Sparta e i Greci: dall'egemonia sulla Grecia al folklore sanguinario
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel 371 a.C., sul campo di Leuttra, la falange spartana subisce un’irrimediabile sconfitta per opera dei Tebani. Secondo la tradizione Sparta rimane egemone in Grecia fintantoché rispetta le leggi di Licurgo. La verità è che Sparta viene meno al suo compito storico, quello di essere il baluardo della libertà delle città greche. La sua crisi interna la rende poi incapace di riprendersi, e di riproporsi in modo convincente alla loro testa. E il mondo intorno a lei non è immobile, come Sparta si illude di essere.
Erodoto racconta un curioso episodio della storia arcaica di Sparta. Verso la metà del VI secolo a.C. gli Spartani attaccano i Tegeati con la speranza di renderli schiavi, ma vengono gravemente sconfitti. Il conflitto con Tegea si risolve a loro favore solo quando riportano in Laconia le ossa del figlio di Agamennone, Oreste, e gli danno una degna sepoltura (I 66-9). L’episodio è spesso considerato decisivo per l’evoluzione dei rapporti tra Sparta e le altre comunità peloponnesiache. Sparta sarebbe passata dalla politica dell’annessione e dell’ilotizzazione a quella delle alleanze, e a questo scopo avrebbe valorizzato le proprie origini achee.
In realtà Sparta già da lungo tempo pretende d’essere la vera erede di Agamennone e la storia narrata da Erodoto intende ribadire la bontà di queste pretese. I moderni chiamano Lega del Peloponneso l’alleanza che fa capo a Sparta, che fu uno strumento essenziale della sua politica nel mondo greco e il fondamento della sua egemonia sulla Grecia. Non ci sono notizie di sue attività prima del 506 a.C., ma dobbiamo supporre che a metà del VI secolo essa sia almeno in parte già costituita, se Erodoto è nel vero quando asserisce che dopo la vittoria con Tegea “gran parte del Peloponneso era ormai sottomesso” a Sparta. La Lega è fondata su una serie di alleanze bilaterali. Non sappiamo nulla in dettaglio circa le circostanze in cui furono stipulate. In alcuni casi sicuramente Sparta costringe alla collaborazione le comunità sconfitte, ma in altri l’intesa deve essere il naturale prodotto d’interessi comuni. Tucidide sa che Sparta viene coinvolta nella cacciata delle tirannidi: facendosi garante di un migliore equilibrio interno, la città si guadagna amici fidati nel Peloponneso. Si può inoltre immaginare che a Sparta abbiano fatto spontaneamente ricorso poleis minacciate dall’espansionismo di vicini più potenti, come per esempio Argo, sua tradizionale rivale.
Le alleanze stipulate da Sparta sono disuguali. Esse le assicurano il ruolo di hegemòn, cioè di guida militare e politica (si parla perciò di alleanze egemoniali). Gli alleati s’impegnano invece per giuramento “ad avere gli stessi amici e nemici (di Sparta) e a seguire (in guerra) i Lacedemoni ovunque li guideranno”. A sua volta Sparta deve sentirsi obbligata a soccorrere gli alleati se attaccati, o forse giura formalmente una clausola in tal senso, come si legge nell’unico trattato spartano conservatoci, stipulato con gli Etoli Erxadieis.
Occasionalmente si tengono congressi della Lega: il più celebre si riunirà a Sparta nel 432 a.C. per decidere la guerra contro Atene. Contrariamente a quanto si è a lungo pensato, Sparta non è obbligata a sottoporre le proprie decisioni agli alleati. Essa ha l’iniziativa nella convocazione e nella formulazione delle proposte. Tuttavia si ricorda almeno un congresso in cui gli alleati si oppongono con successo ai desideri spartani, che intendono instaurare di nuovo la tirannide ad Atene (504 a.C.). La Lega del Peloponneso è un’alleanza nata e pensata per vincere conflitti terrestri: fa affidamento sulla forza dei propri guerrieri e solitamente Sparta non induce gli alleati – a differenza di quanto accade con Atene e la Lega delioattica, per esempio – a versare contributi per finanziare un tesoro comune e la flotta ateniese.
