SORANZO DAL BANCO
(Superantio). – Gabriele di Giovanni Soranzo, della parrocchia di S. Severo, fondò nel 1374 a Rialto un banco destinato a essere il più longevo nella storia veneziana.
Gabriele è all’origine di tre generazioni di Soranzo, tutte caratterizzate dalla presenza di un gran numero di figli maschi: Gabriele ne ebbe otto (più cinque figlie); il suo primogenito Cristoforo ne ebbe (da Maddaluzza di Benedetto Soranzo procurator) sei, tra i quali Giovanni (ultimogenito, si veda infra) e Benedetto, quarto maschio (e futuro titolare del banco familiare), che ne ebbe addirittura dieci.
Questa folta genealogia pose, all’epoca, il rischio di una ripetuta frantumazione dell’eredità, mettendo in pericolo l’unità del patrimonio familiare e la solidità del banco cittadino; oggi pone il problema di districarsi tra le omonimie, complicate dall’endogamia all’interno del clan (come si è visto un Benedetto del fu Fantino Soranzo morto nel 1404, procuratore di San Marco, fu nonno materno di Benedetto di Cristoforo). Tra i figli di Gabriele Soranzo, è da segnalare anche Nicolò che sembra essere stato l’unico della fraterna a rimanere fuori dall’amministrazione del banco di famiglia; ciononostante, ebbe anch’egli il soprannome ‘dal banco’, che passò alla sua discendenza. Figlio di Nicolò fu Vettore, poi cavaliere e procuratore di San Marco.
Molti dei Soranzo di questa linea, maschi e femmine, chiesero nel corso del Quattrocento di essere seppelliti nell’‘archa nostra’ nella chiesa del monastero femminile di S. Lorenzo, non distante da S. Maria Formosa (l’area della città ove essi possedevano un cospicuo patrimonio immobiliare; si veda infra).
Sin dalla generazione di Gabriele, forse per eludere gli effetti di leggi restrittive emanate nel tardo Trecento e primo Quattrocento allo scopo di limitare l’investimento nel rischioso commercio marittimo da parte di banchieri attivi a Rialto, membri della famiglia Soranzo, quasi a turno, si impegnarono personalmente nel commercio a lunga distanza. Nell’arco di trentasei anni, si contano almeno ventidue partenze da Venezia in viazi di affari.
Si tratta di un dato sorprendente per una singola famiglia, tanto più se di banchieri di Rialto. Oltre a concedere prestiti, privati e pubblici, i banchieri continuavano a investire nel commercio, come ‘mercanti sedentari’, utilizzando naturalmente anche fondi di terzi lasciati presso il banco.
Gabriele fu in società con Francesco Corner, figlio del doge Marco, ed entrambi appaiono nella rete commerciale di Francesco di Marco Datini di Prato già nel 1395 come «grandi e richi merchadanti» di Venezia (Prato, Archivio Datini, 710, lettera del 31 dicembre), attività che durò fino alla morte di Gabriele avvenuta nel novembre del 1410. Anche nel caso della società Corner-Soranzo è possibile vedere la sovrapposizione tra legami di affari e di alleanza; infatti, Francesco Corner, nominato da Gabriele tra i suoi esecutori testamentari, sposò Cristina di Remigio Soranzo e fu nonno di Fiordelisa d’Andrea Corner che sarebbe diventata moglie di Benedetto di Cristoforo.
Nella generazione successiva, Cristoforo fece tra 1405 e 1409 sei viaggi per Alessandria; nel 1407, 1410 e 1412 fu sulle galee di Fiandra – le prime due volte eletto vicecapitano – mentre nel 1420 fu eletto capitano delle galee di Beirut. Anche suo fratello Paolo viaggiò sei volte: quattro volte in Romania, nel 1423, 1425, 1426 e 1435 e due con le galee di Fiandra, nel 1428 e 1436. Anche i fratelli Giorgio e Maffeo si imbarcarono: il primo per Beirut (1415) e Romania (1437), e tra queste due imprese una nomina a capitano delle galee di Acque Morte (1425); il secondo partì come patrono ad Alessandria (1416) e come capitano delle galee di Acque Morte nel 1441.
