sogno
Il sogno è l’attività di rappresentazione intrapsichica che si svolge durante il sonno, costituita da sensazioni, percezioni, emozioni, contenuti ideativi prevalentemente visivi. Durante il sogno si sospendono il giudizio di realtà, la capacità di distinguere tra esperienze reali e immaginative, si prescinde dai principi logici e dai criteri spaziotemporali. Secondo la psicoanalisi i sogni hanno un significato inconscio, simbolico, nascosto dietro quello manifesto, che è possibile decodificare tramite l’indagine psicoanalitica e l’interpretazione. In epoca postfreudiana, all’originaria ipotesi del sogno quale esaudimento allucinatorio di desiderio, espressione della coazione a ripetere, del trauma da elaborare, si è aggiunta la consapevolezza della funzione espressiva e comunicativa del sogno e dell’importanza che il sognare assume nella costruzione stessa della mente. [➔ emozioni; mente e cervello; psicoanalisi; sensazione e percezione; simbolo; sonno; transfert] La prima edizione de L’interpretazione dei sogni (in tedesco, Traumdeutung) vide la luce nel 1899. Sigmund Freud, nella prefazione, scrive: «[È] la migliore scoperta che ho fatto e probabilmente l’unica che sia duratura.». In effetti, Traumdeutung, monumento della psicoanalisi, è in assoluto la più conosciuta, la più tradotta, citata – e malintesa – delle sue opere. Fin dall’antichità l’esperienza onirica è oggetto dell’indagine di filosofi, poeti e uomini qualunque di ogni cultura e paese. Nella bibliografia sterminata che ha accompagnato via via le otto edizioni del testo, Freud accumulò centinaia di voci relative ad autori contemporanei e dell’antichità che avevano scrutato il mondo dei s., da Artemidoro di Daldi a Francis Bacon, da Platone a William Shakespeare. Peraltro, la costruzione teorica freudiana sull’interpretazione dei s. risignifica a posteriori, costituisce di senso le intuizioni di coloro che nel corso dei secoli l’avevano preceduta su questo affascinante cammino. L’arte dell’ermeneutica onirica tradizionale era caratterizzata da una fantasia divinatoria, da una dimensione profetica, articolata secondo una rigida, e più o meno raffinata, decodificazione simbolica. Per tutto l’arco della vita, Freud lottò invece per districarsi dall’aura magica che da sempre circonda la comune esperienza notturna del sogno. Ciò che l’indagine psicoanalitica può svelare è semmai il nostro passato e ciò che tentiamo di nascondere a noi stessi.
Le ipotesi di Freud sulla natura del s. nacquero con l’introduzione, nella seduta analitica, delle cosiddette libere associazioni, nel momento in cui egli abbandonava l’ipnosi e la suggestione come strumenti terapeutici. Nella nota introduttiva all’edizione italiana, Cesare Musatti, pioniere della psicoanalisi in Italia, sottolineava che la psicoanalisi «come corpo teorico e come prassi – è legata al suo autore come nessuna altra disciplina». L’interpretazione dei sogni nasce infatti dall’indagine che Freud impone a sé stesso e alla propria attività onirica a proposito del celebre ‘s. di Irma’, che aveva come oggetto una delle sue prime pazienti, affetta da isteria, e che poi vide procedere di pari passo la sua autoanalisi e la stesura del testo. Gli elementi basilari. Nel corso degli anni che seguono l’elaborazione di Freud, non si registrano mutamenti radicali riguardo allo statuto del s. all’interno della teoria psicoanalitica. Gli elementi basilari della costruzione onirica sono sostanzialmente gli stessi: un intreccio di residui diurni – frammenti spesso banali di realtà quotidiana – e di eventi remoti e significativi del passato; stimoli sensoriali interni ed esterni, combinati con la tipica inibizione motoria del sonno, che favorisce lo sviluppo dei pensieri in immagini e rappresentazioni. Immutati appaiono anche i meccanismi indicati a suo tempo da Freud: condensazione (un’unica immagine ne rappresenta molte altre, quale punto di incontro di numerose catene associative), spostamento (le caratteristiche emotive di una relazione con una persona significativa vengono spostate su un’altra), equivalenza tra pensiero e azione, sospensione dell’esame di realtà e del senso del tempo (per es., possiamo sognare noi stessi come bambini o persone scomparse come se fossero vive). Ancora oggi gli psicoanalisti ritengono che nei s. non valgano argomenti logici come il principio di non contraddizione, del terzo escluso, di ragion sufficiente. Il s. rimane – come scriveva Freud – «la via regia» per entrare in contatto con i livelli profondi, per capire il funzionamento del cosiddetto processo primario dell’inconscio, per esplorare le vicissitudini dei conflitti tra la spinta dei bisogni e dei desideri da una parte, e l’opera della rimozione e della censura dall’altra. Sono ancora validi i criteri che distinguono il «sogno sognato » dalla «elaborazione secondaria» che ne fa il sognatore al momento del risveglio; il «contenuto manifesto » da quello «latente», che, dal punto di vista dei processi psichici normali e patologici, è il più interessante. In sintesi, la funzione del s. è intesa come tentativo di appagamento allucinatorio di un desiderio; l’opera di mascheramento serve a evitare il conflitto con i desideri proibiti e a proteggere il