sospensione
Figura retorica consistente nell'interrompere il discorso, lasciandolo sospeso per il sopraggiungere di una circostanza o per l'impossibilità di continuarlo. Denominata nell'età classica ‛ reticentia ' o ‛ interruptio ', passa nella trattazione medievale col termine usato dalla Rhet. Her., ‛ praecisio ' (cfr. Gervasio di Melkley, ediz. Grabener, p. 28). Di quest'ultimo termine si avverte l'eco in D., in una delle s. di cui pullula il Paradiso (XXX 30 non m'è il seguire al mio cantar preciso), quando il poeta dichiara di dover desistere dal trattare del viso di Beatrice e si dichiara vinto da tante difficoltà (vv. 19 ss.). La s. assume in questa cantica una funzione che supera i limiti dello schema retorico (cfr. anche preterizione), perché attraverso le continue confessioni, da parte del poeta, di non poter ridire quel che vide, si sviluppa il tema dell'ineffabile, così inerente al concepimento dell'intera cantica.
Si veda in Pd XXX 22-27 la spiegazione di quest'impossibilità, ossia il venir meno della ‛ fantasia ', che riprende Cv III IV, dove si commentano quei versi della seconda canzone (9-14), che costituiscono un notevole esempio di sospensione.
La formula usata da D. per sottolineare la s. può essere più ampia, come nel caso citato di Pd XXX, o riprodurre nella brevitas dell'espressione il carattere improvviso dell'interruptio: i' non lo scrivo (If XXXIV 23), tra quelle vedute / si vuol lasciar (Pd XIV 79-81), qui l'abbandono (XVIII 9), passar men convien sanza costrutto (XXIII 24). Talora la s. è ammorbidita dalla perifrasi, con cui il poeta intende quasi dare un saggio di quel sublime che non può esprimere (cfr. Pd X 145 ss., XIX 39). Un particolare valore espressivo ha in D. la s. in una serie di luoghi in cui essa si attua variamente, ma serba, per così dire, una ragione eufemistica o un fondo di ambiguità. Così Pia sospende il suo racconto appena iniziato (Pg V 135; cfr. in XXXI 90 la medesima formula per alludere a una situazione ben diversa, l'ineffabile trasformazione del poeta: e quale allora femmi, / salsi colei...), Piccarda tace improvvisamente sulla sua vita dopo il rapimento (Iddio si sa qual poi mia vita fusi, Pd III 108), Francesca interrompe con pudore il suo racconto (quel giorno più non vi leggemmo avante, If V 138), Ugolino interrompe anch'egli il racconto alla soglia della tragedia conclusiva, sulla quale cala un ambiguo silenzio (Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno, XXXIII 75).
Un carattere prevalentemente strutturale ha invece la s. lì dove il poeta intende solo abbreviare il discorso considerando inutile e inopportuno dilungarsi, come nel passo di If VII 60, ove D. rinunzia a dir altre parole sulla ‛ zuffa ' degli avari, o in Pg XXIX 97-99, dove egli tralascia la descrizione dei quattro animali allegorici. Si veda anche la s. che riduce per ragioni di convenienza narrativa il racconto del colloquio con gli spiriti magni (If IV 103-105), o la descrizione dell'albero genealogico fatta da Caccia guida (Pd XVI 43-45).
Un carattere strutturale, che però si risolve in vivacità di racconto, hanno quelle vere e proprie interruzioni della frase, inserite nel discorso diretto, che, pur rare, sono un elemento importante dello stile ‛ comico ' della Commedia. Si veda If IX 7-8 (" Pur a noi converrà vincer la punga ", / cominciò el, " se non... Tal ne s'offerse... "), XXIII 109 (Io cominciai: " O frati, i vostri mali... "; ma più non dissi). Strettamente connessa con lo sviluppo che D. ha inteso dare all'episodio di Sordello, è l'interruzione del parlare di Virgilio alla sua prima parola (" Mantüa... ", Pg VI 71-72). Una rappresentazione vivace del dubbio è nella s. della frase esemplarmente attribuita a chi vede innanzi a sé cosa improvvisa di cui si meraviglia (Ella è... non è..., VII 12).