SOLOSMEO, Antonio
di Giovanni da Settignano
– Nacque forse a Firenze, nel popolo di S. Pier Gattolini, il 15 gennaio 1494 (Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi, reg. 6, Maschi, 1492-1501, c. 31r), da una famiglia di scalpellini originaria di Settignano (Archivio di Stato di Firenze, ASF, Catasto 1170, Portate del contado, Quartiere di S. Giovanni, 1487, c. 523; Vasari, 1568, 1881, VII, p. 513): suo padre dovette essere Giovanni di Antonio di Giovanni, già morto nel 1504, quando sua madre Maddalena da vedova risiedeva a Settignano insieme al figlio di otto anni Domenico (ASF, Decima repubblicana, 368, c. 290r). L’osservanza di una tradizione nella trasmissione dei nomi di battesimo induce a ritenere Solosmeo il primogenito della coppia e pertanto nato prima del 1496. Avalla tale ipotesi la sua assenza dalla casa materna nella dichiarazione fiscale della Decima, quando il fanciullo di circa dieci anni poteva aver già avviato il praticantato presso la bottega di un artista, rendendosi autonomo dal reddito di Maddalena.
Giorgio Vasari lo ricorda, quale pittore e scultore, tra gli allievi di Andrea del Sarto e di Jacopo Sansovino (Vasari, 1568, 1880, V, p. 58; 1568, 1881, VII, p. 510), mentre Gaetano Milanesi e Adolfo Venturi lo ritennero un creato di Andrea Sansovino (Milanesi, in Vasari, 1568, 1880, V, p. 58 nota 1; Venturi, 1935, p. 277). La sua appartenenza alla compagnia fiorentina del Paiolo, animata da Giovan Francesco Rustici e da Andrea del Sarto, e frequentata da artisti e musicisti (Vasari, 1568, 1881, VI, p. 609; Mozzati, 2008, pp. 221-228, 352), ne conferma l’adesione al vivace clima culturale della Sapienza fiorentina. Proprio qui, all’inizio del secondo decennio del Cinquecento, Andrea del Sarto e Jacopo Sansovino serrarono la loro amicizia, in uno speciale clima preaccademico fondato sul costante interscambio culturale, nel quale si coagularono i più densi umori leonardeschi presenti in città (Mozzati, 2008, p. 96).
Il 30 maggio 1517 Solosmeo aveva già acquisito lo status di scultore, come rivela un documento in cui Benedetto di Benedetto Lamberteschi prometteva di impedire a suo fratello Guccio di molestare l’artista (Butterfield - Franklin, 1998, p. 821 e nota 16). Il 29 maggio 1523 doveva essersi già ritagliato la fama di maestro della terracotta: sostituì infatti Rustici, affiancandosi all’amico Niccolò Tribolo, in un lodo che doveva dirimere il valore di quattro sculture in terracruda realizzate dal fiorentino Sandro di Lorenzo di Smeraldo (ibid., p. 823; Giannotti, 2018, pp. 89, 92).
