COLORANTI, SOSTANZE
Quando si faccia attraversare da un fascio di luce bianca una soluzione colorata, non tutti i raggi costituenti tale luce vengono assorbiti, bensì, selettivamente, soltanto alcuni di determinata lunghezza d'onda. È questa la ragione per la quale la soluzione ci appare colorata. Se p. es. verranno assorbiti i raggi rossi, la luce uscente apparirà blu verdastra, se verranno assorbiti i raggi gialli il colore della soluzione apparirà blu o blu indaco, se i raggi blu apparirà gialla, ecc.
Il colore col quale la soluzione si mostra (blu verdastro, blu, giallo) risulta quindi dai raggi riflessi dalla soluzione e riuniti dalla visione oculare, ed è costituito dalla miscela di tutte le luci dello spettro meno la rossa, la gialla o la blu. Ne deriva che, aggiungendo ai raggi blu verdi, blu o gialli quelli rossi, gialli o blu, si dovrà ricomporre la luce bianca, perciò queste luci o colori si chiamano complementari gli uni degli altri. Se la luce uscente dopo aver attraversata la soluzione colorata vien fatta passare attraverso un prisma, si ottiene un nuovo spettro che è detto spettro d'assorbimento.
Tali spettri sono ben lontani dal possedere la nitidezza di quelli di emissione perché le soluzioni colorate hanno un assorbimento più o meno complesso e non assorbono mai raggi di una sola lunghezza d'onda. Appaiono quindi confusi e ricchissimi di bande o righe oscure, così che il loro esame richiede una speciale tecnica e adatto spettroscopio se si vogliono constatare in essi alcune caratteristiche ritenute per l'analisi delle sostanze colorate di grande utilità, come recentemente han mostrato gli studî di J. Formanek.
Queste bande d'assorbimento sono in stretto rapporto con la costituzione chimica della sostanza colorata, ciò che è posto in particolare evidenza dalle curve di assorbimento che si ottengono portando in ascisse le lunghezze d'onda (o la frequenza delle vibrazioni) e in coordinate i coefficienti d'estinzione (o coefficienti d'assorbimento), cioè il coefficiente α dell'equazione
essendo I e I0 le intensità luminose all'uscita e all'entrata dello strato colorato, x lo spessore di questo, e la base dei logaritmi naturali 2,718...
Quando su una sostanza colorata si opera una trasformazione chimica e del prodotto ottenuto si determinano le curve d'assorbimento, si può osservare: 1. un'elevazione delle ordinate della curva (che corrisponde a un aumento dell'intensità della colorazione) e l'effetto è ipercromo; 2. l'effetto inverso, ipocromo; 3. uno spostamento della curva verso le maggiori lunghezze d'onda, effetto batocromo; 4. effetto inverso, ipsocromo.
Quando avviene che un fascio di luce bianca incontri un corpo solido si può verificare: o che il corpo si lasci attraversare dalla luce senza alterarla se non per un lieve indebolimento, e si dice allora che il corpo è trasparente; oppure che il corpo si opponga quasi interamente al passaggio della luce, e si dice che il corpo è opaco; intermedî fra questi due sono i corpi traslucidi.
In natura la grandissima parte dei corpi sono opachi, cioè la luce che li rischiara rimbalza dalla loro superficie (o da uno strato più o meno profondo del corpo) nello spazio, ossia viene riflessa (e diffusa), meno o più; non mai interamente, a seconda della sostanza che costituisce il corpo e della levigatezza della sua superficie. Questa riflessione della luce bianca avviene in modo diverso per le diverse sostanze: 1° la luce composta bianca può venir riflessa senza alterare le proporzioni delle varie luci colorate componenti e la sostanza ci appare come bianca; 2° la luce può essere assorbita quasi interamente (o in parti circa uguali per ogni radiazione) e la sostanza ci appare come nera (o grigia); 3° soltanto una parte dei raggi colorati che costituiscono la luce bianca viene riflessa, e l'altra parte assorbita, e le sostanze che così si comportano formano la grandissima varietà delle sostanze colorate propriamente dette. Il colore che percepiamo è dunque, anche qui, il colore complementare (se si tratta di sostanza unica), e perciò verde quando assorbe al massimo i raggi rossi, ecc.
Notiamo che tutte le sostanze colorate che noi possiamo preparare hanno sempre un assorbimento di raggi di diverse lunghezze d'onda; nei casi in cui la sostanza non sia unica, l'assorbimento diviene molto complesso e si ha così l'apparente contraddizione che, mentre sommando insieme i raggi di due luci complementari, p. es. gialla e blu indaco, abbiamo la sensazione della luce bianca, mescolando due terre colorate, gialla e blu indaco, otteniamo una miscela di color verde. Avviene in questo caso che il pigmento giallo assorbe di preferenza raggi gialli e rossi, quello indaco assorbe di preferenza quelli violetti e azzurri; la mescolanza rifletterà quindi in modo predominante i raggi verdi. Perciò per colori complementari devono intendersi quelli puri delle luci, non quelli composti e senza precisa regola dei pigmenti colorati.
L'assorbimento selettivo che presentano in generale le sostanze - e quelle colorate in più evidente maniera - va oltre il campo dei raggi visibili ed è noto da tempo che certe sostanze, come benzolo, naftalina, antracene, ecc., che ci appaiono pressoché incolori, mostrano nell'ultravioletto e nell'ultrarosso caratteristiche bande d'assorbimento e apparirebberu perciò colorate per occhi sensibili a quei raggi. L'essenziale e squisita funzione della visibilità, la rivelazione del colore delle sostanze, è perciò un caso particolare di una proprietà generale: l'assorbimento della luce.
Dove l'assorbimento avviene per raggi visibili dello spettro, possiamo dal colore di una determinata sostanza - come appare all'occhio - giudicare presso a poco dei raggi assorbiti e della loro lunghezza d'onda:
Le colorazioni, quali sono percepite dal nostro occhio, vanno, come si vede, aumentando di lunghezza d'onda dal giallo al verde e questo passaggio di colore dal giallo al verde si considera, come s'è detto, un approfondimento (batocromia), il passaggio inverso dal verde al giallo come uno schiarimento (ipsocromia). La capacità di assorbimento dei raggi luminosi varia fortemente da sostanza a sostanza e molte ricerche si sono fatte per spiegare le cause di tale fenomeno e i rapporti fra la natura delle varie sostanze e il loro assorbimento selettivo. Le ricerche sono seguite in due direzioni: di ordine fisico, attraverso specialmente lo studio degli spettri e delle radiazioni; di ordine chimico, ricercante relazioni e regole pratiche fra costituzione chimica e colore delle sostanze.
Relazioni fra colore e costituzione chimica.
Sebbene il colore di una sostanza dipenda sovente dallo stato fisico o modo di aggregazione (per es. lo iodio allo stato solido appare come nero lucente mentre i suoi vapori sono violetti; l'oro colloidale appare rosso intenso, ecc.), si può in generale ritenere che ogni individuo chimico abbia una sua caratteristica colorazione.
Con le nostre conoscenze attuali si può attribuire a tre cause la trasformazione, a contatto d'una sostanza, della luce bianca in luci colorate: assettamento delle molecole nello spazio; natura particolare degli atomi; disposizione degli atomi nella molecola.
Alla prima causa si rapportano i fenomeni di dispersione, d'interferenza, di diffusione, di polarizzazione cromatica, e si può con essa spiegare il colore dell'opale, delle bolle di sapone, delle lamine sottili, delle ali di certi insetti, farfalle, uccelli, dell'arcobaleno, ecc. In questi casi però non si dice che i corpi son colorati, bensì che lo sono soltanto le luci emergenti.
La natura degli atomi ha anch'essa influenza nella colorazione delle sostanze: vi sono ad es. elementi chimici che portano la colorazione nei loro composti, come il nichel, il cobalto, il cromo, ecc. Questi casi sono più proprî della chimica inorganica.
Ma il più gran numero delle sostanze colorate e con le colorazioni più intense e brillanti appartengono alle sostanze organiche che sono le combinazioni del carbonio con pochi altri elementi e principalmente: idrogeno, ossigeno, azoto, solfo. Tali elementi non portano per loro virtù colorazioni nei corpi che ne derivano, tanto che la maggior parte di questi - e si può dire tutta la serie grassa - sono incolori o bianchi. Il ritrovare in questo campo le sostanze più fortemente colorate, come ad es. le sostanze coloranti naturali, note da secoli, parve sorprendente e interessante, e appunto su queste sostanze si fecero i primi tentativi per trovare qualche rapporto fra colorazione e costituzione chimica. Ma la complessità di tali sostanze e le scarse cognizioni di quel tempo non consentirono risultati degni di nota; grande progresso si ebbe invece dallo studio dei composti organici artificiali, di composizione più semplice e di costituzione chimica più facilmente e precisamente nota.
Le prime ricerche su sostanze colorate artificiali mostrarono già che fra un composto organico incoloro e un altro magari fortemente colorato non esistevano, quanto alla composizione chimica, che differenze minime, talvolta nulle. Non vi poteva dunque esser dubbio che la causa della colorazione non risiedesse in questi casi in una diversa disposizione degli stessi atomi che davano molecole diverse. Tali fatti non eran né nuovi né strani in chimica organica, nella quale, frequentemente, identiche composizioni rispondono a sostanze assai diverse fra loro per molte proprietà, come le sostanze isomere e tautomere. Perciò la chimica organica aveva dovuto presto ricorrere alle "formule di struttura" con le quali non solamente gli atomi erano indicati col loro numero relativo, ma anche veniva rappresentato ed espresso il modo nel quale essi atomi erano o si supponevano collocati nello spazio e legati nella molecola. Le formule di struttura stabilite per un certo numero di sostanze colorate misero in evidenza dapprima certi legami degli atomi fra loro, poi la presenza quasi costante di certi aggruppamenti atomici: questi fattori stabilirono una prima relazione fra struttura chimica e colorazione della sostanza che fu affermata e confusa con la causa stessa della colorazione. Fu nella pratica ricerca delle materie coloranti che Graebe e Liebermann nel 1867 e O. N. Witt nel 1876 raccolsero e unificarono quanto i fatti allora noti consentivano, ed emisero le prime teorie che legano struttura chimica e colorazione. Più tardi, quando lo studio delle cause della colorazione fu più approfondito, esse apparvero incomplete e di contestabile validità: tuttavia restarono a fondamento di tutti gli studî chimici sull'argomento.
Teoria di Witt. - Ammise il Witt che la comparsa del colore in una sostanza fosse dovuta alla formazione o all'esistenza nella molecola di uno o più gruppi determinati di atomi polivalenti, che chiamò gruppi cromofori. I cromofori non hanno esistenza isolata, e perché possano esercitare la loro azione occorre che si trovino in una sostanza ricca di atomi di carbonio. Perciò le sostanze colorate si riscontrano quasi esclusivamente nei derivati della serie aromatica che provengono da idrocarburi, come il benzolo, la naftalina, l'antracene, ecc. a 6, 10, 14 atomi di cartionio. Introducendo un cromoforo nella molecola di un composto aromatico, l'assorbimento si sposta verso la parte visibile dello spettro e si ottiene una sostanza più o meno colorata all'occhio, che il Witt chiamò molecola cromogena o cromogeno.
In generale le molecole cromogene possiedono questa proprietà, che, ridotte, assumono idrogeno trasformandosi in composti incolori chiamati leucoderivati, i quali, alla loro volta, per ossidazione, ripristinano le sostanze colorate di partenza. Questo comportamento alla riduzione (e la possibile riossidazione) corrisponde in chimica organica alla rottura e saturazione di un legame multiplo. Si ritenne così che i cromofori siano dotati di doppî legami e infatti i più importantí di essi sono i gruppi:
Questi gruppi cromofori hanno in generale carattere acido (talvolta però leggermente basico), ma tale carattere chimico viene più decisamente e spiccatamente segnato quando s'introduce nella molecola un gruppo salificabile come i gruppi: solfonico SO3H, carbossilico COOH, ossidrilico OH (a funzione acida) oppure amminico o derivati NH2, NHR, NR2 (a funzione basica). Per azione di questi gruppi, può avvenire che la colorazione della molecola cromogena sia aumentata e approfondita oppure resti inalterata. Si verifica quest'ultimo caso coi gruppi solfonico e carbossilico, il primo coi gruppi ossidrile e amminico. In entrambi i casi però la molecola cromogena acquista, in maggiore o minor grado, la proprietà di essere sostanza colorante. Questi gruppi acidi o basici furono dal Witt chiamati auxocromi. R. Nietzki riservò più giustamente questo nome ai gruppi che portavano un'influenza sulla colorazione della sostanza e assegnò quello di gruppi salificabili ai gruppi come SO3, H e COOH che lasciano la colorazione inalterata.
Ridotta allo schema, la teoria di Witt afferma che introducendo un cromoforo in una molecola aromatica si ottiene un composto più colorato, il cromogeno; e che questo aumenta la propria colorazione e può divenire una sostanza colorante soltanto quando vi s'introducano convenienti auxocromi:
Esaminando la costituzione dei cromofori e degli auxocromi si puà subito osservare che, mentre i primi sono in generale dei gruppi non saturi per costituzione, gli auxocromi contengono tutti un atomo suscettibile di passare ad una maggior valenza: O e S da bivalenti a tetravalenti, N da tri- a pentavalente, cioè atomi non saturi per natura. Per queste due specie di non saturazione gli uni e gli altri hanno diversa influenza sulla colorazione, mentre la salificabilità degli auxocromi serve a impartire alla sostanza il carattere acido o basico più proprio delle materie coloranti ma non ha effetto dal punto di vista dell'assorbimento della luce, in quanto si può immaginare, e avviene di fatto, la fissazione su fibra di sostanze incolori, come il tannino, il β-naftolo, l'acido cromotropico, ecc.
Teoria di Graebe e Liebermann. - Nei rapporti fra costituzione chimica e colorazione delle sostanze è dunque la non saturazione la condizione più evidente ed essenziale. Fu questo che intravidero Graebe e Liebermann, nel loro studio sulla costituzione delle materie coloranti, ammettendo che le sostanze colorate in generale e le coloranti in ispecie posseggano sempre legami del tipo chinonico. Questa teoria aveva in suo appoggio molti fatti importanti e molti ne spiegava e metteva in evidenza: 1. la formazione e la costituzione dei leucoderivati; 2. la mancanza di colorazione nei composti di serie grassa che non dànno chinoni; 3. la posizione orto o para (mai meta) dei gruppi OH e NH2 (che furon poi chiamati auxocromi) perché i chinoni si potessero formare; 4. l'esistenza di forme tautomere delle quali una sola (la chinonica) è colorata (teoria degl'indicatori). La teoria di Graebe e Liebermann ha reso grandissimi servizî alle ricerche sulle materie coloranti: essa contiene una verità fondamentale che ne ha consentito la perfetta vitalità anche ai giorni nostri accanto alla teoria di Witt. A essa si posson riferire le più moderne teorie su questo argomento.
Teoria merichinonica e teorie chimico-fisiche. - Wilstaetter e Picard osservarono nel 1908 che certe sostanze intensamente colorate erano costituite non già dalla forma chinonica (più debolmente colorata) e propriamente detta olochinoide, bensì dall'unione di questa con la forma benzenica (merichinoide) a mezzo di legami analoghi a quelli del chinidrone,
cioè per scambio di affinità residuali dei cromofori dell'una con gli auxocromi dell'altra.
