una delle denominazioni più frequenti, negli scritti politici medievali, per indicare i sovrani, specialmente nell’Oriente bizantino2. Non è del tutto chiaro cosa Gregorio intendesse, precisamente, per Novus Constatinus: da quanto afferma sull’imperatore nei primi capitoli dei suoi Libri Historiarum3, sembra che, per Gregorio, il fulcro della dimensione religiosa della conversione di Costantino stesse nel fatto che egli fu il primo imperatore a aderire pienamente al cristianesimo. Né nelle opere di Gregorio, né in altri documenti contemporanei c’è alcunché che consenta di affermare che il titolo di novus Constantinus nella Gallia Merovingia rappresentasse un’ideologia politica più complessa di quella costantiniana nell’Oriente bizantino.
Duecento anni più tardi, nel maggio del 778, papa Adriano I paragonò il re franco Carlo Magno a Costantino, nominandolo novus christianissimus Dei Constantinus imperator4. In quest’epoca, all’epiteto novus Constantinus venne data una coloritura politica. Nella sua lettera, Adriano espresse chiaramente le sue aspettative relative al ruolo del re franco quale difensore di San Pietro e della Chiesa romana nonché al suo dovere di ubbidire al papa. Nel messaggio di papa Adriano non c’era nulla di nuovo5, al di là del tono schietto con cui venne redatto, che concorda particolarmente con la concezione espressa nel controverso documento – proveniente anch’esso dalla curia di papa Adriano – noto come Constitutum Constantini6. Ora, con questa lettera a Carlo Magno, Adriano sembrerebbe fare una sorta di punto della situazione ufficiale sui doveri del re franco7 e pertanto l’uso della metafora costantiniana è estremamente significativo.
Con tale premessa, per cui entrambi i pilastri della storia franca – Clodoveo e Carlo Magno – vengono nominati ‘nuovi Costantini’, ci si aspetterebbe che Costantino il Grande avesse avuto un ruolo privilegiato nel pensiero politico carolingio, soprattutto nei numerosi specula principum composti nel periodo di fine VIII-IX secolo8. Eppure, scavando tra le fonti della Francia carolingia emerge che il ruolo di Costantino nella creazione e nella diffusione dell’ideologia politica carolingia fu piuttosto trascurabile e insignificante. Le ragioni di ciò sono complesse. Costantino, infatti, fu in parte marginalizzato dagli scrittori cristiani per via del suo passato problematico e non ultimo per la sua compromissione con l’arianesimo9. Ma ancor più, in ogni caso, vi è che Costantino, nei diversi documenti provenienti dalla corte papale di Adriano I e dei suoi successori, rappresentava un’ideologia politica scomoda, non vista di buon occhio dai Carolingi.
Se si cerca di comprendere e riconsiderare il ruolo di Costantino (o la sua assenza) nel contesto politico della Francia carolingia, sono decisivi due fattori generali: l’ideologia politica che si afferma alla corte carolingia e la preoccupazione carolingia per l’ortodossia. Vediamo dunque, per sommi capi, i tratti principali del pensiero carolingio.
Quello dell’ideologia politica carolingia è un tema complesso, innanzitutto perché le idee politiche del periodo devono essere reperite in una molteplicità di fonti, tutte prive di una filosofia politica coerente e sistematica. Non rientra assolutamente tra gli scopi del presente contributo delineare le varie idee e i concetti dell’ideologia politica carolingia10, tuttavia almeno un aspetto del pensiero politico carolingio è significativo per questa discussione: la concezione teocratica del governo11.
I franchi ereditarono la tradizione di pensiero politico che era già dell’Impero romano; di conseguenza i governanti erano descritti con il lessico imperiale tradizionale e a essi ci si appellava con termini reverenziali, come si era soliti fare al cospetto degli imperatori12. Clodoveo, stando a Gregorio di Tours, era detto consul o Augustus13, e Remigio di Rheims lo chiamava regionum praesul, custus patriae e gentium triumphator14. Nel frattempo gli ideali romano-imperiali avevano gradatamente permeato ogni luogo comune relativo alle qualità del buon sovrano15, sicché iustitia, aequitas e pietas ricorrono negli scritti sulla sovranità dal VI secolo in poi come il tema in un’opera musicale16.
Ora, in epoca tardoromana e ancor più nei secoli VI e VII, Roma era cristiana17. Almeno a partire da Teodosio, l’Impero romano era percepito come un impero cristiano e il cristianesimo divenne parte integrante di ciò che si può chiamare Romanitas tardoantica18. Senza dubbio era questo lo status quo del regno merovingio, come attestano molti autori merovingi. Gregorio di Tours, nel suo Liber in gloria Martyrum, scrive ad esempio che i visigoti Romanos enim vocitant nostrae homines religionis19. Romanus per lui significava affiliazione religiosa e pertanto la contrapposizione tra ‘romano’ e ‘barbaro’ era analoga a quella tra ‘cattolico’ e ‘ariano’ o tra ‘cristiano’ e ‘pagano’20. Così, quando autori merovingi si riferirono a re franchi con un linguaggio romano-imperiale, di fatto definirono automaticamente il loro status – o meglio, la loro ideologia politica – in termini cristiani21.
