Sommarnattens leende
(Svezia 1955, Sorrisi di una notte d'estate, bianco e nero, 108m); regia: Ingmar Bergman; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; scenografia: P.A. Lundgren; costumi: Mago; musica: Erik Nordgren.
Accomodato in una luce quasi mediterranea, il marivaudage si apre sulla 'scena da un matrimonio' del maturo borghese Fredrik Egerman, agiato funzionario di banca che cerca ancora le chiavi del cuore della giovane moglie Anne. Sposata in tenera età, tuttora vergine e incantata di fronte alla vita, Anne vorrebbe la felicità per il marito ma non sa confessare a sé stessa che il suo amore è ormai rivolto al giovane Henrik, pensoso (e un po' buffo) studente di teologia che Fredrik ha accolto in casa per virtù di parentela. Sensibile al fascino della solare cameriera di casa, tormentato dai sacri principi della fedeltà all'ideale amoroso, Henrik non sarebbe un pericoloso rivale se Fredrik non capisse che la differenza d'età può fargli perdere la battaglia. Si confida così con l'amante di un tempo, la bellissima attrice Desirée che, nonostante il matrimonio di lui, non ha mai smesso di amarlo. Ed è proprio l'arte del teatro, la pratica dell'illusione fatta realtà sulle tavole del palcoscenico che suggerisce a Desirée come ordire il suo complotto sentimentale. La donna convoca nella villa di famiglia i coniugi Egerman con il nipote, insieme al conte Carl Magnus e a sua moglie Charlotte. Confida nelle profferte sentimentali ricevute dall'elegante aristocratico e nel gioco delle gelosie incrociate che sua madre, l'anziana signora Armfeldt, saprà suscitare animando la discussione intorno al desco sul tema dell'amore. Per il giovane Henrik è troppo: sentendo sancita l'impossibilità della sua passione fugge in lacrime, ma viene precipitosamente raggiunto da Anne, che finalmente segue i palpiti dell'amore e sogna di fuggire con lui. Intanto Desirée lascia credere a Carl che gli si concederà, ma al contempo stringe alleanza con sua moglie Charlotte affinché ne susciti la gelosia insidiando Fredrik. E infatti per Carl Magnus ciò che è legittimo fuori dal matrimonio non è accettabile in famiglia, nel tempio delle convenzioni. Sicché l'uomo si riprende la sua bella moglie e lascia la villa, felice per un matrimonio riconquistato; nel frattempo anche Anne e Henrik sono partiti. Restano solo Fredrik e Desirée, finalmente consci e liberi di dare un futuro alla propria, adulta, passione.
La ronda dell'amore come eterna commedia degli equivoci, la saggezza delle donne come unica bussola perché l'umanità ritrovi l'armonia e l'equilibrio delle convenzioni che tutelano i sentimenti, il senso della moralità che si nasconde dietro il raggiro, l'ironia impietosa sulla menzogna eterna delle regole sociali. A metà degli anni Cinquanta Ingmar Bergman costruisce, intorno al suo vecchio compagno d'accademia e amico personale Gunnar Björnstrand, la commedia che gli regala fama internazionale nonché un premio a Cannes, ma che è poi rimasta a lungo in secondo piano nella sua filmografia, quasi un frammento spurio di una carriera altrimenti rigorosa e austera. Eppure è proprio qui che la perfezione cronometrica degli assetti narrativi, la misura degli accenti e delle situazioni offre la misura della grandezza di un maestro che non si dà confini nella pienezza espressiva. Anzi, a veder bene, il registro dell'ironia giocosa ‒ coltivato soprattutto nella prima parte della carriera ‒ è aspetto essenziale per comprendere una visione dell'uomo che parte dalla nozione dei suoi limiti e dalla necessità che una regia 'esterna' contribuisca a ripristinare il senso del vivere sociale.