Maratona è la gloria d’Atene. In occasione della spedizione di Dati e Artaferne del 490 a.C. gli Spartani, ligi a scrupoli religiosi, vi arrivano a cose fatte. Una decina d’anni dopo, nella resistenza alla spedizione di Serse, Atene sarà ancora determinante per mare, e importante anche per terra. Nel 481 a.C., però, gli Spartani organizzano la resistenza dei Greci e formano la cosiddetta Lega ellenica: mettono a disposizione dei Greci un esercito numeroso e compatto, la forza degli alleati e il carisma dei propri re eraclidi.
Che a Sparta toccasse il comando delle operazioni, deve essere apparso ai più una scelta naturale: Erodoto elogia gli Ateniesi per non aver conteso a Sparta quest’onore, e rimprovera al tiranno Gelone di Siracusa e agli Argivi d’aver anteposto le proprie ambizioni al bene comune. La tradizione, a cominciare da Erodoto, esaltando l’eroica resistenza di Leonida e dei suoi 300 alle Termopili (480 a.C.), fissa per sempre l’immagine del guerriero spartano, disposto al sacrificio, attento solo al proprio onore e soprattutto obbediente agli ordini e alla legge dell’eroismo.
Sparta e i suoi alleati si mostrano propensi a salvaguardare i propri interessi e ad arroccarsi nel Peloponneso; la scelta può apparire miope ed egoista, soprattutto ad Atene: ma dopo il trionfo di Salamina (480 a.C.), il successo di Platea (479 a. C.) rappresenta un altro momento della gloria spartana. La città si conquista la fama di baluardo della libertà della Grecia e assurge a simbolo del mondo della legge, irriducibile al despotismo persiano. Questa fama influisce sulle attese e sui comportamenti delle generazioni successive, ma non sempre Sparta saprà conciliare i propri interessi con questi ideali.
La Lega ellenica vede insieme Atene e Sparta. Nel 477 a.C. gli alleati d’Asia Minore e delle isole, stanchi di Pausania, si volgono ad Atene, che in breve fonda la Lega delio-attica: solo con il senno di poi l’evento è diventato la premessa di un conflitto inevitabile.
Sparta è poco interessata alle vicende dell’Egeo e avrà presto di che preoccuparsi nel “suo” Peloponneso per l’attivismo di Argo e degli Arcadi riuniti intorno a Tegea. L’esplodere delle tensioni con Atene nel 461 a.C. è legato alla rivolta dei Messeni, scoppiata dopo che un terribile terremoto colpì la Laconia. Sparta cerca di presentare la ribellione come una semplice rivolta servile, ma essa coinvolge anche centri perieci. La rinascita del problema messenico è evento di prima importanza per la storia della Laconia: sul piano generale, però, ancor più peso ha la decisione di Sparta di congedare il contingente inviato in aiuto da Atene. I sospetti spartani d’una possibile intesa con i ribelli assediati a Itome possono non essere stati giustificati: determinante è però l’orgoglio civico degli Ateniesi che, spinti dai politici democratici, considerano l’atto un affronto al proprio valore, dimostrato in tante battaglie contro i Persiani.
Nel successivo conflitto, detto sovente prima guerra del Peloponneso, Spartani e Ateniesi si scontrano per la prima volta a Tanagra nel 457 a.C. Gli Spartani sanno impedire l’estendersi dell’egemonia ateniese sulla Grecia centrale; riescono a mantenere il proprio controllo sul Peloponneso, che Atene ha cercato di minare anche con l’aiuto di Argo: non sono però in grado di difendere l’indipendenza dell’alleata Egina, la piccola ma importante isola nel Golfo Saronico.
Dopo un breve intervallo, iniziato con la pace trentennale del 446 a.C., le ambizioni di Atene, che preme su alcuni alleati di Sparta, come Corinto e Megara, e le proteste di queste ultime e di Egina, trascinano Sparta nella guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). Sparta proclama di combattere per la libertà dei Greci resi schiavi da Atene, ma sottovaluta a lungo – secondo le logiche della sua cultura militaristica e tradizionale – l’importanza dei fattori economici e navali in una guerra che molti credono possa essere decisa in breve tempo dalla forza degli opliti peloponnesiaci. La resa degli Spartani a Sfacteria (425 a.C.) è una sorpresa per tutti i Greci – sono quelli gli eredi dei guerrieri delle Termopili? Il desiderio di liberare questi cittadini, prigionieri ad Atene, favorisce la stipula della pace di Nicia (421 a.C.).