Ecco che, attorno al VI secolo, le idee e le nozioni cristiane erano già parte attiva della cosiddetta percezione franca della sovranità e il miglior modo per esprimere la loro presenza è, come suggerito altrove, l’introduzione della nozione di ‘cristianizzazione’ usata a proposito della sovranità22. Il termine pietas, ad esempio, in principio indicava una delle caratteristiche romane del buon governante, ma il concetto fu gradualmente cristianizzato, venendo così a definire una pietà strutturale, cioè una qualità che un re in quanto tale non poteva non possedere23, perché in fondo era naturale ritenere che re e regine che, privatamente, aderivano alla fede cristiana avrebbero concepito il loro essere sovrani in questo modo.
Ciò detto, nel VII secolo l’ideologia politica occidentale subisce una svolta e i sovrani sono costretti a riconsiderare in modo nuovo le loro funzioni24. Ora si parla dei re sempre più in termini ‘ecclesiastici’ e le idee della sovranità e del governo, nella Gallia dei franchi, si tingono di temi cristiani25. Un’importante conseguenza di questo cambio d’accento fu il frequente ricorso a citazioni ed esempi biblici che denotano il volto cristiano del pensiero politico venuto a formarsi26. Non era a Bisanzio che gli autori franchi miravano per definire il loro sovrano esemplare, bensì alla Bibbia e, nello specifico, ai libri storici dell’Antico Testamento. Chiaramente vi era stato qualche precedente nel VI secolo, basti pensare agli scritti di Avito di Vienne27, Gregorio di Tours28, e Venanzio Fortunato29, ma nel VII secolo le metafore bibliche divennero comunque più numerose e il pensiero cristiano ancora più esplicito30. Di qui la saggezza nel giudizio, la difesa della Chiesa e il sostegno ai poveri divennero le caratteristiche principali dell’idea tardo-merovingia relativa ai compiti del re.
Tale tendenza di pensiero politico proseguì nel corso di tutta l’epoca carolingia. A quel tempo, i re biblici rappresentavano un modello generale di sovranità teocratica esercitata su un popolo scelto in grado di suscitare interesse e, già nel 775, Cathwulf usa per Carlo Magno i titoli di Davide e Salomone31. E benché quando Carlo, introducendo sé stesso nel prologo all’Admonitio generalis, non ricorra né alla figura di Davide né a quella di Salomone, lo fa però attraverso quella di Giosia32, in linea con l’attribuzione, operata da Teodulfo d’Orleans, a Giosia di un ruolo di rilievo tra le figure bibliche disponibili caricabili di una funzione esemplare33. Di qui il Giosia dell’Antico Testamento, il re che «fece ciò che è retto agli occhi del Signore, seguendo in tutto la via di suo padre Davide»34, viene ora impiegato come modello da imitare, principalmente sull’onda della rinascita religiosa e delle riforme morali da lui promosse35. In qualità di re prescelto – di rex Dei gratia – Carlo Magno si pone, come fine ultimo della sua legislazione, la riforma della Chiesa e della vita morale del popolo franco e, di conseguenza, correctio ed emendatio divengono fondamentali per l’ideologia politica sviluppatasi alla sua corte. Ecco perché i franchi vengono chiamati «Nuovo Israele»36 e, nelle fonti dell’epoca carolingia a nostra disposizione, abbondano i riferimenti a questa linea interpretativa37.
Correctio ed emendatio sono anche centrali per la preoccupazione di Carlo Magno che fossero preservate autorità, ortodossia e correttezza in genere. Ciò emerge per esempio nella sua legislazione dove, tra le altre cose, egli dispone di preparare e diffondere in tutto il suo regno «corretti libri cattolici», o ancora nei vari tentativi di elaborare e promuovere un testo standard corretto e autorevole della Bibbia latina, della Regola di san Benedetto o dell’allora recente omiliario di Paolo Diacono38. In aggiunta si possono menzionare anche i Libri Carolini di Teodulfo di Orléans, scritti per polemizzare con le decisioni del ‘settimo concilio ecumenico’ (Nicea 78739), e la produzione del cosiddetto Codex carolinus, che include la corrispondenza con Roma di Carlo Magno e dei suoi predecessori40. Questa preoccupazione favorì inevitabilmente atti di riforma, un fattore di particolare importanza per raggiungere quel risultato culturale e religioso che gli studiosi hanno denominato ‘Rinascimento caolingio’41.
Da un lato la cura per la correctio e, dall’altro, la preoccupazione per l’autorità diedero avvio a ciò che si è definito «retorica della riforma», un’espressione che pone in evidenza, tra le altre cose, le qualità riformatrici dei re franchi, sottolineando di conseguenza la correttezza, l’uniformità e la sottomissione a Roma42. Tale «retorica della riforma» affiora in moltissime fonti, tutte di matrice di corte. Per esempio, in una lettera spedita ai vescovi franchi poco prima del concilio di Francoforte (794), è detto che riunitici in un unico consesso di carità, per comando e sotto la presidenza del nostro signore – il piissimo e gloriosissimo re Carlo –, per rinnovare la condizione della santa Chiesa di Dio con decisione di pacifica unanimità e per predicare la verità della fede ortodossa in cui risiedono l’inizio e la fine della nostra salvezza grazie all’opera della divina grazia43.
