sonno
Sonno e memoria
Mentre durante la veglia vengono codificate le nuove tracce di memoria o recuperate e usate le memorie già disponibili, nel sonno avviene un processo di riconsolidamento delle tracce mnestiche, volto a trasformare le memorie labili acquisite di recente in rappresentazioni stabili, integrate nella rete delle memorie a lungo termine. Tale processo non può avvenire quando l’individuo è sveglio, perché ciò porterebbe a un disturbo reciproco fra la codifica delle memorie in ingresso e il consolidamento di quelle già acquisite, col rischio di allucinazioni fastidiose e incompatibili con lo stato di veglia. Pertanto, si ritiene che una delle ragioni più importanti alla base della comparsa e dell’affermazione evolutiva del sonno negli animali sia proprio quella di garantire una dimensione in cui la perdita momentanea di coscienza renda possibile il riesame e il consolidamento delle informazioni memorizzate.
I benefici del sonno sulla memoria sono proporzionali alla sua quantità, ma effetti misurabili si registrano anche solo dopo 1÷2 h o perfino a seguito di cortissimi episodi di sonno della durata di appena 5'. Il sonno favorisce il consolidamento in tutti i principali sistemi di memoria (➔ apprendimento), ma con effetti più marcati per la memoria esplicita e per informazioni ritenute rilevanti dall’individuo. Un esempio è dato dal compito del tempo di reazione seriale, nel quale il soggetto impara a premere pulsanti specifici in risposta a stimoli spaziali opportuni: il sonno migliora la performance dei soggetti con effetti più robusti quando tale compito viene imparato sia in modo esplicito (al soggetto viene spiegata la sequenza degli indizi spaziali presentati) sia in modo implicito (cioè, quando il soggetto non conosce la sequenza degli indizi), e quando la corretta esecuzione del compito viene premiata da un rinforzo positivo rispetto a quando il test non prevede l’ottenimento di alcun premio. L’effetto di consolidamento indotto dal sonno è misurabile come resistenza all’interferenza prodotta dall’apprendimento di un compito simile (stabilizzazione), e come miglioramento della performance rispetto al periodo precedente il sonno (potenziamento). Talvolta, il sonno può anche modificare le memorie a livello qualitativo, portando i soggetti a risolvere problemi di logica per i quali non erano in grado di dare una soluzione prima dell’episodio di sonno.
Il ruolo del sonno REM nel consolidamento mnestico è stato inizialmente indagato con protocolli di risveglio forzato all’inizio della fase REM. I risultati ottenuti sono però di difficile interpretazione, poiché tale manovra comporta alti livelli di stress, fattore confondente capace di influenzare i processi di memorizzazione. Anche gli studi farmacologici basati sulla somministrazione di farmaci antidepressivi, capaci di sopprimere la fase REM del sonno (come gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina, SSRI), sono poco attendibili, perché tali sostanze agiscono anche sui processi di plasticità sinaptica durante la veglia, con possibili effetti di compensazione. Gli studi più attendibili sull’uomo hanno invece sfruttato la differente durata che la fase REM e il sonno non-REM presentano nelle varie parti della notte. Il sonno a onde lente, infatti, è predominante nella prima parte della notte, mentre il sonno REM diviene più rappresentativo nella seconda meta del riposo notturno. Il sonno a onde lente facilita maggiormente il consolidamento delle memorie esplicite (dichiarative), mentre il sonno REM ha effetti più robusti sulle memorie procedurali.
Numerosi studi hanno dimostrato, nel ratto, la riattivazione delle tracce di memoria durante il sonno. Tali studi hanno principalmente indagato l’attività delle cellule di posizione dell’ippocampo (place cells), neuroni fondamentali per il comportamento spaziale e caratterizzati dal fatto che entrano in attività solo quando l’animale invade, durante l’esplorazione, una certa porzione dello spazio – selettiva per ogni neurone – chiamata campo recettivo di posizione (place field). Gli studi di Bruce McNaughton e Matthew Wilson hanno dimostrato che i pattern spaziotemporali di scarica, attivati durante la veglia dall’esecuzione di un certo compito o dall’esplorazione dell’ambiente, vengono poi riattivati, esattamente nello stesso ordine, durante il successivo episodio di sonno a onde lente. Un processo analogo si verifica anche quando l’animale è sveglio, ma in questo caso le sequenze di riattivazione dei singoli neuroni tendono a presentarsi con un ordine temporalmente invertito. Una dimostrazione diretta del ruolo causale della riattivazione delle tracce mnestiche durante il sonno nel potenziamento della memoria è stata ottenuta mediante un paradigma sperimentale in cui i soggetti dovevano apprendere la posizione di un oggetto all’interno di una griglia bidimensionale mentre erano esposti a un certo odore. La riesposizione allo stesso odore, effettuata mentre i soggetti dormivano nella fase di sonno a onde lente, determinava il potenziamento delle memorie apprese, suggerendo quindi che la riattivazione della traccia mnestica fosse necessaria per il consolidamento della stessa. Il potenziamento della memoria indotto dal sonno è mediato anche da processi di rimodellamento anatomico e di rafforzamento funzionale delle sinapsi (plasticità sinaptica). Nel ratto, l’esposizione a nuovi stimoli tattili durante la veglia aumenta l’espressione di geni immediati precoci coinvolti nella plasticità (come Arc ed Egr1) durante il successivo episodio di sonno, un effetto specifico delle aree precedentemente più attivate in risposta agli stimoli. Studi condotti sulla corteccia visiva hanno inoltre dimostrato che la plasticità associata al sonno dipende dall’attivazione dei recettori per il glutammato di tipo NMDA e dalla proteina chinasi cAMP dipendente di tipo A (PKA).