Questi fatti, generalizzati, hanno portato a spiegare con più moderni concetti il formarsi di molte colorazio1ii. Ad essi si ricollegano la teoria di Baly e Desth delle forme tautomere e quella più generale di Stewart e Baly della isorropesi, cioè delle oscillazioni dei legami, alle quali H. Kauffmann (1916) ha dato più precisa espressione affermando che le nostre attuali formule di costituzione delle sostanze colorate non sono che dei casi limiti, e che - come nell'equilibrio delle forme cheto-alcool - si può supporre che tutti i composti colorati si trovino in istato instabile dovuto a (o provocante) un movimento oscillatorio dei legami atomici.
Da queste teorie che ammettono stati oscillatorî di atomi o di elettroni, a quella più recente, più completa e generalmente accettata di Stark non v'è che un passo. Lo Stark ammette che l'oscillatore sia un elettrone di valenza e che l'oscillazione sia intra-atomica. Un approfondimento della colorazione deve essere legato a una diminuzione della frequenza di vibrazione dell'elettrone, e quindi a una diminuita intensità del campo, che dipende dalla forma dei legami degli atomi ed è tanto più debole quanto più il legame è rilassato. È verosimile che la sede di tali vibrazioni sia negli atomi dei cromofori: ivi la molecola è non saturata e conserva un'affinità residuale. Più aumenta la non saturazione del cromoforo, più il campo molecolare s'indebolisce e la colorazione diviene più profonda. Perciò per avere sostanze fortemente colorate non sarà necessario moltiplicare i cromofori, ma ne basterà uno fortemente non saturato. I crornofori, che si comportano in generale come gruppi non saturi negativi, è probabile che contengano gli elettroni vibratori - che sono appunto corpuscoli negativi - relativamente liberi e siano come s'è detto la vera sede dell'assorbimento selettivo della luce. L'azione dell'auxocromo è più complessa e si manifesta sulla variazione di saturazione del cromoforo; essa può aver luogo però in molteplici modi che dipendono dalla posizione e dalla natura chimica rispettiva dei due aggruppamenti. Sí può, in breve, ritenere che l'auxocromo sia un gruppo di non saturazione positiva capace di far variare la non saturazione negativa del cromoforo: i doppî legami etilenici che legano atomi a carattere elettrico poco marcato possono agire come cromoforo e come auxocromo. La differenziazione di questi due tipi di gruppi è dunque assai meno netta di quanto la teoria di Witt non supponesse.
Comunque, tutte queste recenti teorie chimico-fisiche sono concordi nel ritenere - come già s'è detto - l'assorbimento un fenomeno di natura elettromagnetica che la chimica sola non può rappresentare né sperimentalmente verificare. È naturale quindi che la teoria chimica di Witt sia insufficiente a render ragione di molti fatti e con altri sia anche in contraddizione. Essa tuttavia è rimasta la sola che dia un quadro chimico atto a mostrare chiaramente - se pur inesattamente - i rapporti fra sostanze incolori, colorate e coloranti. Con la base di questa teoria furono progressivamente studiati i rapporti fra costituzione e colore e quindi i fenomeni di assorbimento in generale. Ma se da un lato essa fu resa più completa con le osservazioni e le regole tratte dagl'idrocarburi colorati, dai legami fra cromofori e auxocromi, dagli studî sull'allocromia e sulle combinazioni molecolari, sulla tautomeria, la cromoisomeria, la termotropia, la fototropia e infine la fluorescenza, dall'altro fu sempre più riconosciuta insufficiente. Considerando più particolarmente il campo tintoriale, non possono spiegarsi con questa teoria le possibilità d'impiego delle materie coloranti insolubili. Gli stessi colori a mordente, benché costituiti da cromofori e auxocromi, non sono più oggi considerati come coloranti veri e proprî, bensì è ammesso che la loro combinazione con gli ossidi metallici (lacca), che è l'effettivo colore, sia un tipico sale complesso nel senso della teoria di A. Werner. Il quale intende, p. es., la lacca di alluminio fortemente colorata dell'alizarina (che per sé è poco colorata) così:
Ma nella trattazione che segue delle materie coloranti, della loro costituzione e proprietà, sarà ugualmente seguito lo schema di Witt e dettagliatamente detto dei varî cromofori, cromogeni e auxocromi.
Sostanze coloranti.
Affinché una sostanza colorata possa chiamarsi sostanza colorante, occorre che si fissi in forma stabile sulla fibra; essa cioè deve presentare certi caratteri generali di solidità, quali la resistenza al lavaggio, al sapone, alla luce, ecc. Non tutte le sostanze coloranti però hanno le medesime solidità ai varî reagenti. Così ve ne sono alcune solidissime alla luce, al lavaggio e non agli acidi, altre solide alla follatura, agli alcali e non alla luce, ecc.
Le ragioni di queste solidità e i varî metodi usati nella pratica per fissare le sostanze coloranti sulle fibre sono legati strettamente a due condizioni: 1. costituzione fisica e chimica del colorante; 2. costituzione fisica e chimica della fibra.
Costituzione fisica e chimica del colorante. - È ormai dimostrato che gli stati di aggregazione molecolare in cui possono trovarsi le sostanze coloranti al momento della tintura sono svariatissimi. Essi, però, possono dividersi, grosso modo, in: 1. coloranti in dispersione molecolare (p. es. sostanze coloranti acide, basiche, ecc.); 2. coloranti in dispersione colloidale, sia allo stato di "gelo" sia in forma di "sol" (p. es. sostanze coloranti sostantive, indantrene, ecc.); 3. coloranti in sospensione (p. es. sostanze coloranti per seta artificiale all'acetato). Una distinzione netta fra questi tre tipi non è possibile, perché vi sono sostanze coloranti che a seconda della diluizione possono passare per tutte e tre le forme (p. es. primulina), e così pure fra i colori basici o acidi, che sono quasi tutti del primo tipo, ve ne sono anche di quelli in dispersione colloidale (fucsina, blu Vittoria, ecc.).
Per ciò che riguarda invece la costituzione chimica delle sostanze coloranti sono state fatte due classificazioni: la prima che riguarda le loro proprietà tintoriali; l'altra, più moderna e scientifica, che suddivide le sostanze coloranti secondo i loro gruppi cromofori indipendentemente dalle loro proprietà tintoriali. Di questa classificazione, basata sulla teoria di Witt, si dà a pp. 863-865 uno schema sommario.
Costituzione fisica e chimica delle fibre tessili. - Tutte le fibre, sia di origine animale (lana, seta, ecc.), sia di origine vegetale (cotone, lino, canapa, ecc.), sia artificiali (viscosa, seta all'acetato, ecc.), si comportano come sostanze colloidi allo stato di gelo. A contatto dell'acqua, e ancora meglio a contatto degli alcali o degli acidi, si rigonfiano assorbendo in quantità notevole il solvente. A contatto dell'acqua hanno poi carica negativa.
Le diverse specie di fibre non hanno naturalmente la medesima costituzione chimica. Le fibre animali, lana e seta, hanno come costituente principale rispettivamente la cheratina e la fibroina, ambedue sostanze proteiche di costituzione non ancora ben definita, ma nelle quali si rileva facilmente la presenza di radicali ammino-acidi. Nella lana però predomina il carattere amminico e quindi basico; nella seta i radicali carbossilici e quindi il carattere acido spiccato. Il cotone (come le fibre vegetali in genere) essendo formato con circa il 98% di cellulosa ha praticamente tutte le proprietà inerenti alla cellulosa, cioè di essere un idrato di carbonio a struttura complessa in cui sono libere soltanto le funzioni di poli-alcool. Le fibre artificiali sono formate: la seta Viscosa e la seta Bemberg o cupro-ammoniacale ottenute con processi diversi da idrocellulosa; la seta Acetil da etere sale tri- o tetra-acetilico dell'idrocellulosa; la seta Nitro da etere sale tri- o tetra-nitrico dell'idrocellulosa.
Applicazione delle sostanze coloranti in tintura. - Teoria della tintura. - In base al comportamento fisico e chimico delle fibre e dei coloranti sono state emesse molte teorie per spiegare il fenomeno della tintura. Le più importanti sono: la teoria dell'assorbimento o teoria meccanica: la teoria delle soluzioni solide; la teoria chimica; la teoria colloidale. Ciascuna di esse ha i suoi difensori, però nessuna è tale da spiegare da sola il fenomeno della tintura per tutte le classi dei coloranti e per tutte le fibre. Riassumendo brevemente le varie teorie abbiamo:
Teoria dell'assorbimento o teoria meccanica. - Le fibre agirebbero da corpi porosi e la tintura avverrebbe per capillarità. La soluzione del colorante, penetrando attraverso la membrana delle cellule, vi resterebbe imprigionata meccanicamente. Questa teoria non spiega molti fatti, così, per es., la differenza di comportamento dei coloranti rispetto alle fibre.
Teoria delle soluzioni solide. - Questa teoria ammette la tintura come una soluzione della sostanza colorante nella fibra, come avviene per es. nelle soluzioni solide di ossidi metallici nel vetro. Il differente comportamento delle diverse fibre è dato dal loro differente potere solvente. Così la seta (fibroina) sarebbe il solvente più forte, verrebbe poi la lana (cheratina) e infine il cotone (cellulosa). La tintura avverrebbe quando la sostanza colorante è più solubile nella fibra che nel solvente del bagno. Anche a questa si oppongono molti fatti che non hanno corrispondenza con la teoria: per es. vi sono colori (sostantivi) che tingono più il cotone della seta; i colori basici che non tingono direttamente il cotone naturale tingono invece quello mordenzato con tannato di antimonio, ecc.
Teoria chimica. - Secondo questa teoria nella tintura avverrebbe una vera e propria combinazione chimica fra fibra e colorante; la tintura non sarebbe quindi che una salificazione. Così le sostanze coloranti a carattere acido si fisserebbero per salificazione sui radicali amminici contenuti nella cheratina della lana e nella fibroina della seta; le sostanze coloranti basiche sui radicali carbossilici; nella lana però, predominando il carattere basico, si fisserebbero meglio i colori acidi. Anche questa teoria però non spiega, per es., perché il cotone, che è un poli-alcool a debole carattere acido, si tinga direttamente con i colori sostantivi e allo zolfo o al tino per i quali la costituzione chimica non offre nessun appiglio.
Teoria colloidale. - Il fenomeno della tintura sarebbe dovuto a una coagulazione della sostanza colorante sulla fibra, cioè le fibre agirebbero da coaguli colloidali. Però se questa teoria è vera per tutte quelle sostanze coloranti che al momento della tintura si trovano in dispersione colloidale (condizione necessaria per la coagulazione), non è più esatta per tutte quelle che si trovano in dispersione molecolare. Difatti essa non spiega il differente comportamento dei colori acidi e basici rispetto alle fibre vegetali e alle fibre animali.
Come conclusione, si può dire che nella ricerca di una teoria generale della tintura troppe sono le differenze fra costituzione chimica e fisica delle fibre e dei coloranti per potere con una sola teoria comprenderle tutte; ed è perciò molto più logico ritenere che le varie teorie più che essere in contrasto fra loro si completino a vicenda.
Così si può ritenere un fenomeno di natura chimico-colloidale la tintura delle fibre animali con i colori acidi e basici, di natura colloidale la tintura del cotone con i colori sostantivi, allo zolfo e al tino; di natura puramente meccanica quella dei colori sintetici su fibra, e di natura colloidale-chimica e in parte meccanica quella dei colori a mordente.
Classificazione delle sostanze coloranti secondo il processo di tintura. - Nella struttura chimica e fisica di tutte le sostanze coloranti esistono degli speciali radicali e delle caratteristiche per cui il colorante si può fissare sulla fibra secondo varî processi di tintura. Tutti i coloranti si raccolgono in otto gruppi:
Materie coloranti acide. - Vengono chiamate sostanze coloranti acide, e applicate come tali, tutte le sostanze colorauti che contengono gruppi solfonici −SO3H, eccetto le sostanze coloranti cosiddette sostantive, che, pur contenendo gruppi solfonici, non sono impiegate in genere come colori acidi. Vengono considerate sostanze coloranti acide e impiegate come tali anche sostanze coloranti che contengono gruppi −NO2 o −COOH. Tutte le sostanze coloranti acide contenenti gruppi solfonici sono insolubili in etere.
In natura non si conoscono sostanze coloranti acide; esse vengono pertanto preparate artificialmente. Sono molto usate per la tintura della lana, discretamente per la seta e un poco anche per la iuta. Su cotone non si possono applicare perché né indirettamente né direttamente si fissano sulla cellulosa.
Materie coloranti basiche. - Vengono considerate sostanze coloranti basiche quelle che in forma salina solubile contengono nella molecola radicali NH2 o derivati, senza la presenza di gruppi solfonici (o carbossilici o altro negativo) che ne paralizzino il carattere basico. Il carattere basico sarà più spiccato se la molecola ha già carattere basico (acridine, azine, ecc.). Queste sostanze coloranti hanno in comune la proprietà dovuta al loro carattere basico; così precipitano con acido picrico come picrati e con acido tannico come tannati. Sono sempre sotto forma di sale, specialmente di cloridrato, e qualche volta come solfato, clorozincato, ossalato, ecc.
Le sostanze coloranti basiche hanno in genere un forte potere colorante dando tinte molto vivaci e pure; però sono poco solide alla luce. In natura si conosce una sola sostanza colorante basica, la Berberina, tutte le altre sono formate per sintesi. Vengono applicate in grande quantità nella tintura della seta, cotone, pelli, paglia, ecc.; sono invece poco usate per la lana.
I colori basici non tingono direttamente il cotone. Per poterli usare si utilizza la proprietà che hanno alcune sostanze di fissarsi direttamente sul cotone e di dare con i colori basici prodotti insolubili (lacche). Nella tintura del cotone con materie coloranti basiche si dovrà, dunque, prima fissare le sostanze sulla fibra (mordenzatura) e poi fissare il colore su questo mordente.
In tintoria si chiamano mordenti tutte quelle sostanze che, assorbite dalla fibra, vi restano fissate in forma stabile e in quella forma possono alla loro volta, fissare delle sostanze coloranti. Il mordente più adoperato è l'acido tannico o tannino perché ha in sé tutte le condizioni sopra esposte.
Materie coloranti fenoliche o a mordente. - In natura vi sono molte sostanze coloranti fenoliche e anzi si può dire che sono le più diffuse (alizarina, cocciniglia, campeggio, ecc.). Vengono chiamate sostanze coloranti fenoliche o a mordente quelle sostanze che, in presenza di alcuni sali metallici quali i sali di Ba, Ca, Mg, Pb, Al, Cr, Fe, Sn, Ni, ecc., dànno un colore insolubile (lacca). Però questa lacca per essere usata come colorante deve avere i seguenti requisiti: che il sale metallico si comporti come un mordente e che la lacca formatasi sia stabile ai detergenti (acqua, sapone, acidi, alcali, ecc.). La proprietà di dare lacche stabili dipenderà allora da due fattori: dall'affinità fra mordente e fibra e dalla costituzione della materia colorante.