Analogamente, per fare un altro esempio, nelle loro lettere indirizzate ai re Offa di Mercia ed Eardwulf di Northumbria, Carlomagno e Alcuino presentano il re come corrector del suo regno e dei suoi sudditi44. In questo modo, verbi come corrigere, emendare, renovare, reformare e rispettivi sinonimi divengono rapidamente strumenti per raggiungere l’unità45; unità che garantisce pax, caritas e concordia all’impero di Carlo Magno46. Questa tendenza retorica compare già nell’Admonitio generalis, in cui Carlo Magno dispone «che tra vescovi abati conti giudici e ovunque tra tutte le figure più o meno importanti vi siano pace concordia e unanimità con il popolo cristiano, poiché a Dio non piace nulla se non v’è pace, neanche il dono della santa offerta all’altare»47. La «retorica della riforma» carolingia viene forgiata all’interno di un contesto ideologico-politico e a opera di una percezione della sovranità maturati nella Francia di tardo VIII-primo IX secolo: conseguentemente vi si ricorre in ogni descrizione di sovrano, delle sue funzioni e delle riforme da lui promulgate48.
Ora, la figura di Costantino, va detto, non rientra nel contesto politico appena delineato, né rappresenta alcuno degli elementi ideologici che i re carolingi e i loro consiglieri si sono sforzati di diffondere. Certo, Costantino fu essenzialmente il primo imperatore romano ad abbracciare il cristianesimo, la sua conversione comportò generosi benefici alla Chiesa e fu l’imperatore che convocava le Chiese in concilio rapportandosi ai vescovi con piena riverenza. Tuttavia Costantino è celebre anche per la sua compromissione con l’arianesimo; fu un sovrano spietato che non esitò ad assassinare moglie e figlio; un re che, con il suo stile di vita stravagante e la sua politica edilizia, condusse l’economia romana al tracollo; ma soprattutto alla figura di Costantino si appellano i propagandisti papali per diffondere un’ideologia politica di indipendenza e di supremazia che i Carolingi non intendevano adottare. Protezione e devozione alla Chiesa, senza dubbio, erano una consuetudine e una mansione del sovrano anche per i re Merovingi49, ma nella lettere papali che giunse da Roma, come pure nel Constitutum Constantini, ridondava un messaggio aggiuntivo: l’insistenza sull’autorità e la responsabilità dell’imperatore conferite da Dio, volta a rendere il senso di una certa superiorità papale nonché a creare aspettative relative all’obbedienza del sovrano nei confronti di Roma. Ciò creò probabilmente disagio politico tra i franchi, sebbene non risulti indifferente al giovane re. È probabilmente questo il motivo per cui Costantino fu liquidato dagli autori e dagli ideologi carolingi. Non solo tra i re biblici dell’Antico Testamento, ma anche tra gli imperatori tardoantichi della Roma cristiana si trovano moltissimi, migliori e meno controversi esempi di buoni governanti che possono essere elevati ad esempio50.
Dalle fonti sulla Francia carolingia relative alla politica e all’ideologia di quel contesto, pare degno di nota quanto poco spazio venga riservato a Costantino come modello. Sono infatti alcuni sovrani biblici ad accaparrarsi la maggior parte degli exempla citati da autori carolingi. Accanto a Davide e Salomone – i due re biblici più celebri – si trovano vari altri sovrani, come Giosia, Ezechia, Saul e Melchisedech, a mettere in luce vari aspetti dell’ideologia carolingia51. Solo dopo di loro si annoverano alcuni imperatori cristiani – Teodosio, Onorio e Arcadio, Valentiniano, e anche Gioviano – che comunque hanno un peso molto maggiore di Costantino il Grande52. Il nome di Costantino, certo, di tanto in tanto compare, ma senza mai ricoprire un ruolo centrale e si trova per lo più nel corso di mere presentazioni di imperatori53.
Tale tendenza a marginalizzare Costantino si riflette chiaramente negli specula principum carolingi, nei quali gli exempla biblici sovrabbondano54 mentre quelli imperiali sono relegati a un piano secondario. Basti considerare i quattro principali specula principum composti durante il periodo carolingio, cioè quello della Via regia di Smaragdo di Saint-Mihiel (scritto molto probabilmente per Luigi il Pio all’inizio del IX secolo)55, il De institutione regia di Giona d’Orléans (scritto per Pipino di Aquitania nel’831)56, il De rectoribus Christianis di Sedulio Scoto (composto per Carlo il Calvo negli anni Sessanta del IX secolo57) e infine il De regis persona et regio ministerio di Incmaro di Reims (scritto per Carlo il Calvo nell’87358). Due di questi trattati fanno riferimento, di passaggio, a Costantino, gli altri invece lo ignorano del tutto.
Nella sua Via regia, Smaragdo di Saint-Mihiel menziona Davide e Salomone, Ezechia e Giosia, ma non Costantino59, che è analogamente ignorato dal De regis persona et regio ministerio di Incmaro di Reims, per il quale tuttavia l’imperatore e il suo ruolo nella fioritura del cristianesimo e dell’ideologia cristiana non sono materia ignota60. Giona d’Orléans, di contro, riporta le parole di Costantino – presenti dalla traduzione rufiniana dell’Historia ecclesiastica di Eusebio – sull’incapacità dell’autorità secolare di giudicare membri del clero e lascia che sia un conciso riferimento a Costantino a introdurre tale citazione: «Come ricordo, anzi come esempio per loro, sia riportato ciò che nella storia ecclesiastica l’imperatore Costantino disse ai vescovi»61. Pare che Giona fosse interessato ai problemi dell’autorità regale e della giurisdizione secolare in relazione al clero, più che a preservare e sviluppare la memoria costantiniana. Ciò diventa ancora più evidente verso la fine del trattato di Giona, dove viene riprodotto un lungo brano del De civitate Dei di Agostino sulle qualità di un sovrano che gli conferiscono l’epiteto di felix imperator62. Il capitolo successivo del De civitate Dei spiega il motivo per cui Costantino merita l’epiteto di felix imperator63, ma Giona sceglie di non riportarlo né alludere a esso in qualunque modo.
