SOLE (gr. ἥλιος; lat. sol; fr. soleil; sp. sol; ted. Sonne; ingl. sun)
Dopo le scoperte delle leggi di Keplero e di Newton si poté stabilire che il Sole è il regolatore del sistema solare e si poté determinare la distanza dai suoi pianeti e le sue dimensioni; tuttavia nulla si poteva ancora dire sulla sua costituzione e per sé e in rapporto alle stelle. Ma quando con il sorgere dell'astrofisica si trovò che il Sole non è altro che una stella simile alle tante visibili nel firmamento, e che ve ne sono molte altre di costituzione identica alla sua, allora si cominciò a comprendere il grande interesse che assumevano le ricerche di fisica solare in rapporto allo studio dell'universo e della sua evoluzione.
Il Sole si vede proiettato in cielo come un disco luminoso con un diametro apparente di circa 30′, di dimensioni quindi abbastanza considerevoli e tali che con i cannocchiali più o meno potenti e con gli spettroscopî si possono investigare in dettaglio i varî fenomeni che la sua superficie presenta. Il diametro apparente del Sole è come quello di un disco di 6 mm. di diametro, portato alla distanza di 60 cm. dal nostro occhio; più precisamente si deve dire che il diametro del Sole è variahile secondo la posizione della Terra nella sua orbita, misurando in gennaio al tempo del perielio 32′32″ e in luglio (al tempo dell'afelio) 31′28″. La parallasse del Sole, cioè l'angolo sotto il quale dal suo centro si vedrebbe il raggio equatoriale terrestre (6377 km.), è quel dato fondamentale che una volta noto, dà subito la distanza della Terra dal Sole in chilometri. Parecchi metodi astronomici, diretti e indiretti, dànno per la parallasse il valore 8″,8 e quindi per la distanza Terra-Sole, detta anche unità astronomica di distanza (U.A.), 149 milioni e mezzo di chilometri, con un'incertezza di 15.000 km. circa. Un raggio di luce che parte dal Sole impiega 498″ a percorrere la distanza Sole-Terra.
Conoscendo la distanza media e il diametro apparente medio del Sole, si determina subito il suo raggio, che risulta di 695.450 km. cioè 100 volte il raggio della Terra: quindi il Sole ha un volume che è 1.300.000 volte maggiore della Terra. Con i valori del diametro solare medio in secondi d'arco, 1920″, e il diametro in chilometri, 1.390.900, si ricava che un oggetto della superficie solare, che si veda dalla Terra sotto l'angolo di un secondo ha una estensione reale di 720 km.
La legge della gravitazione universale ci dà il modo di esprimere la massa del Sole in funzione delle grandezze che caratterizzano il movimento della Terra intorno a esso; e si trova così che la massa del Sole è 332.000 volte maggiore di quella della Terra: se questa pesasse tre grammi, il Sole peserebbe una tonnellata. Paragonando il rapporto dei volumi con quello delle masse se ne deduce che la Terra è circa 4 volte più densa del Sole. Poiché la densità media della Terra è 5,5 volte maggiore di quella dell'acqua, ne segue che, ponendo la densità dell'acqua uguale all'unità, la densità del Sole risulta 1,4. La gravità sul Sole è circa 28 volte maggiore che sulla Terra e quindi, mentre su questa un grave percorre nel primo secondo circa 5 m., sul Sole ne percorrerà 140.
Strumenti per l'osservazione del sole. - Qualsiasi cannocchiale astronomico è adatto per le osservazioni visuali del Sole. L'immagine di esso data nel fuoco del cannocchiale stesso è tanto più piccola e luminosa quanto minore è la distanza focale. Un obiettivo o uno specchio di un metro di distanza focale dànno un'immagine del Sole di un centimetro di diametro, quelli di due metri un'immagine di 2 centimetri e così via. Dette immagini si possono osservare direttamente con un oculare munito di elioscopio, oppure per proiezione. Nella sua forma più semplice l'elioscopio è costituito da un semplice vetrino annerito a facce piane perfettamente parallele. Per proiezione si può osservare l'immagine data dal cannocchiale su di uno schermo, come già fecero Galileo e il p. Ch. Scheiner; e questo metodo è molto comodo specialmente quando si vogliano disegnare i fenomeni presenti sulla superficíe del Sole. Se invece si desidera fotografare l'immagine del Sole, allora si può mettere senza altro la lastra fotografica al fuoco del cannocchiale, ma nel caso di un obiettivo è bene che questo sia fotografico. In ogni caso, a meno di non avere un cannocchiale di grande distanza focale, l'immagine del Sole al fuoco principale risulterà piccola e quindi è utile ingrandirla come si fa nell'osservazione visuale per proiezione, ponendo al luogo dello schermo la lastra fotografica. Cannocchiali costruiti per questo scopo si chiamano anche eliografi.
Per potere disporre di una notevole distanza focale si sono ideati i telescopî fissi, orizzontali o verticali (torri solari), nei quali il Sole viene riflesso durante tutte le ore del giorno da uno o più specchi piani convenientemente orientati. Simili strumenti esistono negli osservatorî di Arcetri (Firenze), Meudon (Parigi), Monte Wilson (California), Potsdam (Germania). Quanto agli strumenti che si attaccano ai cannocchiali per disperdere la luce solare nel suo spettro si vedano le voci: spettroscopio; spettrografo; spettroeliografo.
Luminosità del Sole - Studio dei fenomeni della fotosfera. - Se misuriamo l'intensità luminosa del Sole nella stessa scala che serve a determinare le grandezze stellari, si trova la grandezza apparente − 26,72. Se la paragoniamo con quella di Sirio (− 1,6) si trova che il Sole è più luminoso di questo 11 bilioni di volte. Ma portando il Sole alla distanza alla quale si trova Sirio da noi, esso diverrebbe 26 volte meno luminoso di Sirio e ci apparirebbe come una stella di seconda grandezza circa, cioè di 3,6 grandezze minore di Sirio.
Se si osserva il Sole con un cannocchiale, si vede che il suo disco è più luminoso al centro e gradatamente meno verso i lembi e vediamo quella che è chiamata la fotosfera (v.). L'uniformità della fotosfera è interrotta dalla presenza della granulazione, dei pori, delle macchie e delle facole (v.). Fra i nuclei luminosi, che su uno sfondo più oscuro formano la granulazione, alle volte si osservano dei punti ancora più oscuri, che prendono il nome di pori e non sono altro che piccolissime macchie. Appunto quando i pori aumentano di dimensione, prendono il nome di macchie. Queste in generale si formano nel modo seguente: da singoli pori o macchie si formano in generale due macchie piu̇ grandi delle quali la precedente, nel senso della rotazione del Sole, cioè quella che prima arriverà al bordo Ovest, è nella maggior parte dei casi la più compatta ed è dotata di un movimento più veloce in longitudine. Fra queste due si forma a poco a poco un collegamento con piccole macchie, che presto però scompaiono; e con esse scompare anche la macchia seguente. Quella che resta, cioè la precedente, prende allora una forma rotonda, diventa sempre più piccola e si dissolve alla fine in piccole macchie e pori, dai quali spesso si genera una nuova formazione di macchie. Tanto la durata, quanto la grandezza delle macchie sono molto variabili. In ogni macchia completamente sviluppata si distingue l'ombra, cioè la parte più interna uniformemente più o meno oscura, e la penombra, che circonda l'ombra, è meno oscura di questa ed è generalmente fatta a raggi diretti al centro della macchia. Questi raggi cessano bruscamente tanto dalla parte dell'ombra quanto da quella della fotosfera, ed appaiono oscuri soltanto per il grande contrasto con la fotosfera. L'ombra, che rispetto a questa sembra così oscura, è nel fatto ancora abbastanza luminosa e variabile fra 1/10 dello splendore della fotosfera. Qualche volta le macchie, dividensosi in due o più parti, presentano nel loro interno una massa molto luminosa che divide l'ombra a guisa di ponte. Vedremo in seguito che questi ponti non sono altro che eruzioni luminose. La più grande macchia finora osservata sembra sia stata quella che apparve nel 1858 con una lunghezza di 230.000 km., pari a 18 volte il diametro della Terra. Una macchia, il cui diametro raggiunga 40.000 km. è visibile anche ad occhio nudo; e nelle epoche di attività massima se ne notano spesso di queste dimensioni. Osservando una macchia durante il suo percorso sul disco del Sole, cioè durante la rotazione di questo, si nota che l'ombra diventa sempre più piccola, come deve accadere per prospettiva; ma la penombra nella sua parte occidentale, cioè quella rivolta al bordo del Sole, diminuisce in generale in proporzione minore della parte orientale. Presso al bordo l'ombra scompare completamente e della penombra rimane visibile soltanto la parte occidentale come una piccola striscia, riducendosi tutta la macchia a una linea oscura. Al lembo orientale si nota il fenomeno inverso e ciò si può spiegare pensando che la macchia sia costituita come un imbuto, il quale si trova con la sua parte centrale a un livello inferiore di quello della fotosfera. Questo livello, cioè la profondità della macchia, si può facilmente misurare; e per quanto l'accennato fenomeno non sia generale si può tuttavia dire che le macchie debbono costituire delle depressioni nella fotosfera con una profondità variabile di circa 1″, pari a 720 km.
