Sommario delle cose della città di Lucca
Il 9 luglio 1520 M. si recò a Lucca, inviatovi da potenti mercanti fiorentini vicini ai Medici – tra cui Jacopo Salviati –, danneggiati dal fallimento di Michele Guinigi («per essere giucatore [...] aveva giucato grossamente [...] a credenza»: Ricordo, LCSG, 7° t., p. 139), diseredato dal padre; la commissione aveva natura semiprivata con implicazioni politiche, tenuto conto dei cittadini coinvolti. Infatti, dal novembre del 1519, la Signoria fiorentina trattava con gli Anziani di Lucca affinché «i creditori del giuoco fussino messi da parte» e si imponesse il rimborso a favore dei creditori fiorentini con i pochi beni rimasti (Giovambattista Bracci a M., 14 ag. 1520, LCSG, 7° t., p. 145). Questo l’obiettivo delle trattative di M., portavoce dei mercanti e della Signoria; la missione si concluse senza successo (Guinigi era fuggito, i parenti beneficiarono dell’eredità, i libri contabili erano irreperibili); altre competenze necessitavano per una positiva risoluzione. Per i signori della Zecca M. doveva inoltre discutere una questione di conio monetario, e per conto di Giulio de’ Medici (31 luglio) doveva chiedere agli Anziani di «mandare via della città [...] tre maligni» siciliani «già scolari nel Studio di Pisa» (p. 144; cfr. anche pp. 34-42, 139-50). Nei due mesi del suo soggiorno M. si interessò all’ordinamento politico e alla storia di Lucca e lavorò alla Vita di Castruccio Castracani e al Sommario delle cose della città di Lucca. Quest’ultimo testo manca di riferimenti interni utili ai fini di una datazione, ma, potendosi assimilare al genere del resoconto di fine missione, il terminus post quem ipotizzabile è la conclusione dell’incarico a Lucca (sett. 1520), mentre quello ante quem è il 1522 (11-12 luglio), anno in cui la potente famiglia Poggi, in competizione con altri nobili casati lucchesi, si rivoltò contro la Signoria (il pretesto fu l’assegnazione della chiesa di S. Giulia), irrompendo nel Palazzo e uccidendo il gonfaloniere (cfr. F. Guicciardini, Storia d’Italia XIV xv); la protesta fu repressa con decapitazioni, esili e multe gravose. M., citando la famiglia, non menziona quest’evento (SPM, pp. 612-20, 713-14).
La struttura dell’opera rispecchia lo schema previsto dalla tradizione diplomatica della relazione di fine ambasceria, redatta dall’inviato non solo sui fatti della missione, ma anche sul Paese, sulle cariche politiche, sulle istituzioni; un genere già praticato da M. nel Rapporto di cose della Magna, nel Ritratto di cose di Francia e nel Ritratto delle cose della Magna, e ora ripreso con l’intento di valutare «quello che in questo governo è di buono o di reo» (Sommario, § 39).
La trattazione degli argomenti è continua, ma il testo può comunque essere diviso in tre sezioni. La prima parte è incentrata sugli organi politici della città: il supremo magistrato di Nove cittadini, «eletti tre in ciascuna» delle tre parti in cui la città è divisa, «i quali insieme con uno altro», il gonfaloniere di giustizia, prendono il nome di Signoria o Anziani; il Consiglio «di 36 cittadini [...] nomato dal numero», e il Consiglio generale di settantadue cittadini (§§ 1-3). In effetti, secondo la riforma repubblicana del 1446 (rimasta in vigore fino al 1539), i membri del Consiglio grande erano 90; 72 potrebbe esprimere il numero legale o costituire un errore (Villari 1882, p. 65; Tommasini 1883, p. 252). Nella seconda parte M. si sofferma sui poteri di «questi 3 membri», sui meccanismi di elezione e su alcune cariche minori (§§ 4-38), e nella terza espone alcune riflessioni critiche su tale assetto politico, per mezzo anche di un raffronto con il passato di Roma e con il presente di Venezia e Firenze (§§ 39-58). L’approccio, in cui si ravvisano un certo impulso teorizzante («nondimanco non deve alcuno che ordini una repubblica imitarlo»: § 47) e tracce esigue di un’argomentazione incalzante («perché ... serve a ... serve a .... perché ... di che ... adunque ... donde che»: §§ 52-53), rende l’opera, «di piccola mole, ma arguta e comparativa» (Tommasini 1883, p. 252).
