sostrato
Dal lat. substratus, participio passato di substernare «stendere, collocare sotto» (comp. di sub «sotto» e sternare «stendere a terra»). In filosofia, termine con cui si traduce letteralmente il greco τὸ ὑποκείμενον usato da Aristotele per indicare nella sua più generica accezione «ciò che sta sotto» con riferimento sia alla materia rispetto alla forma, sia alla sostanza (sub-stantia) rispetto agli accidenti, sia al soggetto logico (sub-iectum) rispetto ai predicati. Alla definizione del ὑποκείμενον come sostanza è dedicato in partic. il paragrafo 3 del libro VII della Metafisica (➔), che esordisce riportando il termine a una delle quattro accezioni di οὐσία (l’essenza, l’universale, il genere, il sostrato) e lo caratterizza come «ciò di cui sono predicati le altre cose, mentre esso stesso non è mai predicato di altre». Al di là delle determinazioni specifiche della terminologia aristotelica, il termine conserva il significato generale di «ciò che sta sotto» e al quale ineriscono qualità e si riferiscono determinazioni; per gli stoici il s., inteso come materia prima, è un relativo, poiché si specifica in relazione a una realtà esterna (a partire da questo concetto si costruisce in parte la critica di Plotino al dio degli stoici; Enneadi, VI, 1, 27); esso coincide in ultima analisi con l’essere e può dirsi duplice: s. originario (πρῶτον, precedente a qualsiasi determinazione) o qualificato (τὸ ποιόν, il s. in una determinazione specifica; I frammenti degli stoici antichi, II, 314; 373-74). Nel mondo latino il greco ὑποκείμενον viene reso con termini diversi (substratum, substantia; subiectum, suppositum) che, pur conservando la generica caratteristica dello ‘star sotto’, rimandano a contesti e nozioni differenti; non mancano inoltre verbi, aggettivi e sostantivi derivati: substernere in Cicerone (Timeo, 26), forma substrata in Tommaso d’Aquino (In IV Sententiarum, dis. 3, q. 1, a. 4), substratio in Duns Scoto (Quaestiones super libros Metaphysicorum Aristotelis, VII, q. 1). Il termine substratum sembra esser stato introdotto nella scolastica medievale da Pietro Aureolo, che utilizza l’espressione «substratum singulare» per indicare l’individuo reale (In libros Sententiarum, I, dis. 35, q. 4, a. 1). Nella filosofia moderna il termine viene impiegato per designare il soggetto o la sostanza come soggetto (che nella tradizione era per lo più indicato come subiectum o suppositum) e in questa accezione si incontra in Locke (Saggio sull’intelletto umano, 1690, II, 23, 5), Leibniz (Nouvi saggi sull’intelletto umano, 1704, II, 23, 1) e Berkeley (Trattato sui principi della conoscenza umana, 1710, I, 7; Tre dialoghi tra Hylas e Philoponous, 1713, 3).