Già i primi osservatori avevano notato che le macchie e le facole si muovono in cerchi paralleli all'equatore solare da est a ovest e, se si sviluppano nell'emisfero invisibile, si vedono sorgere al lembo orientale e tramontare poi al lembo occidentale. Se questi fenomeni durano abbastanza a lungo, si mostrano per tutta una rotazione o varie rotazioni del Sole. Dalla natura stessa del moto si conclude che la sfera solare ruota relativamente alla Terra, con un periodo di 27 giorni. Analogamente a quanto si fa per la Terra, possiamo così definire un asse di rotazione per il Sole, i suoi poli e un sistema di coordinate eliografiche, che servono a determinare la posizione dei fenomeni che si osservano sul globo del Sole. Nelle effemeridi astronomiche più conosciute sono date per ogni anno delle tavole, che servono per le osservazioni fisiche del Sole, cioè dànno di giorno in giorno l'angolo di posizione e l'inclinazione dell'asse solare e la longitudine eliografica della Terra, contata dal meridiano solare che è passato per il nodo ascendente dell'equatore solare sull'eclittica il 1° gennaio 1854.
L'accennato periodo di 27 giorni è quello che si chiama la rotazione sinodica; per avere quella vera bisogna tener conto del cammino della Terra nella sua orbita nell'intervallo di una rotazione solare. La rotazione vera o siderale ha un valore medio all'equatore di 25,35 giorni, come si può determinare con le macchie.
La sistematica osservazione di queste prova che esse si formano soltanto in certe regioni del Sole e con diversa frequenza. Vi sono delle epoche in cui il Sole è completamente privo di macchie, altre in cui ve ne sono moltissime, sempre comprese in due zone del globo solare fra 5° e 40° di latitudine boreale o australe. Di più si trova che la loro latitudine media in una certa epoca è collegata con la loro frequenza. H. Schwabe scopriva che il ritorno della massima frequenza delle macchie ha luogo ogni 11 anni circa. R. Wolf ha potuto raccogliere le osservazioni delle macchie fino dal tempo di Galileo e stabilire che il periodo medio per la loro frequenza è di 11, 1 anni, soggetto però a notevoli fluttuazioni. I cosiddetti numeri relativi di Wolf, che comprendono il numero dei gruppi di macchie presenti in un dato giorno sulla superficie solare e il numero delle singole macchie, sono ancora regolarmente pubblicati dall'Osservatorio di Zurigo e variano da un massimo di 154 per il 1778 a un minimo di 1,4 per il 1913. Una più precisa determinazione dell'attività delle macchie si ottiene, come si fa a Greenwich, misurando sulle fotografie del Sole l'area totale coperta da esse. Per es., nel minimo del 1913 l'area diurna media per le macchie complete (ombra e penombra) fu di 7 milionesimi della superficie solare e quella delle facole 95, mentre nel massimo del 1917 i numeri corrispondenti furono 1537 e 2305, Spörer fu il primo a notare lo spostamento delle macchie in latitudine. Alquanto prima del principio di un ciclo (minima attività) si notano due zone di macchie a circa 30° di latitudine boreale e australe. Queste zone al progredire del ciclo vanno avvicinandosi all'equatore e al massimo di attività, cioè dopo 506 anni, si trovano a circa ± 16° di latitudine; continuano poi ad avvicinarsi all'equatore, mentre il numero delle macchie diminuisce fino a sparire, o quasi, dopo sei o sette anni, cioè al finire del ciclo quando sono arrivate a circa ± 8°. Due o tre anni prima della scomparsa della macchia a bassa latitudine si notano nuovamente le zone perturbate ad alta latitudine e ricomincia così il ciclo. Il passaggio dal minimo al massimo di un ciclo è più rapido che non dal massimo al minimo; dalla media dei cicli finora osservati si deduce che la differenza di tempo, fra il massimo e il minimo, ammonta a 6,0 anni, mentre dal minimo al seguente massimo è di 5,2.
Spettro della fotosfera e spettro della cromosfera. - Quando si proietti il disco del Sole su di un comune spettroscopio a fenditura, si ottiene uno spettro continuo, solcato da numerose righe di assorbimento, scoperte da Wollaston nel 1802 e poi di nuovo indipendentemente da J. Fraunhofer nel 1814. Questi ne fece un esame dettagliato chiamando le principali con lettere dell'alfabeto, in ordine progressivo dal rosso al violetto, e disegnando così la prima mappa dello spettro solare. Queste righe di assorbimento, che da lui presero nome, assursero a una grande importanza dopo che, con la scoperta di Kirchhoff e Bunsen, si poté comprendere in quale modo e da quali elementi esse sono generate. Lo spettro solare che così si osserva è quello della fotosfera ed è nel suo insieme sempre lo stesso, per quanto riguarda numero, posizione e intensità di righe, quando si esamini una regione non perturbata da macchie o facole. Visualmente lo spettro, con la sequenza dei suoi colori si può vedere dal violetto (circa λ 4000) al rosso scuro (circa λ ,7000) senza che si possano dare limiti esatti, perché ciò dipende dalla sensibilità personale dell'occhio per i diversi colori e dalla luminosità dello spettro. Con la fotografia questi limiti, sia verso il violetto sia verso il rosso, si estendono notevolmente, e ancor più se si adoperano mezzi di osservazione speciali con gli spettrografi a quarzo per le regioni ultraviolette e quelli a prismi di salgemma per le regioni infrarosse dello spettro.
H. A. Rowland a mezzo della fotografia, e con i suoi reticoli concavi a grande dispersione, ha eseguito una mappa di 13 metri di lunghezza che contiene 20.000 righe da λ 2975 a λ 7331. Sulla mappa una scala graduata permette di stimare la lunghezza d'onda delle varie righe fino al centesimo di ångstrom, essendo ogni divisione uguale a 3,3 mm. Di più la mappa è accompagnata da una "Tavola preliminare delle lunghezze d'onda dello spettro solare", stampata nei primi volumi dell'Astrophysical Journal (1895-1897), la quale dà per ogni riga la lunghezza d'onda fino al millesimo di ångstrom, le identificazioni fino a quel tempo accertate con elementi noti sulla Terra e le intensità stimate a occhio con una scala empirica. In questa scala le righe più intense dello spettro solare, che sono le due righe del calcio (indicate con le lettere H e K) nella regione violetta dello spettro, hanno rispettivamente le intensità di 1000 e 700, mentre le righe più deboli, visibili nelle fotografie di Rowland sono designate con 0000. Le lunghezze d'onda date da Rowland si basano su di un dato fondamentale, che è la lunghezza d'onda della riga D1 del sodio e su collegamenti relativi neglì spettri di diversi ordini. Poiché la lunghezza d'onda di detta riga, secondo misure più recenti, è diversa da quella usata da Rowland di circa o,2 Å, e inoltre si è trovato che le lunghezze d'onda delle righe solari non sono per varie ragioni le stesse che si avrebbero se le righe fossero prodotte nel vuoto, si è vista la necessità di adottare "un sistema internazionale di lunghezze d'onda", che è basato interamente su sorgenti terrestri. È stata scelta, come campione primario, la lunghezza d'onda della riga rossa del cadmio, misurata direttamente, in funzione del metro campione, con un errore inferiore a un millesimo di ångstrom; le righe campione secondarie e terziarie sono righe dell'arco del ferro, le cui lunghezze d'onda sono state collegate a quella della riga rossa del cadmio con metodi interferometrici molto esatti.
Servendosi di queste righe fondamentali, e di strumenti potenti, quali la torre di 50 metri e uno spettrografo di 23 metri, sono state rifatte a Monte Wilson le misure di Rowland, e nel 1928 è stata pubblicata da St. John, e dai suoi collaboratori, una Revisione della tabella preliminare di Rowland. Essa dà nuovamente le lunghezze d'onda delle righe di Fraunhofer da λ 2975 a λ 7331 nel nuovo sistema internazionale e ne aggiunge circa 2000 nella regione ultrarossa da λ 7331 a λ 10219, con numerose nuove identificazioni e con l'intensità delle righe, sempre nella scala di Rowland, non soltanto sul disco, ma anche sulle macchie. Le righe deboli invece che essere segnate come in Rowland da 0 a 0000 sono indicate nella Revisione con i numeri negativi da 0 a − 4.