Perché il sale metallico funzioni da mordente, occorre che esso si dissoci sulla fibra, per semplice idrolisi dovuta alla fibra stessa, e si fissi sotto forma di sale basico o addirittura come idrato. Questa proprietà non si ha in tutti i sali metallici, ma solo nei sali polivalenti come quelli di ferro, alluminio, stagno, cromo, ecc., che nella forma di sali basici e ancora meglio come idrati sono di natura colloidale e quindi assorbiti dalle fibre come i colori sostantivi. Il processo di mordenzatura varia col variare della natura della fibra; in genere però l'idrolisi del sale metallico deve avvenire solo per azione della fibra in presenza di acqua o di vapor d'acqua.
È stata osservata poi una relazione che esiste tra la costituzione chimica della sostanza colorante e la stabilità su la fibra della lacca formata con i sali metallici. Questa relazione, trovata da Kostanecki e Rosenthiel (1887), è data da tutte quelle sostanze coloranti che contengono due ossidrili in orto fra loro. Hanno carattere fenolico, sebbene un po' meno marcato, altre sostanze coloranti nelle quali deve essere soddisfatta una di queste condizioni:
Leggiera proprietà fenolica hanno, specialmente fra i colori dell'antrachinone, i gruppi −OH e −NH2 in orto fra di loro.
Una delle caratteristiche più interessanti delle sostanze coloranti fenoliche è quella di dare a seconda del mordente colori diversi in alcuni casi la variazione di colore è piccola, in altri marcatissima. In questo caso i colori vengono chiamati poligenetici. Così l'alizarina e il Naftin S dànno colori diversi a seconda dei mordenti.
Le sostanze coloranti fenoliche a seconda delle loro proprietà tintoriali, oltre quella fenolica, si possono dividere in: 1. sostanze coloranti fenoliche semplici, usate per lana, cotone, seta; 2. sostanze colorauti fenoliche basiche, usate per lana, cotone, seta; 3. sostanze coloranti fenoliche acide, usate per lana e seta. I colori fenolici sono in genere più solidi dei rispettivi colori basici, acidi e sostantivi di uno stesso cromogeno. Tra i fenolici semplici ve ne sono di grandissima solidità. I fenolici basici sono in gran parte impiegati per la stampa su cotone; i fenolici acidi sono i più numerosi, di facile applicazione, e costituiscono per la tintura della lana una delle classi più importanti per la solidità e pienezza dei colori che dànno.
Materie coloranti sostantive o dirette. - Vengono chiamate sostanze coloranti sostantive o coloranti al sale quelle sostanze che nella loro forma salina hanno la proprietà di tingere direttamente il cotone, cioè senza bisogno di mordenzare la fibra né con tannino né con sali metallici. In natura pochissime sono le sostanze coloranti a carattere sostantivo (Curcuma, Rocou, ecc.); di artificiali ne esiste invece un grandissimo numero.
Il carattere sostantivo nelle sostanze coloranti artificiali fu osservato la prima volta nel 1884 nei colori azoici derivati dalla benzidina e in seguito in altri coloranti, per la maggior parte appartenenti però al gruppo degli azoici. Non si conosce ancora bene la ragione del carattere sostantivo di queste sostanze coloranti (molto probabilmente è dovuto allo stato colloidale in cui si trovano tutte quando sono in soluzione); però è stato osservato che esiste una relazione tra costituzione e proprietà sostantiva. Così sono sostantive:
I. Tutte le sostanze coloranti azoiche derivanti da diammine che soddisfino alle seguenti condizioni:
1. Che i due radicali amminici si trovino su due radicali fenilici o naftilici uniti direttamente fra di loro:
a) derivati della benzidina:
b) omologhi della benzidina, purché abbiano la posizione in orto al legame benzidinico libera oppure legata in forma chiusa da un radicale bivalente:
2. Che i due radicali amminici si trovino su due radicali fenilici o naftilici uniti indirettamente fra loro da speciali radicali del tipo:
(I due radicali amminici sia nel 1° sia nel 2° caso debbono essere uno per nucleo, fenilico o naftalinico, e in posizione para rispetto al legame diretto o indiretto). Esempio:
3. Che i due radicali amminici si trovino in meta fra loro su un medesimo nucleo benzenico e omologhi:
4. Che i due radicali amminici si trovino in para fra loro su un medesimo nucleo benzenico o naftalenico:
II. Alcune diammine della naftalina:
III. Quasi tutte le sostanze coloranti azoiche che contengono l'acido isogamma o suoi derivati.
IV. Alcuni derivati del tiazolo.
V. Alcuni derivati del trifenilmetano.
Le materie coloranti sostantive sono impiegate per cotone, lana e seta. Importanti sono quelle che tingono in modo eguale le tre fibre e vengono perciò impiegate molto nella tintura delle fibre miste, ad es. stoffe di lana e seta (seta gloria), stoffe di lana e cotone (mezza lana), ecc.
I coloranti sostantivi possono essere basici, acidi, fenolici, per la presenza nella molecola di gruppi che caratterizzano queste proprietà. Nella tintura, per alcuni casi, si tiene conto anche di queste funzioni per migliorare sia la tinta sia, e questo più specialmente per i sostantivi fenolici e basici, la solidità.
I coloranti sostantivi anche quando sono a forte carattere acido (presenza di molti gruppi solfonici) nella tintura si adoperano come sostantivi semplici, cioè sotto forma salina e non come acido libero. Sovente dopo la tintura si tratta ancora la fibra con altri reattivi per migliorare il colore o per variare vantaggiosamente il tono. Questi trattamenti successivi sono: 1. diazotazione su fibra e successiva copulazione (la sostanza colorante deve avere almeno un radicale −NH2 libero); 2. trattamento con sali di diazo (la sostanza colorante funziona da copulante); 3. trattamento con sali metallici (Cr, Cu; per le sostanze coloranti che hanno leggiero carattere fenolico); 4. trattamento con aldeide formica (per le sostanze coloranti che possono dar luogo a condensazioni); 5. tintura successiva con colori basici (la sostariza colorante funziona da mordente).
Materie coloranti insolubili. - Vi sono molte sostanze colorate che essendo insolubili in acqua non possono essere adoperate come tali con i metodi di tintura finora esaminati. Molte però di queste sostanze diventano solubili qualora si mettano in un mezzo alcalino e riducente, prendendo cioè la forma di leuco. Possono allora essere impiegate in tintura perché allo stato di leuco vengono più o meno assorbite dalla fibra, e poi per ossidazione possorlo tornare allo stato insolubile restando così fissate sulla fibra.
A seconda del processo di tintura questi coloranti insolubili si possono dividere in due classi: colori al tino e colori allo zolfo.
I colori al tino contengono tutti il gruppo carbonilico −CO− e la riduzione avviene sul carbonile trasformandolo in carbinolo −COH salificabile, cosicché la sostanza colorante diviene. solubile in mezzo alcalino. Per ossidazione all'aria si riottiene il gruppo carbonilico e il colore ritorna insolubile. La riduzione si ottiene con riducenti energici, idrosolfito, polvere di zinco, ecc., e il mezzo alcalino è per lo più dato dalla soda caustica e qualche volta anche dall'ammoniaca e dal carbonato di sodio. Ai colori al tino appartengono quasi tutte le sostanze coloranti derivate dall'indaco e i derivati insolubili e colorati dell'antrachinone.
I colori della serie dell'indaco sono usati tanto per il cotone quanto per la lana e un poco anche per la seta: si possono impíegare per la lana perché il leuco del colore è solubile anche in mezzo alcalino non energico (ammoniaca) e la tintura si può fare a tiepido, cosicché la lana non viene alterata. I colori invece derivati dall'antrachinone sono usati solo per cotone, talvolta per la seta: data la forte quantità di soda occorrente per averli solubili allo stato di leuco e la temperatura abbastanza elevata per la tintura, non sono (salvo poche eccezioni) adoperati per la tintura della lana anche perché la lana assorbe meno facilmente i leuco di questi colori, in confronto a quelli dell'indaco. Sono in genere colori più solidi agli ossidanti che i colori dell'indaco; in tutte due le serie, i colori hanno però in genere grande solidità alla luce, al lavaggio, ecc.; sono perciò molto ricercati e alcuni hanno prezzo elevato.
I colori allo zolfo sono coloranti insolubili, di costituzione non ancora ben definita, che per riduzione parziale divengono solubili e vengono assorbiti dalla fibra. Per la formazione del leuco si usa un riducente debole, il solfuro di sodio, e un mezzo alcalino debole, il carbonato di sodio. Il leuco di questi colori si comporta quasi come una sostanza colorante sostantiva; la tintura perciò va fatta in bagni concentrati e caldi e aggiungendo nel bagno di tintura del solfato di sodio. Il colore così assorbito dalla fibra va ossidato o all'aria stessa, o con lavaggi in acqua aereata o con mezzi ossidanti quali acqua ossigenata, perborato di sodio, perossido di sodio; il colore si sviluppa e ritorna insolubile. I colori allo zolfo, pur essendo quasi tutti poco solidi all'ipoclorito, dato il basso costo vengono largamente impiegati per il cotone, raramente anche per la seta.
Sia nel caso dei colori al tino sia di quellì allo zolfo, per facilitare la riduzione e quindi la solubilità, cioè la deformazione del leuco, si opera la riduzione stessa quasi sempre in bagno molto concentrato detto "tino madre", dal quale si prepara con una conveniente diluizione quello di tintura.
Una separazione netta fra colori allo zolfo e al tino non esiste perché la differenza è basata sulla diversa facilità di riduzione dei primi rispetto ai secondi e sulla solubilità del leuco. Così vi sono colori dell'indaco (rosso tioindaco, scarlatto tioindaco 2G, ecc.) che s'impiegano anche riducendoli con solfuro di sodio e vi sono invece colori allo zolfo (della serie dell'idrone, cibanone, ecc.) che si adoperano anche riducendoli con idrosolfito.
Colori insolubili per seta artificiale (Acetil, Cibacet, Celliton, ecc.). - Sono colori che pur essendo insolubili in acqua vengono adoperati come tali, emulsionandoli con sapone, solforicinato, trialina, ecc. Hanno come caratteristica la solubilità in acetone e vengo1io assorbiti dalla fibra probabilmente sotto forma di soluzione solida.
Sostanze coloranti sintetiche su fibra. - Questo gruppo comprende tutte quelle sostauze che per mezzo di speciali processi si trasformano su fibra in sostanze colorate insolubili. Cioè la sostanza colorante si forma per sintesi sulla fibra stessa. Si capisce facilmente che le sintesi effettuabili non sono molte e sono limitate a quelle reazioni che avvengono facilmente e con prodotti e condizioni che non alterino la fibra.
La principale sintesi è quella del nero anilina, applicata quasi esclusivamente su cotone: il colore si forma ossidando su fibra i sali di anilina di acido minerale (acido cloridrico, solforico, ecc.) per mezzo di ossidanti (bicromato, clorato, ecc.) e in presenza di sostanze catalittiche (sali di rame, ferro, vanadio, ecc.). A seconda dei reattivi impiegati e delle condizioni di ossidazione si conoscono tre tipi di processi: nero diretto o a bagno, nero d'ossidazione, nero vapore. Un'altra sintesi è quella degli azoici insolubili o colori al ghiaccio usati specialmente per cotone: si utilizza la reazione generale dei sali di diazo con i copulanti, scegliendo quelle ammine diazotabili e quei copulanti che generano colori azoici insolubili. L'operazione si compie preparando prima la fibra in copulanti adatti (naftoli) e passando poi questa in sali di diazo iri condizione appropriata. L'operazione inversa non dà buoni risultati.
I colori ottenuti son in genere molto vivaci, assai solidi, economici e trovano largo impiego sia nella tintura sia nella stampa del cotone. Per molto tempo vennero usati solo il rosso paranitro, o rosso para, l'arancio di metanitro, e il granato azoico, che corrispondono rispettivamente ai diazo di paranitro-anilina, meta-nitro-anilina, alfa-naftilammina, copulati con beta-naftolo. A questi si sono aggiunti nuovi colori ottenuti con copulanti speciali (naftoli AS) che hanno la proprietà, a differenza del beta-naftolo, di essere assorbiti dalla fibra (leggiero carattere sostantivo) e di dare con svariati diazo la serie completa dei colori. Oltre alle sintesi di colori su fibra ottenuti con prodotti organici, si possono ottenere anche colori con sostanze inorganiche. I più usati sono quelli ottenuti per formazione sulla fibra di ossidi-idrati di ferro, cromo, manganese, ecc., conosciuti sotto il nome di ruggine, kaki minerale, nankin, ecc.
Pigmenti e lacche. - Pigmenti sono i colori insolubili, sia inorganici sia organici; lacche sono sostanze coloranti rese insolubili precipitandole con mordenti adatti. Si possono ottenere da sostanze coloranti basiche, precipitandole con tannino ed emetico, oppure precipitandole con colori sostantivi; da sostanze fenoliche, precipitandole con mordenti metallici adatti, p. es. l'alizarina con idrato di alluminio, la cocciniglia con idrato di stagno, ecc.; da sostanze acide, trattando la soluzione del colore con solfato basico di Au e poi cloruro di Ba; il colore viene trascinato dal solfato di Ba in forma di lacca di Al. I pigmenti e le lacche possono servire nella stampa dei tessuti, per inchiostri tipografici, per vernici, per caucciù, nella tintura della carta, ecc.
Altre particoiari applicazioni di sostanze coloranti. - Il diffuso pregiudizio che le aniline siano velenose, si originò certamente dal fatto che il più importante dei primi coloranti artificiali, la fucsina, veniva fabbricata con acido arsenico, e che più d'uno dei nitrocoloranti fu constatato tossico. Da allora, attraverso ricerche sístematiche, si riconobbe che un certo numero di tali materie erano del tutto inoffensive e furono autorizzate per le colorazioni artificiali di paste, sciroppi, ecc.; per molte altre si trovò poi che avevano un'azione selettiva su certi tessuti, o un'attività più o meno grande sui bacilli e furono usate in microscopia e in medicina.
Coloranti per prodotti alimentari. - Fino a non molti anni fa in Europa furono usate tutte le materie coloranti per colorare artificialmente sostanze alimentari, fatta eccezione di alcune poche espressamente vietate per la loro riconosciuta tossicità. Fu per prima la severità sanitaria, fiscale e di controllo americana a limitare grandemente il numero dei coloranti permessi per tali scopi e questo esempio fu, più per ragioni di utilità del commercio d'esportazione che per ragioni strettamente sanitarie, imitato anche dagli altri paesi.
In Italia la colorazione di generi alimentari fu consentita, dal r. decr. 30 ottobre 1924, n. 1938, solo con i seguenti prodotti: giallo naftol, crisodina, sudan 1°, tartrazina, arancio 1°, bordeaux B, ponceau 2 R, 3 R, 4 R, 6 R, eritrosina, eosina, flossina, blu anilina, blu solubile all'acqua, verde malachite e verde luce, violetto metile e carminio d'indaco.
Coloranti in medicina. - Il grande lavoro sui prodotti intermediarî per coloranti ha procurato molte importanti sostanze medicinali come l'acido salicilico e i suoi derivati disinfettanti, febbrifughi, narcotici, ecc. Ma dagli studî di Ehrlich (1885) sull'azione farmacologica del blu metilene, le applicazioni di sostanze coloranti in medicina si sono molto estese.