Diversamente dai tre specula di cui si è appena parlato, il De rectoribus christianis di Sedulio Scoto nomina Costantino varie volte, tuttavia la sua immagine è sempre posta in ombra dalle imprese di altri imperatori cristiani o di re biblici. Ad esempio, subito dopo aver presentato Costantino come modello di buon imperatore che adempì al suo compito di convocare sinodi64, Sedulio spiega che Valentiniano, Gioviano e i due Teodosi fecero molto di più65. Dopo aver affermato che «Di qui alcune storie narrano che l’imperatore Costantino, usando come vessillo la croce di Cristo, sconfisse tutti quanti i suoi nemici»66, passa immediatamente a commentare: «Analogamente anche Teodosio Augusto annientò certi tiranni e i loro eserciti più con la preghiera che combattendo»67. E quando viene sottolineata la clementia costantiniana, l’imperatore compare in ogni caso all’interno di un lungo elenco di sovrani resi insigni dalla loro clementia:
Fu questa a rendere celeberrimo Cesare Augusto, questa beatificò in modo sublime gli Antonini, Costantino il grande, i Teodosii e i restanti imperatori – e ometto gli altri per essere breve. Fu proprio essa medesima, tra le altre insegne di virtù, a consacrare Carlo Magno come sacratissimo Augusto innanzi agli altri principi del mondo. Questa adornò il piissimo Ludovico imperatore, che cosa posso mai menzionare di più?68
Costantino dunque compare, ma non vi è nulla di rilevante che lo riguardi.
Se confrontata con la riverenza nei confronti di Costantino, che è caratteristica dell’ideologia politica e della storiografia bizantine, l’indifferenza con cui fu considerato dagli autori carolingi è abissale e significativa. Non furono né l’ignoranza né la mancanza di consapevolezza a portare i Carolingi a prendere le distanze da Costantino. Forse hanno contribuito la sua passata compromissione con l’arianesimo e la sua reputazione di immorale, ma difficilmente queste sono state le sole cause e, del resto, Costantino non fu meno assetato di sangue o più immorale del re Davide, e di per certo non fu lui il primo imperatore a compromettere il decoro imperiale. Ci devono essere state ben altre ragioni per escludere Costantino dal contesto politico maturato nella Francia carolingia e, probabilmente, tali motivi vanno ricercati nell’ideologia politica ricostruibile dai documenti elaborati dalla corte papale, presumibilmente durante l’epoca di papa Adriano I e dei suoi successori. I re carolingi e i loro consiglieri erano riluttanti a aderire a tale ideologia politica della supremazia e dell’egemonia papali su Roma, l’Italia e l’intero Occidente. Ne pagò il prezzo Costantino, scelto dagli ideologi politici e dai propagandisti papali per incarnare la struttura di questa ideologia.
1 Greg. Tur., Libri historiarum X, II 31 (Gregorii turonensis opera, I, Libri historiarum X, ed. B. Krusch, W. Levison, [MGH.SRM, 1,1], Hannoverae 19512, p. 77). La bibliografia su quest’episodio è sconfinata e non è possibile elencarla dettagliatamente in questa sede. Per alcuni riferimenti-chiave si vedano: I.N. Wood, The Merovingian Kingdoms, 450-751, London-New York 1994, pp. 40-50; D. Shanzer, Dating the Baptism of Clovis: The Bishop of Vienne vs the Bishop of Tours, in Early Medieval Europe, 7 (1998), pp. 29-57.
2 Sulla tradizione occidentale consistente nel denominare i sovrani come Novi Constantini, si vedano: E. Ewig, Das Bild Constantins des Großen in den ersten Jahrhunderten des abendländischen Mittelalters, in Historisches Jahrbuch, 75 (1956), pp. 1-46; H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos in der Karolingerzeit, Bonn 1968, in partic. pp. 436-446. Cfr. anche S. Castellanos, Creating New Constantines at the End of the Sixth Century, in Historical Research, 85 (2012), pp. 556-575. Sull’Oriente bizantino, si vedano i vari articoli raccolti in New Constantines: The Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th centuries, Papers from the Twenty-Sixth Spring Symposium of Byzantine Studies (St Andrews March 1992), ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994.
3 Cfr. Greg. Tur., Libri Historiarum X, I 36 (pp. 26-27).
4 Codex Carolinus, n. 60 (Epistolae merowingici et karolini aevi, I, ed. W. Gundlach, E. Dümmler, (MGH.Ep, 3), Berolini 1892, pp. 586-587, in partic. 587). Su questa lettera, si veda Th.F.X. Noble, The Republic of St Peter: The Birth of the Papal State, 680-825, Philadelphia 1984, pp. 147-148. Sul Codex Carolinus, si veda A.Th. Hack, Codex Carolinus: Päpstliche Epistolographie im 8. Jahrhundert, 2 voll., Stuttgart 2006. Su Adriano I e il suo papato, cfr. F. Hartmann, Hadrian I. (772-795): Frühmittelalterliches Adelspapsttum und die Lösung Roms vom byzantinischen Kaiser, Stuttgart 2006.
5 Cfr. Codex Carolinus, nn. 44, 45 e 53 (pp. 558-563 e 575). Cfr. anche E. Ewig, Zum christlichen Königsgedanken im Frühmittelalter, in Id., Spätantikes und Fränkisches Gallien. Gesamelte Schriften (1952-1973), Sigmaringen 1976, I, pp. 3-71; J.M. Wallace-Hadrill, The Frankish Church, Oxford 1983, pp. 94-110.