Sulle 22.000 righe che contiene la Revisione soltanto 12.000 sono state identificate, quindi il 57%. Dei 92 elementi conosciuti sulla Terra ne sono stati identificati con sicurezza sul Sole 55; per gli altri, sia per ragioni di visibilità spettroscopica, sia per la piccola quantità in cui è probabile che siano presenti sul Sole, non vi è da aspettarsi che possano essere i dentificati.
Nello spettro della fotosfera, oltre alle righe singole, si presentano, in varie regioni, delle righe in fitti raggruppamenti che per il loro caratteristico aspetto prendono il nome di bande, dovute alle molecole. Di queste, le principali finora accertate appartengono al cianogeno, al carbone, agli idruri di alluminio, magnesio, calcio e agli ossidi di alluminio, titanio, zirconio; e alcune di esse sono presenti soltanto nelle macchie.
Esaminando la mappa di Rowland dopo le due righe molto intense visibili nel violetto, dovute al calcio ionizzato, colpisce nel rosso la riga Hα dell'idrogeno, prima della serie di Balmer, di cui sono ben visibili anche le altre righe Hβ, Hγ, Hδ dal rosso al violetto. Sono poi notevoli le righe del sodio nel giallo e quelle del magnesio nel verde. Al di sotto della lunghezza d'onda 2900 tutte le radiazìoni solari sono assorbite dall'atmosfera terrestre e quindi non possiamo conoscere niente della regione ultravioletta dello spettro solare; verso il rosso sono caratteristiche, al di là della riga Hα, le bande bene risolte in righe, che Fraunhofer aveva chiamato con le lettere A e B e che si riconoscono essere dovute all'ossigeno della nostra atmosfera. Questa agisce come un filtro e assorbe quelle determinate radiazioni, più o meno intensamente, secondo che lo strato di ossigeno è più o meno spesso e quindi le bande sono molto notevoli quando il Sole è basso sull'orizzonte.
Quando con la fessura dello spettroscopio dal centro del disco solare ci si avvicina gradualmente al lembo, si notano nello spettro notevoli differenze, dovute alla varia profondità degli strati, che debbono attraversare i raggi al centro e al lembo per uscire dall'atmosfera solare.
Anche lo spettro delle macchie si differenzia notevolmente da quello della fotosfera, specialmente per la presenza di bande dovute a idrocarburi e a ossidi. Le righe tutte si allargano, e in alcuni casi si sdoppiano o si triplicano per effetto dei campi magnetici presenti nelle macchie solari. Il rinforzarsi di alcune righe e l'indebolirsi di altre è dovuto a una riduzione di temperatura sulle macchie rispetto alla fotosfera, come è provato anche dalla comparsa delle bande.
Quando con la fessura dello spettroscopio si giunge alla tangenza col bordo del Sole, le righe principali, specialmente la Hα, si vedono invertite nel momento in cui lo spettro continuo del bordo sparisce. Siamo allora nello spettro della cromosfera che si può osservare in condizioni molto migliori nei brevi momenti delle eclissi solari, quando il disco oscuro della Luna copre la fotosfera.
Nello spettro della cromosfera sono notevolissime le righe luminose della serie di Balmer, quelle del calcio ionizzato, la D3 dell'elio e le altre più intense dello spettro della fotosfera.
Flocculi e protuberanze. - Con lo spettroeliografo si ottengono fotografie monocromatiche del Sole, specialmente con la riga Hα dell'idrogeno e le H e K del calcio. In queste fotografie si nota spesso la superficie del Sole coperta da nubi più o meno luminose, dette flocculi, che probabilmente rappresentano la parte superiore di colonne di gas le quali s'innalzano al di sopra della cromosfera e sono in parte visibili al bordo in forma di getti o pennacchi. I flocculi, specialmente quelli oscuri, hanno spesso una forma molto allungata nel senso dell'equatore solare e sono allora indicati anche col nome di filamenti. Altre volte, specialmente i flocculi di idrogeno che si trovano nelle regioni delle macchie, hanno una struttura ciclonica o vorticosa che condusse E. G. Hale alla scoperta dei campi magnetici sulle macchie solari. I flocculi dànno, come le macchie, un indice dell'attività solare; sono pochi e di piccola area durante il minimo di attività, sono molto estesi e intensi durante il massimo. Di essi si misurano l'area e la distribuzione, come si fa per le macchie.
La cromosfera venne chiamata dal Secchi "prateria infocata", perché appunto tale è il suo aspetto con tante fiamme sottili inclinate nello stesso senso o anche in senso contrario. Quando queste fiamme oltrepassano al bordo l'altezza di 30″ prendono il nome di protuberanze, le quali nelle loro manifestazioni seguono l'attività delle macchie e dei flocculi, con la notevole differenza, rispetto alle prime, di non essere limitate soltanto alle zone equatoriali del Sole, ma di spingersi fino alle zone polari con una legge ben definita durante il ciclo undecennale. Le protuberanze (v.) sono visibili anche a occhio nudo durante le eclissi totali di Sole e, sempre, con lo spettroscopio a fessura allargata o con lo spettroeliografo. Già il Secchi distingueva le protuberanze in eruttive e quiescenti. Benché non vi sia una vera distinzione fra le prime e le seconde, si può dire che le prime sono di carattere molto variabile, come violente e rapide esplosioni; quelle quiescenti durano più tempo e possono ripresentarsi ai bordi del Sole anche in successive rotazioni. Le dimensioni delle protuberanze sono variabilissime; in media si può dire che abbiano uno spessore di 10.000 km., una lunghezza di 200.000 km. e un'altezza di 50.000 km cioè un volume circa 90 volte quello della Terra. Il materiale delle protuberanze si allontana dal Sole con moto vario, che sembra dovuto in parte alla pressione di radiazione e viene spinto a grandissima altezza (ne è stata osservata una nel 1928 di 930.000 km. di altezza) fino, qualche volta, ad allontanarsi completamente dal Sole.
Lo spettroscopio dice che le protuberanze sono in generale costituite dagli stessi gas o vapori che si trovano nella cromosfera, principalmente dunque da idrogeno, elio, calcio.
Rotazione del Sole. - Il periodo della rotazione solare dedotto dal movimento delle macchie risulta di 25d,35. Ma questo è un valore medio che si riferisce a macchie prossime all'equatore; per quelle a più alte latitudini si trovano valori maggiori che dimostrano come la rotazione del Sole non avvenga come quella di un corpo solido. A 40° di latitudine il periodo di rotazione ammonta a 27d,4. Generalmente si esprime la rotazione solare per mezzo di una formula empirica come, p. es., è quella di Maunder:
dove ξ è la velocità angolare diurna di rotazione e ϕ la latitudine.
Anche i flocculi prendono naturalmente parte alla rotazione del Sole, ed è interessante investigare se essi ruotino con la stessa velocità e la stessa legge delle macchie. Dal confronto dei risultati ottenuti dai flocculi di calcio con quelli per le facole e le macchie si deduce che le velocità date dalle facole coincidono quasi con quelle dedotte dai flocculi di calcio, mentre le macchie dànno un periodo di rotazione che è in media più basso di circa 0°, 1 in ξ. I flocculi di idrogeno dànno un periodo di rotazione considerevolmente diverso e non presentano l'accelerazione equatoriale; ciò è in relazione ai diversi livelli ai quali nell'atmosfera solare si trovano le macchie e i flocculi.
Una più precisa determinazione del periodo di rotazione solare, che si può spingere anche al di là delle zone occupate dalle macchie o dai flocculi, è quella che si può fare misurando l'effetto Doppler ai bordi del Sole a varie latitudini. Le prime osservazioni di questo tipo sono state eseguite visualmente da Dunèr ad Upsala (1880): in seguito le osservazioni si sono moltiplicate con la fotografia e con spettrografi a grande dispersione come quelli di Monte Wilson e di Arcetri, collegati alle torri solari.
La velocità, che si ottiene paragonando lo spettro del lembo est con quello ovest alle varie latitudini, va corretta per passare da quella sinodica a quella siderea e per la posizione del Sole, ciò che si fa facilmente con le effemeridi astronomiche e apposite tavole, come quelle calcolate da F. Zagar. l risultati delle determinazioni spettroscopiche della rotazione solare confermano quelli ottenuti dalle macchie. Adams dalle sue osservazioni nel 1906-1908 trova il seguente valore: ξ = 11°,04 + 3°,50 cos2 ϕ.