Uno dei figli di Cristoforo, Luca, poco prima di prendere in mano la gestione del banco, andò nelle Fiandre come patrono di una galea nel 1435. Sappiamo inoltre, dai testamenti dei primi due figli di Cristoforo, Piero e Andrea, dettati al momento di salpare, che il primo stava partendo per Cipro nel 1431, il secondo per la Siria nel 1433; Piero morì nel gennaio del 1435, mentre Andrea morì nell’agosto del 1434 (era nato nel 1400). Dopo la morte di Cristoforo, tra luglio e agosto del 1432, partirono i suoi figli Benedetto e Gabriele (questi nato nel 1417) con le galee di Fiandra, non come patroni ma come mercanti; entrambi trascorsero alcuni anni tra Bruges e Anversa, dove erano, tra il 1435 e l’inizio del 1439, corrispondenti fra l’altro del mercante veneziano Guglielmo Querini.
Il lato finanziario dei loro affari nelle Fiandre veniva gestito dal banco «Filippo Borromei e co. di Bruges», sul cui libro mastro vengono nominati tutti e due; per gli affari che avevano a Londra si appoggiavano ad Andrea Corner, probabilmente il suocero di Benedetto. Gabriele figura in decine di lettere di cambio, dove costituisce a mano a mano ognuna delle quattro parti della classica lettera di cambio; in alcune tratte chiama in causa il banco di famiglia a Venezia, «Luca Soranzo e fratelli».
Gabriele rientrò presto alla base: nell’agosto del 1439 pose la sua firma su un estratto conto del banco: «Gabriel Sovranzo dal bancho»; si può presumere che fosse stato accompagnato sulla via del ritorno dal fratello maggiore Benedetto.
Nel 1443-44 «Luca Soranzo e fratelli» mandarono argento in ‘pezzi’ per un valore di 12.000 ducati al loro agente a Tripoli per acquistare cotone. Un altro isolato riferimento a questa disponibilità a rischiare lo troviamo sotto la gestione del banco del nostro Benedetto e fratello: avevano in società con i Balbi una nave, la quale nel 1452, trovandosi nelle acque di Alessandria d’Egitto, fu catturata da un corsaro catalano.
Vanno ricordate anche le partenze fatte da alcuni di questi Soranzo in qualità di ufficiali di marina: nel 1439, Maffeo fu eletto Capitano delle navi al Lago di Garda nella guerra contro i Visconti, mentre suo fratello Paolo fu sopracomito di galea nello stesso conflitto, in cui morì nel 1440 in seguito a una ferita. Il loro fratello Giorgio, invece, fu eletto sopracomito nell’armada del golfo, prima contro i genovesi nel 1431 e nel 1432 e poi ancora nel 1439.
Nelle due generazioni di fine Trecento e inizio Quattrocento, quelle di Gabriele e Cristoforo, i Soranzo s’impegnarono piuttosto di rado in cariche di rilievo nella vita politica.
Gabriele fu consigliere ducale nel 1404-05. Cristoforo partecipò in due dei collegi per l’elezione a doge di Tommaso Mocenigo (1413) e fu membro del Collegio dei quarantuno che elesse doge Francesco Foscari (1423). Ritroviamo poi un Cristoforo Soranzo (senza patronimico) in ruoli minori: podestà di Chioggia (1424) e capitano di Vicenza (1429). È sicuro invece che Cristoforo fu eletto a membro dell’importante consiglio ad hoc dei cento della guerra, con il compito precipuo di affrontare la guerra in Lombardia (nel 1425 e riconfermato nel dicembre del 1427). Il terzo figlio di Cristoforo, Luca, fece un cursus più usuale: caposestiere nel 1431, ufficiale del Fondaco dei Tedeschi nel 1434, prima di venire eletto senatore tutti gli anni dal 1438 a 1444, mentre dirigeva il banco, e quindi essere nominato capitano delle galee di Beirut nel 1446 e capitano di Vicenza nel 1447.
Già a questi rappresentanti dei Soranzo ‘dal banco’, invece, vennero in alcune occasioni riservati ruoli cerimoniali di grande rilievo. Furono probabilmente Cristoforo e un suo fratello minore i «do fioli fo del nobel homo misier Chabriel Sovranzo» che avevano avuto il privilegio di accompagnare il signore di Mantova alla giostra in piazza nell’aprile del 1415 (A. Morosini, Il codice Morosini, a cura di A. Nanetti, 2010, p. 597). Maffeo di Gabriele accompagnò l’imperatore di Costantinopoli e alcuni prelati ortodossi alla partenza per il concilio di Ferrara-Firenze nel 1438.