Poiché i batterî sono molto sensibili all'influenza delle radiazioni (specie ultraviolette), è naturale che la materie coloranti che hanno per loro peculiare proprietà di selezionare e assorbire (in virtù delle disposizioni e dei rapporti dei loro protoni ed elettroni) le radiazioni dello spettro, possano avere sui microrganismi energiche azioni. I coloranti in medicina sono stati applicati come battericidi; nelle diagnosi; per stimolare l'accrescimento dell'epitelio. V. anche oltre, p. 877 seg. e la voce chemoterapia.
Coloranti in fotografia. - Lo sviluppo dell'industria delle materie coloranti ha occasionato la preparazione di una grande varietà di prodotti intermedî, taluno dei quali ha trovato utile applicazione in fotografia specie come sviluppatore: tali l'idrochinone, la glicina, il p- amminofenolo e il suo metilderivato (metolo), il diamminofenolo, ecc. Ma anche sono state applicate in fotografia sostanze coloranti propriamente dette, con risultati importanti come sensibilizzatori e desensibilizzatori delle emulsioni fotografiche; come schermi o filtri per la luce nell'intento di rendere attivi o iriattivi certi raggi dello spettro; per veri e proprî processi fotografici di impressione e sviluppo, i risultati sono stati assai meno brillanti di quel che le prime esperienze promettevano.
I primi due impieghi sono fondati sulla stessa ragione teorica cioè sulla capacità delle materie coloranti di assorbire o no le radiazioni di certe lunghezze d'onda e cioè i raggi attinici e non attinici, e sulla verosimile formazione di speciali composti coi sali d'argento. I sensibilizzatori si adoprano particolarmente nella fabbricazione di lastre ortocromatiche: i più importanti sono alcuni derivati delle chinoline (rosso e blu chinolina, isocianine, pinacianoli, naftocianoli, criptocianine) e inoltre la corallina, l'eosina, l'eritrosina per la sensibilizzazione ai raggi gialli e giallo verdi, il corinto, il rosso glicina, ecc. I desensibilizzatori rispondono allo scopo di consentire lo sviluppo delle lastre, anche sensibilissime, fuori dell'oscurità rendendole insensibili ai raggi rossi e gialli; essi esercitano sul bromuro d'argento una vera azione chimica che ne riduce la sensibilità fino a 1/300 senza che l'immagine venga in nulla alterata. I desensibilizzatori più importanti sono: le safranine, le rosinduline, lo scarlatto R, l'auranzia, la crisoidina, e, meglio, i gialli e verdi ottenuti da prodotti di condensazione flavindulinici (pinacriptoli). Molti altri coloranti hanno tale azione, ma sono espressamente studiati e preparati, non scelti fra i coloranti ordinarî. Come filtri per la luce si adoprano specialmente sostanze gialle: tartrazina, aurammina, gialli luce, ecc.
Le materie coloranti che in teoria si prestano a fornire immagini fotografiche sono molte, ché numerosissime sono quelle sensibili alla luce con o senza catalizzatori, ma risultati pratici non sono stati finora ottenuti che con composti diazoici. Il più antico di questi è il diazo di primulina (o il suo prodotto fenolico di decomposizione); più recenti e importanti il diazo-anidride dell'acido 1-2-4 amminonaftolsolfonico e il giallo diazo luce 2 B di Bayer. In questi processi, l'immagine ottenuta per esposizione alla luce viene sviluppata con ammine, fenoli, ecc. con che si formano nelle parti protette dalla luce sostanze coloranti azoiche; ma anche si può fare la mescolanza del diazo con l'ammina o il fenolo e magari altre sostanze in ambiente acido che mentre ne impedisce la copulazione non altera la sensibilità del diazo alla luce. Le carte così sensibilizzate sono poi sviluppate con alcali che può essere anche l'ammoniaca gasosa con che si evita ogni immersione in liquidi. Questi processi han potuto essere utilmente applicati per riproduzione di disegni industriali in luogo dei blu al ferrocianuro e per ottenere immagini positive cinematografiche sulla cellophan, prodotto più a buon mercato dell'ordinaria film ma che non sopporta di essere bagnato. S'intende che tutti questi processi che dànno da una positiva un'altra positiva non sono adoperati che per riproduzioni. Per la fotografia colorata Lumière e analoghi processi si usano diverse sostanze coloranti per colorare i granuli d'amido. Per colorazione di film, delle molte saggiate poche han trovato impiego e quasi sempre temporaneo: fra queste il verde naftolo e l'amaranto.
Coloranti come esplosivi. - Alcuni polinitroderivati che costituiscono potenti esplosivi sono stati adoperati come coloranti, ma il loro uso tintoriale è ormai trascurabile. Come tipi di coloranti esplosivi si possono tenere l'acido picrico (che fu il primo colorante artificiale per seta e lana) e l'auranzia (esanitrodifenilammina). Altri esplosivi come il diazo dell'acido picrammico e molti diazo composti non sono materie coloranti propriamente dette.
Usi varî. - Le sostanze coloranti sono state pure usate come indicatori (v.). In geologia si adoperano la eosina e la fluorescina per riconoscere sorgenti d'acqua e il loro corso, dato il loro enorme potere colorante.
Industria.
Fabbricazione. - La produzione annua mondiale delle sostanze coloranti è di quasi 200.000 tonnellate e investe un valore di oltre 1 miliardo e mezzo di lire. E poiché tali forti produzioni sono, per varie ragioni economiche, eseguite da un numero ristretto di fabbriche che partendo dai più semplici prodotti di distillazione del catrame - benzolo, toluolo, fenolo, naftalina, antracene - preparano sostanze assai complesse, come molti intermedî e coloranti, si può comprendere come occorrano a questo scopo vastissimi e costosi impianti chimici e tecnici di alto valore. Si consideri poi che questa industria è fortissima consumatrice di prodotti dell'industria inorganica, acidi, tiasi, solfuro, cloro, riducenti, ossidanti, ecc., quindi, per solito, unita alla grande industria chimica, o anche ad altre similari (profumi sintetici, prodotti farmaceutici, fotografici, ecc.), e ci si spiegherà facilmente come talune fabbriche costituiscano colossali organismi che - come ad es. la Badische A. S. F. - occupano centinaia di chimici e molte migliaia di operai.
Una fabbrica tipo, che immaginiamo isolata dalle altre fabbricazioni ausiliarie e similari, comprende: 1. Centrale termica, centrale elettrica, centrale idrica; 2. Impianto di aria compressa, impianto del vuoto, impianto del ghiaccio; 3. Officina meccanica, officina falegnami, officina bottai; 4. Ufficio progetti; 5. Magazzino materie prime; 6. Impianti prodotti intermedî; 7. Magazzino intermedî; 8. Laboratorio analisi; 9. Impianti di materie coloranti; 10. Essiccatoi, macine, mescolatori; 11. Laboratorî tintoria; 12. Laboratorî ricerche; 13. Magazzini deposito e spedizione colori; 14. Direzione e contabilità; 15. Servizî varî.
Ufficio tecnico. - Tutti gl'impianti da 1 a 4 sono alle dipendenze dell'ufficio tecnico per la sorveglianza del loro perfetto funzionamento: gli impianti delle centrali sono, in generale, opera delle case costruttrici specializzate. S'intende che a seconda dell'entità delle fabbriche, non soltanto esse variano di capacità ma anche di qualità, e uno dei vantaggi dei grandi stabilimenti è di poter utilizzare i sistemi più moderni di centrali termiche nelle quali si sfrutta il salto di pressione del vapore per alimentare turbine ed avere così una produzione di energia elettrica a basso costo.
Rispetto alla produzione in peso di coloranti, le quantità di vapore (e anche di acqua) che si consumano sono molto grandi e quindi il costo del vapore incide sensibilmente sul prezzo del colore; perciò ogni economia in questo impianto è essenziale. A certe fabbriche di grande estensione conviene avere più d'una centrale, ma questo è uno dei problemi che deve risolvere caso per caso nel modo più economico l'ufficio tecnico come anche i problemi riferentisi agl'impianti dell'aria compressa, del vuoto, che possono avere molte diverse soluzioni.
Magazzino materie prime. - Alcune materie prime, come benzolo, toluolo, ecc., sono infiammabili e per la loro conservazione vi sono regolamenti speciali; altre, che si adoperano pure in grandi quantità, sono di pericoloso maneggio, come l'oleum, l'acido nitrico concentrato, la soda caustica, ecc.; altre fortemente corrosive per i metalli come l'acido cloridrico, l'acetico, ecc., richiedono vetro, gres o l'alluminio. Il deposito di queste materie prime, il loro scarico da vagoni cisterne e la loro distribuzione ai reparti costituiscono un problema non semplice e richiedono già vasti e particolari impianti. La tav. CLXXIII mostra un deposito di oleum, monidrato e soda caustica.
Prodotti intermedî. - S'è già accennato alla importanza di questi prodotti. Molti vengono fabbricati indipendentemente potendo servire a preparare diversi coloranti, come ad es. l'acido H, la p-nitranilina, la benzidina, il chetone di Michler, le metadiammine, ecc.; altri vengono invece preparati nell'impianto stesso che fornisce il colorante, come gl'intermedî per l'indaco, la crisofenina, il verde malachite, ecc.
La fabbricazione degl'intermedî raggiunge in molti casi cifre più imponenti di quelle degli stessi colori più usati:
La produzione tedesca è all'incirca doppia di quella americana.
Poiché dal prezzo di costo e dalla purezza degli intermedî dipendono il costo e la qualità dei coloranti, cosi è del massimo interesse che i loro problemi chimici e tecnici vengano bene studiati e ben risolti, sia per la scelta del processo di fabbricazione e per le sue modalità, sia per i più convenienti macchinarî, materiali e disposizione degl'impianti.
Si può dire che in gran parte le operazioni della chimica organica sono impiegate nelle fabbricazioni di questi prodotti e principalmente: alogenazioni, nitrazioni, solfonazioni, saponificazioni, eterificazioni, riduzioni, ossidazioni, condensazioni. E quasi tutte le operazioni fisiche che servono a separare solidi da liquidi, e liquidi da liquidi, sono continuamente impiegate nelle loro diverse forme: decantazioni, filtrazioni a pressione e con vuoto, centrifugazioni, distillazioni, distillazioni nel vuoto e in corrente di vapore, rettificazioni, pressature, cristallizzazioni, ecc.
Per queste ragioni la fabbricazione dei prodotti intermedî richiede assai maggiore spazio, forti consumi di materie prime, complessità, grandiosità ed usura di macchinarî e un rapporto di operai circa triplo rispetto a quello dei coloranti. Taluni intermedî si ottengono con due o poche operazioni chimiche ma altri ne richiedono un notevole numero e le loro forti produzioni obbligano a grandiosi impianti con molti apparecchi in serie per la stessa operazione chimica. La tav. CLXXIII mostra appunto una batteria di solfonatori nella preparazione dell'acido H.
Per vedere la complessità di fabbricazione di uno fra i più importanti intermedî si può esaminare appunto quella dell'acido H (acido amminonaftoldisolfonico 1 - 8 - 3 - 6). Per giungere a questo prodotto si parte dalla naftalina (già distillata in precedenza) e si passa per le seguenti fasi: 1. Solfonazione della naftalina con acido solforico:
2. Separazione del β-naftalinsolfonato sodico; 3. Solfonazione con oleum del naftalinsolfonato:
4. Nitrazione dell'acido naftalintrisolfonico:
5. Neutralizzazione e separazione dell'acido nitronaftalintrìsolfonico. 6. Riduzione con ferro del nitronaftalintrisolfonico:
7. Concentrazione, precipitazione e separazione dell'acido amminonaftalintrisolfonico. 8. Fusione con soda caustica dell'amminotrisolfonico:
9. Separazione del bisolfito; 10. Precipitazione e separazione dell'acido H in pasta; 11. Essiccamento dell'acido H.
S'intende subito quali consumi di acido solforico, di oleum, di soda caustica, e quali impianti corrispondano a produzioni dell'ordine citato, considerando che in Italia un unico impianto è adibito a questa fabbrícazione e che anche in Germania o in America le produzioni di questi intermedî sono opera di pochissime fabbriche. E s'intende anche come in tale serie di operazioni un piccolo scarto di rendimento o perdita in qualcuna di esse influisca fortemente sul costo finale. Perciò si deve ritenere la fabbricazione degl'intermedî come il più preciso esponente del livello dell'industria dei coloranti: basterà del resto citare che la stessa Svizzera, che ante guerra era la 2ª produttrice mondiale ed esportava coloranti nella stessa Germania, importava però gran parte degl'intermedî e non poté mai produrli al costo di quelli tedeschi. Gl'intermedî che si consumano dentro la fabbrica vengono di solito adoperati greggi o in pasta. Per la vendita sono purificati o essiccati.
Macchinarî. - La varietà del macchinario di una fabbrìca di materie coloranti corrisponde alla varietà delle operazioni chimiche e fisiche che ivi si compiono e che sappiamo essere grandissima. Vi sono tuttavia macchinarî più tipici e frequenti e cioè: solfonatori, nitratori, riduttori, caldaie dî fusione, autoclavi a basse ed alte pressioni per le operazioni chimiche. Questi apparecchi posson variare (entro certi limiti) di capacità, molto varieranno di numero, ma poco diversificano come tipo; la tav. CLXXIV mostra una serie di nitratori per la preparazione del binitrofenolo. La serie delle operazioni fisiche comporta una maggior varietà di macchinarî che comprendono: pompe d'ogni specie, montaliquidi di molteplici forme, filtri a pressa d'ogni grandezza, centrifughe, presse idraulihe, evaporatori a semplice e multiplo effetto, distillatori in corrente di vapore, colonne rettificanti, tine e vasche di cristallizzazione, ecc. Oltre a questi sono in continuo uso tutti gli apparecchi per il riscaldamento (forni di ogni specie) e quelli per la distribuzione e misura delle varie specie d'energia che per essere comuni alle altre grandi industrie non sono qui da trattare.
Nella tav. CLXXIV, che mostra un reparto di fabbricazione, si può vedere come alcuni di questi elementi siano distribuiti in un impianto e quale complessità ne risulti. Aggiungeremo che la costruzione di questi macchinarì, per le alte pressioni, per speciali resistenze ad agenti chimici o al calore, o per altre qualità rìchieste o per le loro dimensioni o per materiali rari o di difficile lavoro, costituiscono spesso dei gravi problemi per le industrie meccaniche.
Materiali. - Oltre ai problemi chimici e meccanici che abbiamo accennati, altri, non meno importanti, sono imposti alle diverse tecnologie per i materiali. L'industria delle sostanze coloranti sintetiche si serve di materiali svariatissimi che vanno dai refrattari al caucciù, dalla lamiera stagnata alla porcellana, dall'eternit ai mastici e alle vernici, ma qui diremo di quelli sempre adoperati. Negli apparecchi ehe adoperano acido solforico e nitrico concentrati e soda caustica, si usa la ghisa o le ghise contenenti silicio e alluminio perché più resistenti ai suddetti reagenti. Quando gli apparecchi devono sopportare invece forti pressioni si ricorre ad autoclavì in ferro dolce, o acciaio, o acciai speciali al nichel, al cromo, ecc.