Di più per le diverse righe si trovano valori leggermente diversi, che si possono spiegare con un effetto di livello, nel senso che elementi i quali occupano un livello relativamente basso nell'atmosfera solare dànno bassi valori per la velocità angolare di rotazione, o in altre parole gli strati più esterni dell'atmosfera solare si muovono più rapidamente di quelli che si trovano più vicini alla fotosfera.
I valori, che si ottengono dalla riga Hα dell'idrogeno, confermano quelli ottenuti dai flocculi di idrogeno avendosi una velocità maggiore all'equatore e una minore accelerazione equatoriale.
La velocità lineare all'equatore in km./sec. ammonta in media a circa 2 km.; ma con diversi strumenti e da diversi osservatori si sono ottenuti in questi ultimi anni valori alquanto diversi, che hanno fatto pensare a una possibile variazione del periodo di rotazione del Sole in relazione al suo periodo di attività. Il fatto è ancora molto dubbio e le differenze notate possono anche essere spiegate con errori sistematici di osservazione.
Circolazione dei gas nell'atmosfera solare. - Se si confrontano le lunghezze d'onda delle righe di Fraunhofer con quelle che si ottengono in laboratorio, si trovano delle differenze che si spiegano con varie cause, come sono quelle dovute all'effetto Einstein per causa del campo gravitazionale del Sole (v. relatività, teoria della), o a un effetto di pressione o ad un moto convettivo dei vapori in ascesa e discesa sulla superficie del Sole. La presenza di questi moti convettivi si può mettere in evidenza confrontando le lunghezze d'onda delle righe al centro con quelle ai lembi. Sulle macchie si notano pure degli spostamenti e deformazioni delle righe (effetto Evershed), dovuti a un moto radiale dei vapori rispetto alle macchie e parallelo alla superficie del Sole. Questo moto radiale si scopre, puntando la fessura dello spettrografo sulla macchia in direzione del raggio solare (fessura radiale), mentre se si colloca la fessura in direzione perpendicolare alla precedente (fessura tangenziale), si possono scoprire i moti vorticosi della macchia. Tutto ciò quando la macchia non è proprio al centro del Sole. I moti radiali sono variabili; in media ammontano a circa 2 km./sec. dal centro della macchia verso l'esterno, e si trovano a un basso livello spettroscopico, come è quello dato dalle righe meno intense. Per le righe più intense il moto si inverte e, restando sempre parallelo alla superficie del Sole, è diretto dall'esterno della macchia verso l'interno. I moti vorticosi hanno componenti di solito notevolmente minori di quelli del moto radiale, e tutto il moto può essere rappresentato da una spirale logaritmica.
Campi magnetici. - La presenza di un moto vorticoso dei gas sulla superficie solare nelle regioni al di sopra delle macchie è stata rilevata dagli spettroeliogrammi presi nella luce monocromatica della riga Hα. L'apparenza dei vortici più semplici attorno alle macchie indica generalmente una rotazione analoga a quella che si ha sulla Terra, cioè sinistrorsa nell'emisfero boreale e destrorsa in quello australe. La presenza di questi moti suggerì a Hale (1908) l'idea che nelle macchie solari possano essere presenti campi magnetici diretti secondo l'asse dei vortici. L'idea di Hale fu subito verificata con la scoperta della separazione delle righe in tripletti e multipletti (effetto Zeeman) sul nucleo delle macchie solari. Con opportuni apparati di polarizzazione, montati sulla fessura dello spettrografo della grande torre solare di Monte Wilson, è stato possibile misurare l'intensità e direzione dei campi magnetici nelle varie macchie e in varie posizioni sul disco solare. Si può arrivare a un massimo di 5000 gauss; il segno della polarità è diverso, non solo nei due emisferi, ma anche secondo che si tratta di una macchia precedente o seguente in un dato gruppo.
Lo studio di questi campi magnetici ha condotto alla seguente classificazione delle macchie solari: 1. macchie unipolari, rappresentate da macchie singole o gruppi di piccole macchie aventi la stessa polarità magnetica; 2. macchie bipolari, rappresentate da due macchie di polarità opposta con la congiungente le due macchie poco inclinata sull'equatore solare; 3. macchie multipolari, rappresentate da gruppi con polarità distribuita in modo irregolare. Le osservazioni dicono che le macchie bipolari formano il tipo dominante.
A Monte Wilson si è osservato ancora che, all'apparire di un nuovo ciclo undecennale, mutano anche le polarità delle macchie nei due emisferi, avendosi una completa inversione di tutto il fenomeno. Ciò porta a concludere che, mentre l'intervallo di 11,5 anni rappresenta la variazione periodica della frequenza o area totale di macchie, protuberanze e flocculi, l'intero periodo delle macchie, corrispondente all'intervallo fra le successive comparse ad alte latitudini delle macchie della stessa polarità magnetica, si deve considerare di doppia durata. Questo ciclo di 23 anni può essere chiamato il periodo magnetico delle macchie per distinguerlo da quello di metà durata delle altre manifestazioni dell'attività solare.
L'effetto Zeeman, esteso talvolta al di là dei limiti della penombra delle macchie, ha fatto pensare a Hale che campi magnetici di grande estensione potessero esistere in altre regioni del Sole, o che addirittura potesse esistere sul Sole un campo magnetico generale, analogo a quello che esiste sulla Terra. Le osservazioni fatte alla grande torre di Monte Wilson, con polarizzatori simili a quelli usati per le macchie, hanno dimostrato la verità di tale ipotesi, cioè che sul Sole è presente un campo magnetico, con una intensità che varia da 10 a 55 gauss secondo le righe considerate, in rapida diminuzione col crescere dell'altezza, per modo che l'intensità maggiore spetterebbe a righe che raggiungono un livello di 250 km. sulla fotosfera e quella di 10 gauss a righe di un livello di circa 400 km. L'inclinazione dell'asse magnetico rispetto a quello solare è di 6°, e il suo periodo di rotazione di giorni 31,52.
Eclissi totali di Sole. - Durante le eclissi totali di Sole si possono osservare involucri più esterni del Sole, che non si possono generalmente vedere in piena luce solare, come la cromosfera e la corona del Sole. Varî tentativi per vedere la corona in piena luce solare non sono riusciti, se si eccettuino quelli recenti del Lyot, a causa della luce molto debole della corona al confronto di quella della fotosfera. Nelle varie eclissi che si sono succedute dopo l'applicazione della fotografia allo studio del cielo (1850) si sono fatte molte e interessanti ricerche nelle località dove queste si sono presentate totali, con appositi strumenti per usufruire dei brevi momenti in cui il disco solare è completamente coperto dalla Luna. Lo spettro flash (lampo), così detto per la sua fulminea apparizione quando il disco della Luna copre la fotosfera, mostra tutte le righe dello strato invertente che diventano luminose nella cromosfera, e permettono di determinare l'altezza raggiunta dai varî elementi sulla fotosfera stessa. Il calcio ionizzato raggiunge 14.000 km., l'idrogeno circa 10.000, il maggior numero degli elementi metallici da 3 a 500 km.
La corona è stata fotografata nelle varie eclissi e se ne deduce che la sua forma è in stretta relazione con il ciclo undecennale dell'attività solare. Alle epoche di massima attività essa è sensibilmente circolare, a quella di minimo è meno estesa salvo che all'equatore, dove si hanno lunghissimi pennacchi. Nella corona del tipo di minimo si vedono in vicinanza dei poli del Sole dei corti filamenti, la cui curvatura ricorda le linee di forza in vicinanza al polo di una calamita. Alle epoche intermedie, fra massimo e minimo, la corona mostra un tipo intermedio, i raggi più lunghi trovandosi preferibilmente nella zona delle macchie e avendosi così un'apparenza rettangolare. Queste forme della corona sono evidentemente dipendenti da quella zona di latitudine dove si trovano i centri di azione delle protuberanze solari.
Lo studio dello spettro della corona è ancora poco avanzato. Righe di origine sconosciuta furono attribuite al cosiddetto coronio; ma oggi si sa che sono invece dovute a elementi noti, i quali a causa della bassissima densità dànno luogo a righe di emissione per salti elettronici da uno stato metastabile. Questi salti, generalmente proibiti nelle condizioni che di solito si hanno nei laboratorî terrestri, possono invece avvenire in quelli celesti dove la bassa densità rende possibili lunghi percorsi medî liberi. Benché l'identificazione delle righe non sia ancora certa, tuttavia sembra che quelle osservate nella corona debbano appartenere a ossigeno e azoto in stati superiori di ionizzazione. La corona, specialmente nelle sue parti più esterne, presenta anche uno spettro continuo con le righe di Fraunhofer, ed è a questo che si deve praticamente la sua intensità: tale spettro è dovuto alla diffusione della luce solare per parte dei corpuscoli che la costituiscono.