Il discepolato presso Jacopo Sansovino fu certo alla base del suo sodalizio con Tribolo, insieme al quale lavorò a Bologna, come risulta da pagamenti registrati dal 2 settembre 1525 al 24 marzo 1526 (Giannotti, 2012, p. 178 nota 10). Insieme a una équipe di fiorentini, guidati da Niccolò, della quale faceva parte anche Simone Cioli, lo scultore prestò la sua opera ai rilievi delle due porte minori della facciata di S. Petronio, dove sin dal 1524 erano attivi Zaccaria, Gabriello e Giovanni Zacchi, Amico Aspertini, Alfonso Lombardi, Gerolamo da Treviso ed Ercole Seccadenari (p. 170). Il 9 dicembre 1525 e il 5 gennaio 1526 Tribolo fu pagato dall’Opera petroniana per due modelli forniti a Solosmeo, oggi di difficile identificazione, stante il carattere collettaneo dell’impresa. Se per Igino Benvenuto Supino (1914) poté trattarsi degli studi per gli Angeli degli archivolti dei portali (pp. 63 s.), per Maria Vittoria Brugnoli (1984) essi fruttarono invece le due michelangiolesche storie con la Cattura di Simeone e la Coppa nascosta nel sacco di Beniamino delle pilastrate (p. 70), più verosimilmente riconducibili a una diretta autografia di Niccolò. Per Maria Grazia Ciardi Duprè (1965) a Solosmeo spetterebbe invece la Costruzione dell’arca, oggi conservata all’interno del museo petroniano (p. 10). La paternità di Solosmeo è stata tuttavia chiamata in causa anche per alcuni Angeli e Sibille (Brugnoli, 1984, pp. 84, 90. Contemporaneamente l’artista fu impiegato con il Tribolo, sin dal settembre del 1525, dal giureconsulto Bartolomeo Barbazza, canonico di S. Petronio, nell’impresa della tomba di famiglia da realizzare, in quella stessa basilica, su un progetto di Michelangelo (Milanesi, in Vasari, 1568, 1881, VI, p. 60 nota 1). Ai due maestri il committente chiese di tradurre un disegno fornito dal Buonarroti, forse durante il suo soggiorno bolognese del 1506-08, in memoria di Andrea Barbazza, padre di Bartolomeo, già titolare di una scuola di diritto canonico e maestro di papa Alessandro VI (Giannotti, 2012, pp. 168 s., 179 nota 22). Lo attestano le missive indirizzate a Michelangelo dal canonico (3 e 29 ottobre 1525) e dal Tribolo (senza data, ma 1525; Il carteggio..., 1973), dalle quali si evince che Niccolò e Solosmeo si apprestavano a mettere in esecuzione il progetto buonarrotiano nella sua parte architettonica, finita la quale il nostro artista, verosimilmente, abbandonò la città, lasciando a Tribolo l’incarico delle sculture (Vasari, 1568, 1881, VI, p. 60; Giannotti, 2012, pp. 168 s.).
Nel 1527 Solosmeo fu di nuovo in Toscana, dove nella badia vallombrosana di S. Fedele a Poppi firmò e datò un dipinto con la Madonna, il Bambino e i ss. Giovanni Battista, Francesco, Sebastiano e Giovanni Gualberto, rimarcando nell’iscrizione il suo status di scultore (Milanesi, in Vasari, 1568, 1880, V, p. 58, nota 1; Benci, 1834). L’opera doveva essere affiancata, nella sua collocazione originaria – l’altare della cappella del Beato Torello (Butterfield - Franklin, 1998, p. 822; Casciu, 2004, p. 99) –, da due tavole con S. Giovanni Evangelista e S. Caterina, recentemente restituite all’artista e ancora in loco (Butterfield - Franklin, 1998, p. 822). Le tenerezze sartesche sono qui innestate su uno schema piuttosto convenzionale, e le più aggiornate citazioni dal ciclo fiorentino dello Scalzo non bastano a sciogliere gli impacci dell’opera (Shearman, 1965, II).
Solo un anno più tardi, nel 1528, Solosmeo venne registrato di nuovo a Firenze, confermando il suo legame con i frequentatori delle compagnie del Paiolo e della Cazzuola (Mozzati, 2008, pp. 371, 374): il 4 novembre fu procuratore, insieme al chierico fiorentino e della Camera apostolica Giovanni Gaddi, nella vertenza ereditaria dello scalpellino Antonio di Francesco da Settignano (ASF, Notarile antecosimiano, 20873, Giovanni di Zanobi Vannucci, cc. 112r-114v); l’11 novembre presenziò come testimone, insieme a Giuliano Bugiardini, a una dichiarazione di debito fatta dal maniscalco Giacomo di Pietro, nella casa del Gaddi (Butterfield - Franklin, 1998, p. 822 nota 20); nei confronti di quest’ultimo l’artista, lo stesso giorno, risultava debitore di un prestito di 60 ducati larghi d’oro (ASF, Notarile antecosimiano, 20872, Giovanni di Zanobi Vannucci, c. 95r).