Un ruolo particolarmente incisivo, nelle vicende della famiglia Soranzo dal Banco nel corso del Quattrocento, fu giocato da Benedetto di Cristoforo. Nato a Venezia nel 1407, alla morte del fratello Luca nel 1449 ereditò la responsabilità della gestione del banco, che era stato nei decenni precedenti via via ridenominato a ogni morte di titolare («la commissaria di ser Gabriele Soranzo», 1410-30; «Cristoforo Soranzo e fratelli», 1430-33 ecc.), ma definito spesso nelle fonti del Senato semplicemente «banchum de Superantiis».
Il cospicuo patrimonio immobiliare suo e dei suoi fratelli era quello creato dall’avo Gabriele, consistente in una ‘insula’ di case nella parrocchia di S. Maria Formosa (ove già risiedeva la grande amica di Gabriele, Verde della Scala, vedova di Nicolo III d’Este e madre di Taddea, moglie di Francesco Novello da Carrara, che fu madrina della figlia di Gabriele, Verde, e della figlia di Cristoforo, Taddea, e che era pronta a sostenere, con un legato di 30.000 ducati nel 1393, le finanze del banco). Benedetto ebbe una buona carriera dal punto di vista politico, superiore a quella degli antecessori, e onori e oneri cerimoniali non comuni.
Sul primo versante, fu eletto alla Quarantia nel 1438, a trent’anni; fu poi provveditore di Comun (1442), e senatore (senza interruzioni dal 1447 al 1452), mentre gestiva il banco della famiglia e prestava continuamente soldi allo Stato; erano infatti i banchi realtini a portare il peso del debito pubblico fluttuante, a mano a mano riscattato dal Senato. Talmente stretto era il rapporto tra il banco Soranzo e lo Stato che, nel 1440, il Collegio invitò Benedetto, in rappresentanza del banco di famiglia, a presenziare «ad beneplacitum suum» a sedute della Signoria e del Collegio, in deroga alla legge (Mueller, 1997, p. 438).
Quanto al cerimoniale di Stato, Benedetto accolse (con altri due Soranzo) nel 1439 Francesco Sforza, e ai primi del 1452 fu uno dei quattro patrizi che accompagnarono l’imperatore Federico III in giro per la Terraferma veneta, poi uno dei quindici mandati a Chioggia ad accoglierlo e accompagnarlo a Venezia.
Nel 1453, tuttavia, un inatteso scandalo sconvolse la vita pubblica veneziana e la vita di Benedetto Soranzo e della sua famiglia. La sera di lunedì 10 settembre il cassiere e direttore del banco di Benedetto e fratelli, Alvise Venier, scomparve da Rialto, senza consegnare i libri contabili e i contanti a casa Soranzo a S. Maria Formosa oppure alla loro cassaforte presso l’ufficio dei Camerlenghi di Comun a Rialto, come doveva fare alla fine di ogni giornata di lavoro. La mattina dopo, Benedetto chiese per sé un salvacondotto, atto che equivaleva a un’ammissione di insolvenza.
Inizialmente circolò la voce che la responsabilità fosse del solo Venier, che avrebbe prestato in proprio circa 50.000 ducati; fuggì a Trieste e si cercò invano di farlo estradare. Ma lo scandalo si allargò; la passività del banco fu stimata a 140.000 ducati (così il cronista Zorzi Dolfin), e Benedetto si mostrò riluttante a consegnare i libri. L’insolvenza ebbe effetti a catena (mancanza di liquidità per il pagamento delle ciurme e conseguente blocco della muda di galee per Alessandria d’Egitto, nonché per l’acquisto di orzo dalla Puglia). Si crearono tre liquidatori (capita creditorum) affiancati da magistrati importanti (provveditori sopra le Camere, due procuratori di San Marco); Benedetto Soranzo e Alvise Venier (nel frattempo rientrato) furono arrestati e interrogati (anche mediante tortura), ma successivamente scarcerati (20 dicembre) e fu sancita la validità del concordato raggiunto in precedenza. Benedetto tornò a gestire un banco nuovo a Rialto, mentre si aprì un lungo, complesso e torbido contenzioso fra lui e Venier (con la comparsa di falsari, falsi testimoni e doppiogiochisti che si proponevano ad ambo le parti nel tentativo di agganciare il sostegno di politici potenti). Venier fu prima condannato (dai consoli dei mercanti), poi assolto in appello, ma infine nuovamente condannato dal Senato (che – anche per ovvi motivi di interesse, essendo molti senatori creditori o debitori del banco – in buona sostanza si schierò con Soranzo, nobile ed ex senatore, contro Venier, non nobile).