Tema precipuo del S. è il funzionamento della Repubblica di Lucca, comparato implicitamente con la più generale riflessione del M. sulla struttura dello Stato e sulla forma di governo (come anche nel Discursus florentinarum rerum del 1520-21). L’esercizio dei poteri politici devia da quello «delle passate repubbliche» (e anche di Venezia) dove il popolo o «il numero maggiore ha distribuito», il senato o «il mezzano consigliato», i consoli o «il minore esequito» (§§ 45-46). A «Lucca sono confusi questi ordini»; la Signoria, infatti, equiparata al consolato romano, più che eseguire, raduna i Consigli e i Colloqui (composti da cittadini autorevoli), propone le questioni che «si hanno a deliberare» (§ 5), insieme ai Trentasei distribuisce «tutti gli onori e gli utili dello stato» (§ 7). Anche le funzioni del Consiglio dei trentasei, rapportabile al senato, e del Consiglio generale, che esprime la componente democratica, si differenziano rispetto al tradizionale ordine repubblicano; («il numero di meno distribuisce, il minore e il maggiore parte consiglia e parte eseguisce»: § 47). La Signoria rimane in carica due mesi (con divieto di rielezione per due anni), il Consiglio generale un anno e i Trentasei sei mesi (con il solo divieto «che non possono essere rifatti del nuovo quelli che sono del vecchio»: § 29). Il meccanismo di elezione dei Signori è diverso rispetto agli altri uffici, ma per tutti sono necessari «i 3/4 del favore» (§§ 14, 20); per le altre cariche i lucchesi, diversamente che altrove (per es., Firenze), estraggono prima il nome della persona «e poi dichiarano a quale uffizio egli abbia ad ire» (§ 25). Tra gli aspetti negativi di tale sistema politico M. pone il fatto che la Signoria, rimanendo in carica poco tempo e «avendo i divieti lunghi», è «senza maestà» (contrariamente ai consoli di Roma e ai signori di Venezia), il che comporta l’elezione anche di «uomini non reputati» e la convocazione dei Colloqui dei cittadini (esclusi dagli uffici) che «nelle repubbliche bene ordinate non si usa» (§§ 41-42). Per la stessa ragione (la durata degli incarichi) il cittadino facoltoso nutre poco interesse verso «gli onori e gli utili» dell’attività pubblica, perché questi sono «deboli» e quindi egli «stima più le sue faccende» a scapito dell’amministrazione dello Stato (§ 48). A Lucca però, come nelle buone repubbliche, la Signoria ha autorità solo sul contado, mentre l’autorità sui cittadini è esercitata dal Consiglio generale, «il principe della città, perché fa legge e disfalle [...] confina, ammazza cittadini», non concede appello e «serve a gastigare e’ grandi e l’ambizione de’ ricchi» (§§ 31, 52). Il limite di tale sistema giudiziario è l’assenza di «uno magistrato di pochi cittadini, come dire 4 o 6, che possino gastigare», necessario anche «a frenare la insolenza de’ giovani» e quelle «cose che il numero grosso non può correggere» (§ 52). Questa analisi sembra rimandare al tema più generale dell’amministrazione della giustizia affrontato anche nel Discursus. M. accenna alla «Legge de’ discoli» (istituto del discolato), emanata per punire chiunque attenti all’equilibrio esistente e che ha confinato per tre anni molti uomini; il vincolo però dei 3/4 dei consensi del Consiglio ha permesso ai grandi parentadi di ostacolarne l’applicazione (come nel caso dei Poggi, al centro di molti «esempli non buoni», § 55).
M. raccolse le sue informazioni in loco, avvalendosi di testimonianze dirette dei cittadini lucchesi e forse anche a qualche documento ufficiale sull’attività degli organi governativi e sull’ordinamento repubblicano (registri delle Riformagioni pubbliche e delle delibere, statuti, verbali delle adunanze ecc.).
Il S. ci è pervenuto grazie al noto Apografo di Giuliano de’ Ricci, Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Pal. E.B. 15.10, cc. 80v-82v. Dalla premessa di Ricci apprendiamo che è stato trascritto da «certi stracciafogli», in cattive condizioni materiali. Il testo è anepigrafo e gli editori deducono il titolo dalla nota di Ricci. La princeps è del 1782-1783 nell’edizione di G. Cambiagi, 2° vol., pp. 169-76. Va segnalata per gli apparati informativi l’edizione a cura di S. Bertelli, 2° vol., 1961, pp. 229-44. Edizione critica a cura di J.-J. Marchand, in SPM, pp. 612-20.
Bibliografia: Fonti: Statuti, Lucca, Archivio di Stato, 19, Indici di Leggi e dello Statuto de Regimine; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1962, pp. 11-31, 83-147.
Per gli studi critici si vedano: P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 3° vol., Firenze 1882, pp. 63-68; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 2° vol., t. 1, Roma 1883, rist. anast. Bologna 1999, pp. 250-53; F. Ercole, La politica di Machiavelli, Roma 1926, pp. 127-42, 226-39.