6 Das constitutum Constantini (konstantinische Schenkung), hrsg. von H. Fuhrmann, (MGH.F, 10), Hannover 1968. La bibliografia sul Constitutum Constantini è sconfinata. Per un’agile discussione, che indica in modo chiaro e particolarmente convincente la Roma di papa Adriano I come suo luogo di produzione, cfr. C.J. Goodson, J.L. Nelson, Review article: The Roman Contexts of the ‘Donation of Constantine’, in Early Medieval Europe, 18 (2010), pp. 446-467. Cfr. anche F. Hartmann, Hadrian I, cit., pp. 182-193, cui si rimanda per bibliografia ulteriore.
7 Cfr. R. McKitterick, Charlemagne: The Formation of a European Identity, Cambridge 2008, pp. 295-296.
8 Sugli specula principum carolingi, si vedano: L.K. Born, The specula principis of the Carolingian Renaissance, in Revue belge de philologie et d’histoire, 12 (1933), pp. 583-613; H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., passim; A. Dubreucq, La littérature des specula: délimitation du genre, contenu, destinataires et reception, in Guerriers et moines: conversion et sainteté aristocratiques dans l’Occident médiéval (IXe-XIIe siècle), éd. par M. Lauwers, Antibes 2002, pp. 17-39; M. Rouche, Miroirs des princes ou miroir du clergé?, in Committenti e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale, Spoleto 1992, I, pp. 341-367; R. Stone, Kings Are Different: Carolingian Mirrors of Princes and Lay Morality, in Le Prince au miroir de la littérature politique de l’Antiquité aux Lumières, éd. par F. Lachaud, L. Scordia, Rouen 2007, pp. 69-86; Id., Morality and Masculinity in the Carolingian Empire, Cambridge 2012, pp. 36-46.
9 I carolingi erano perfettamente consapevoli del noto passato di Costantino. Si veda, per esempio, Frechulfus Lexoviensis, Historiarum Libri XII, ed. Michael I. Allen, (CChr.CM, 169A), Turnhout 2002, II 3,15-II 4,4, (pp. 594-622).
10 Sull’ideologia politica carolingia, si deve partire da H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit. Cfr. anche Id., Zum politischen Konzept karolingischer Synoden und zur karolingischen Brudergemeinschaft, in Historisches Jahrbuch, 99 (1979), pp. 55-132; J.L. Nelson, Kingship and Empire in the Carolingian World, in Carolingian Culture: Emulation and Innovation, ed. by R. McKitterick, Cambridge 1994, pp. 52-87; Id., Kingship and Royal Government, in The New Cambridge Medieval History, II, c. 700-c. 900, ed. by R. McKitterick, Cambridge 1995, pp. 383-430; K.F. Morrison, The Two Kingdoms: Ecclesiology in Carolingian Political Thought, Princeton 1964; W. Ullmann, The Carolingian Renaissance and the Idea of Kingship, London 1969.
11 La conferma più tangibile dell’impiego di questo concetto è l’inserimento della formula rex Dei gratia nella titolazione regale ufficiale; cfr. H. Wolfram, Intitulatio, I, Lateinische Königs- und Fürstentitel bis zum Ende des 8. Jahrhunderts, Wien-Graz 1967, p. 213.
12 Ad esempio si vedano: P.J. Geary, Before France and Germany: The Creation and Transformation of the Merovingian World, New York-Oxford 1988, pp. 55-62 e 88-95; E. James, The Franks, Oxford 1988, pp. 162-164; I.N. Wood, The Merovingian Kingdoms, cit., pp. 66-70.
13 Greg. Tur., Libri Historiarum X, II 38 (in Gregorii turonensis opera, cit., pp. 88-89). Cfr. anche M. McCormick, Clovis at Tours, Byzantine Public Ritual and the Origins of Medieval Ruler Symbolism, in Das Reich und die Barbaren, hrsg. von E.K. Chrysos, A. Schwarcz, Wien 1989, pp. 155-180; Y. Hen, Clovis, Gregory of Tours, and Pro-Merovingian Propaganda, in Revue belge de philologie et d’histoire, 71 (1993), pp. 271-276; R. Mathisen, Clovis, Anastase et Grégoire de Tours: consul, patrice et roi, in Clovis, histoire et mémoire, éd. par M. Rouche, Paris 1997, I, pp. 395-407; O. Guillot, Clovis “August”, vecteur des conceptions romano-chrétiennes, in Clovis, histoire et mémoire, cit., pp. 705-737.
14 Epistulae Austrasicae, n. 3 (in Epistolae karolini aevi, I, ed. W. Gundlach, [MGH.Ep, 3], Berolini 1892, pp. 113-114). Cfr. anche R. Collins, Theodebert I, Rex Magnus Francorum, in Ideal and Reality in Frankish and Anglo-Saxon Society, ed. by P. Wormald, D.A. Bullough, R. Collins, Oxford 1983, pp. 7-33.
15 Ad esempio, cfr. Greg. Tur., Libri historiarum X, III 25 (in Gregorii turonensis opera, cit., p. 123); Epistulae Austrasicae, nn. 2 e 10 (pp. 113 e 124-126 rispettivamente); Marculf, Formularum libri duo, ed. A. Uddholm, Uppsala 1962, I 5, 6, 8, 14, 23, 25, 33, 34, 36, (pp. 44-49, 54-55, 72-75, 96-97, 102-103, 125-131, e 138-141 rispettivamente).