La ripresa dell’attività, gestita da Benedetto e dal fratello Giovanni, fu però di breve durata, e due anni dopo (ancora in settembre, nel momento dell’anno di più acuta carenza di circolante per la partenza delle ultime galee) il nuovo banco Soranzo fallì un’altra volta (1° settembre 1455). Portandosi via i libri contabili e 18.000 ducati, nel fine settimana Benedetto (con i suoi dieci figli) e Giovanni erano già fuggiti all’estero (a Rovigo, nel Polesine allora soggetto agli Estensi; tornarono allora utili gli antichi rapporti fra l’avo Gabriele con Verde della Scala, si veda supra). Nella città estense i due si stabilirono chiedendo asilo, e il Senato – dopo aver affrontato l’emergenza della nuova gravissima carentia pecuniarum – alla fine di ottobre decise di inviare un ambasciatore prestigioso, Vitale di Marino Lando, presso Borso d’Este perché il duca convincesse i fuggiaschi a consegnare i libri contabili (indispensabili per liquidare il banco) e negasse l’asilo.
Ma su questo punto nel Senato vi fu contrasto; lo stesso oratore posticipò più volte la partenza. Non mancarono in effetti solidarietà e un certo grado di fiducia nei due bancarottieri.
L’ambasciata Lando non ha lasciato tracce documentarie nella corrispondenza estense, e forse non approdò a nulla, così come vani furono i tentativi del governo veneziano di accordarsi con il cassiere Venier. Nel frattempo però la solidarietà tra i due falliti si ruppe, e nel 1458 Giovanni di Cristoforo abbandonò Benedetto; rientrato a Venezia con un salvacondotto, raccontò i misfatti del titolare. Il 5 maggio 1458 fu assolto, rimanendo «quasi nudus» (Ferrara, 1871, doc. 22) dopo aver pagato quel che poteva, e accusò a sua volta formalmente, presso gli avogadori di Comun, Benedetto, che fu condannato al bando perpetuo e – se catturato (con taglia di 10.000 lire) – alla decapitazione. Relativamente più miti le pene per i dieci figli, peraltro anch’essi banditi e privati del titolo nobiliare. Benedetto rimase tuttavia tranquillo nel suo rifugio dorato.
Il 27 marzo 1459 incontrò a Rovigo Giovanni Hinderbach, oratore imperiale, e scrisse il 2 aprile a Ludovico Gonzaga: «dil qual doctore» (cioè Hinderbach, conosciuto forse nel 1452 nell’entourage di Federico III) «son molto domesticho» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Carteggio estero, b. 1431, c. 283rv). Offrì inoltre al marchese notizie politiche utili in vista della imminente dieta di Mantova, e lo ragguagliò sullo scontro in atto circa la nomina del vescovo di Padova e sulla posizione del cardinale Pietro Barbo, dimostrando così di essere rimasto in continuo contatto con politici veneziani oltre che con familiari. Diede al marchese numerose altre informazioni sulla politica mediterranea e meridionale, oltre che su eventi veneziani, presentandosi in buona sostanza come informatissimo e aggiornatissimo a chi sarebbe diventato di lì a poco il suo nuovo protettore.
Il fuoriuscito fallito mise a frutto queste relazioni l’anno successivo. In occasione della visita di Borso d’Este a Venezia (aprile del 1459; preannunciata da Benedetto proprio nella lettera sopra citata) le autorità della Repubblica premettero ancora sul duca perché cacciasse Soranzo, che dall’anno precedente era formalmente un bandito con una taglia sulla testa, che non aveva osservato il concordato fatto con i liquidatori né restituito il denaro sottratto a molti creditori. Nel corso del 1460 (come sappiamo da una deliberazione senatoriale del 30 ottobre) Borso d’Este si era dato da fare al riguardo, ma non riuscì a convincere Benedetto ad attenersi al concordato e lo considerò ‘persona non grata’. Allora Soranzo si trasferì a Mantova e il Senato decise di esercitare sul marchese la stessa pressione esercitata sul duca di Modena, ma con gli stessi risibili risultati.