Si può accettare questa vicenda per quel che propone: una ronde di rara eleganza, cadenzata da tocchi lievi di sceneggiatura e montaggio che procedono per giustapposizione di caratteri e di accadimenti, nella quale, come nello scoperto modello scespiriano, l'amore muove i destini di tutti e porta a passi felpati verso un lieto fine che fa parte della convenzione del teatro e, per suo tramite, della vita. È altresì legittimo avventurarsi, come farà a modo suo Woody Allen (segnatamente in A Midsummer Night's Sex Comedy ‒ Una commedia sexy in una notte di mezza estate, 1982, che a questo modello bergmaniano esplicitamente si ispira), in un'interpretazione strutturale per cui il riso è l'altra faccia naturale del tragico e non sarebbe possibile guardare alle stranezze del genere umano senza provare sentimenti contigui di derisione e complicità. Si può infine cogliervi un momento del percorso interiore dell'autore, che mette a contrasto il formalismo e la ritualità della società in cui vive con l'esigenza interiore di felicità che abita ogni essere umano e che può essere soddisfatta soltanto per le impervie vie dell'ambiguità e del raggiro, pena la dura prova della sincerità e del dramma.
Alla fine si è invece tentati dal trovare un appiglio definitivo nel contrasto tra vita reale e finzione teatrale; un contrasto che Bergman mette in scena con continui richiami al doppio volto dell'esistenza, di cui il teatro borghese risulta essere specchio fedele. Solo al tempo di Fanny och Alexander il maestro ritroverà questa felice specularità tra le due illusioni del vivere: la rappresentazione interiore che ciascuno di noi ne fa e quella, tutta esteriore, che solo il teatro consente. E da questo punto d'osservazione converrà notare che in tutta la sua opera Bergman affida al mondo del teatro le sole oasi di felicità solare che concede al genere umano (anche in un film di limpido pessimismo come Det sjunde inseglet ‒ Il settimo sigillo, 1957). Proprio come Shakespeare, che sa mettere in scena le tragedie più terribili, ma regala all'immaginazione del saltimbanco e del fool l'unica possibilità di riscatto. È negli anni di Sommarnattens leende che del resto il regista comincia a comporre quell'inarrivabile famiglia della finzione che costruirà con meticolosa attenzione, intrecciando vita e creatività. Oltre a Gunnar Björnstrand e ad Eva Dahlbeck, l'immagine d'una radiosa maturità femminile, si affacciano nel film Harriet Andersson e Bibi Andersson, presenze che segneranno profondamente le successive opere bergmaniane e qui illuminano di giovinezza un sogno d'amore, per un solo istante destinato a compiersi.
Interpreti e personaggi: Ulla Jacobsson (Anne Egerman), Eva Dahlbeck (Desirée Armfeldt), Harriet Andersson (Petra), Margit Carlqvist (Charlotte Magnus), Gunnar Björnstrand (Fredrik Egerman), Jarl Kulle (Carl Magnus), Åke Fridell (Frid), Björn Bjelfvenstam (Henrik Egerman), Naima Wifstrand (signora Armfeldt), Jullan Kindahl (Beata, la cuoca), Gull Natorp (Malla), Gunnar Nielsen (Niklas), Birgitta Valberg, Bibi Andersson (attrici).
"Cahiers du cinéma" n. 61, juillet 1956, in partic. E. Rohmer, Présentation d'Ingmar Bergman, J.-J. Richer, Les belles avocates; A. Kyrou, La clef pour la serrure, in "Positif", n. 18, novembre 1956.
P.J. Dyer, Smiles of a Summer Night, in "Films and filming", n. 2, November 1956.
E. Bruno, Sorrisi di una notte d'estate, in "Filmcritica", n. 74, gennaio 1958.
T. Ranieri, Sommarnattens leende, in "Bianco e nero", n. 3, marzo 1958.
D. Alman, Les jeux de l'humour, in "L'avant-scène du cinéma", n. 454, juillet 1996.
Sceneggiatura: in I. Bergman, Quattro film, Torino 1961; in "L'avant-scène du cinéma", n. 454, juillet 1996.