Vedi SPECCHIO dell'anno: 1966 - 1997
SPECCHIO (speculum)
Nelle più recenti culture litiche si può pensare all'impiego come s. di lastre levigate riflettenti, di cui si sono trovati esempî nell'rnghilterra meridionale. Non si può escludere per lo s. un originario carattere rituale o magico, sia per la sua connessione col sole, di cui riflette i raggi, sia perché in rapporto con l'adornamento del corpo, che ha sempre avuto carattere rituale presso i primitivi. Del resto un impiego rituale dello s. è documentato ancora in età storica presso i Cinesi. La stessa pressoché universale forma circolare, oltreché a motivi pratici, è da mettere in rapporto col disco solare.
Egitto, Vicino Oriente, Egeo. - Lo s. è accertato presso tutte o quasi le culture mediterranee ed europee a partire dall'Età del Bronzo. Presso gli Egizî si stabiliscono durante il Medio Regno forme rimaste pressoché invariate per tutta l'antichità: s. a semplice disco, con manico, con piede. Anche nell'Egitto l'originario valore rituale permaneva. Lo s. egiziano è in genere di rame o di bronzo, spesso dorato o argentato, oppure di metallo prezioso massiccio. La forma è leggermente ovoidale, il manico è talora riportato in legno o avorio intagliato, con o senza targhetta di passaggio. Gli S. a piede sono sorretti da un elemento architettonico o vegetale, più spesso da una figurina muliebre ignuda con le braccia alzate, disposizione che attenua il passaggio tra sostegno e disco. Lo s. era custodito entro astuccio apposito di legno intagliato e dipinto. Sembra che gli Egizi siano stati i primi a fare dello s. un prodotto artistico, limitando però la decorazione figurata al manico, o piede, e alla targhetta, nonché alle teche di custodia.
Presso le popolazioni dell'Oriente mediterraneo, lo s. rotondo con manico è verosimilmente dovuto ad influsso egiziano. Lo ritroviamo riprodotto in questa forma su un rilievo di Karkamiṣ.
Nella civiltà minoica e in quella micenea lo S. non sembra comune; oggetto prezioso, aveva forse ancora un valore sacrale. Il tipo di S. con manico, documentato nella civiltà minoica e micenea, è quasi certamente di derivazione egizia, ma, come in Oriente, il disco è perfettamente circolare. Il manico è riportato e di materia diversa. Un bell'esemplare, con manico e targhetta d'avorio intagliati, proviene da Micene. Verso la fine della cultura micenea si diffonde lo s. a semplice disco. Molti esemplari di questa specie provengono dalla necropoli peloponnesiaca di Prosymna.
Grecia. - Nella Grecia classica furono in uso tre forme di s. (κάτοπτρον): a disco semplice, con manico e con piede. Non esiste fra di esse una successione cronologica, per quanto il tipo a piede sembri alquanto più recente. Nell'inoltrato V sec. si introduce e si diffonde rapidamente lo s. a scatola rotonda. Negli s. a manico un anello permetteva di appendere l'oggetto alla parete. La decorazione, incisa, è limitata al manico e alla targhetta. Il manico può essere a figura di koùros o di kòre, oppure di donna ignuda (probabilmente Afrodite, da riconnettersi con tipi figurativi egizî od asiatici). Gli s. a piede hanno sostegni architettonici o, più spesso a figure (tipi già indicati); nei primi, il passaggio dal piede al disco è attenuato da palmette, volute, figure di sfingi, di Scilla; nei secondi, da figurine volanti poste ai lati di quella di sostegno. Lungo la circonferenza del disco, talora decorata da una cornicetta, sono spesse volte disposte piccole figure di volatili o di quadrupedi. Molto frequentemente alla sommità è un fiore di loto. La bronzistica arcaica ionica, peloponnesiaca e italiota ha creato bellissime figure di sostegno: in generale la mentalità plastica e figurativa dei Greci ha concentrato tutta la sua attenzione sul sostegno, che assume un valore a sé, senza estendere l'ornamentazione al disco per evitare elementi non strettamente funzionali. L'arte di stile severo predilige come figura di sostegno la peplophòros, anch'essa concepita a sé, e scelta per il carattere architettonico dei ritmi del panneggio. Lo s. a scatola, apparso nel V sec. a. C., è a due valve, il che permetteva, in alcuni casi, di disporre di due superfici riflettenti, concava e convessa.