Nel marzo del 1464 tre avogadori di Comun presentarono in Maggior Consiglio la proposta di rovesciare la decisione del 1458 di privare i dieci figli di Benedetto del titolo nobiliare, in quanto inumana e viziata nella forma: erano innocenti del reato del padre. La proposta di restituirli al loro rango passò quasi all’unanimità: i figli potevano tornare, riprendere lo status di prima, ma dovevano sottostare agli obblighi di versare i beni del padre ai liquidatori del banco.
Benedetto morì poco dopo, se suo figlio Pietro scriveva da Venezia al marchese di Mantova il 30 dicembre 1465, nel ruolo di informatore come suo padre, firmandosi «servitor Petrus quondam domini Benedicti Superantii» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Carteggio estero, b. 1431bis, c. 611).
Le fortune politiche di Giovanni Soranzo (rientrato, come si è detto, nel 1458) e dei figli di Benedetto (ricomparsi dal 1464) furono modeste: le cariche cui furono eletti permisero loro di guadagnarsi uno stipendio, non di fare carriera.
Giovanni fu ufficiale alla dogana da mar nel 1461, capitano della muda di Barberia nel 1467, podestà di Murano nel 1466, di Chioggia nel 1470, uno dei Cinque savi ad hoc ‘sopra le acque’ nel 1473, provveditore di Cipro nel 1474, quando era – scrive Marino Sanudo – uno dei capi del Consiglio dei dieci; con la moglie Cecilia Bembo ebbe due figlie, Cataruzza e Elisabetta (entrambe ancora vive nel 1506), e cinque figli, Pietro, Bernardo, Domenico, Michele e Marco; Giovanni risulta deceduto quando Domenico viene riproposto per la Balla d’oro nel 1476.
A partire dal loro ritorno, i figli di Benedetto, tutti nati da Fiordelisa Corner, vennero presentati dai loro fratelli maggiori per la Balla d’oro, rito attraverso il quale si accertava la raggiunta età minima per prendere posto come nobile nella sala del Maggior Consiglio. Sette sono menzionati nel relativo registro: Pietro, Giorgio, Andrea, Maffeo, Luca, Cristoforo, Alvise. Tra costoro, Luca fu eletto capitano di Porto e Legnago nel 1475, al ‘Senato di Cipro’ nel 1478, pronto a trasferirsi sull’isola, e camerlengo di Comun nel 1504; Maffeo fu uno di quindici sopracomiti eletti nel 1481; Cristoforo fu ufficiale agli imprestiti nel 1501; Andrea scrisse da Napoli nel 1475 da informatore, fece testamento nel 1485, con codicilli datati 1486 e 1495, fu eletto ufficiale alle Rason nuove nel 1486 e savio in Rialto nel 1490, morì ai primi del 1502 (quindi è un omonimo l’uomo che Sanudo dà per impiccato da ladro a Milano nel 1494).
Fu, invece, la vecchia vocazione marinara di questo ramo che offrì ad alcuni dei figli di Benedetto maggiori occasioni di riscatto. Alvise fu patrono di una nave che nel 1480 portò olio e pannilana ad Alessandria d’Egitto per la compagnia di Alvise Michiel; nel 1496 consegnò vettovaglie a Pisa, destinate a sostenere la rivolta contro Firenze, ma rientrò con la stiva vuota e, per un fortunale, naufragò nel porto di Venezia la vigilia di Natale; sarebbe dovuto andare come capitano delle galee di Barbaria (il Maghreb) nel 1501, ma fu poi giudicato ineleggibile. Piero fu fattore della stessa compagnia di Alvise Michiel in Barbaria e patrono di una galea di Barbaria nel 1479-80. Suo fratello Cristoforo fu impegnato nello stesso viazo con l’incarico di trattare in perle, oro e seta nel Maghreb, sempre per conto di Alvise Michiel; investì nell’operazione di una delle galee di Alessandria nel 1495 per il cui patrono si offrì garante, e fu egli stesso patrono di una delle galee di Fiandra nel 1498. Che ci fosse dietro una «fraterna compagnia» lo svela Sanudo (I diarii, a cura di R. Fulin et al., 1897-1903) quando nel 1496 dà notizia da Napoli «come era ivi gionta la nave di Andrea Soranzo e fradeli carga di biscoti per sussidio di l’armata» (I, col. 381) contro i francesi. Ma non tutte queste imprese furono segnate dal successo: secondo il genealogista Marco Barbaro, due fratelli, Domenico e Nicolò, annegarono nel 1485 (notizia però senza altro riscontro); Gabriele, patrono di una galea di Barbaria, subì a Tunisi nel 1498 il saccheggio delle merci e dei contanti; infine, dopo aver già conosciuto il naufragio del Natale del 1496, Alvise perse una nave nuova di zecca, appena varata e ancora a Venezia, bruciata nel 1504 per la caduta di una candela, per cui lo sfortunato ricevette la nomina a ufficiale all’Arsenale – e il soprannome (sempre a detta del Barbaro) di ‘dalla nave’.