Gli apparecchi metallici che devono resistere ad acidi minerali diluiti vengono rivestiti di un sottile strato di piombo o di lamina di piombo e le tubazioni vengono pure fatte in piombo. Quelli che si vogliano resistenti all'acido acetico o cloridrico concentrato caldi si fanno in ghisa smaltata o in gres o in vetro o anche in argento, oppure con rivestimenti di ebanite o porcellane o speciali vernici.
Un materiale usatissimo è il legno, specialmente per costruzione di tine, montaliquidi, decantatori, ecc.: esso consente grandi capacità con relativamente poco peso e poco costo e resiste assai bene a tutti i reagenti chimici diluiti. Il più usato è il legno pitchpine americano, ma sono anche usati il larice, il pino, la quercia e il pioppo. Altri materiali discretamente impiegati sono il cemento per la sua resistenza agli alcali, e le piastrelle antiacide per acidi e ossidanti in genere. Il problema, sovente grave, delle filtrazioni richiede materiali tessili svariati come tele per filtri, in cotone, iuta, canapa, lana, pelo di cammello, capelli, e, per filtrazioni fortemente acide, paste speciali di nitrocotone (nitrofiltri).
La scelta di questi materiali è subordinata non soltanto allo scopo, forma, grandezza del macchinario (o accessorî), a cui sono destinati, ma deve conciliare nel miglior modo le esigenze di ordine chimico, meccanico, tecnologico ed economico: essa costituisce quindi un campo tecnico vasto e delicato.
Magazzini degl'intermedî. - La grande varietà di questi prodotti, la opportunità di seguire nella loro fabbricazione un ritmo regolare e al riparo dalle oscillazioni del commercio dei colori, il loro prezzo sempre notevole e spesso elevato, la necessità di una lor buona conservazione e del facile maneggio, comportano magazzini vasti, nei quali sono investiti capitali spesso molto ingenti. Taluni intermedî sono infiammabili o esplosivi e per il loro deposito vigono disposizioni legislative.
Laboratorio analisi. - Più ancora che per il controllo delle materie prime, o d'acquisto o provenienti da altri reparti, il compito dell'analisi è quello essenzialissimo di determinare con sicurezza titolo e qualità dei prodotti intermedî: dall'esattezza di questi dati dipende gran parte della buona fabbricazione dei coloranti. I problemi analitici che si connettono agl'intermedî sono in molti casi fra i più difficili e delicati dal punto di vista sia chimico sia della tecnica delle titolazioni.
Impianti materie coloranti. - Per quanto il numero delle marche di materie coloranti che una fabbrica può mettere in commercio sia elevatissimo, tuttavia non è necessario che vi corrispondano altrettanti impianti, poiché è possibile con lo stesso impianto produrre più serie di coloranti di analoga costituzione come avviene ad esempio per la fabbricazione dei colori azoici. Però, quando la produzione va fatta su vasta scala e con forti quantitativi, come nel caso del nero diretto, nero allo zolfo, nero al cromo, blu diretto, indaco, crisofenina, ecc., colori di basso costo e di grande consumo, occorrono impianti unicamente adibiti a tali coloranti. La scelta e lo studio, da parte del chimico, del processo di fabbricazione più adatto e a maggior resa, subordinatamente alle difficoltà non sempre superabilì di una produzione su vasta scala industriale, è, come per gl'intermedî, la parte più difficile e più delicata dell'impianto. Non stupirà quindi se p. es. dalla prima sintesi dell'indaco fatta in laboratorio siano occorsi quasi dieci anni di continue esperienze di chimici di indiscusso valore e molti milioni di lire per arrivare alla conveniente fabbricazione su scala industriale; e così dicasi di molti altri colori.
Le operazioni che servono alla produzione dei coloranti sono molteplici e buon numero in comune con quelle degl'intermedî, tuttavia ve ne sono alcune più caratteristiche per i coloranti, quali: diazotazioni, copulazioni, condensazioni, ossidazioni, alchilazioni, ecc. Degli svariatissimi impianti e modi di preparazione delle diverse classi di coloranti noi accenneremo qui soltanto alla fabbricazione di un colorante dello stilbene (crisofenina) e di un colorante azoico (nero diretto), rimandando alla voce indaco per la visione di un perfetto e completo impianto di colorante al tino.
La fig.1, a e b, rappresenta il diagramma di lavorazione che viene seguito per la fabbricazione della crisofenina (metodo A. G. Green).
Le reazioni chimiche sono le seguenti: 1. Solfonazione del paranitroto luolo
2. Ossidazione con ipoclorito del prodotto solfonato
3. Riduzione del dinitrostilbendisolfonico a diamminostilbendisolfonico
4. Diazotazione del diamminostilbendisolfonico e copulazione con fenolo (formazione del giallo brillante)
5. Etilazione del giallo brillante (formazione della crisofenina)
La prima reazione si fa in apparecchio per solfonazione con oleum (1) (come quelli della tav. CLXXIII); il prodotto solfonato viene spinto con aria compressa nella tina (2) dove viene precipitato, e di lì poi lasciato cadere nella centrifuga sottostante (3). Il prodotto raccolto viene portato per mezzo del vicino montacarichi nella tina in cemento (4) per l'ossidazione con ipoclorito (2ª reazione). Terminata la quale il dinitrostilbendisolfonico formatosi vien portato nella tina sottostante (5) e precipitato. Lo si manda poi nel montaliquidi annesso e di lì con aria compressa nel filtro a pressione (6). Dai quadri del filtropressa si raccoglie il dinitrostilbendisolfonico in pasta e lo si porta nella caldaia per riduzioni (7), per ottenere il diamminostilbendisolfonico (3ª reazione).
Finita la riduzione si spinge la soluzione del diammino nel montaliquidi e poi attraverso un filtropressa, per separarlo dalla limatura di ferro e dagli ossidi di ferro, e di lì alla tina (8) per la sua precipitazione. Appena il prodotto è tutto precipitato lo si filtra attraverso l'annesso filtropressa (9) munito del rispettivo montaliquidi. Il diammino in pasta viene portato nella tina (10) dove lo si diazota e poi lo si copula con fenolo (4ª reazione); terminata la copulazione e precipitato il giallo brillante lo si filtra, e la pasta raccolta si pone nell'autoclave (11) per etilazione sotto pressione e la si trasforma in crisofenina (5ª reazione). Compiuta l'etilazione si filtra la crisofenina nel filtropressa; ma la crisofenina cosi ottenuta è poi sovente sottoposta ad una o più purificazioni che vengono fatte nella tina (12). Nel filtropressa (13) viene raccolta la crisofenina pura che può essere eventualmente pressata con la pressa idraulica per ottenere la concentrazione richiesta da taluni mercati esteri.
Naturalmente in un impianto per crisofenina vi sono più serie di tali apparecchi, sia per avere una maggior produzione - occorrendo circa 15 giorni di tempo dalla prima operazione all'ultima - sia per premunrsi da eventuali guasti del macchinario.
La fig. 2 rappresenta un impianto tipo per colori azoici e può servire per qualunque colore azoico anche molto più complesso del nero diretto, quindi in questo schema vi sono alcune parti dell'impianto che nel nostro caso non sono necessarie.
Le reazioni chimiche per ottenere il nero diretto A sono le seguenti: 1. diazotazione della benzidina; 2. copulazione in mezzo acido con acido H; 3. copulazione di quest'intermedio, benzidina → acido H, con diazo d'anilina; 4. copulazione in mezzo alcalino di questo intermedio, benzidina → acido H Á anilina, con metafenilendianina.
La prima reazione si fa nella tina (3) mentre nella tina (2) si piepara la soluzione dell'acido H e nella tina (1) si preparerà a tempo giusto il diazo d' anilina. Terminata la diazotazione della benzidina si fa scendere l'acido H nella tina (3) e, a copulazione compiuta, vi si fa arrivare il diazo d' anilina dalla tina (1). Finita anche questa copulazione, dalla tina (2) si fa arrivare la soluzione alcalina della metafenilendianina. Terminata quest'ultima reazione si riscalda con vapore diretto: il colorante va in soluzione e si aggiunge poi tanto cloruro di sodio fino a precipitare il nero diretto A. Si manda allora tutto nel montaliquidi (5) e con l'aria compressa si spinge nel filtropressa (4), uno o più a seconda della produzione; dal filtro si leva la pasta del colorante pronta per l'essiccamento. Il filtropressa (7) e il suo relativo montaliquidi (6) servono nell'eventualità che si debba raccogliere e la pasta o il liquido delle tine (1) e (2) come p. es. nel caso del nero per seta artificiale.
Un impianto del genere riportato dal disegno e la cui ultima tina (3) abbia una capacità di 10.000 litri e 5 filtripressa ordinarî può produrre circa 300 kg. di prodotto puro secco per ogni lavorazione. Per una lavorazione occorrono circa tre giorni.
Una sola fabbrica italiana ne ha prodotto nel 1929 circa 360.000 kg.; la produzione americana del 1928 è stata di oltre 3 milioni e 300.000 kg., e quella tedesca assai maggiore. Si può facilmente intuire il numero e l'entità degl'impianti occorrenti: si adoperano infatti delle tine da 50.000 e anche 100.000 litri.
Essiccamento dei coloranti. - La preparazione degli intermedî e dei coloranti, com'è stata ora esposta, giunge fino al colorante in pasta come esce dalle centrifughe o dai filtripressa con quantità di acque variabili, ma per lo più dal 50 al 70%. Il problema di essiccare queste enormi quantità di paste, spesso alterabili nelle proprietà e nell'aspetto fisico per l'alta temperatura o la prolungata azione del vapore umido, non è di facile soluzione e sempre richiede vasti e speciali impianti. A seconda dei prodotti e delle entità delle produzioni, diversi sono i sistemi economicamente convenienti che vanno dalle semplici camere ad aria calda ai grandi essiccatoi a galleria, nei quali il colorante vien portato con determinata velocità lungo un certo percorso riscaldato e ventilato da cui esce pronto per la macinazione, agli essiccatoi a cilindri nei quali la pasta in sottile strato attraversa lungo tutta la superficie due cilindri rotanti a certa velocità e riscaldati con vapore.
Questi essiccatoi servono per forti produzioni di un unico colorante, il loro rendimento essendo molto elevato; in Italia se ne hanno tipi capaci di dare 15 quintali di prodotto al giorno. Ma il sistema più generale d'essiccazione - usato oggi anche dalle piccole fabbriche - è quello degli essiccatoi a vuoto, sistema Pinch e Passburg, costituiti da camere in lamiera di ferro divise in molti piani sui quali si pongono le padelle a fondo di lamiera stagnata o di eternit contenenti in brevi strati le paste dei coloranti. Nella camera si fa il vuoto con la pompa e si riscalda con vapore alla temperatura voluta; l'acqua calda di condensa vien rimandata per l'alimentazione delle caldaie a vapore. La serie di 8 Pinch e 1 Passburg della fig. 3 può dare una produzione giornaliera di circa 2500 kg. di colore secco.
Macinazione. - Il colore uscito secco e in pezzi dall'essiccatoio deve esser macinato, e poiché il commercio richiede oggi polveri finissime, gli antichi mulini a palle e le ordinarie macine sono ormai in disuso e sostituite con disintegratori come quello della fig. 4, o con macine a ventilazione come quelle dello zolfo ventilato agricolo.
Messa a tipo. - Con la macinazione sono terminate le operazioni che portano al colore "puro": questo deve essere ora analizzato per conoscerne esattamente la concentrazione e verificarne la buona qualità (purezza). Questa analisi è di carattere empirico ma più esatta d'ogni altra che sia stata sperimentata e consiste nel tingere in eguali condizioni due matassine, di ugual peso della fibra adatta, con quantità esattamente valutate del colorante in esame e del colorante "tipo" che la tintoria sperimentale conserva come campione di riferimento.
Constatato che la sfumatura del colore è perfetta (se non lo è verrà poi lievemente corretta cioè "nuanzata") e di quanto il colore in esame è più concentrato del tipo, si determina, con una semplice proporzione, di quanto occorra diluirlo (in generale con solfato o cloruro sodico o destrina) per portarlo alla marca di vendita o "tipo". Si fa in piccolo questa miscela, si eseguisce un'altra prova di controllo, si corregge eventualmente, poi il "colore puro" nelle quantità volute vien portato insieme col diluente in un buratto o mescolatore e intimamente miscelato per avere aspetto fisico e proprietà perfettamente omogenee. Il colore "a tipo" uscito dal buratto e controllato prima della spedizione vien posto in scatole di latta o in fusti di legno compensato e inviato all'acquirente.
Questo controllo importante economicamente e commercialmente non costituisce che il minor compito della tintoria sperimentale, alla quale spettano la scelta delle "marche" più convenienti per la vendita, le delicate nuanzature e miscele dei prodotti di fabbricazione non sempre perfetti, lo studio dei nuovi tipi richiesti dalla clientela, il giudizio sulle proprietà e sull'interesse commerciale dei nuovi prodotti forniti dai laboratorî ricerche, lo studio dí nuove applicazioni, ecc. Compiti questi tutti dí vitale interesse per la fabbrica.
Magazzino colori. - Fra la produzione del colore secco e la effettiva spedizione trascorre un certo tempo durante il quale i colori sono conservati nei magazzini "colori puri" e "colori a tipo". Quanto maggiore è la quantità di marche che una fabbrica ha poste in commercio tanto maggiore è la quantità di scorte che si debbono tenere per poter prontamente eseguire gli ordini che possono ad ogni momento pervenire. Tali scorte, per l'alto prezzo dei coloranti, comportano sempre forti capitali. Una opportuna scelta delle proprie marche commerciali, un ben calcolato equilibrio delle scorte, cioè in sostanza un giusto rapporto fra le vendite e la produzione, è cosa che richiede qualità ed esperienza negli uomini che vi son preposti ed è fra i difficili compiti, e in terreno comune, delle direzioni tecnica e commerciale. Comunque, per le scorte sia di materie prime sia d'intermedî e colori finiti, questa industria è fra quelle che impegnano capitali fortissimi in rapporto alla sua produzione-valore.
Laboratorî ricerche. - Soltanto le grandi fabbriche si concedono questa spesa. Eppure il grande successo tedesco e svizzero è stato raggiunto per merito quasi esclusivo di tali ricerche. Le industrie di sostanze coloranti create nel dopo guerra in Francia, Inghilterra e America, occupano una percentuale di chimici maggiore di quella della Germania nel suo tempo buono. In America nel 1928, su 169 fabbriche che lavoravano prodotti del catrame, 43 avevano laboratorî di pure ricerche indipendenti dalle lavorazioni, e le spese per ricerche ammontarono a 676.882 dollari cioè oltre 50 milioni di lire (Census of Dyes, 1928). Anche le piccole fabbriche, che lavorano su antiche preparazioni ormai standardizzate, devono avere laboratorî per controllare le loro lavorazioni.