L'esterno degli s. a scatola è decorato a rilievo con scene figurate, teste, protomi. Spesso l'interno di una delle valve non è riflettente, ma decorato ad incisione e ad agemina. La produzione degli s. a scatola si estende dalla fine del sec. V a. C. alla metà del II, in modo però ineguale, poiché il maggior numero di esemplari pervenutici appartiene al principio e alla metà del sec. IV a. C., mentre successivamente il numero tende a diminuire sino alla fine del IV sec. a. C., per segnare una lieve ripresa nel secondo decennio del III sec. a. C. La stessa curva si riscontra nei varî centri di produzione, benché differiscano tra loro per quantità di esemplari. Sulla diffusione hanno certo influito l'organizzazione commerciale dei singoli centri e la concorrenza. Certo si è che il numero degli S. greci pervenutoci non è molto elevato. D'altro lato si rileva che la produzione è sempre mantenuta su un tono di particolare dignità e che quasi non esiste la merce corrente di larga diffusione e di qualità scadente. Una certa uniformità, però, salvo alcune eccezioni, si riscontra in quasi tutto il materiale di cui disponiamo. I centri di produzione principali sono Corinto, Calcide, la Magna Grecia e la Ionia. Si ha ragione di ritenere che le officine produttrici su scala di gran lunga maggiore fossero quelle corinzie, che si legano, per quanto riguarda l'aspetto artistico, alla tradizione peloponnesiaca, mentre le officine calcidesi risentono più forte l'influenza artistica attica. Indipendenti dall'una e dall'altra tradizione, sono la produzione della Magna Grecia, e quella della Ionia, assai scarsa.
Le figurazioni per cui possono essere supposti modelli comuni alle varie officine, sono di regola assai semplici, di due o tre elementi al massimo, per lo più aggruppati verso il centro, di rado spostati ai margini. In genere non si tratta di composizioni studiate appositamente per il tondo, sì che il rilievo sembra meccanicamente e inorganicamente applicato; spesso è introdotto l'esergo. Frequente all'esterno la testa vista di fronte o di profilo.
La produzione di Corinto s'inizia intorno al 400 a. C. con una teca ornata di una testa confrontabile con le monete siracusane di Kimon. Intorno al 375 a. C. è da collocarsi l'esemplare di Londra recante all'esterno, a rilievo, l'abbigliamento di Afrodite e all'interno l'incisione con Afrodite e Pan al gioco dei dadi, nella quale è segnato il chiaroscuro plastico. Si avverte un evidente contrasto fra la realizzazione secca e povera del rilievo esterno e la ricchezza formale e la scioltezza dell'incisione. Un poco posteriore è la finissima incisione (New York, Metropolitan Museum) con scena di toletta di due fanciulle, dove sono raggiunti preziosi effetti di morbidezza nelle vesti e nelle chiome. Intorno al 350 si può porre il grandioso esemplare (Parigi, Louvre) con Corinto e Leucade, uno dei capolavori dell'incisione corinzia (v. vol. iv, fig. 717). Fra il 350 e il 325 a. C. va posto uno S. ora a Berlino che reca all'esterno due generiche figure del tiaso dionisiaco e all'interno l'incisione, avvivata dall'agemina, di una ninfa che si lava i capelli entro una grotta e che per lo schema richiama coevi vasi di Kerč.
La posteriore produzione non presenta esemplari particolarmente pregevoli: essa è strettamente connessa con altri manufatti in bronzo, prodotti evidentemente dalle stesse fabbriche. Tutti gli s. corinzî a rilievo sono caratterizzati da vigore plastico e stringato dinamismo.