Nelle eclissi recenti sono state fatte fotografie del Sole eclissato con le stelle vicine per determinare la deviazione dei raggi luminosi predetta dalla relatività di Einstein (v. relatività, teoria della).
Costituzione e composizione. - La teoria di ionizzazione dovuta a Saha (1921) dà bene ragione dei fenomeni che si osservano nello spettro della fotosfera e della cromosfera e permette di calcolare, quando sia data la temperatura, la pressione che si trova nei diversi strati dell'atmosfera solare, o viceversa, nota la pressione, di determinare la temperatura. Al livello dello strato invertente si può ammettere che la pressione sia dell'ordine di 1/10 e di 1/100 di atmosfera, per diminuire molto rapidamente verso i livelli superiori.
Della composizione qualitativa del Sole si è già detto; oggi le conoscenze sull'origine e formazione degli spettri permettono anche di avere un'idea della sua composizione quantitativa. Dalla misura dell'intensità e dal profilo delle righe di Fraunhofer si può determinare il numero di atomi sospesi su di una determinata unità di area sopra la fotosfera e così si trova, p. es., per le righe più intense, cioè per le H e K del calcio ionizzato prese insieme, che ammontano a 2 × 1019 atomi per centimetro quadrato, numero equivalente a quello delle molecole esistenti in uno strato di area comune, dello spessore di 8 mm. circa. H. N. Russell calcola che il sodio, il magnesio, il silicio, il potassio, il calcio e il ferro costituiscano il 95% (in peso) di tutti i vapori metallici e altri 9 quasi tutto íl 5% residuo. L'abbondanza di un elemento è probabilmente funzione di proprietà ancora sconosciute della struttura del nucleo atomico; anche la quantità dei composti presenti nell'atmosfera solare è piccolissima. Le quantità degli elementi non metallici nell'atmosfera solare sono molto difficili a determinarsi, perché le righe di cui si può disporre provengono soltanto da atomi in alti stati di eccitazione. Tuttavia si può dire che il carbonio, lo zolfo e l'azoto debbono essere tanto abbondanti quanto i metalli più comuni, l'ossigeno ancora più e l'idrogeno più abbondante di gran lunga di tutti gli altri. Russell calcola che almeno il 90% di tutti gli atomi nell'atmosfera solare sono atomi di idrogeno. Della parte rimanente, l'elio e l'ossigeno contribuiscono per due terzi e tutti i metalli, compreso il carbonio e lo zolfo, per il resto.
Queste sono le proporzioni dei varî costituenti in volume di gas. Per peso i metalli, i cui atomi sono molto più pesanti, sommano a un quarto del totale e forse meno.
Radiazione e temperatura. - L'energia raggiante, che riceviamo sulla Terra dai corpi celesti, è in generale molto piccola, ma il Sole ce ne invia una così intensa che si può facilmente misurarla con appositi strumenti. Poiché le determinazioni si fanno sulla superficie della Terra bisogna liberarle dall'effetto dell'atmosfera terrestre per risalire alla quantità di energia che cade nell'unità di tempo sull'unità di area di superficie posta al di fuori dell'atmosfera terrestre e ad angolo retto rispetto alla direzione dei raggi solari.
Gli strumenti in uso si chiamano: pireliometri, bolometri, spettrobolometri, radiometri, secondo il principio su cui si basano o secondo che servono alla determinazione integrale o selettiva della radiazione delle diverse lunghezze d'onda. Dopo le prime misure di C.-S.-M. Pouillet (1837), le determinazioni si sono moltiplicate specialmente per opera di G. Abbot, che ha ideato e eseguito a Washington, a Monte Wilson e in varie località della Terra numerose misure della radiazione integrale del Sole e di quella che spetta alle varie lunghezze d'onda.
Con i pireliometri si misura la cosiddetta costante solare, cioè la quantità di energia che viene ricevuta al di fuori dell'atmosfera terrestre da una superficie di un centimetro quadrato situata perpendicolarmente ai raggi del Sole alla distanza media della Terra dal Sole per l'intervallo di un minuto. Si esprime in grammi calorie; e, mentre al livello del mare la costante è di circa 1,40 g. cal., il suo valore più probabile al limite dell'atmosfera terrestre, per l'epoca compresa fra il 1905 e il 1924, si deve ritenere di 1,94 g. cal. Questo valore medio è soggetto a piccole variazioni dell'ordine dell'1,5%, che sembrano essere in relazione con le variazioni dell'attività solare. Non è da escludersi che esistano anche variazioni a corto periodo, in conseguenza, p. es., del passaggio di grandi macchie al meridiano centrale del Sole, eruzioni, ecc., ma tutto il problema della variabilitȧ della costante solare è ancora molto complicato per la difficoltà di liberarsi dalle perturbazioni dell'atmosfera terrestre.
Lo studio della distribuzione dell'energia nello spettro solare normale con lo spettrobolometro rivela che esiste un massimo di intensità molto pronunciato a λ 4700, con una diminuzione, verso le lunghezze d'onda maggiori, relativamente più lenta di quanto non sia l'aumento nel violetto.
La conoscenza della costante solare e della distribuzione dell'energia nello spettro del Sole conducono alla conoscenza della temperatura della fotosfera, quando si faccia l'ipotesi che il Sole irradia come un corpo nero. Dalla legge di Stefan-Boltzmann si ottiene per la temperatura della fotosfera 5770° assol.; dalla legge di spostamento di Wien si ottiene 6080° assol. La differenza fra i due valori dipende dal fatto che il Sole irradia soltanto approssimativamente come un corpo nero. Altre determinazioni della temperatura della fotosfera sono state fatte impiegando l'equazione di energia di Planck e la teoria di ionizzazione. In media si può ritenere che la temperatura della fotosfera sia di 6000° assol., mentre quella delle macchie risulta circa 1000° più bassa.
Relazioni tra fenomeni solari e terrestri. - Lo studio dell'influenza elettromagnetica che il Sole ha sulla Terra, in modo sia continuo e sia saltuario, in dipendenza dei varî fenomeni che si manifestano sul primo, si è iniziata su basi scientifiche dal 1850, quando fu scoperta la corrispondenza fra il ciclo undecennale di attivìtà solare e quello delle oscillazioni del magnetismo terrestre.
I principali fenomeni terrestri, che certamente dipendono da intrinseche variazioni nello stato del Sole, o da variazioni nell'orientamento del Sole rispetto alla Terra, sono: 1. le condizioni magnetiche della Terra e le correnti terrestri; 2. le aurore polari; 3. le variazioni meteorologiche e climatologiche. Altre classi di fenomeni, anch'essi probabilmente dipendenti dalle dette variazioni solari, possono essere: 4. l'elettricità atmosferica (gradiente del potenziale e ionizzazione generale dell'atmosfera); 5. le trasmissioni radiotelegrafiche; 6. le quantità di ozono nell'atmosfera; 7. la luce aurorale estrapolare, 8. l'assorbimento atmosferico ad alto livello; 9. la radiazione penetrante dell'atmosfera; 10. la luce del cielo notturno.
D'altra parte i principali fenomeni variabili del Sole, i quali certamente influiscono sulle condizioni terrestri sono: 1. la radiazione generale del Sole, 2. le perturbazioni locali sul Sole che si manifestano come macchie, facole e protuberanze; 3. l'andamento generale del ciclo solare. Altri fenomeni che forse hanno influenza come i precedenti sulla Terra ma che occorre ancora investigare sono: 4. le perturbazioni solari che si manifestano con intensi campi magnetici locali; 5. il cambiamento della polarità magnetica delle macchie solari per ogni ciclo undecennale, 6. la materia assorbente emessa dal Sole, come viene indicato dalle protuberanze e dalla corona.