sonno. Gli incubi sono invece il risultato del fallimento del lavoro del sogno. I malintesi. Nell’elencazione di ciò che non cambia in relazione alla teoria psicoanalitica del s., bisogna contare anche certi malintesi, che si trascinano identici, sterili e ripetitivi attraverso gli anni. Così, l’inesausta polemica antipsicoanalitica sostiene che, in materia di oniromanzia, ogni lettura è possibile, equivalente e arbitraria, e quindi inutile. Tali argomentazioni poggiano su un primo equivoco, di sapore cabalistico: quello di pretendere che ogni simbolo debba avere un significato univoco, stabile e universale; mentre il gioco dei simboli e delle equivalenze simboliche, seppure basato su un immaginario arcaico collettivo, è sempre il frutto di un gioco individuale e personalissimo, inserito in uno specifico contesto culturale e relazionale. Quindi non se ne possono ricavare indicazioni predittive sul piano della realtà. Uno psicoanalista, quale che sia la sua scuola, fa semmai ‘profezie’ a ritroso, speculazioni sul passato, e può aiutare il sognatore a esprimere la fantasia inconscia sottostante.
Un elemento incontrovertibile, che non si può né camuffare, né equivocare, e che fornisce la chiave interpretativa del s., è l’emozione che ne accompagna lo sviluppo narrativo. Per es., non è detto che un s. di un funerale sia un segno luttuoso, se non è accompagnato da un sentimento depressivo; così come un s. apparentemente banale può essere invece accompagnato da una forte angoscia, rivelatrice di significati reconditi. Peraltro ogni psicoanalista può formulare in un modo diverso, modulato secondo la sua risonanza interiore e i suoi modelli concettuali di riferimento, il s. riferito da un ipotetico paziente; come pure lo stesso s., eventualmente fatto da pazienti diversi, può meritare interpretazioni differenti da parte di uno stesso psicoanalista; e, al limite, perfino lo stesso s., fatto dallo stesso paziente in momenti diversi, non può che ricevere da parte del suo terapeuta varie spiegazioni, di volta in volta modulate a seconda del contesto in cui viene comunicato. Tale multiformità non è però da ricondurre all’arbitrio, né al capriccio ermeneutico, ma al fatto che ciò che davvero costruisce il significato del s. è la sua dimensione relazionale: sia interpersonale, nel dialogo con l’analista, sia intrapsichica, nel groviglio dei nessi tra passato e presente, conscio e inconscio, memoria e rimozione. Tanto è vero che la narrazione del s. non è che una piccolissima parte del materiale da interpretare; ben più importante è la rete associativa che si mette in moto tra i due componenti della coppia analitica, nel gioco del transfert e del controtransfert.
A più di un secolo di distanza, Traumdeutung mantiene il suo ruolo di pietra angolare della psicoanalisi. Nella linea freudiana, molti oggi ancora ritengono che il s. offra una parziale possibilità di superamento dell’amnesia di traumi subiti nella prima infanzia, che cercano una via di rappresentazione e di elaborazione. Tuttavia, nel grande arco di sviluppo postfreudiano, si è verificata una profonda trasformazione per quel che riguarda l’ermeneutica del s. e la sua funzione nell’economia e nella dinamica della vicenda terapeutica. Il modello interpretativo del s. è cambiato necessariamente in relazione alle diverse concezioni metapsicologiche della mente formulate dai vari autori. Contributi postfreudiani. Molti contributi postfreudiani (Angel Garma, Ella Sharpe, Hanna Segal, Herbert Rosenfeld, John Steiner) sul tema del s. arricchiscono e complicano il paradigma originario, senza scardinarlo; in ogni caso si può comunque dire che l’importanza della vita onirica per l’analisi della psiche appare oggi ancora maggiore. Così, per es., Melanie Klein mette in primo piano le dinamiche tra gli oggetti interni, piuttosto che quelle regolate dalla rimozione e dal ritorno del rimosso. Leon Grinberg postula l’esistenza di sogni «evacuativi, escretori», che mirano a scaricare contenuti psichici intollerabili senza elaborazione simbolica o valore comunicativo. Mentre Wilfred R. Bion propone di studiare il s. non come un oggetto, ma come uno strumento stesso di conoscenza, come occasione privilegiata di trasformazione delle esperienze emotive e sensoriali, di riorganizzazione delle memorie. In questa luce, non è l’inconscio che crea il s., ma è il s. a creare l’inconscio. Nell’ambito delle economie endopsichiche, sempre meno si va a caccia di simboli da svelare, piuttosto si mette in rilievo come nel lavoro onirico operi un processo di simbolizzazione che va a generare nuovi significati. In sintesi, all’originaria ipotesi dell’esaudimento allucinatorio di desiderio, della coazione a ripetere, del momento storico traumatico da elaborare, si è aggiunta la consapevolezza della funzione espressiva e comunicativa del s. e dell’importanza che il sognare assume nella costruzione stessa della mente. Talora, durante il percorso della terapia psicoanalitica, compare un s. che sembra ricostruire un momento del passato remoto del paziente: una sorta di recupero di momenti arcaici del funzionamento della mente, di costruzione della capacità di pensiero, di traduzione in immagini del ‘non rappresentato’ originario.