16 E. Ewig, Zum christlichen Königsgedanken, cit.; H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 45-79; J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic Kingship in England and on the Continent, Oxford-New York 1970, pp. 47-71.
17 Cfr. R. MacMullen, Christianizing the Roman Empire, A.D. 100-400, New Haven-London 1984, pp. 102-119; R.A. Markus, The End of Ancient Christianity, Cambridge 1990; P. Brown, The Rise of Western Christendom: Triumph and Diversity, A.D. 200-1000, Oxford 20032.
18 Cfr. Y. Hen, Before Mohammed and Charlemagne: New Studies on the Transformation of the Roman World, in Scripta Classica Israelica, 19 (2000), pp. 235-249, in partic. 245-247; Id., Roman Barbarians: The Royal Court and Culture in the Early Medieval West, Basingstoke-New York 2007, pp. 1-26; I.N. Wood, Conclusion: Strategies of Distinction, in The Transformation of the Roman World, II, Strategies of Distinction. The Construction of Ethnic Communities, 300-800, ed. by W. Pohl, H. Reimitz, Leiden-Boston-Köln 1998, pp. 297-303.
19 Greg. Tur., glor. mart. 24 (in Gregorii turonensis opera, II, Miracula et opera minora, ed. B. Krusch, (MGH.SRM, 1,2), Hannoverae 1885, p. 52).
20 Per una discussione più completa cfr. Y. Hen, Before Mohammed and Charlemagne, cit., pp. 245-247.
21 Ad esempio si vedano: Epistulae Austrasicae, n. 3, (p. 113); Greg. Tur., Libri historiarum X, III 25 (p. 123). Cfr. anche W.M. Daley, Clovis, how Barbaric, how Pagan?, in Speculum, 69 (1994), pp. 619-664; R. Collins, Theodebert I, Rex magnus Francorum, cit.; I.N. Wood, The Merovingian Kingdoms, cit., pp. 66-67; M. Heinzelmann, Gregory of Tours: History and Society in the Sixth Century, Cambridge 2001, pp. 135-136.
22 Sulla cristianizzazione della sovranità nell’Occidente altomedievale, cfr. Y. Hen, The Royal Patronage of Liturgy in Frankish Gaul to the Death of Charles the Bald (877), London 2001; Id., The Christianisation of Kingship, in Der Dynastiewechsel von 751: Vorgeschichte, Legitimationsstrategien und Errinerung, hrsg. von J. Jarnut, M. Becher, Münster 2004, pp. 163-177. Per un’utile prospettiva tardoantica sulla cristianizzazione della sovranità, cfr. Av. Cameron, Christianity and the Rhetoric of Empire. The Development of Christian Discourse, Berkeley-Los Angeles-London 1991; G. Fowden, Empire to Commonwealth. Consequences of Monotheism in Late Antiquity, Princeton 1993.
23 E. Ewig, Zum christlichen Königsgedanken, cit., pp. 17-18; H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 49-54; J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic Kingship, cit., pp. 48-49.
24 J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic Kingship, cit., p. 47.
25 E. Ewig, Zum christlichen Königsgedanken, cit., pp. 7-73; H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 49-55; J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic Kingship, cit., pp. 47-53.
26 Cfr. Y. Hen, The Uses of the Bible and the Perception of Kingship in Merovingian Gaul, in Early Medieval Europe, 7 (1998), pp. 277-290; Id., The Christianisation of Kingship, cit.
27 Avito di Vienne, Homilia VII – sermo de die I rogationisbus (in Alcimi Ecdicii Aviti viennensis episcopi opera quae supersunt, ed. R. Peiper, [MGH.AA, VI 2], Berolini 1883), p. 117.
28 Sull’uso fatto da Gregorio di Tour della Bibbia, cfr. M. Heinzelmann, Gregory of Tours, cit., pp. 36-93. Cfr. anche Y. Hen, The uses of the Bible, cit., pp. 277-278.
29 Ven. Fort., carm. VI 2,78-81 e IX 2,23 (Venance Fortunat, Poèmes, éd. par M. Reydellet, 3 voll., Paris 1994-2004, rispettivamente II, p. 56 e III, p. 16).
30 J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic Kingship, cit., pp. 47-53; Y. Hen, The Uses of the Bible, cit., p. 284.
31 Cathwulf, Epistola (in Epistolae karolini aevi, II, ed. E. Dümmler, (MGH.Ep, 4), Berolini 1895, pp. 503-505). Sulla lettera di Cathwulf, cfr. H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 75-79; M. Garrison, Letters to a King and Biblical Exempla: The Example of Cathuulf and Clemens Peregrinus, in Early Medieval Europe, 7 (1998), pp. 305-328. Cfr. anche J. Storey, Cathwulf, Kingship, and the Royal Abbey of Saint-Denis, in Speculum, 74 (1999), pp. 1-21.
32 Admonitio generalis (789), praefatio, (in Capitularia regum francorum, (MGH.L, 2, Capitularia regum francorum, 1), ed. A. Boretius, Hannoverae 1883, n. 22, pp. 53-54: «Sed et aliqua capitula ex canonicis institutionibus, quae magis nobis necessaria videbantur, subiunximus. Ne aliquis, quaeso, huius pietatis ammonitionem esse praesumtiosam iudicet, qua nos errata corrigere, superflua abscidere, recta cohartare studemus, sed magis benivolo caritatis animo suscipiat. Nam legimus in regnorum libris, quomodo sanctus Iosias regnum sibi a Deo datum circumeundo, corrigendo, ammonendo ad cultum veri Dei studuit revocare: non ut me eius sanctitate aequiparabilem faciam, sed quod nobis sunt ubique sanctorum semper exempla sequenda, et, quoscumque poterimus, ad studium bonae vitae in laudem et in gloriam domini nostri Iesu Christi congregare necesse est».