L'osservazione continua, da un lato dei fenomeni solari, dall'altro di quelli terrestri, porta a concludere che le variazioni diurne e annue del magnetismo terrestre sono evidentemente dipendenti dalla radiazione del Sole che arriva sulla Terra in modo variabile sia durante il giorno, sia nel corso dell'anno. Inoltre le cosiddette "tempeste magnetiche" cioè variazioni rapide e irregolari del magnetismo terrestre, sono il più delle volte in diretta dipendenza di notevoli perturbazioni presenti sul disco solare. Per spiegare il primo effetto si pensa che la radiazione ultravioletta del Sole venga assorbita dall'ozono che si trova nell'alta atmosfera terrestre e che detta radiazione sia causa di ionizzazione nell'atmosfera stessa con la conseguenza di variazioni diurne e annue nel magnetismo terrestre. In questo caso si deve pensare alla radiazione corpuscolare del Sole come causa della ionizzazione; ma finora non abbiamo prove sicure che questo avvenga. Per il secondo effetto, cioè per le tempeste magnetiche, si è osservato che esse accadono con un ritardo di poco più di un giorno dal momento dell'apparizione di notevoli eruzioni o presenza di macchie verso il centro del Sole. Tale ritardo corrisponde a una velocità della radiazione corpuscolare emessa dal Sole di circa 1500 km/sec. Anche le aurore polari compaiono in seguito alle grandi perturbazioni solari e, secondo la teoria di C. Størmer, sarebbero i raggi catodici provenienti dal Sole che si incurvano attorno alla Terra e si avvicinano quindi alle regioni polari che le rendono manifeste.
In conclusione si può dire che il Sole emette nello spazio dei corpuscoli, di cui la parte meglio studiata è costituita da elettroni a grande velocità, ma che probabilmente comprende altresì corpuscoli di altra natura. Sulla dipendenza delle trasmissioni radiotelegrafiche e delle variazioni meteorologiche dai fenomeni solari regna ancora molta incertezza, ma si può prevedere che le ricerche in corso porteranno presto a risultati concreti.
Bibl.: A. Secchi, Le Soleil, voll. 2, Parigi 1875-77; G. Abbot, The Sun, New York 1911; Handbuch der Astrophysik, IV, Mitchell, Das Sonnensystem, Berlino 1929, e Nachtrag, 1935; G. Abetti, Il Sole, Milano 1935.
Storia delle religioni.
Si è voluto, in passato, scorgere nei culti solari la forma primitiva di tutte le religioni: si è cercato in particolare di spiegare con l'ipotesi dei miti solari i varî sistemi mitologici. Questo punto di vista è oggi abbandonato. Infatti le divinità solari appaiono press'a poco in tutte le religioni politeistiche: ma la loro importanza relativa varia assai dall'una all'altra.
Fonte di calore e di vita, il Sole è stato naturalmente divinizzato dalla mentalità primitiva. Ora è adorato l'astro stesso, ora si vede in lui il ricettacolo, la manifestazione o il simbolo di un dio, che talvolta si confonde con l'eroe di cui il gruppo si crede discendente: così presso gl'Indiani del Perù, l'Inca regnante è un'incarnazione del dio Sole. Assai frequentemente s'istituisce un rapporto tra Sole e Luna, sia che fomino una coppia divina, sia che rappresentino due principî opposti e in lotta. Il sole assume una grandissima importanza anche in tutte le forme della magia primitiva. Ma in generale è soltanto progressivamente, per opera degli ambienti sacerdotali, che gli dei solari si elevano alla supremazia: così fra i Semiti, presso i Siri (tempio di Baalbek: v. sotto), e soprattutto i Babilonesi, in connessione con lo sviluppo dell'astralismo.
Mentre i Mesopotamici vedevano nella divinità del Sole un dio, gli altri Semiti e segnatamente gli Arabi vi vedevano una dea. È molto probabile che i Semiti occidentali abbiano conservato l'antico e originario carattere femminile del dio, mentre i Semiti di Babilonia e Assiria si saranno attenuti al carattere sumero del Sole vedendo in lui una divinità maschile. Il nome babilonese e assiro del dio mesopotamico del Sole è Shamash. Egli è una delle figure più cospicue del pantheon dell'antica Mesopotamia ed è la seconda divinità della triade astrale, insieme con Sin, dio della Luna, e con Ishtar. Dai Mesopotamici era riguardato quale dio della giustizia e del diritto, che vede tutto ciò che fanno gli uomini e segnatamente le loro cattive azioni e li punisce. Gl'inni rivoltigli dagli abitanti della Valle dei Due Fiumi rappresentano le più belle e alte manifestazioni dello spirito religioso dei Mesopotamici. Le città principali del suo culto furono Sippar e Larsa. In tutte e due le città il tempio del dio portava il nome di É-Babbar, vale a dire Casa di Babbar, ossia dello Splendido.
Siccome nella scrittura cuneiforme i nomi di tutti gli dei del Sole dell'Asia occidentale antica sono sempre scritti con l'ideogramma sumero Udu e da questo non si può rilevare né il nome nazionale del dio né il suo sesso, siamo ancora incerti sui nomi di alcune divinità solari fuori del mondo babilonese e assiro. Non conosciamo perciò il nome della cosiddetta dea solare di Arinna, divinità importantissima del pantheon degli Hittiti, la quale aveva però carattere solare soltanto per ragioni di preminenza. Nel pantheon degli Hittiti si aveva inoltre un dio del Sole, con gli stessi attributi che il Sole ha avuti in Mesopotamia e presso le altre nazioni dell'Asia occidentale antica. Shamash era adorato anche nell'Elam presso i Mitanni, in Fenicia, Siria e Palestina, nonché nell'Armenia antica (Urarṭu). In progresso di tempo le più cospicue divinità dell'Oriente antico acquistarono carattere solare, probabilmente anche per il prestigio del dio nazionale d'Egitto, Rî‛e, che era appunto il Sole. Siccome in Egitto il suo animale simbolico era il falco, lo si ritrasse in forma di disco con le ali e la coda di questo uccello, e il Sole alato divenne il suo simbolo anche nell'Asia occidentale. Questo simbolo acquistò però significato ancora più vasto e lo si diede a tutti gli dei più alti o importanti dei rispettivi pantheon. Perciò nei monumenti dell'Asia anteriore esso orna anche le raffigurazioni di altre divinità, sempre però soltanto delle più alte, e persino anche di qualche dea o di qualche re. Presso gli Hittiti il re portava il titolo di Sole o Mio Sole, scritto sempre con l'ideogramma di Shamash.
L'evoluzione verso la sovranità del Sole colpisce specialmente nella religione egiziana in cui il dio solare (Rî‛e trascritto anche Ra) che percorre il cielo nella sua barca, assorbe in sé tutta una serie di divinità locali per diventare il dio supremo di una teologia sacerdotale: la riforma di Amenothes IV impose a tutti i sudditi il culto del disco solare, col nome di Aton, a esclusione di tutti gli altri dei: tentativo rimasto senza seguito. Nel mondo indoeuropeo gli dei solari raggiunsero la loro piena importanza solo mediante la fusione con altre divinità (per es., il cielo o il fuoco): e per questo fatto hanno una fisionomia molto complessa. Per ìntenderla pienamente è opportuno tener presenti i caratteri sia delle divinità celesti (v. cielo, X, p. 232) sia di quelle del fuoco (v. fuoco, XVI, p. 202 seg.; App.).
Per i Greci, fino dai tempi più antichi, il Sole ("Ηλιος) era uno dei tanti dei, che aveva una famiglia, figlio d'Hyperione e di Theia e padre di Fetonte (più anticamente egli stesso era chiamato 'Υπερίων che va di sopra" e Φαέϑων "il risplendente". A lui erano attribuite le qualità personali corrispondenti alle sue azioni naturali, e cioè: 1. l'onnipotenza, per la quale crea tutte le cose e le mantiene in vita, onde è il padre e il primo degli dei, che abbisognano essi stessi della sua luce e del suo calore, e fa parte perciò degli dei celesti in opposizione agli dei olimpici, dei quali lo stesso Zeus sacrifica a lui insieme al cielo e alla terra prima della battaglia con i Giganti; 2. la virtù di restituire la salute agli ammalati, in specie la vista ai ciechi, e per il contrario di colpire di cecità i colpevoli; 3. come a dio della luce, da una parte il potere di purificare l'uomo, dall'altra d'illuminarlo con la sua sapienza; 4. come a colui che dall'alto tutto vede, anche le cose più lontane e nascoste, la qualità di testimone di ogni azione e di vindice di ogni mal fatto, onde veniva invocato a testimone nei giuramenti, o con formula quaternaria insieme con il cielo, la terra e il mare, o con la trinitaria: Zeus-Gea-Elio.