Storia dell'industria. -Fino al 1856 - anno in cui fu scoperta da Perkin la malveina - si utilizzavano per la tintura i colori naturali alcuni dei qualì, fabbricati industrialmente, sono ancora oggi in grande uso per la loro eccellente resistenza alla luce e al lavaggio. A 40 anni di distanza dalla preparazione della malveina diverse migliaia di coloranti artificiali di ogni tinta, di ogni qualità, di ogni prezzo e per ogni fibra erano già nel commercio mondiale. Alcune sostanze coloranti artificiali erano già state preparate molto tempo avanti Perkin (come l'acido picrico, dall'acido nitrico sull'indaco, nel 1777 da Woulfe; l'acido rosolico nel 1834 da Runge), ma restarono fatti isolati e trascurati. La vera scoperta delle sostanze coloranti è legata alle ricerche scientifiche di Mitscherlich, Hoffmann, Zinin e altri sui prodotti di distillazione del catrame. Essi precisarono le conoscenze sulla natura dei prodotti formati nella distillazione pirogenetica, determinarono le relazioni fra benzolo, fenolo, anilina, ecc., e la loro composizione. Lo sviluppo dell'industria del gas illuminante poté poi fornire a prezzo sufficientemente basso le materie prime, realizzando l'altra condizione perché una industria di coloranti artificiali potesse formarsi e prosperare. La tintura era sempre alla ricerca di nuovi mezzi: l'acido picrico (ripreparato da Laurent nel 1842 dal fenolo del catrame con acido nitrico a un prezzo accessibile) fu subito adoperato da Guinon a Lione per tinte gialle e tinte moda in miscela coi colori naturali, per lana e seta; nel 1855 fu poi introdotta la muresside malgrado la mancanza di brillantezza e altri difetti. Questi studî e ricerche vennero d'altra parte a coincidere con un'epoca di grande progresso scientifico qual'è quella che fra il 1850 e il '60 vedeva maturati i grandi lavori sperimentali e teorici di Avogadro, Berzelius, Liebig, Dumas, Wöhler, Piria, Frankland, ecc., la pleiade dei grandi chimici della prima metà dell'Ottocento.
William Henry Perkin, allievo a Londra di A. W. Hofmann, scoperse (ricercando una sintesi della chinina) che per ossidazione dell'anilina greggia, quale allora si otteneva, con acido cromico si formava una sostanza color violetto, capace di tingere le fibre animali. Egli chiamò questa sostanza malveina e ne intraprese la preparazione industriale. Sebbene la scoperta fosse casuale, occorrevano le straordinarie qualità di osservatore e sperimentatore di Perkin per accorgersi che, accanto alle grandi quantità di nero d'anilina, si formavano nella reazione piccole quántità del suo prodotto. E malgrado gli scarsi rendimenti, l'alto prezzo del colorante e la sua poca solidità agli alcali e alla luce, la sua brillantezza di tinta e la novità ne fecero entusiasti i tintori di seta procurandogli un successo tecnico e finanziario. Poco tempo dopo, nel 1859, in Francia, per aziope sull'anilina del tetracloruro di stagno, Emanuele Verguin ottenne un magnifico colorante cremisi, la fucsina, che Hofmann aveva già ottenuta ma trascurata. Fu subito brevettata come procedimento e come colorante da Renard Frères & Frank a Lione e industrialmente fabbricata; il successo fu immenso e il prodotto, greggio com'era, fu venduto a 1000 e fino 2000 franchi al chilo.
Da allora l'anilina fu sottoposta ad ogni possibile trattamento e la fucsina fu ottenuta in svariatissimi modi, e con molti procedimenti brevettati, di cui alcuni migliori di quello di Verguin: il processo Gerber-Keller al nitrato mercurico fu brevettato nel '60 in Francia, quello all'acido arsenico, che doveva per tanto tempo soppiantare ogni altro, fu brevettato ai primi del '60 in Inghilterra da Nicholson, in Francia da Girard & De Laire che lo vendettero a Renard-Frank. E insieme con la fucsina e derivati da questa, molti altri coloranti vennero scoperti: si ebbe fra il '60 e il '62 in Francia e in Inghilterra, grande fervore di ricerche e di scoperte legate ai nomi di Lauth, Girard & De Laire, Kopp, Persoz, Coupier, Grimaux; apparvero i blu di Lione e di Parigi, il blu solubile di Nicholson, i violetti di Hofmann, Imperial e Britannia, altri coloranti verdi e gialli che allargarono la gamma tintoriāle. Nel febbraio 1862 apparve infine la magistrale memoria di Hofmann sui coloranti dell'anilina con la quale egli stabilì la loro derivazione da una base incolora rosanilina che isolò e ridusse a leucanilina, determinandone la composizione, preparandone i derivati metilati ed etilati, precisandone le condizioni di formazione da anilina e toluidina.
L'industria delle sostanze coloranti veniva così vivacemente sorgendo e rigogliosamente affermandosi in Francia e in Inghilterra. Ma la sua stessa prosperità ne cagionò ìl rapido deperimento. I possessori dei brevetti Verguin e Girard & De Laire intentarono processo alle case concorrenti (Gerber-Keller, Depoully, ecc.) rivendicando il diritto d'esclusiva fabbricazione della fucsina ed ebbero nel 1863 causa vinta. Trionfalmente allora si formò con 4 milioni di capitale "La Fuchsine" mentre avveniva l'esodo ìn Svizzera e in Germania degli altri fabbricanti francesi che costituirono nuovi nuclei per la preparazione di coloranti in terre dove le iniziative trovavano più favore e protezione. In Inghilterra lunghi e costosi processi fra la Holliday, Nicholson & Medlock, Levinstein, servirono a constatare bensì che i concessionarî inglesi de "La Fuchsine" avevan guadagnato in un anno 2 milioni e mezzo di franchi, ma anche l'aleatorietà di imprese così facilmente contestabili. La mancanza di ogni stimolo di concorrenza immediata al miglioramento delle proprie lavorazioni portò presto "La Fuchsine" alla mercé dei concorrenti esteri e nelt 1868 la fabbrica liquidava e i residui venivano incorporati nella Poirrier.
Il primo glorioso periodo dei coloranti artificiali era passato: all'insuccesso economico veniva ora ad aggiungersi, smorzando ogni nuova iniziativa, la diffidenza deì consumatori contro i nuovi colori brillanti sì, ma poco solidi (e, si diceva, velenosi). I tintori ripresero i coloranti ńaturali, sebbene riconosciuti ormai insufficienti; e furon molto plù cauti nell'adottare i nuovi. Né miglior sorte ebbe l'industria in Inghilterra, che pur sembrava un terreno ideale per la sua abbondanza di materie prime, per il forte consumo, per la sua Espansione commerciale in tutto il mondo, per avere avuto un iniziatore come Perkin, e per avere ora tecnici e scienziati geniasimi come A. W. Hofmann, Nicholson, Medlock, Caro, ecc. La stessa ricchezza inglese non era propizia ad incoraggiare industrie nuove, rischiose e di dubbio sviluppo. Inoltre l'Inghilterra deteneva tutto il commercio - per cifre imponenti - dei coloranti naturali e non vedeva con favore il sorgere e l'adattarsi al consumo di prodotti concorrenti. Una piccola e viva industria di coloranti artificiali si stabilizzò con le fabbriche di Perkin (che nel 1869 aggiunse aí suoi violetti la prima preparazione di alizarina), della Holliday, della Scottish, rma non trovò mai incoraggiamenti al suo sviluppo. Peter Griess, il geniale scopritore dei diazocomposti, compì le sue ricerche come lavoro complementare in una fabbrica di birra; Martius e Witt cercarono invano di impiegarsi in Inghilterra come tecnologi chimici. E questa condizione di sfavore si protrasse fino alla guerra del 1914: Arthur tìreen non ritrasse alcun vantaggio economico dalla fondamentale scoperta della primulina, né altri tecnici che riuscirono a conservare in terra inglese una buona e originale (seppure non grande) industria di colori ebbero mai posizioni economiche e morali paragonabili a quelle dei chimici tedeschi.
E dall'Inghilterra emigrarono Hofmann e O. N. Witt alle cattedre tedesche creandovi un grande interesse intorno ai nuovi problemi, e P. Griess, C. A. Martius e H. Caro che portarono un contributo di conoscenza e d'esperienza alle fabbriche tedesche che cominciavano seriamente ad affermarsi. Già all'esposizione di Parigi del 1867 le fabbriche svizzere e tedesche erano in maggior numero e le più interessanti. La Germania intorno al '60 era nella condizione opposta a quella inglese: paese povero, a densa popolazione, a grande altezza scientifica, cercava ogni possibile applicazione alle sue forze d'uomini e di volontà che dovevano poi così. rigogliosamente espandersi dopo il '70. L'industria dei coloranti trovò i capitali, la protezione di una giusta legislazione sui brevetti, aiuti vigorosi nelle scienze chimiche e fisiche, cooperazione nelle fiorenti industrie meccaniche. Il grande progresso della chimica organica, con le nuove teorie di Kekulé, Baeyer, Le Bel e Van 't Hoff, ecc., è proprio di quegli anni e portò ricchi frutti al lavoro scientifico e all'industria.
In Francia, malgrado l'insuccesso e le condizioni d'ambiente sfavorevoli ad altre iniziative, per opera degli eccellenti chimici che l'avevano brillantemente iniziata questa industria continuò a dar frutti preziosi: Coupier diede per primo l'anilina pura, separandola dalle toluidine con le quali preparò la rosotoluidina; Lauth, Girard e De Laire, la metil- e la dimetilanilina e i brillantissimi colori che ne derivano, ecc.; ma questi chimici lavoravano ormai in terreno sterile; le stesse scoperte dei coloranti nuovi conservavano, malgrado gli studî di Kopp, Hofmann, Béchamp, ecc., un certo carattere empirico. Se pure un gruppo di scienziati francesi aveva aderito alle nuove teorie della chimica organica elaborate in Germania, la scienza ufficiale francese si perdette in sterili polemiche contribuendo a gettare la chimica in quella confusione di lingue dalla quale la tolse poi il nostro Cannizzaro: l'industria non trovò in essa alcun aiuto e così avvenne che le stesse scoperte fatte in Francia non trovavano il corrispondente lavoro di interpretazione e di sviluppo e venivano poi elaborate, applicate e studiate in tutte le loro possibilità in Germania. Questo apparve più evidente quando Roussin nel 1875 scoperse e nel '76 Poirrier pose in commercio, i suoi aranci e poco dopo i ponceaux: brillantissimi colori, di discreta resistenza e soprattutto di straordinaria facilità di applicazione, destinati a grande successo, ancora oggi usatissimi. Non furono brevettati, e poco dopo Hofmann ne rese pubblica la costituzione. Altri coloranti azoici erano già stati fabbricati: l'amminoazobenzolo da Griess nel '61, il bruno fenilene o di Bismark da Martius-Dale nel '64, la crisoidina da Witt nel 1876, tutti però lontani dalle preziose proprietà di questi di Roussin. Ma la scoperta era nell'aria: già una prima nota di Griess, contemporanea, tratta la copulazione dei diazo coi fenoli; e una seconda del gennaio 1877 tratta dei coloranti che i diazo delle ammine, come tali e solfonate, dànno con ammine primarie, secondarie e terziarie; lo stesso anno Witt in Inghilterra prepara e pone in commercio gli stessi colori di Roussin; Caro sostituisce all'anilina l'α naftilammina e ottiene la rocellina.
Nel 1878 Baum per solfonazione del β-naftolo preparò e separò gli acidi R. e G. Il larghissimo campo degli "azoici" era aperto: colori di facile uso, a buon mercato, di solidità non eccellente ma sufficiente, di tutte le tinte, per ogni uso, che allargarono in grande misura il consumo sostituendo anche gli ultimi colori naturali eccetto l'indaco. Ma il completo lavoro in tale campo richiese la preparazione di centinaia di prodotti intermedî, ammine, naftoli e tutti i prodotti possibili delle loro combinazioni e dei loro prodotti solfonati, e la loro separazione. Opera difficile e che voleva laboratorî largamente dotati, molti chimici ben preparati e ben diretti: migliaia di coloranti furono provati per trovare quelli che servivano a vere esigenze di consumo. Fu lavoro di anni per il quale soltanto la Germania era attrezzata e pronta: a distanza seguì la Svizzera.
I frutti furono imponenti specie quando Nietzski nel 1879 preparò il 1° azoico del tipo "scarlatto di Biebrich" e Caro e Skraup altri tipi di tetrazoici. A questi azoici per lana si aggiunsero nel 1883 quelli di benzidina preparati prima da Witt e riconosciuti da Böttinger nel 1884, atti alla tintura del cotone non mordenzato (rosso Congo). Oramai, salvo qualche parentesi, come la scoperta della primulina fatta da Green nel 1887, che diede impulso alla nuova applicazione dei coloranti solidi su fibra, e come le genialissime sintesi di Sandmeyer e di Schmidt (anch'esso svizzero), quasi tutte le più importanti scoperte e i progressi essenziali della scienza e della tecnica dei coloranti sono legati a nomi tedeschi come mostra il seguente elenco che ne segnala le date più importanti: 1863, Lightfoot prepara e applica il nero d'anilina (poi perfezionato da Lauth nel 1864); 1864-66, primi coloranti azoici (Witt-Griess), Caro e Wanklyn precisano i rapporti fra rosanilina e acido rosolico; 1867, Girard e De Laire ottengono il blu di difenilammina, Lauth il violetto metile, Coupier le induline e loro solfonazione; 1869, Hofmann, Girard e Rosenthiel completano gli studî sul verde allo iodio e le rosaniline; 1869, Perkin prepara la 1ª safranina; Graebe, Liebermann e Perkin realizzano la sintesi dell'alizarina. Questa scoperta che aiutò anche a rialzare il prestigio dei colori artificiali serve a mostrare l'importanza che questa industria può avere nell'economia dei popoli o regioni. Il colorante naturale alizarina (v.) si otteneva dalla radice di una pianta, la robbia o garance, molto coltivata nel sud della Francia. La fabbricazione dell'alizarina artificiale fece scomparire quella coltivazione e il costo del colorante scese in pochi anni da L. 34 a L. 2 al kg.
Nel 1871, Baeyer scopre le ftaleine dalle quali Noelting e Caro preparano le eosine; 1872, Hofmann e Geyer pubblicano gli studî su induline e safranine; 1873, Hofnann pubblica le ricerche sul violetto e il verde metile; Rosenthiel e De Lalande preparano la purpurina; appare il primo colorante allo zolfo (Cachou de Laval de La Bretonnière); 1875, Witt e Roussin preparano i primi azoici per lana; Fitz la prima chinonossima; 1876, E. ed O. Fischer scoprono la paranosanilina e ne stabiliscono le relazioni col trifenilmetano; 1877, Caro prepara il blu metilene (scoperto da Lauth); Fischer e Döbner il verde malachite; Rosenthiel e Prudhomme l'arancio e il blu d'alizarina; 1879, si preparano i coloranti tetrazoici; le ossiazine di Meldola; il giallo naftolo (Caro); 1880, 1° brevetto di A. v. Baeyer per l'indaco artificiale; 1881, Witt e Köchlin scoprono gl'indofenoli e la gallocianina; primi coloranti su fibra; 1882, Caro e Kern introducono le nuove sintesi con l'ossicloruro di carbonio (violetto cristalli, auramina, blu vittoria, ecc.); 1884, 1° colorante diretto per cotone (Böttinger); 1885, 1° colorante da pirazoloni (Ziegler); 1886, benzoazzurrina, benzoporporine (Duisberg); 1887, Ceresole scopre le rodamine; Green la primulina e i colori ingrain; 1889, reazione Bohn-Schmidt; 1890, Bordeaux di alizarina e alizarincianine di R. E. Schmidt; 1893, Vidal prepara il nero allo zolfo, 2ª sintesi dell'indaco di Heumann; 1895, nitroalizarina (Ströbel); verde italiano di R. Lepetit; 1901, blu e giallo indantrene (R. Bohn); 1902, studî sulle ossiazine di Kehrmann; sintesi dell'indaco di Sandmeyer; 1903, costituzione dell'indantrene (Scholl); 1904, benzantrone, violantrene e cianantrene (Bally); 1905, tioindaco (Friedländer); 1906, sintesi di Kostanecki della luteolina; 1907, Engi prepara i primi derivati alogenati dell'indaco; Tomaschewski il rosso Algol; 1908, colori idrone (Haas); 1909, A. Schmidt il giallo e bruno elindone; violetto elindone (Ullmann).