33 Theodulf., carm. 28 (Contra iudices), ll. 77-80, (in Poetae latini aevi carolini, ed. E. Dümmler, (MGH.PL, 1), Berolini 1881, p. 495: «Haec tibi, Iosias, fuit observantia, princeps, / Haecque celebre tulit nomen ad alta tuum, / Impia qui sceleris demis monumenta vetusti, / Et patrias leges qua potes usque novas»). Per una discussione cfr. L. Nees, A Tainted Mantle. Hercules and the Classical Tradition at the Carolingian Court, Philadelphia 1991, pp. 21-143.
34 2 Re 22,2. La Vulgata legge: «fecitque quod placitum erat coram Domino et ambulavit per omnes vias David patris sui».
35 Cfr. 2 Re 22-23; 2 Cr 34-35. Cfr. anche R. McKitterick, The Frankish Church and the Carolingian Reforms, 789-895, London 1977, pp. 2-3.
36 Sui franchi come ‘Nuovo Israele’, cfr. E. Ewig, Zum christlichen Königsgedanken, cit., pp. 39-45; M. Garrison, The Franks as the New Israel? Education for an Identity from Pippin to Charlemagne, in The Uses of the Past in the Early Middle Ages, ed. Y. Hen, M. Innes, Cambridge 2000, pp. 114-161.
37 Per alcuni esempi, ci si riferisca a: H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 419-436; N. Staubach, ‘Cultus divinus’ und karolingische Reform, in Frühmittelalterliche Studien, 18 (1984), pp. 546-581, in partic. 546-557; Th.F.X. Noble, Tradition and Learning in Search of Ideology: The Libri Carolini, in The Gentle Voices of Teachers: Aspects of Learning in the Carolingian Age, ed. by R.E. Sullivan, Columbus (OH) 1995, pp. 227-260, in partic. 239-240.
38 Cfr. Y. Hen, The Royal Patronage of Liturgy, cit., pp. 72-74.
39 Sui Libri Carolini, cfr. Opus Caroli regis contra synodum (Libri Carolini), hrsg. von A. Freeman, (MGH.Conc, 2, supplementum 1), Hannover 1998, pp. 1-67; Th.F.X. Noble, Images, Iconoclasm, and the Carolingians, Philadelphia 2009, in partic. 156-206, cui si rimanda per ulteriore letteratura critica.
40 Sul Codex Carolinus, cfr. A.Th. Hack, Codex Carolinus, cit.
41 R. McKitterick, Royal Patronage of Culture in the Frankish Kingdoms under the Carolingians: Motives and Consequences, in Committenti e produzione artistico-letteraria, cit., pp. 93-129, in partic. 117.
42 Cfr. Y. Hen, The Royal Patronage of Liturgy, cit.; Id., The Romanisation of the Frankish Liturgy: Ideal, Reality and the Rhetoric of Reform, in Rome across Time and Space: Cultural Transmission and the Exchange of Ideas, c. 500-1400, ed. by C. Bolgia, R. McKitterick, J. Osborne, Cambridge 2011, pp. 111-123.
43 Epistola episcoporum Franciae in Concilia, II, Concilia aevi karolini I. Pars II., ed. A. Werminghoff, (MGH.L, 3, Concilia, 2,1), Hannoverae 1906, n. 19 (E), p. 143: «Congregatis nobis in unum caritatis conventum, praecipiente et praesidente piissimo et gloriosissimo domno nostro Carolo rege, ad renovandum cum consilio pacificae unanimitatis sanctae Dei ecclesiae statum et ad praedicandam orthodoxae fidaei veritatem in qua divina operante gratia salutis nostrae initium extat et finis». Sulla possibilità che l’autore sia Alcuino, cfr. L. Wallach, Alcuin and Charlemagne: Studies in Carolingian History and Literature, Ithaca (NY) 19682, pp. 158-165. Sul concilio di Francoforte, cfr. W. Hartmann, Die Synoden der Karolingerzeit im Frankreich und in Italien, Paderborn 1989, pp. 105-115.
44 Alcuin., epist. 100-101 e 108 (in Epistolae karolini aevi, ed. E. Dümmler, (MGH.Ep, 4), Berolini, 1895, pp. 145-148 e 155 rispettivamente).
45 Cfr. P.E. Schramm, Kaiser, Könige und Päpste: Gesammelte Aufsätze zur Geschichte des Mittelalters, I, Von der Spätantike bis zum Tode Karls des Grossen (814), Stuttgart 1968, p. 330; J.M. Wallace-Hadrill, Early Germanic, cit., pp. 103-105.
46 Queste idee emergono ripetutamente in un’ampia gamma di fonti del periodo carolingio. Cfr. ad esempio, Alcuin., epist. 41, 121, 129, 136, 219, 257 (Epistolae karolini aevi, cit., rispettivamente pp. 84, 176, 192, 209, 363, 415); Alcuin., rhet. et virt. (The Rhetoric of Alcuin & Charlemagne (Disputatio de Rhetorica et de Virtutibus sapientissimi Regis Karli et Albani Magistri), ed. W.S. Howell, Princeton-London 1941); Theodulf., carm. 28-29 (Poetae latini aevi carolini, pp. 493-520). Per riferimenti ulteriori, cfr. H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, passim.