Egli aveva luoghi di culto nell'Arcadia e nella Laconia, a Corinto (detta ‛Ηλίου) e nelle sue colonie, a Sicione e Argo, ma soprattutto a Rodi, dove sorgeva nel porto il celebre colosso, opera di Chares di Lindos, ed erano celebrate in suo onore le feste dette "Αλια, durante le quali gli si sacrificava una quadriglia di cavalli gettandola in mare. In generale però il suo culto era poco curato; il che non fa meraviglia, perciocché, non potendo egli abbandonare il suo corso celeste, rimaneva troppo lontano dai suoi devoti, non abitava in mezzo a loro nel suo santuario, non appariva loro nelle sue feste, non li assisteva personalmente nelle battaglie. E questa trascuranza popolare si trasfondeva naturalmente non di rado anche nella poesia, che talvolta ne ha fatto l'esecutore degli ordini degli dei terrestri e perfino l'ha fatto gettare giù dal suo cocchio dalla saetta di Zeus.
Ma il culto del Sole acquistò nuovo e più ampio splendore nel sincretismo religioso dell'epoca ellenistica. Allora esso fu adorato non solo sotto figura di una divinità in forma umana, ma anche in sé medesimo, secondo l'uso di popoli diversi dai Greci. Da Babilonia, soprattutto per la via della Siria, questo uso si diffuse in tutto il mondo ellenistico. Di già Platone, contro l'opinione di Anassagora che nel Sole non altro vedeva che un'immensa pietra incandescente, sostenne nel Timeo che esso, come tutti gli altri astri, è un corpo igneo dotato però di un'anima immortale infinitamente più sapiente e potente di quella dell'uomo. In questo senso il culto del Sole dapprincipio si propagò come parte del culto dei pianeti; ma ben presto acquistò importanza tutta speciale per l'evidente superiorità del Sole sugli altri astri, sebbene i Babilonesi attribuissero tale prerogativa al dio Sin, cioè alla Luna. Per ciò forse questo avvenne per la prima volta in Siria, dove Hadad, dio del cielo (ba‛al èamin) o dio altissimo (el‛eljon = ϑεὸς ὕψιστος), fu identificato col Sole, e a lui si eresse un santuario, salito in seguito a grande fama, nella città di Baalbek detta perciò dai Greci Heliopolis, e un altro a Palmira sotto il titolo di Zeus Belos. A contatto poi della filosofia stoica il culto del Sole guadagnò grandemente, perché si pensò che in esso il fuoco primordiale, che insieme è anche intelligenza (ϕῶς νοερόν), si fosse massimamente concentrato, onde da Cicerone fu detto "mens mundi et temperatio" (Somnium Scip., 4).
Durante l'impero romano giunse al sommo la religione del Sole, sia venerato per sé medesimo sia identificato con altre divinità, quelle specialmente che tendevano a comprendere in sé tutti gli dei, come Serapide e Mitra: ultimo sforzo del sincretismo di arrivare dalla molteplicità all'unità, dal politeismo al monoteismo. Così un altare trovato nel mitreo delle terme di Caracalla porta la dedica a Zeus-Elio-Serapide-Mitra. A questo risveglio concorse non solo la filosofia, che della religione solare, meglio di qualsiasi altra, poteva dare la spiegazione razionale e fare l'apologia; ma anche la politica che, dietro l'esempio dei sovrani non tanto dell'Egitto, come comunemente si crede, quanto di quelli dell'Asia i quali volontieri s'intitolavano da Mitra, fece dell'imperatore l'immagine e il sostituto del Sole sulla Terra, come lui invincibile ed eterno. Caligola e Nerone presero il titolo di νέος "Ηλιος. Ma fu soprattutto con l'avvento della dinastia provinciale dei Severi che si stabilì ufficialmente il culto del Sole. L'imperatore Eliogabalo, che era stato in Emesa sacerdote nel santuario del sole, venerato sotto il titolo di Elagabal, fece trasportare il suo idolo, una pietra nera, a Roma in un tempio sontuoso, di cui voleva fare il centro di una religione nuova universale. Se il tentativo di Eliogabalo fallì per le sue stranezze, più consistente fu quello di Aureliano, il quale dopo la conquista di Palmira, nel 274, da lì portò a Roma la statua di Elio-Belos, e in suo onore, sotto il titolo di Sol invictus, costruì un magnifico tempio, e vi istituì il nuovo collegio dei Pontifices Solis cui diede la precedenza sopra l'antico Collegium Pontificum. Diocleziano, con Massimiano Galerio e Licinio, dedicò nel 308 il mitreo di Carnuntum, sul Danubio. Lo stesso Costantino, che dapprima aveva venerato la somma divinità in Elio e si vantava di appartenere a una dinastia solare, anche dopo la sua conversione al cristianesimo permise che nella nuova città di Costantinopoli gli fosse innalzata una statua con la testa irradiata come un sole. Infine Giuliano nel suo tentativo di ristabilire il culto pagano si appoggiò soprattutto sulla religione di Elio-Mitra, a onore del quale scrisse il quarto dei suoi sermoni.
Quanto alle modalità del culto del Sole non molto sappiamo. Si sa che nei templi a lui sacri si pregava tre volte al giorno, la mattina con la faccia rivolta verso l'oriente, a mezzodì verso il sud, la sera verso l'occidente. Il primo giorno della settimana fu naturalmente consacrato al Sole e si disse dies solis, reso festivo da Costantino per tutto l'impero. E così nel corso dell'anno vi fu un giorno a lui specialmente consacrato, il 25 dicembre, il primo giorno dopo il solstizio d'inverno, che si disse dies natalis solis invicti (v. anche: natale).
Nella religione e nella mitologia dei Greci e dei Romani accanto al Sole hanno posto alcune divinità solari che possono essere distinte in in due gruppi: quelle che dalla stessa figura del Sole ebbero origine, in quanto ne impersonarono un attributo o ne rivestirono un carattere particolarmente notevole; e quelle che, essendo in origine divinità indipendenti dal Sole, furono in seguito imparentate con esso, e talune così strettamente da far sì che in certi tempi e per determinate circostanze venissero considerate identiche al Sole. Fra le divinità del primo gruppo potremo ricordare Iperione, antico attributo del Sole, che poi divenne una personalità a sé, e già nella Teogonia esiodea è ricordato come il Titano figlio di Urano e di Gaia, e padre di Elio; Fetonte, il "risplendente", che divenne figlio del Sole, ed è rimasto celebre nella mitologia classica per la leggenda del suo orgoglioso e funesto viaggio sul carro paterno; Augia, che finì per divenire un re dell'Elide; Panopeo, che racchiude nel proprio nome una delle più mirabili proprietà del Sole, quella di tutto vedere, e a cui come al Sole fu attribuita dagli antichi la paternità di Egle, dal nome luminoso. Né possono essere dimenticate le Eliadi, le splendide figlie di Elio che, in numero oscillante da due a sette, poeti e mitografi antichi ci presentano ora nell'atto di scortare il carro del Sole, ora (come nell'Odissea) quali custodi dei greggi immortali del Sole pascolanti nell'Isola di Trinacria, greggi che i compagni di Ulisse osano decimare attirando su di sé l'ira terribile di Zeus, ora nella leggenda di Fetonte, quali sorelle pietose che, dopo avere aiutato il fratello nel suo folle proposito, muoiono e, mutate in pioppi, versano sulle rive dell'Eridano lacrime di ambra.
Altre figlie del Sole furono le Ore, le quali possono anch'esse, in certo modo, venire considerate come un'emanazione della figura paterna, in quanto distinguono secondo le stagioni il corso del Sole e poi secondo le usuali suddivisioni il suo corso giornaliero.
Nel secondo gruppo di divinità solari sono particolarmente numerose quelle che legami più o meno stretti di parentela collegano alla figura del Sole; le quali si uniscono a quelle nate dagli attributi e dai caratteri del dio per formare la vastissima famiglia solare. Tali divinità, in origine indipendenti, furono collegate col Sole, sia per rappresentare esse certi fenomeni naturali che col Sole hanno stretto rapporto, sia per essere venerate in quei luoghi nei quali esisteva e, con l'andar del tempo, venne a prevalere il culto del Sole. Così la Notte (Nyx), la quale cede allo splendore del Sole, fu considerata dai Greci, secondo un concetto abbastanza ovvio, la madre che ogni giorno genera il fulgido astro, e Oceano, dal quale esso si leva, fu riguardato suo padre. Così l'Aurora (Eos) fu creduta ora figlia ora sorella del Sole; e la Luna (Selene), la quale si presta per naturali considerazioni ad apparire la compagna del Sole, era in realtà per gli antichi, pur sotto varî nomi, la sposa di Elio. Voleva, anzi, una poetica tradizione che Luna e Sole si rincorressero per le vie del cielo, spinti da un reciproco desiderio di amore, fino a che, all'epoca della Luna nuova, i due sposi innamorati potevano riunirsi. Ma, oltre Selene, altre figure femminili ci appaiono come spose di Elio, le quali hanno generalmente implicito nel proprio nome il concetto della luce. Fra le altre sono, per esempio, le due rivali Clizia e Leucotoe, delle quali cantò Ovidio: l'una e l'altra perite in seguito all'amore col Sole e alle infelici vicende che gli tennero dietro, e cambiate per volere degli dei in due piante. V'è poi una serie molto numerosa di dei e di eroi nei quali la tradizione vide altri figli del Sole: così l'antica figura corinzia di Medea e quella di Circe, la cui discendenza dal Sole era giustificata e forse anche provocata dalle doti soprannaturali di magia e di veggenza occulta che loro si attribuivano.