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Cronaca di Zorzi Dolfin, It. cl. VII, cod. 794 (8503), cc. 435-442. Prato, Archivio Datini, b. 710 (31 dicembre 1395); Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Carteggio estero, Lettere ai Gonzaga, b. 1420, perg. 6; b. 1431, c. 283, b. 1431bis, c. 611; Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., s. I, 20, St. veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, b. 23, sp. ramo “G”; Avogaria di comun, Balla d’oro, reg. 162-I, 163-II, 164-III, 165-IV, s.v. Superantio; Prove di età per patroni di galere e altre cariche, reg. 177-1, 17r, 74v, 79v, 84r, 97 reg. 179-3, 8v; Prove d’età per magistrati, 1, c. 29r. Notarile, Testamenti, b. 670, n. 89, b. 1230, n. 147, b. 1235, n.127, b. 988 (16 novembre 1410), b. 1232, nn. 294 e 297, b. 408, nn. 69, 129, b. 1227, n. 6; Cancelleria inferiore notai, b. 169, reg. 1; Senato misti, reg. 47, c. 10; 48, c. 132; reg. 40, c. 46. Senato Terra, reg. 4, c. 156, reg. 5, c. 185; Senato Mar, reg. 4, c. 162v; Collegio, Notatorio, reg. 11, c. 142v, reg. 10, c. 16v; Procuratori di San Marco, Citra, b. 271, f. 3; Misti, b. 98a, commissaria di Verde della Scala (testamento 1393), e b. 160, commissaria Vettor di Giovanni (testamento del 1417); Giudici di petizion, Sentenze a giustizia, reg. 104, cc. 84v-86r; Miscellanea Gregolin, b. 15, libro mastro di Alvise di Nicolò Michiel (1470-1480) (in partic. cc. 110-111, 135, 140, 142, 149); L’estimo veneziano del 1379, a cura di L. Guzzetti - R.C. Mueller, 2016: http:// www.estimoveneziano1379.it; The Borromei bank research project, a cura di J. Bolton - F. Guidi Bruscoli, London, Queen Mary College: http://www. history.qmul.ac.uk/research/borromei.html; Rulers of Venice, banca dati a cura di B.G. Kohl - A. Mozzato - M. O’Connell, http://rulersof-venice. org; D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Archivio storico italiano, 1843-1844, vol. 7, ad ind.; Libro dei conti di Giacomo Badoer, a cura di U. Dorini - T. Bertelè, Roma 1956, pp. 42, 167, 405, 536 s.; M. Sanudo, Le vite dei dogi, 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I-II, Venezia 1999-2004, ad ind.; Id., I diarii, a cura di R. Fulin et al., I-LVIII, Venezia 1897-1903, I, coll. 321, 404, 944, 970, VI, coll. 41, 44; Id., Le vite dei dogi, 1474-1494, a cura di A. Caracciolo Aricò, I-II, Roma-Padova 2001, ad ind.; Venezia, Senato. Deliberazioni miste, vol. 20. Registro XXXIII, a cura di A. Mozzato, Venezia 2010, doc. 349; A. Morosini, Il codice Morosini, a cura di A. Nanetti, I-IV, Spoleto 2010, ad ind. fino al 1426, dopo di che ad policem fino al 1433.
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