Le officine calcidesi producono s. a scatola già poco dopo il 425 a. C. Di quest'epoca è un esemplare con due rilievi: Afrodite sul cigno e Selene sul cavallo. Le figure sono comprese in medaglioni centrali, all'esterno è un kỳma lesbio. Pure in medaglioni sono in altro esemplare due simplegmi: Afrodite ed Eros, Dioniso e Ariadne. Del 375 è lo s. di Berlino col ratto di Ganimede, ricco di elementi coloristici. Poco dopo il 350 a. C. è da porsi un bell'esemplare di Berlino con Eracle che ha scavalcato un'amazzone. Le due masse divergenti dell'eroe e del cavallo richiamano iconografie attiche del principio del secolo.
La Magna Grecia aveva già prodotto fin dall'arcaismo s. a piede in rilevante numero; fra gli s. a scatola uno dei più antichi (circa 360 a. C.), ora a Londra, reca il symplegma di Eracle col leone Nemeo: un gruppo di impianto potente e di efficace realizzazione plastica che sembra fuoriuscire dall'esile cornice. Della metà del sec. IV è un singolare esemplare ora al Louvre: il rilievo esterno, con Afrodite seduta ed Eros giovinetto che scaglia frecce, ha composizione centrifuga; le forme sono morbide e i panneggi fluttuanti con rendimento della trasparenza. Nell'incisione interna, invece, il gruppo di Afrodite ed Eros fanciullo è tutto raccolto al centro: le forme sono larghe e solide e un poco severe: il ductus è interessante per le relazioni che presenta con la più antica incisione laziale. Il rilievo di un'altra teca, del principio del III sec., (Eracle e una fanciulla) sembra studiato appositamente per il tondo e presenta corpi atticciati e robusti, con accentuazione dei particolari anatomici. Notevoli altresì due esemplari da Canosa al museo di Taranto, con gruppi di Nereidi su mostri marini, excerpta da scene di tiaso marino. La tecnica associa lo sbalzo all'incisione (III sec. a. C.).
La produzione ionica, scarsa di numero, non ha caratteri specialmente salienti. Del 400 circa a. C. è una teca con la lotta di un grifo e di un cervo, del 340 a. C. un'altra teca con una movimentata, ma piuttosto artificiosa, caccia calidonia; un poco posteriore è una teca con danza di menadi e una terza con danza di Nikai armate.
La produzione meno documentata è attica, cui si può attribuire soltanto uno s., con Afrodite seduta ed Eros.
Etruria. - La produzione degli s. in Etruria si svolge dalla fine del VI sec. a. C. almeno fino al II a. C. e costituisce quasi un'industria artistica tipica nazionale. Continua nel tempo, la produzione etrusca è quanto mai discontinua e varia nella qualità. L'artigiano etrusco perpetua attraverso i secoli formule fisse e metodi sempre eguali, a questi adattando le novità formali che via via acquisisce dalle arti maggiori. La forma dominante è quella circolare, talora con targhetta di raccordo al manico che fino alla prima metà del IV sec. a. C. è sempre in materiale diverso, poi di regola fuso in un sol pezzo col disco. Rarissimi sono gli s. con piede come quelli a semplice disco, tardi quelli a scatola. La forma esteriore non serve mai, tuttavia, come indizio cronologico. Fino al principio del IV sec. gli s. sono piatti, con diametro di 15-16 cm in media, dalla metà del IV sec. a. C. leggermente convessi e più larghi (20-24 cm), dal III sec. a. C. in poi molto convessi e piccoli (10-12 cm). La decorazione comprende sempre il rovescio del disco e le due facce della targhetta, talora anche nella faccia riflettente si ha una cornice incisa con una palmetta in basso; il disco è decorato quasi sempre a incisione, raramente a rilievo. In un solo caso si ha la cornice ageminata in argento, frequente l'argentatura e la doratura delle facce. La superficie rotonda decorata è nella massima parte dei casi limitata da una cornice ad elementi vegetali o a treccia. Per quanto l'imposta centrale ricavata in fusione presupponga la conoscenza e l'uso del compasso, tutti i particolari, anche i cordoni lineari sono eseguiti a mano libera. Il ductus dell'incisione rivela spesso grande abilità, ma anche una disciplina che finisce col diventare meccanica. È erronea la distinzione cronologica basata sul solco approfondito (arcaismo) e il solco superficiale (ellenismo) perché le due varianti tecniche si accompagnano in tutte le epoche. Effetti cromatici sono ottenuti mediante punzoni a cerchietti, punti, circoli e stelle, pur essi identici in ogni tempo. Come nella pittura funeraria, il contorno tende sempre all'espressione concreta e accentuata del volume; il segno ha spesso la stessa regolarità e continuità del disegno a pennello appuntito nella ceramica e anche le stesse convenzioni. A partire dalla fine del IV sec. a. C. i fondi sono spesso puntinati per dare risalto cromatico alle figure e abbondano i tratteggi nei particolari della modellatura interna dei nudi.