Coinvolto nella realizzazione del progetto di Antonio il Giovane e Battista da Sangallo per la sepoltura di Piero de’ Medici a Montecassino, Solosmeo si impegnò, dal giugno 1531, con i monaci a fornire, entro tre anni, materiali e mano d’opera, almeno per le parti architettoniche (Caravita, 1870, pp. 81 s., 86, 89). Si trovò così a coordinare sette scalpellini, ricevendo regolari pagamenti fino al 1533 (pp. 115, 105-110). Il complesso, ricordato anche da Vasari (1568, 1881, VII, p. 513), fu fortemente danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Esso comprendeva il contributo di Francesco da Sangallo per le sculture principali (S. Pietro e S. Paolo, Piero de’ Medici, Cristo risorto) e di Matteo Quaranta per i rilievi basamentali (Storie dei ss. Pietro e Paolo; Vasari 1568, 1881, VII, p. 82 e passim; Moreschini, 2001-2002, pp. 64-66). Discussa appare l’autografia delle sante Giustina e Agata, riferite da Benedetta Moreschini all’artista napoletano (p. 64) e da Gabriele Donati (2008) a Solosmeo, che poté forse porvi mano su modelli di Francesco da Sangallo (p. 134 nota 101). Il complesso fu ultimato solo nel 1559 (Caravita, 1870, p. 115). L’altare ebbe una progettazione travagliata, come attestano alcuni disegni di Antonio da Sangallo il Giovane conservati al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (Moreschini, 2001-2002, p. 61): se ne evince come inizialmente il sepolcro dovesse essere inserito entro una cappella a pianta centrale, poi abbandonata in corso d’opera (ibid.). Durante i lavori alla tomba Solosmeo dette prova di un’ottima integrazione con l’ambiente dei fiorentini a Roma. Lo conferma Benvenuto Cellini (1558-1566 circa, 1971), che, fuggito dalla città pontificia nel 1532 per non incappare nell’ira di Clemente VII a causa di una rissa, ricordò di aver incontrato l’amico che si stava recando a Montecassino per il sepolcro (p. 219). Nell’occasione Solosmeo appariva informato degli umori del pontefice e del cardinale Ippolito de’ Medici a seguito dello scontro con Cellini, e si unì all’amico nel suo viaggio alla volta di Napoli, recandosi probabilmente a incontrare Don Pedro de Toledo (pp. 219-223).
Una riprova delle buone entrature romane dell’artista giunge dall’ultima menzione che gli dedicò Vasari (1568, 1881, VI, p. 166). Prima del 25 marzo 1536 Solosmeo fu ricevuto a Roma dagli esecutori testamentari di Clemente VII, i cardinali Innocenzo Cybo, Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi, in presenza del datario Baldassarre Turini, che sovrintendeva alla lavorazione delle sepolture medicee nella chiesa di S. Maria della Minerva (Partridge, 2014, p. 172). In quell’occasione l’artista, che «era poco amico di Baccio» Bandinelli (Vasari, 1568, 1881, VI, p. 166), commentò i progetti forniti da quest’ultimo, non sapendo che alla riunione questi era presente, seppur nascosto (ibid.).
Difficile, infine, stabilire se nello scalpellino Antonio da Settignano, registrato nei conti della S. Casa di Loreto tra il 1541 e il 1542 (L’ornamento marmoreo, 1999), vada identificato proprio Solosmeo, talora a torto ritenuto accanto al Tribolo in quel cantiere già nei primi anni Trenta (Il carteggio..., 1973, pp. 17, 22), essendo stato arbitrariamente identificato tra gli artisti richiamati da Michelangelo a Firenze, nel luglio 1533, per la Sagrestia Nuova: essi andranno più correttamente riconosciuti in Tribolo e Raffaello da Montelupo.