Decisiva per la vittoria finale è la scelta di Sparta di accettare il sostegno finanziario della Persia. Già il re Archidamo, alla vigilia della guerra aveva sostenuto che si doveva chiedere il sostegno del re. Le trattative condotte con i Persiani nel 412-411 a.C. saranno molto complesse. Ora gli uomini del re vogliono infatti affermare il diritto persiano sulle città d’Asia, e inizialmente su tutti i territori un tempo appartenuti agli Achemenidi, ma Sparta ha l’obbligo politico e morale di tutelare la libertà dei Greci. Quanto a Sparta si fosse davvero disposti a concedere è difficile dire: è probabile che in un primo tempo s’immaginasse di poter comunque tenere in scacco i Persiani – gli Spartani sopravvalutano l’efficacia del loro valore, e sottovalutano, alla luce dei passati successi contro Dario e Serse, le risorse dell’impero.
L’intesa poi raggiunta fra Lisandro, il navarco di Sparta che riporta decisive vittorie navali su Atene, e Ciro, il fratello di Artaserse, che spera di conquistare il trono con l’aiuto dei Lacedemoni, muta i termini del gioco.
Già durante la guerra archidamica i successi ottenuti nel 424-422 a.C. da un comandante militare di coraggio e intelligenza anche politica straordinari, Brasida, avevano suscitato sospetti e gelosie in città. Più gravi tensioni procura a Sparta il ruolo decisivo di un comune cittadino, Lisandro, nei conflitti che porteranno alla vittoria finale. Grazie al carisma, la capacità di relazione e il genio militare ottiene un’autorità e un prestigio tali, quali neppure un re di Sparta aveva mai posseduto. Il monumento che fa innalzare a Delfi per celebrare la decisiva vittoria di Egospotami (405 a.C.) combina il rispetto per gli alleati – le statue dei loro ammiragli ne rappresentano le comunità – con la propria esaltazione personale: si fa ritrarre coronato dagli dèi. La possibilità di intervenire nella vita delle città e di affidarne il governo a piccoli gruppi di oligarchi suoi amici, che talora escono da durissime faide civili, assicura a Lisandro enormi onori: sarà il primo greco a essere onorato come un dio, a Samo. Dopo la sua morte (395 a.C.) si dirà che aveva progettato di rendere elettiva la monarchia. Vera o no che fosse la storia, la rivalità fra Lisandro e i re del suo tempo fu molto aspra. Ci si divide anche sul trattamento da riservare ad Atene (404-403 a.C.): Lisandro favorisce il tirannico governo dei Trenta, il re agiade Pausania li priva invece dell’appoggio di Sparta, e ne determina la caduta.
Lisandro favorisce anche l’ascesa al trono di Agesilao, il re euripontide che dominerà la vita cittadina per una quarantina d’anni (400-360 a.C.). Agesilao – che subito si libera dalla tutela di Lisandro – conduce con maggiore impegno la guerra iniziata intorno al 400 per liberare i Greci d’Asia, ma la Persia risponde alimentando un conflitto in Grecia, la cosiddetta guerra di Corinto (395-386 a.C.), e mettendo in mare una flotta guidata dall’ateniese Conone. Seguiranno anni convulsi, con repentini cambiamenti di schieramento, che porteranno alla pace del Re del 386 a.C. Questa rappresenta il vertice del potere di Sparta sulla Grecia, ma anche il trionfo d’un miope egoismo. Sparta non solo sacrifica la libertà dei Greci d’Asia per il controllo della Grecia continentale e insulare, ma esercita questo controllo in maniera gelosa e spregiudicata, mirando a impedire la formazione di ogni concentrazione di potere che possa limitarlo: Agesilao, protagonista di questa fase, si lascia guidare dal proprio senso dell’onore e dalle proprie profonde antipatie personali, che avranno un peso considerevole nel condurre Sparta al conflitto con Tebe.
Appena divenuto re, Agesilao deve affrontare un tentativo di rivolta orchestrato da un certo Cinadone. Senofonte, che narra l’episodio (Elleniche III 3, 4-6), ci ha lasciato l’immagine di una Sparta in cui si aggirano pochissimi Spartani e una massa di potenziali ribelli, iloti, iloti liberati, “inferiori”, cioè cittadini che hanno perduto i diritti civici, e perieci: tutti costoro, ci vien detto, odiano gli Spartani al punto da desiderare di “mangiarseli, anche crudi”.