Gli s. mancano del tutto nel periodo orientalizzante. Nell'arcaismo più alto sono piuttosto rari e palesano una grande varietà di esperienze, soprattutto riguardo al problema compositivo. Si cerca di sfruttare il più possibile la superficie adattando le figure con varî accorgimenti, con un criterio più radicale di quello dei pittori greci di tazze. Perciò l'esergo, adottato inizialmente, viene in seguito volentieri soppresso; fino a che, al principio del III sec. a. C. l'esigenza di rappresentare scene affollate e di ridurre perciò l'altezza del campo a vantaggio della larghezza, ne consiglia l'applicazione e spesso la duplicazione. Sempre poi si cerca di bilanciare la composizione attorno ad un asse corrispondente al diametro verticale. Gli s. arcaici, dal punto di vista artistico, hanno una stretta consonanza con la pittura. Uno s. del Museo di Villa Giulia con scena conviviale e lo S. tarquiniese Marzi hanno nelle linee di contorno e nei particolari una ricercata raffinatezza che diventa stilizzazione manieristica negli S. dell'incisore di Thesan, l'unico incisore arcaico cui si possa attribuire un gruppo omogeneo di s. (l'esemplare principale nel museo di Berlino). Il prodotto migliore dell'arcaismo maturo è indubbiamente uno s. di Corchiano col ratto di Teti, notevole per il senso delle zone cromatiche e della funzione del tratto. Ai confini dell'arcaismo sta l'altro s. vulcente, pure assai noto, con Ercole e Atlante, le cui figure sono quasi trasposte dalla ceramica polignotea. Vulci sembra in questo periodo il centro della miglior produzione, notevole per sobria correttezza formale. Dopo un periodo di stasi l'industria si riafferma vitalissima alla fine del sec. V a. C. e al principio del IV a. C. (stile severo); ancora i prodotti migliori appartengono a Vulci. Il criterio compositivo si fa più rigoroso sacrificando allo scopo decorativo l'esattezza narrativa e iconografica. Gli schemi a due, tre o quattro figure diventano regole fisse per tutti i maestri. È forse questo rigore decorativo il tratto più saliente di autonomia degli incisori etruschi. Si mettono a profitto esperienze greche da Polignoto ai postfidiaci. Il capolavoro del periodo è il Chalchas aruspice, alato, su uno s. vulcente del Museo Gregoriano. Dall'incisore di Chalchas deriva l'incisore di Achille e Pentesilea, pur esso vulcente, nitido ed equilibrato nelle composizioni, impeccabile nel tratto, sapiente distributore di elementi cromatici (s. con il duello di Achille e Pentesilea del museo di Berlino). Uno s. a rilievo del museo di Berlino con scena funeraria mostra interessantissimi riflessi dell'arte di Mirone. Incisori un poco più tardi esprimono nei loro s. la lievità del panneggio fidiaco (s. perugino con Elena e Menelao nel Museo Nazionale di Napoli). Appartiene a questo periodo anche il noto s. vulcente (museo di Berlino) con Apollo, Phuphluns e Semele. Già in questo esemplare, e negli altri posteriori alla metà del sec. IV gli incisori cercano di seguire le espressioni pittoriche greche dei precedenti cinquant'anni negli schemi e negli effetti cromatici. Si distingue fra gli incisori di questo periodo il Maestro di Telefo. Egli tende a svincolare la composizione dal rigore compositivo, sovrapponendo le figure alla cornice, che nei suoi s. è sempre molto larga e ricca con motivi affini alla decorazione ceramica dell'Italia meridionale. Il disegno è sempre robusto, ricercati gli effetti cromatici. Vicino a lui si può collocare il più molle maestro di Usil (s. vaticano con Usil, cioè il Sole, Nettuno e Thesan, cioè l'Aurora). Accanto agli esemplari migliori la produzione industrializzata, dipendente dallo stile degli incisori più abili, ripete senza fine motivi e luoghi comuni.