La prosperità dell'industria tedesca che consentiva di dare larghi compensi al proprio capitale, non mancò di suscitare la concorrenza interna. Questo aiutò anziché deprimere il successo, stimolando iniziative e miglioramenti. Le scoperte che abbiamo sopra accennate dànno solo una pallidissima idea del grandioso lavoro che fu compiuto sia nel preparare gl'intermedî e i colori nuovì sia nel migliorarne fabbricazioni e prezzi. Per l'alizarina s'è già visto; la fucsina che costava nel 1861, greggia, più di 1000 fr. era nel 1895 pura e cristallizzata a 8 fr. al kg. Una grandiosa e perfetta organizzazione commerciale fu stabilita in tutto il mondo; la scelta e l'applicazione dei coloranti buoni (mille fra le moltissime migliaia preparate) fu fatta con perfezione non più superata. Vi furono anche esempî di audacie lungimiranti: per realizzare industrialmente la sintesi dell'indaco di Baeyer, la Badische, con H. Caro, spese milioni di marchi e anni di ricerche rinunciando a raccogliere facili allori negli altri coloranti che si venivano scoprendo. Così fece la Geigy per la sintesi di T. Sandmeyer che poi non risultò economica.
Tuttavia non si debbono ritenere più difficili di quel che non siano stati lo sviluppo e il progresso tedeschi in questo campo. Superata la sfiducia dei consumatori coi coloranti - solidi e brillanti insieme - che seguirono l'alizarina, le richieste andarono man mano crescendo e con queste s'ingrandirono le fabbriche esistenti e se ne crearono di nuove che poterono, anche piccole, affermarsi facilmente. Il seguente specchio mostra il rapidissimo incremento dell'industria tedesca.
Dopo il 1890 il lavoro più appariscente di scoperte e novità ha una sosta. Però si introducono coloranti più solidi, di più comoda applicazione, di prezzo più basso rispetto alla qualità; molti coloranti vengono sostituiti; le marche aumentano di numero; ogni casa ha le sue specialità.
Con la scoperta nel 1901 del blu indantrene, riprende il glorioso lavoro, che va fino alla guerra, intorno ai coloranti al tino derivati dall'antrachinone, dall'indaco e dal carbazolo, al quale attendono tutte le grandi case tedesche e svizzere e a cui sono legati i nomi di R. Bohn, di R. E. Schmidt, di P. Friedländer, di G. Engi, di F. Ullmann, di R. H. Scholl, di O. Bally, ecc. Appaiono in commercio i coloranti indantrene, algol, elindone, e i ciba, i cibanoni, gl'idroni, ecc., con completa gamma di colori resistenti agli agenti chimici e alla luce molto più di tutte le precedenti serie. Malgrado le straordinarie qualità dei nuovi prodotti, il loro prezzo e certe difficoltà di applicazione rallentano la loro diffusione, né lasciano sperare di spostare il mercato corrente dei vecchi colori.
Questi nuovi coloranti diventano per la Germania un campo di riserva per l'avvenire mentre essa vive in piena prosperità sui vecchi coi quali domina il mercato mondiale, come mostra la tabella seguente:
In questo tempo l'influenza tedesca si afferma negli altri paesi dell'Europa, specie in Russia e in Francia, ma anche in Inghilterra e in Italia con interessamento a talune delle piccole fabbriche nazionali. Queste, pur continuando a produrre, ricevevano prodotti intermedî tedeschi e completavano le loro cartelle con colori tedeschi ed etichetta nazionale. Per questa ragione le cifre che sono date sopra per le produzioni degli altri paesi (p. es. Belgio e Paesi Bassi non producevano colori) dovrebbero essere ancora diminuite. Non quelle della Svizzera che, sebbene povera di materie prime e di consumo interno, con un'ottima scuola chimica (Kern, Heumann, Sandmeyer, Schmid, Engi, Walter, Richard) e con la severità della sua organizzazione finanziaria, commerciale e tecnica, era riuscita a costituire un'ottima industria, e pur importando dalla Germania parte delle materie prime, riusciva ad esportarvi coloranti.
Il periodo di guerra e il dopoguerra. - La grande guerra del 1914 trovò la sola Germania con una grande industria chimica organica. Gli altri paesi belligeranti s'affrettarono a liberare le loro fabbriche di coloranti che erano a parziale o totale dipendenza tedesca, ma si trovarono disorganizzati per mancanza di materie prime e deficienza di tecnici. Così, mentre la Germania poteva prontamente trasformare e ingrandire le sue organizzazioni chimiche e adibirle alla preparazione degli esplosivi prima, e poi dei gas velenosi, le nazioni dell'Intesa arrivavano faticosamente e tardivamente a creare la loro difesa chimica.
Non è tuttavia da credere che l'Inghilterra e anche la Francia fossero così povere nell'industria chimica come le cifre sopra date per i coloranti sembrano mostrare. L'Inghilterra ebbe sempre una grande industria chimica inorganica e chimici ben preparati e poté attrezzarsi per prima; la Francia meno prontamente, ma anch'essa era paese ad alto regime industriale; l'Italia più povera d'industrie fece sforzi ammirevoli ed ebbe risultati superiori all'attesa quasi creando una forte e nuova organizzazione chimica che poté sopperire alle necessità della guerra.
Ma chi si trovò in condizioni di maggior favore furono gli Stati Uniti d'America: l'interesse economico li spinse dapprima alla preparazione di prodotti chimici richiesti a gran prezzo dagli alleati, poi la guerra dichiarata mosse le sue immense risorse tecniche e industriali, e grandiose fabbriche furono azionate o create per i bisogni chimici di interi eserciti.
L'armistizio sopraggiunto alla fine del 1918 troncò molte imprese industriali appena sorte, ma favorì pure la trasformazione da industria bell: ca a industria chimica. I paesi alleati sprovvisti di fabbriche di coloranti proporzionate ai loro consumi, avevano avuto a soffrire di tale mancanza. Durante la guerra stessa, e all'armistizio, la necessità di queste fabbricazioni passò in primo piano. Il compito era facilitato dal fatto che le fabbriche di esplosivi e di gas, esuberanti in tempo di pace, dovevano essere in buona parte trasformate; e, per affinità di operazioni, di problemi, di tecnica e di uomini, e per essere alcuni prodotti bellici atti alla fabbricazione di coloranti, la loro più utile applicazione sembrò appunto la preparazione dei colori. Inoltre, l'esperienza aveva dimostrato in ogni paese che le fabbriche chimiche organiche, e quelle di coloranti in ispecie, sono delle potenziali organizzazioni belliche non meno importanti delle artiglierie e delle flotte. E fu deciso per ognuno la creazione e la conservazione di tale industria come "industria chiave".
Così nelle fabbriche di esplosivi, o aderenti ad esse, furono dovunque creati (come in Italia) o aumentati (come in Inghilterra, in America, in Francia) nuclei più o meno importanti per fabbricazioni di materie coloranti. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia poterono presto dare produzioni notevoli giovandosi del pratico monopolio dei mercati nazionali, dei sovraprofitti di guerra, delle fabbriche belliche e, dove occorsero, degli aiuti finanziarî governativi. Questo movimento fu favorito dall'occcupazione delle maggiori fabbriche chimiche tedesche (quelle del Reno) e dalla grave crisi che allora traversava la Germania. L'Italia si trovò nelle condizioni meno favorevoli poiché prima della guerra non possedeva vere fabbricazioni di coloranti, bensì alcuni piccoli stabilimenti che servivano a portare a tipo i colori esteri.
Durante la guerra erano sorte in Piemonte e Lombardia piccole fabbriche di nero allo zolfo che svilupparono poi anche in seguito il loro lavoro. La S. I. P. E. a Cengio con la sua filiale di Rho, la Bonelli a Cesano poterono, all'armistizio, allargare la gamma di questi coloranti di gran consumo e aggiungervi un certo numero di azoici pei quali si potevano fabbricare - o trovare sul mercato - gl'intermedî necessarî. Il problema maggiore infatti era quello dei prodotti intermediarî, più difficili a fabbricarsi dei coloranti e richiedenti più vasti impianti e tecnici sperimentati. Ma intanto le materie prime essenziali e di buona purezza (benzolo, toluolo, naftalina, alcali, acidi, solfuro) erano già raccolte e prodotte per la guerra; Cengio installò un impianto di anilina capace di forti produzioni, mentre possedeva 10 elementi di oleum preziosissimi e un perfetto attrezzamento di nitrazioni d'ogni specie. I colori allo zolfo furon presto completi; la benzidina, le mete diammine, la α-naftilammina, il β- naftolo, l'acido H, la p- nitranilina, l'acido γ e altri importanti intermedî furono mano a mano approntati, e quindi una piccola serie di facili colori basici, acidi e per cotone furono dati al commercio interno avidissimo.
Non è a dire che questi inizî fossero senza difficoltà, senza dispersioni, incertezze, inesperienze, né era da attendersi che i prodotti fossero perfetti di fabbricazione e al minor prezzo, ma era già buon risultato che si fosse riusciti a improvvisare quasi dal nulla e fuor di clima complesse fabbricazioni che eran già costate anni di sforzi, a suo tempo, anche all'industria tedesca. Ma, non appena i coloranti che la Germania inviava in conto riparazioni poterono esser distribuiti in Italia, i consumatori italiani trascurarono il prodotto nazionale. La crisi si iniziò presto anche perché la Germania, riassestata la sua potente industria, riprese in Italia - che era già stato suo pieno dominio - l'introduzione regolare dei suoi coloranti e la Svizzera con le sue apprezzate specialità ritornò ai suoi antichi clienti. Si era inoltre formata - dalla penuria del 1918 - una sensibile concorrenza interna perché i colori di maggior consumo, più facili e per il loro basso costo sufficientemente protetti dalla dogana, che avrebbero dovuto costituire il terreno solido per il lavoro di crescita delle fabbriche maggiori, erano prodotti da molte piccole fabbriche di poche spese generali e che trovavano con prezzi sempre più sviliti la loro clientela. Vi fu sovraproduzione ad es. di nero allo zolfo e degli azoici più comuni così che si dovette costituire il cartello del nero; per i colori più difficili, che dovevan segnare il progresso di questa nuova industria, non era possibile reggere né per prezzo né per qualità coi prodotti tedeschi e svizzeri.
Grave fu la crisi dell'industria italiana dei coloranti intorno al 1921: la precoce crescita della fabbricazione, la sua origine da industrie di guerra - e perciò a produzione antieconomica -, l'inesperienza tecnica e commerciale fecero sentire rudemente il primo urto della concorrenza. Importanti stabilimenti si chiusero, altri si ridussero, altri ripresero molto opportunamente in esame la loro organizzazione.
D 'altra parte importanti studî venivano intrapresi per cercare in miglioramenti di lavorazione la risoluzione dei problemi economici dell'industria e taluno diede eccellenti risultati: basti citare le riduzioni con amalgama di sodio realizzate dal Poma con la conseguente preparazione della benzidina in condizioni non inferiori a nessun'altra, e i miglioramenti per qualità e costi di gran parte dei prodotti intermediarî. Altri impianti furono ben presto iniziati: quello dell'indaco capace di una produzione di 1.600.000 kg., pasta 20%; grandioso, fors'anche troppo, per il nostro consumo (400.000 kg.) e tardivo per l'esportazione. Il progresso tecnico dell'industria si realizzava in tempo di disagio economico, ma di questo disagio si giovarono le organizzazioni estere - tedesche e svizzere - per apportare capitali e porre a lor dipendenza le piccole fabbriche italiane, come già avevano fatto prima della guerra specialmente in Francia. Servivano queste come testa di ponte per l'introduzione in Italia dei loro coloranti.
Queste erano le condizioni dell'industria dei coloranti in Italia nel 1925 quando un forte gruppo finanziario riunì i tre maggiori stabilimenti da tempo languenti in strettezze economiche, ma molto più progrediti e attrezzati degli altri, per costituire un più solido e completo organismo che potesse realizzare le condizioni per un vasto programma di fabbricazione di coloranti e d'intermedî; e cosl fu costituita la A.C.N.A. (Aziende Chimiche Nazionali Associate).
Il cammino percorso dall'Italia è - salvo i rapporti - quello medesimo delle altre nazioni. L'America, l'Inghilterra e la Francia si erano trovate ognuna di fronte a difficoltà, e per aiutare le sorgenti industrie dei coloranti i varî governi eran ricorsi a disposizioni legislative d'eccezione come la decadenza dei brevetti tedeschi in America (Chemical Foundation), il divieto d'introduzione di coloranti tedeschi in Inghilterra, l'introduzione di forti dazî d'importazione, e, in Inghilterra e Giappone, la sovvenzione dell'industria. In tutti i paesi, come in Italia, si trovò che i coloranti prodotti erano sovente inferiori di qualità, sempre superiori di prezzo ai concorrenti tedeschi e anche le nuove formazioni industriali degli altri paesi si trovarono nel 1921, cioè all'offensiva tedesca, scosse come le italiane nella loro situazione finanziaria e nella fiducia dei consumatori. La Germania aveva dato per prima esempio del vantaggio che l'industria può ricevere da razionali aggruppamenti. Già nel 1906 eran intervenuti accordi fra le 6 maggiori fabbriche tedesche di prodotti organici e inorganici in modo da costituire 2 gruppi; nel 1916 i due gruppi si unirono con più stretti accordi, altre fabbriche minori furono in tempo breve assorbite; finché nel 1925, col nome di I. G. Farbenindustrie A. G. (Interessen Gemeinschaft Farbenindustrie Aktien Gesellschaft), con estensione e interessamenti a industrie inorganiche, sete artificiali, ecc., avveniva la fusione definitiva di tutte le fabbriche tedesche di coloranti col capìtale di 962 milioni di marchi oro.
In Francia l'unione delle fabbriche di coloranti con le industrie chimiche inorganiche avvenne nel 1925 sotto l'egida degli stabilimenti Kuhlmann che assorbivano la Compagnie Nationale e altre minori fabbriche; questo potente gruppo (capitale di 312 milioni di fr.) addivenne nel 1929 a definitivi accordi con la I. G. sulla produzione e sui prezzi dei coloranti per la Francia.