Il passo mette in luce diversi problemi che affliggono Sparta in piena epoca classica e mostra come fosse venuta meno la duplice coincidenza fra liberi e cittadini e non cittadini e schiavi che la riforma del VI secolo aveva posto in essere – sia pur con l’eccezione, peraltro ben codificata, costituita dai perieci. Compare una zona grigia, popolata di cittadini decaduti (ai quali appartiene anche Cinadone) e di iloti “promossi”. Il sistema censitario si è rivelato insostenibile per troppi cittadini. Quanti non sono in grado di versare il loro contributo ai sissizi diventano “inferiori”. Si è calcolato che la città, che si diceva potesse mettere in campo 8000 guerrieri all’epoca delle guerre persiane, contasse 3500 cittadini nel 418 a.C., 2500 nel 390 a.C., 1500 nel 371 a.C., e solo 700 a metà del III secolo a.C. Gli antichi parlano di oliganthropia, scarsità di uomini. La guerra ha però le sue esigenze, soprattutto per una potenza come Sparta. Già nel corso della prima fase della guerra del Peloponneso si dovettero armare degli iloti e concedere loro la libertà. Alcuni, dopo i servigi resi in guerra, si insediano fuori dalla Laconia, ma altri – come abbiamo visto – vi risiedono.
Aristotele spiega che la causa dell’oliganthropia è la concentrazione della proprietà terriera nelle mani di pochi. Egli critica Licurgo per aver lasciato troppa libertà nel trasferimento delle proprietà terriere. Si tratta in realtà d’una libertà limitata, residua, perché la compravendita delle proprietà terriere era fortemente scoraggiata, e in certi casi proibita. Ma la libertà di donare o di far testamento in favore di chiunque e quella di concedere delle doti troppo grandi era comunque – visti i risultati – eccessiva. Ad aggravare le cose c’è la circostanza che a Sparta – come in alcune altre città greche – le donne ereditano anche in presenza di fratelli maschi: dunque, è sempre Aristotele a notarlo, molta terra è nelle loro mani. Per evitare la frantumazione delle proprietà, secondo una ricetta ben nota ai Greci, si fanno meno figli. Come contromisura le autorità spartane incentivano la procreazione, con vari strumenti: ma da questo, notava ancora il filosofo, derivava un’ulteriore dannosa divisione delle proprietà.
Sparta si trasforma da una aristocrazia che tempera criteri censitari e principi egalitari in un’oligarchia molto ristretta. Paradossalmente essa va incontro a profondi rivolgimenti sociali solo a partire dalla seconda metà del III secolo, e per iniziativa di re che cercarono di formare di nuovo un esercito degno del passato di Sparta – Agide IV dal 245 a.C. al 241, Cleomene III (235-222 a.C.) e in parte Nabide (207-192 a.C.) –, ridistribuendo le terre dei ricchi. Ma gli ex cittadini e i loro figli a lungo non minacciano la sicurezza di Sparta: la società spartana rimane sufficientemente coesa, grazie anche a forme di socialità e paternalismo che consentono agli inferiori d’essere ancora partecipi della vita comune dei migliori uomini di Grecia.
Gli antichi, con accenti più o meno moralistici, attribuiscono il declino di Sparta al mancato rispetto delle leggi di Licurgo. Piuttosto, a frustrare le ambizioni spartane al dominio sulla Grecia, o quanto meno sul Peloponneso, sono soprattutto l’oliganthropia, gli insuccessi militari (la disfatta di Leuttra del 371 a.C.) e il diffondersi – negli anni successivi alla pace del Re – dell’ostilità nei confronti della città lacedemone e della sua volontà di potenza. Se ne giovano le rivali di Sparta, Atene e Tebe: quest’ultima può far leva sulle identità locali e sugli orgogliosi sentimenti autonomistici delle comunità soggette agli Spartani e porta al collasso la Lega del Peloponneso.
Peculiare e particolarmente importante è il caso dei Messeni. Nel 369 a.C. si ricostituisce definitivamente in Messenia, con l’appoggio di Tebe, una comunità cittadina e regionale: la fine della Grande Laconia riduce sensibilmente le risorse umane ed economiche di Sparta. Questo caso ci riporta anche al rapporto tra spartiati e iloti, che abbiamo intravisto nel racconto di Senofonte su Cinadone.