Alcuni di questi figli furono, poi, il tramite per il quale entrarono nella famiglia del Sole altre figure della religione e della mitologia, le quali, in origine, non avevano avuto rapporti col dio solare. Altre divinità, come si è detto, furono addirittura identificate col Sole, e con l'andare del tempo si giunse, non senza l'influsso di certe speculazioni filosofiche, a compendiare nel Sole tutte quante le divinità dell'Olimpo: ciò che viene espresso e diffusamente comprovato in un passo dei Saturnali di Macrobio (I, 17 segg.). Il dio classico, il quale più di frequente venne ad essere identificato col Sole, è senza dubbio Apollo, nella sua concezione di nume luminoso della salute e della bellezza; è, anzi, ancora insoluta la questione se esso non fosse in origine un dio Sole. Altre divinità che gli antichi fusero con la figura del Sole sono Dioniso, Zeus, lo stesso nume dell'oltretomba Ade o Plutone, e, in età imperiale, sopra ogni altro Mitra; fusioni avvenute, sia perché codeste divinità sembravano presentare caratteri simili a quelli del Sole, sia perché, viceversa, il Sole fu dotato in certe occasioni e per determinati scopi delle prerogative che distinguevano quelli. Bisogna, però, notare che le identificazioni del Sole con altre divinità sono di solito il frutto di speculazioni filosofiche e misteriosofiche. Infine si può ricordare che rapporti mitologici unirono il Sole con altre figure del mondo religioso e mitico degli antichi: come, per esempio, con Afrodite che, irata per avere Elio denunciato ad Efesto il suo amore per Ares, volle poi vendicarsi accendendo nel dio solare l'amore infelicissimo per Leucotoe; e così con Orione, che il Sole, dio onniveggente, guarì dalla cecità, e con Fineo che, al contrario, egli privò della luce per punirlo di un misfatto intorno al quale la tradizione non è del tutto concorde. Per i caratteri solari assunti talvolta dall'essere celeste, come per gli attributi dell'onniveggenza e dell'onniscienza congiunti con funzioni morali, v. cielo (X, p. 233).
Per il culto solare nell'America precolombiana, v. messico, XXII, p. 986 segg.; perù, XXVI, p. 892.
Bibl.: Oltre agli articoli: Sonne, in Religion in Gesch. u. Gegenwart, V, Tubinga 1931; Sun, Moon and Stars, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, XI, Edimburgo 1920, v. L. Frobenius, Das Zeitalter des Sonnengottes, Berlino 1904; O. Ruhle, Sonne und Mond im primitiven Mythus, Tubinga 1925; H. Bottger, Der Sonnenkultus der Indogermanen, Breslavia 1890; G. Furlani, La religione babilonese e assira, I, Bologna 1928, pp. 162-169 e 186-191; id., La frusta di Alad, in Rendiconti dei Lincei, s. 6ª, VIII (1932), pp. 547-586. - Per l'antichità classica, in particolare, vedi Preller-Robert, Griechische Mythologie, I, p. 422 segg.; A. Rapp, Helios, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, I, colonna 1993 segg.; O. Jessen, Helios, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, col. 58 segg.; F. Cumont, La théologie solaire du paganisme rom., Parigi 1909; id., Astrology and Religion among the Greeks and Romans, New York 1912; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1914, 1925, passim; H. Gressmann, Der Messias, Gottinga 1929, pagina 356 segg.; U. v. Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen, Berlino 1931, 1932, passim.
Iconografia.
Nelle numerose raffigurazioni del dio babilonese Shamash questo è rappresentato seduto in trono, con fiamme e raggi che gli escono dalle spalle, o ritto in piedi, con una piccola sega nella mano. Anche nel mondo religioso greco-romano il Sole ispira artisti e opere d'arte in gran copia. Superata la fase della figurazione aniconica, cioè del simbolo a croce uncinata o gammata (svastica), o a cerchio raggiato, si determina il tipo iconico, antropomorfo, di Elio identificato con Apollo: il quale è concepito, a sua volta, come il dio della luce (Apollo Licio o Liceo; Λύκιος o Λύκειος; v. Apollo). Soggetto squisitamente pittorico, Apollo-Elio è rappresentato già su vasi a figure nere, e nella scultura greca arcaica, in piedi su carro tirato da due o quattro cavalli, presentato di fronte (metopa di Selinunte); di profilo, o quasi, con cavalli lanciati al galoppo, nell'arte greca classica (frontone orientale del Partenone e metopa di Ilio). L'elemento pittorico della testa aureolata e raggiata, fissato già dall'arte arcaica, si trasmette all'arte classica ed ellenistica. A Rodi si ammirava un gruppo colossale, bronzeo, di Elio su quadriga: opera di Lisippo (Plinio, Nat. Hist., XXXIV, 63), celebratissima. Così la testa radiata di Elio comparisce su monete rodie del sec. IV-III a. C. In età ellenistico-romana le statue apollinee di Elio hanno una raggiera metallica intorno al capo. Il medesimo motivo iconografico si ripete, con maggior ricchezza di particolari, su pitture pompeiane.
Su monete romane la figura del dio appare di frequente dopo l'età di Traiano, nei secoli II e III: la figura di Apollo-Sole in piedi su quadriga che sorge dalle onde (Sol oriens), fa ancora la sua comparsa in uno dei medaglioni laterali dell'Arco di Costantino in Roma.
Anche nell'arte medievale e del Rinascimento prosegue il tipo iconografico del Sole in veste di Apollo, divinità giovanile sopra un carro tirato da quattro cavalli. Altri tipi iconografici, che si riscontrano parallelamente a essa, derivano da origini ugualmente o anche più remote, forse orientali. Il Sole rappresentato come disco raggiato sembra risalire agli Egizî. Nel Medioevo il Sole simboleggiò la parte divina di Cristo, in raffronto alla Luna che simboleggiò la parte umana: Sole e Luna appaiono quindi esclusivamente ai lati delle crocifissioni, in atto di dolore (codici, avorî, sculture, affreschi, croci dipinte fino a tutto il Trecento). Nel Quattrocento e dopo, per l'accresciuto interesse alla scienza astrologica, si moltiplicano le figurazioni profane dei pianeti e dei segni zodiacali: il Sole si confonde anche con Giove, e i suoi attributi, derivati spesso dall'iconografia anteriore, spesso invece acquistano novità (affreschi della Ragione di Padova, di palazzo Trinci a Foligno, i cosiddetti Tarocchi del Mantegna, affreschi di Schifanoia, cupola di S. Maria della Pace, ecc.). Rara la rappresentazione fisica dell'astro nella pittura, perché troppo arduo graduare gli altri valori: Gentile da Fabriano (Fuga in Egitto; Firenze, Uffizî) la tentò mediante un globo d'oro; l'arte moderna vi si è provata più volte, specie nei paesaggi con mattini o tramonti.
Bibl.: Per l'arte antica: A. Baumeister, in Denkmäler der klassisch. Altertums, s. v. Helios; A. Rapp e Fr. Richter, in Roscher, Lexicon d. gr. u. röm. Myth., s. v. Helios e Sol; Marbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclop., III A, coll. 901-913; B. Graef, Helioskopf aus Rhodos, in Strena Helbigiana, 1900, p. 99 segg.; Th. L. Shear, Head of Helios from Rhodos, in American Journal Arch., XX (1916), p. 283 segg. Per l'arte medioevale e moderna: A. Fuchs, Die Ikonographie der sieben Planeten in der Kunst Italiens bis zum Ausgang des Mittelalter, Monaco 1909; F. Gabotto, L'astrologia nel Quattrocento in rapporto con la civiltà, in Rivista di Fil. scientifica, VIII (1889); L. F. Alfred Maury, La magie et l'astrologie dans l'antiquité et au moyen âge, Parigi 1877; A. Warburg, Italienische Kunst und internationale Astrologie in Palazzo Schifanoia zu Ferrara, in Atti del X Congresso internazionale di storia dell'arte in Roma, Roma 1922, pp. 179-193.