47 Admonitio generalis [789], 62 (in Capitularia regum francorum, cit., p. 58): «Ut pax sit et concordia et unanimitas cum omni populo christiano inter episcopos, abbates, comites, iudices et omnes ubique seu maiores seu minores personas, quia nihil Deo sine pace placet nec munus sanctae oblationis ad altare».
48 Cfr. N. Staubach, ‘Cultus divinus’ und karolingische Reform, cit., in partic. pp. 563-573.
49 Cfr. Y. Hen, The Royal Patrinage of Liturgy, cit., pp. 21-41.
50 Cfr. J.L. Nelson, Translating Images of Authority: The Christian Roman Emperors in the Carolingian World, in Id., The Frankish World, 750-900, London-Rio Grande 1996, pp. 89-98.
51 Si vedano ad esempio: H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., passim; M. Garrison, Letters to a King and Biblical Exempla, cit.
52 Si veda ad esempio H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., passim.
53 Si veda ad esempio Odilberti ad Karolum M. responsum, in Capitularia regum francorum, cit., pp. 247-248: «Qui vos sollicitudinem habentes orthodoxe fidei, magis prae ceteris omnibus qui ante vos christiani imperatores in universo mundo fuerunt devotione quique divino zelo commoti, id est Constantinus, Theodosius maior, Martianus et Iustinianus. Hi omnes, ut christianum populum ab omni erroris macula liberarent, divinitus inspirati quae Domini sacerdotes diffiniebant, illa tamen principalis auctoritas confirmabat. Quorum vos meritis et scientia praecellentes, David sanctum imitantes qui se pro populi salute in typo nostri exhibuit redemptoris».
54 Cfr. R. Meens, Politics, Mirrors of Princes and the Bible: Sins, Kings and the Well-being of the Realm, in Early Medieval Europe, 7 (1998), pp. 345-357.
55 Cfr. PL 102, cc. 933-971. Su questo testo, si vedano: H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 132-189; J. Scharf, Studien zu Smaragdus und Jonas, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 17 (1961), pp. 333-384; O. Eberhardt, Via regia: Der Fürstenspiegel Smaragds von St. Mihiel und seine literarische Gattung, Munich 1977.
56 Cfr. Jonas d’Orléans, Le métiers de roi (De institutione regia), ed. by A. Dubreucq, Paris 1995. Su questo testo si vedano: l’introduzione di A. Dubreucq (pp. 1-138) e H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 198-245.
57 Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis (On Christian Rulers), ed. by R.W. Dyson, Woodbridge 2010. Su questo testo si vedano l’introduzione di Dyson (pp. 15-42); H.H. Anton, Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 261-281; N. Staubach, Rex christianus. Hofkultur und Herrschaftspropaganda im Reich Karls des Kahlen, II, Die Grundlegung der “religion royale”, Köln 1992-1993, pp. 105-197.
58 Cfr. PL 125, cc. 833-856; ristampato in Fürstenspiegel des frühen und hohen Mittelalters, hrsg. von H.H. Anton, Darmstadt 2006, pp. 150-192. Su questo testo si vedano: Id., Fürstenspiegel und Herrscherethos, cit., pp. 281-355; J. Devisse, Hincmar, Archevêque de Reims, 845-882, Genève 1975-1976, II, pp. 710-717.
59 Si veda ad esempio: Smar., via reg. 3, c. 940C-D (Salomone ed Ezechia); 4, c. 943C (Salomone); 18, cc. 957D-956A (Davide).
60 Si veda ad esempio Hincm. Rem., ord. palat., 4 (in Hincmarus, De ordine palatii, ed. Th. Gross, R. Schieffer, (MGH.F, 3), Hannoverae 1980, p. 56).
61 Ionas Aurel., inst. reg. 2 (Jonas d’Orléans, Le métiers de roi, cit., pp. 180-182): «Illud quoque ad memoriam, immo ad exemplum eis reducendum est, quod in ecclesiastica historia Constantinus imperator episcopis ait».
62 Ionas Aurel., inst. reg. 17 (Jonas d’Orléans, Le métiers de roi, cit., pp. 282-284). Giona qui cita Aug., civ. V 24 (cfr. Augustinus, De civitate Dei, ed. B. Dombart, A. Kalb, 2 voll., Lipsiae 1928-1929, pp. 237-238).
63 Aug., civ. V 25 (cfr. Augustinus, De civitate Dei, cit., pp. 237-238).
64 Sed., rect. (cfr. Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis, cit., pp. 112-114).
65 Sed., rect. (cfr. Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis, cit., pp. 114-116).
66 Sed., rect. (cfr. Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis, cit., p. 146): «Unde historiae tradunt quod Constantinus imperator cruce Christi pro vexillo utens universos hostes suos superavit».
67 Sed., rect. (cfr. Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis, cit., p. 146): «Similiter et Theodosius Augustus magis orando quam bellando quosdam tyrannos eorumque exercitus prostravit».
68 Sedul., rect. Cfr. Sedulius Scotus, De rectoribus Christianis, cit., p. 104: «Haec, ut alios causa brevitatis omittam, Augustum Caesarem fecit celebrrimum, haec Antoninos, magnum quoque Constantinum, Theodosios caeterosque principes sublimiter beatificavit. Eademquoque magnum Carolum inter caetera virtutum insignia in sacratissimum prae caeteris terrarium principibus Augustum dedicavit. Haec Ludovicum piissimum adordinavit imperatorem; et quid plura referam?».