L’idea diffusa che il militarismo spartano dipenda dalla necessità di controllare gli iloti è difficile da sostenere: non serve la falange oplitica per tenere sottomessi degli schiavi. A partire dall’inoltrato V secolo, però, è evidente il timore spartano nei confronti degli iloti. La tradizione registra inoltre terribili dimostrazioni di disprezzo e di odio da parte di Sparta nei confronti di questi contadini dipendenti, che popolavano le campagne di Laconia e Messenia. A quanto pare vi furono persino occasionali stermini di massa: Tucidide narra dell’uccisione di 2000 iloti, rei di aver presunto troppo di se stessi. C’è comunque un nesso fra rivolte servili e identità messenica: lo si vede sin dalla grande rivolta del terremoto (464-454 a.C. ca.), alla quale peraltro parteciparono anche poleis perieche. Il sentimento nazionale è un aspetto essenziale di queste ribellioni.
I moderni distinguono perciò fra iloti di Laconia – rassegnati all’obbedienza – e di Messenia. Non è detto però che gli Spartani abbiano fatto altrettanto. Anche dopo il 369 continuano a considerare i Messeni i loro iloti. Ridurli all’obbedienza è obbligo primario d’ogni Spartano. È probabile che la dichiarazione di guerra agli iloti, che gli efori solennemente pronunciano ogni anno entrando in carica, sia in rapporto con l’ostilità contro i Messeni, ma che tutti gli iloti ne risentano. La celebre e scandalosa pratica della krypteia è forse anch’essa un frutto avvelenato di questi odi.
Molti Greci hanno allora ritenuto insopportabile che gli Spartani avessero reso schiavi altri Greci. La schiavitù è condizione degna solo dei barbari; gli Spartani sono gente assetata di dominio.
Diversi scrittori antichi testimoniano questo sentimento d’ostilità nei confronti di Sparta: Isocrate nel IV secolo e Pausania nel II secolo d.C. I più però – aristocratici e oligarchi (perfino ateniesi durante la guerra del Peloponneso) e molti pensatori antichi – ammirano Sparta per i suoi successi, la stabilità e la rigidezza delle gerarchie sociali, le forme tradizionali d’ossequio riservate all’età, il rispetto della legge e l’eroismo dei suoi figli. Platone rimprovera agli Spartani una concezione troppo unilaterale della virtù, ma apprezza la severa educazione civica, la pratica dei sissizi e la sobrietà dei costumi. La lucida critica di Aristotele nella Politica alle istituzioni di Sparta resta, in fondo, isolata. Senofonte, che vive a lungo sotto la protezione di Sparta e è molto legato ad Agesilao, è un grande ammiratore delle leggi di Licurgo, che descrive nella Costituzione dei Lacedemoni. Prima di lui opere analoghe – in prosa e in versi – aveva scritto l’ateniese Crizia, uno dei Trenta Tiranni; dopo di lui altrettanto piene di ammirazione nei confronti di Sparta e del suo legislatore saranno la perduta Costituzione dei Lacedemoni di scuola peripatetica e, ormai all’inizio del II secolo d.C., la Vita di Licurgo di Plutarco.
Ma come giunge Sparta a quell’epoca? La città tenterà inutilmente di riconquistare un ruolo politico importante contro la Macedonia di Filippo e Alessandro, e poi nel III secolo a.C. L’opera dei re “riformatori”, Agide IV e Cleomene III, fallisce, o conduce al disastro, e altrettanto vale per la politica dell’ambizioso Nabide, ultimo “re” di Sparta. La città toccherà la sua acme quando sarà obbligata, nel II secolo, a entrare nella Lega achea. In età imperiale Sparta perderà molte delle sue peculiarità – di fatto non vi si praticheranno più i sissizi, non ci saranno più iloti – ma ricorderà con ogni mezzo le glorie del passato, a cominciare da Licurgo, venerato ancora come un dio, si celebreranno le memorie delle guerre persiane, onorando non solo Leonida, ma anche Pausania… Alcuni culti cittadini, inoltre, sono il segno che l’antica severità dei costumi si preserverà: in generale si manterrà in piedi un sistema educativo che recupererà molti elementi di epoca classica, nel consapevole sforzo di ricreare un passato perduto. Nel ricordare i gesti che ogni anno si ripetevano al santuario di Orthia ci sfiora un brivido, per una violenza inumana che pare fuori posto sotto il sereno cielo di Grecia. Forse quel cielo tanto sereno non era. E certo Sparta rimase prigioniera del proprio mito.