In Inghilterra le cose furono anche più difficili e, malgrado le precedenti sovvenzioni governative a un primo aggruppamento creatosi con la British Dyestuffs Corp., si dovette nel 1925 costituire la Imperial Chemical Industrie, vasta fusione di industrie organiche, inorganiche e metallurgiche che giunse nel 1928 a un capitale di 75 milioni di sterline.
Anche nella Svizzera, che ebbe malgrado condizioni di apparente fortuna le sue gravi crisi (del 1916 per mancanza d'intermedî, del 1921 per la crisi generale), si ricorse fin dal 1918 a intese fra le 3 fabbriche maggiori di Basilea fino a terminare nel 1929 a strettissimi e ufficiali accordi con la I. G.
In America non si costituirono trusts per divieti legislativi, né si fecero palesi accordi con la Germania, ma le grandissime società, come la Du Pont de Nemours, costituirono aggruppamenti verticali di fatto e, sebbene la produzione complessiva aumentasse di continuo, molte piccole fabbriche scomparvero, ad altre si interessarono la I. G. e le fabbriche svizzere.
Così dunque, in ogni grande nazione, pur attraverso crisi e adattamenti varî, si è riusciti a fondare e a stabilizzare un'industria chimica organica, e l'entità di ognuna e il cammino percorso sono facilmente rilevabili dalle statistiche sopra riportate. Le quali tuttavia, se mostrano con l'evidenza delle grandi cifre i risultati ottenuti e le condizioni rispettive dei singoli paesi produttori, non esprimono quale sia stato in ognuno di essi il progresso tecnico della nuova industria.
Stando alle cifre si dovrebbe ritenere che da 4 anni la fabbricazione dei coloranti nei paesi nuovi produttori sia stazionaria perché i rapporti fra produzione, importazione, esportazione, si mantengono presso a poco costanti. Ora questo non è esatto. Eccettuata la Francia che per gli accordi con la Germania si è resa la via più facile, gli altri paesi hanno dovuto, per conservare le loro produzioni, lottare strenuamente a perfezionare la qualità, diminuire il prezzo e migliorarsi con nuove serie di coloranti. È questo il lavoro che anche l'Italia, con gli altri paesi, ha compiuto negli ultimi anni. La costituzione di più forti organismi, come consentì agli altri paesi lo sviluppo dell'industria dei coloranti, così impresse nuovo ritmo a quella italiana consentendole studî e nuovi impianti e la possibilità di far comparire le sue produzioni sui grandi mercati consumatori.
Per facilitare lo smercio dell'indaco se ne prepararono i derivati alogenati; nuove serie di coloranti furono mano a mano approntate che richiedevano già intermedî difficili e tecnica raffinata, ma che rispondevano alle precise richieste della nostra industria manifatturiera la quale, sempre più orientata verso coloranti di maggior solidità, abbandonava man mano i colori allo zolfo e i più facili azoici. E furon realizzate progressivamente le fabbricazioni industriali dei "gialli clorammina" solidi al cloro; dei coloranti derivati dallo stilbene, dalla dianisidina, dall'ammino salicilico; dei gialli per lana solidi alla luce; dei coloranti eliammina per cotone solidi alla luce (Sirius), dei coloranti Libia (solidi agli acidi), degli scarlatti e aranci luce, di gialli e rossi solidi al follone, la serie dei Cirene (sulfoncianine) solidi agli acidi e alla follatura, e quasi l'intera gamma di coloranti al cromo oltre ad alcuni derivati dell'alizarina e alle eosine. E si poneva in marcia un grande impianto di anidride ftalica che potrebbe essere il fondamento per la serie dei derivati dell'antrachinone (alizarine, indantreni, ecc.) dei quali, del resto, sono già nella produzione italiana alcuni derivati del benzantrone. Anche i moderni derivati dell'acido β- ossinaftolico (naftoli A S), usatissimi per la loro brillantezza e l'eccellente solidità, poterono essere correntemente fatbbricati insieme con talune delle più importanti basi.
Mano a mano che questo progresso tecnico si realizzava nell'industria italiana dei coloranti, la lotta dell'industria tedesca contro la nostra, con la concorrenza interna ed esterna, si faceva più serrata: i prezzi di vendita si abbassarono fortemente e il nostro sforzo dové portarsi alla revisione tecnica per abbassare i prezzi di costo. Anche questo risultato fu in buona parte tecnicamente raggiunto.
Difficoltà simili a quelle dell'Italia avevano incontrato gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Francia e il Giappone. Per tutti questi paesi risalire la strada che Germania e Svizzera avevan superata in miglior tempo era cosa difficile: basta sapere che i prezzi di vendita dei coloranti americani da una media di doll. 1,08 per libbra nel 1920 scesero a 0,42 doll. nel 1928, per avere idea del progresso che quell'industria ha compiuto.
I prospetti sopra esposti mostrano evidente il progresso quantitativo dell'industria dei principali paesi produttori e la variazione della situazione mondiale nella produzione e nel mercato dei coloranti dal 1913 al 1929. Non sono riportate le piccole produzioni di paesi come la Cecoslovacchia, la Spagna, la Polonia e la Russia che non incidono sensibilmente nella produzione mondiale. Come si vede il maggior progresso è stato realizzato in ogni senso dall'America; tuttavia Inghilterra, Svizzera e Francia hanno già sistemate produzioni abbastanza complete ed equilibrate fra le diverse specie di coloranti.
Apparirebbe dalle cifre sopra riportate che un equilibrio si sia già formato nella produzione mondiale, ma questa forse sarebbe una arbitraria illazione. Appare anche che certe qualità e specialità sono giustamente trascurate dalle produzioni anche fortissirne ed esportatrici (americana e inglese) e come per molte marche si ricorra ancora all'importazione. E si può dedurre che qualunque sia il grado di progresso dell'industria di un paese essa non ha ragione di sperare - e non le conviene - di poter saturare da sola il suo mercato interno.
Questo aiuta le industrie più raffinate ed essenzialmente esportatrici di Germania e Svizzera. Ma dall'equilibrio del 1914, controllato dalla Germania, ad oggi si nota una sopraproduzione - che la crisi del 1930 renderà più evidente - e la tendenza per ogni paese consumatore a stabilire fabbricazioni nazionali adeguate ai proprî bisogni interni e alla propria potenza economica e politica. Così fanno anche, oltre ai grandi produttori già citati, la Cecoslovacchia, la Spagna, la Russia, la Polonia, l'Olanda, mentre l'India ha posto di recente nuovi dazî doganali e i grandi trust tedeschi, americani e inglesi si battono aspramente sui mercati dell'Oriente e dell'Estremo Oriente.
Per quanto riguarda più particolarmente l'Italia valgono le cifre seguenti:
In Italia, come si è detto, si sono realizzati grandi progressi tecnici, i cui effetti si possono rilevare solo in parte dalle statistiche sommarie su riportate. Infatti fino al 1928 il 70% della produzione italiana era costituita da colori allo zolfo, il consumo dei quali è poi fortemente diminuito, mente oggi è più diffusa la fabbricazione di coloranti di maggior pregio e di molto maggior costo.
Bibl.: H. Kauffmann, Die Auxochrome, Stoccarda 1907; G. Panizzon, Trattato di chimica delle sostanze coloranti, Milano 1918; E. R. Watson, Colour in relation to chemical constitution, Londra 1918; A. G. Green, The Analysis of Dyestuffs, Londra 1920; F. Heinrich, Theorien der organischen Chemie, Brunswick 1921; H. E. Fierz, Operazioni fondamentali della chimica dei coloranti, Brescia 1923; G. Georgevics, Lehrbuch der Chemischen Technologie der Gespinsfasern, Lipsia 1924; P. Friedländer, Fortschritte der Teerfarbenindustrie, Berlino 1877-1926; I. Formanek e E. Grandmongin, Untersuchung und Nachweis organischen Farbstoffe auf Spektroskopischem Wege, Berlino 1926; H. E. Fierz, Künstliche organische Farbstoffe, Berino 1926; Möhlau-Bücherer, Farbenchemisches Praktikum, Berlino 1926; G. Schultz, Die Chemie des Steinkohlenteers, Brunswick 1926; T. Buzzi, Materie coloranti, Brescia 1927; J. Houben, Das Anthrazen und die Anthrachinone, Berlino 1928; G. Schultz, Farbstofftabellen, Berlino 1928; C. A. Curtiss, Künstliche organische Pigmentfarbstoffe, Berlino 1929; Census of Dyes and other Sintetic organic Chemicals, Washington 1929; F. Ullmann, Enziklopädie der Technischen Chemie, Berlino 1914-1929.
Sostanze coloranti naturali.
Si comprendono sotto questa denominazione sostanze vegetali o loro estratti, e sostanze animali atte a tingere, cioè a fissarsi su materie tessili. Non sono da confondersi con le sostanze coloranti vegetali i colori dei fiori, delle bacche, dei frutti, che formano la classe delle antocianine, incapaci di fissarsi su materie tessili, benché chimicamente vicine a certi gruppi di vere materie coloranti naturali.
Le materie coloranti naturali servirono da millennî all'umanità quali uniche materie prime per la tintura delle stoffe, finché, da circa 70 anni, non apparvero i primi colori artificiali, che a poco a poco ridussero notevolmente l'importanza di quelle. La fabbricazione sintetica, per esempio, riuscì a sostituire due dei più importanti e più solidi coloranti naturali: il rosso di alizarina e il blu d'indaco. Ciò portò alla scomparsa quasi totale della coltura della garanza e dell'indaco.
Le poche materie coloranti naturali il cui uso non poté ancora essere eliminato o sostituito dalle artificiali sono: il campeggio, il cattù, il grano di Persia, il legno giallo, il quercitrone.
Chimicamente la massima parte dei coloranti ricavati dalle piante è derivata dai nuclei schematici seguenti:
Alcuni derivano da chetoni (curcuma, acido ellagico); pochissimi contengono azoto, e cioè la berberina (unico colorante basico naturale), l'indaco e la porpora degli antichi, i quali sono chimicamente vicinissimi, benché il primo si ricavi da una pianta e la seconda da conchiglie marine del genere Murex.
Le principali materie coloranti naturali sono:
Materie vegetali: cattù, crespino, curcuma, erba giallina, gambier, grano di Persia, guado, henné, indaco, legno giallo, legno rosso, legno rosso Sapan, mangrove, orcanetta, oricello, quercitrone, robbia, scodano, terra orellana, verde di Cina, zafferanone.
Materie animali: chermes, cocciniglia, lacca rossa, porpora degli antichi.
Grande produzione e commercio di sostanze coloranti naturali si fa negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Olanda.
Estratti coloranti. - Le sostanze coloranti delle materie vegetali, più specialmente del campeggio, del legno giallo, del legno rosso, del quercitrone possono anche ridursi in estratti coloranti, attraverso un processo che comprende lo sminuzzamento della materia prima, l'estrazione della sostanza colorante attraverso riscaldamento con acqua o sotto pressione, la filtrazione e l'evaporazione nel vuoto del succo ottenuto. Gli estratti coloranti vengono in commercio sotto forma liquida o in pasta, pani, cristalli. Sono solubili nell'acqua e qualche volta nell'alcool. Si usano nella tintura e stampa dei tessuti con mordenti varî. Con gli estratti coloranti si preparano i cosiddetti cromocromi, a base di sali di cromo ed estratti di tinta, usati anch'essi nella tintura, e con aggiunta di sali metallici alcune lacche colorate. I produttori principali di estratti coloranti sono gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna.
Bibl.: A. G. Perkin e A. E. Everest, The natural organic coloring matters, Londra 1918; H. Rupe, E. Lenziger e M. Jetzer, Nachweis und Darstellung der wichtigsten Pflanzenfarbstoffe, Ab- und Aufbauversuche, Berlino-Vienna 1922; G. Zerr e R. Rübencamp, Handbuch der Farbenfabrikation, Berlino 1922; R. Willstatter, Die Blattfarbstoffe, Berlino-Vienna 1924; W. Jaggard, Dyes and dyeing: natur's fadeless colours, Stratford on Avon 1926; M. Möbius, Die Farbstoffe der Pflanzen, Berlino 1927; O. Schunun, Die spektrochemische Analyse natürlicher organischer Farbstoffe, Jena 1927.
Le sostanze coloranti in farmacologia.
La maggior parte delle sostanze coloranti sono composti aromatici e vengono anche impropriamente chiamate coloranti d'anilina. Nel numero grandissimo di questi, alcuni sono stati oggetto di indagini farmacologiche e applicati in terapia per le loro proprietà, le quali sono, si può dire, del tutto indipendenti dalla caratteristica loro di colori. Il primo e più largamente studiato e usato è il blu di metilene (cloridrato di tetrametiltionina) introdotto in medicina per la sua proprietà di colorare il tessuto nervoso, ritenendosi quindi potesse, per questo, esplicare una azione sanatrice sui processi flogistici e degenerativi del tessuto stesso. Il blu di metilene esercita azioni tossiche sugli esseri unicellulari e sui batterî, e vale quindi come disinfettante. È anche ritenuto attivo sui plasmodî malarici. Esercita inoltre una precisa azione analgesica nei processi reumatici articolari e muscolari e nelle pleuriti, trovando così un ottimo impiego in terapia alle dosi di grammi 0,05, 0, 10 e più per os. Alle dosi comunemente usate nell'uomo non esplica quelle azioni perturbatrici sul cuore, sulla pressione, sui centri nervosi bulbari, sul sistema nervoso vegetativo (Heysmann, Agnoli), che si rendono evidenti sperimentalmente. Viene eliminato rapidamente e in grandissima parte attraverso i reni, colorando le urine in azzurro verdastro. Talora le urine sono incolori contenendo un prodotto di riduzione intraorganica dal blu di metilene, un leucoderivato, che all'aria, per ossidazione, si trasforma nella sostanza colorante. Un'altra sostanza colorante di larghissimo e recente uso in terapia è la tripaflavina, cloridrato di diamminoacridina, sostanza di color giallo oro intensissimo, dotata di un energico potere disinfettante. A questo si deve il suo uso, per iniezioni endovenose, nelle flogosi delle vie urinarie inferiori, specie se di natura gonococcica, nelle quali ha corrisposto in modo molto soddisfacente. Viene impiegata anche nelle setticemie e nelle affezioni delle vie biliari, per via orale, come del resto il blu di metilene, eliminandosi attraverso il fegato, con la bile. Il rivanolo, etossidiamminoacridina, è una polvere giallo-chiara, finemente cristallina, ad alto potere battericida, usata in chirurgia come disinfettante capace di dare un'antisepsi profonda. Il trypanroth è un corpo colorante della serie delle benzoporporine che si presenta sotto forma di polvere rossa solubile in acqua. È stato usato, e pare con buoni risultati, nella cura della tripanosomiasi e del cancro. Si usa preferibilmente per via ipodermica alla dose di grammi 0,50. Il trypanroth fu oggetto di numerose esperienze da parte di Ehrlich e Shiga (1904) nei loro noti studî chemoterapici, durante i quali vennero sperimentate molte altre sostanze coloranti (verde malachite, parafucsina, ecc.). È certo che tra le sostanze coloranti già note per i loro usi industriali e per le loro applicazioni chimiche e istologiche altre ne esistono, e altre se ne potranno trovare, degne forse di utili applicazioni farmacologiche.