È notevole la scarsità degli s. decorati nell'Etruria padana. Qui vanno considerati a parte lo s. Arnoaldi di Bologna e quello di Castelvetro di Modena, con motivi e stile dell'arte delle situle. Si tratta della convergenza fra costume etrusco e arte delle situle. Altrove, nell'ambito della stessa arte, lo s. non è testimoniato.
Ellenismo. - La produzione dell'ellenismo è iniziata dal grandioso s. perugino con scena del mito calidonio alla presenza di Athrpa (Atropo), in cui le grandi figure, occupando tutto il campo, eliminano la cornice. Del pari grandioso, ma più ricco di elementi cromatici è uno s. con Elena minacciata da Menelao, eseguito da un incisore che anche in altri esemplari riproduce scene affollate su sfondi architettonici derivando da esemplari pittorici. Su motivi coloristici insiste molto il Maestro di Cacu: uno S. da lui eseguito contiene scorci ricollegabili con la pittura di Filosseno. Un'impostazione scenografica solenne ma vuota si vede nello s. perugino con Tindareo, Elena e i Dioscuri, che richiama forme documentate anche dalla tarda ceramica di Kerç. Perugia è ora, accanto a Vulci, uno dei migliori centri produttivi. Non vanno dimenticati riflessi di una megalografia più locale come nello s. tarquiniese con scena di aruspicina e in quello volterrano con l'adozione di Ercole da parte di Uni (Giunone). La produzione industrializzata, già riscontrata nel sec. IV a. C., continua nel III a. C. ed oltre. Il disegno pienamente costruttivo cede qui il posto ad un convenzionale schematismo, per cui le figure si ripetono, senza varianti, all'infinito. Con questa produzione meccanica, che non ha più alcun rapporto con l'arte, si esaurisce la produzione etrusca. Fra le ragioni dell'esaurimento di questa attività poniamo l'involuzione storica della nazione etrusca, l'impossibilità per una tecnica essenzialmente disegnativa di seguire l'orientamento della pittura, la moda degli S. a scatola con ornati in rilievo più facili a prodursi industrialmente in serie, la diffusione degli s. di vetro. Tra gli s. a scatola devono ricordarsi considerevoli esemplari, come la teca da Vulci col ratto di Ganimede.
Parallelamente alla produzione dell'Etruria propria, dalla fine del IV sec. a. C. in poi si svolge quella laziale, per opera delle stesse officine che fabbricavano le ciste. Gli s. arcaici trovati nel Lazio non differiscono da quelli etruschi coevi, poi in questa zona si ha uno iato fino al 30° a. C. quando s'inizia l'attività delle fabbriche locali. Lo s. prenestino è di regola piriforme, poiché include insieme disco e targhetta ed ha il manico fuso insieme con essi. Il disegno è analogo a quello delle ciste. Questa produzione raggiunge molto di rado un livello qualitativo degno di nota e manca del rigore compositivo proprio della tradizione etrusca. La libertà compositiva permessa al decoratore di ciste si risente anche negli s.; è frequente l'uso e l'abuso di elementi che possano esprimere il colore e l'insistenza sui particolari; frequente è pure l'ambientazione paesistica delle scene, sulle tracce dell'esperienza di Novios Plautios (v.). Sulle scene del mito prevalgono i gruppi e le "conversazioni" e in genere si nota disinteresse per il soggetto più che presso i decoratori etruschi. La fluidità del segno degli esemplari migliori porta nella produzione corrente una trascuratezza formale che incide gravemente sulla qualità. Nel complesso si constata una differenza netta dagli s. etruschi, si da far pensare che - analogamente alle ciste - più che con l'Etruria, il Lazio sia in rapporto con l'ambiente megalogreco attraverso la Campania e certo molti paralleli potrebbero trovarsi con facilità nella ceramica dell'Italia meridionale. Insieme si nota un più diretto risalire a fonti greche, che allontanano l'arte incisoria prenestina dal tradizionalismo conservatore sempre presente in quella etrusca. Uno degli s. più interessanti riproduce un symplegma erotico dell'inoltrato ellenismo (giovinetto e satiro); un altro un sileno danzante e un Panisco presso un cratere, secondo uno schema di gusto già neoattico. Sulla mediocrità della produzione di serie di rado emerge qualche carattere spiccatamente personale. Spesso è rappresentata la Fortuna. Le iscrizioni sono in lingua latina; abbiamo due firme di incisori di s. prenestini Vibis Pilipus (v.), (C.I.L., XIV, 4098) e Nocus o Nocius L. Valerius (Not. Scavi, 1907, p. 479).