Né fonti né documenti offrono notizie di Solosmeo successive al 1536, pertanto nulla sappiamo sulla sua morte.
Fonti e Bibl.: B. Cellini, Vita (1558-1566 circa), in Opere di Benvenuto Cellini, a cura di G.G. Ferrero, Torino 1971, pp. 219 s., 223; G. Vasari, Le Vite (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, p. 58 nota 1, VI, 1881, p. 60 nota 1, 166, 609, VII, 1881, pp. 510, 513, IX, 1885, p. 139; A. Benci, Guida ai santuari del Casentino ed ai luoghi principali della Valle Tiberina toscana..., Firenze 1834, p. 61; A. Caravita, I codici e le arti a Monte Cassino, III, Montecassino 1870, pp. 75, 82, 86 s., 89-91, 93, 95, 100-102, 104-110, 120; I.B. Supino, Le sculture delle porte di S. Petronio in Bologna illustrate con documenti inediti, Firenze 1914, pp. 36, 38 s., 52 s., 64, 104 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, 1, Milano 1935, pp. 253, 277; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXXI, Leipzig 1937, pp. 258 s.; M.G. Ciardi Duprè, La scultura di Amico Aspertini, in Paragone, XVI (1965), 189, p. 10; J. Shearman, Andrea del Sarto, Oxford 1965, I, pp. 2, 169, II, p. 300; Il carteggio di Michelangelo, a cura di P. Barocchi - R. Ristori, III, Firenze 1973, pp. 16 s., 22, 168, 175, 180; M.V. Brugnoli, Le porte minori, in La Basilica di S. Petronio in Bologna, II, Cinisello Balsamo 1984, pp. 69 s., 84, 90; M. Gori Sassoli, Solosmeo / Antonio da Settignano, detto il, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1997, p. 843; A. Butterfield - D. Franklin, A documented episode in the history of Renaissance ‘terracruda’ sculpture, in The Burlington Magazine, CXL (1998), pp. 819, 821 s., 823 s., doc. 2; L’ornamento marmoreo della S. Cappella di Loreto, a cura di F. Grimaldi, Loreto 1999, pp. 51, 131; B. Moreschini, Un monumento sfortunato: nascita e sviluppo della sepoltura di Piero di Lorenzo de’ Medici 1512-1513, in Commentari d’arte, VII-VIII (2001-2002), 20-23, pp. 60-77; S. Casciu, Presenze pittoriche della tradizione fiorentina, in Arte in terra d’Arezzo, a cura di L. Fornasari - A. Giannotti, Firenze 2004, pp. 98-100; G. Donati, Un giovane scultore fiorentino e la congiuntura sansovinesca del pieno Rinascimento, in Prospettiva, 2008, n. 130-131, pp. 107-134; A. Giannotti, Il teatro di natura. Niccolò Tribolo e le origini di un genere. La scultura di animali nella Firenze del Cinquecento, Firenze 2008, pp. 41 nota 30, 49 e nota 68, 51 nota 79, 52, 60 nota 113, 65 nota 10; T. Mozzati, Giovanfrancesco Rustici. Le Compagnie del Paiolo e della Cazzuola. Arte, letteratura, festa nell’età della Maniera, Firenze 2008, pp. 352-355; A. Giannotti, Tribolo giovane e le figure ‘meravigliose’ di S. Petronio, in Nuovi studi, XVIII (2012), pp. 167-170, 172, 175 s., 178 nota 10, 182 nota 56, 184 note 67-69 e 72; L. Partridge, Le tombe dei papi Leone X e Clemente VII, in Baccio Bandinelli. Scultore e maestro (1493-1560), a cura di D. Heikamp - B. Paolozzi Strozzi (catal., Firenze), Firenze-Milano 2014, pp. 169-187; A. Giannotti, Nuove occasioni nel percorso del Maestro dei bambini irrequieti, in Paragone, s. 3, 2018, n. 139-140, pp. 89, 92.
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Settignano