Europa preromana. - Già nelle palafitte svizzere è presente lo s. metallico, ma oltremodo raro, come nelle culture del ferro nella valle padana. Nel III periodo La Tène lo s. di forma circolare diviene più frequente. Nella Gallia propria è in uso sugli s. la decorazione geometrica a motivi curvilinei: il tema celtico del triscele si adatta bene alla decorazione di un disco. Lo s. è sempre rotondo, i manici sono spesso fusi a motivi ornamentali lavorati a giorno. S. di questo tipo si sono trovati anche nelle isole britanniche. Presso le popolazioni galliche d'Italia gli s. sono importati dall'Etruria (sec. IV e III a. C.).
S. si sono trovati presso le popolazioni scitiche, ma questi palesano l'influenza dei paesi grecizzati. Con quelli sciti sono connessi gli s. trovati in Ungheria.
Età romana. - La produzione degli s. in bronzo come manifestazione artigiana elevata cede il posto ad una diffusa produzione industrializzata. Non vi è, anche quando compaiono statuette di sostegno o teche a rilievo, nulla di nuovo e di particolare e caratteristico. La forma è di preferenza quella quadrata, già apparsa negli ultimi tempi della cultura etrusca. La produzione più impegnativa artisticamente è quella che si serve del metallo prezioso, specialmente dell'argento. Come centro di produzione aveva fama Brindisi e si menziona Pasiteles come primo cesellatore di s. (Plin., Nat. hist., xxxiv, 45). Se la notizia va presa con beneficio d'inventario, è ovvio pensare che la toreutica dell'età di Cesare e di Augusto, specializzata nello sbalzo in argento, si sia dedicata attivamente ad una classe di oggetti in cui poteva essere ricercato l'esemplare di lusso. La documentazione diretta è tuttavia piuttosto scarsa. Un pregevolissimo s. è quello di Pompei con scena del mito di Fedra (cosiddetta Didone abbandonata) derivato da un originale pittorico e riferibile alla produzione rodia (v. vol. iii, fig. 740). Insieme vanno citati due s. del Tesoro di Boscoreale con piccoli medaglioni entro anelli concentrici. Questi anelli sono ottenuti col tornio; il motivo è comune ad una diffusissima produzione in bronzo senza interesse artistico.
Gli s. di vetro, ottenuti sovrapponendo una lastra di vetro soffiato ad una di metallo, piombo, argento e anche oro, compaiono nell'ellenismo ed hanno come primo centro di diffusione Alessandria. Di tali s., che diventano comuni nel tardo Impero fino a sostituire completamente gli s. metallici, non è il caso di parlare a lungo, non potendo essere classificati fra le manifestazioni artistiche. Essi sono prodotti indifferentemente in varie regioni dell'Impero, specialmente nelle isole britanniche. Le cornici sono di metallo prezioso, bronzo e, comunemente, piombo, con elementi decorativi concentrati negli angoli (testine di eroti o di venti).
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