Tante scuole di psicoterapia, che fanno riferimento ai più svariati modelli teorici, ricorrono all’interpretazione dei s., non di rado utilizzando più o meno apertamente alcuni degli strumenti della psicoanalisi. La specificità della psicoanalisi e della psicoterapia psicoanalitica rimane l’interpretazione di transfert (➔) nel rapporto fra terapeuta e paziente. Il grado di profondità del livello inconscio che può essere rivelato al paziente tramite l’interpretazione, l’equilibrio tra il significato attribuibile alle vicissitudini del passato oppure a quelle del presente, segnano invece il discrimine tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica, continuamente rinegoziato – giorno per giorno, caso per caso – grazie alla sensibilità e all’empatia del terapeuta.
È importante conservare netti confini teorici e metodologici tra il s. notturno e altre esperienze mentali cosiddette liminali, al confine della coscienza. Non qualunque evento immaginativo, illusorio, allucinatorio; non qualunque momento di follia o di fantasticheria durante la veglia – per es., i cosiddetti s. a occhi aperti – va inteso come un equivalente di un sogno. E neppure ogni movimento psichico durante il sonno può essere automaticamente considerato omologo al processo onirico. L’elemento specifico e caratterizzante risiede nella funzione del rappresentare, nella messa in scena endopsichica. Nel ‘teatro interno’ del s., la funzione stessa del rappresentare assume oggi in analisi un valore primario, al di là del contenuto narrativo e delle vicissitudini dei conflitti pulsionali implicati. I nostri affetti sono muti e necessitano di essere veicolati da rappresentazioni – in senso psicologico, ma anche teatrale – per emergere in una forma comunicabile a noi stessi e agli altri. Per tale motivo la scelta dello scenario, delle immagini, la costruzione stessa dell’apparato scenico del s. possono offrire elementi conoscitivi fondamentali nell’analisi di un individuo. Ognuno di noi è al tempo stesso produttore del suo s., regista e attore, talora moltiplicato nel ruolo di tutti i personaggi; e al tempo stesso ne è anche spettatore. Il poter recuperare una parte di sé non totalmente coinvolta – come spettatore o come narratore – è un passaggio fondamentale dell’interpretazione onirica e del processo terapeutico stesso. Il primo ‘pubblico’, infatti, è la coscienza.
L’impalcatura teorica classica e l’operare clinico psicoanalitico sui s. sono stati spesso criticati con argomenti neurofisiologici, che vincolavano rigidamente il sognare ai cosiddetti cicli REM del sonno (➔). In questa prospettiva, i s. sarebbero banali epifenomeni neurofisiologici, avviati da ritmiche attivazioni automatiche (una ogni 90 minuti) di speciali cellule del tronco encefalico. Nessuna motivazione profonda, nessun mistero da decifrare, dunque: solo un periodico on/off regolato dall’acetilcolina. La risposta su base scientifica a questa posizione estrema è arrivata in tempi recenti. Già negli anni Settanta del secolo scorso era stato osservato che sogniamo anche nei periodi non REM, e che si tratta quindi di una concomitanza, non di un nesso causa-effetto. Negli anni Novanta è invece Mark Solms – che assomma in sé la doppia competenza di neurofisiologo e di psicoanalista – a studiare la disorganizzazione delle funzioni oniriche in pazienti che hanno subito lesioni in varie zone del cervello. Egli ha osservato innanzi tutto che tale deficit si accompagna sempre alla turba di altre funzioni psichiche e che comunque il s. è regolato da almeno sei aree cerebrali differenti, operanti secondo sistemi separati sia anatomicamente sia funzionalmente (aspetti consci, immaginazione visiva, sintesi spaziale e simbolica, rivisualizzazione, eccitamento emotivo, incubi elementari stereotipi, fattori generali motivazionali e inibitori, ecc.). Solms e i suoi collaboratori hanno potuto constatare che il cosiddetto sonno REM – regolato dalle aree cerebrali profonde del tronco encefalico, appannaggio dunque delle strutture filogeneticamente più antiche – è solo uno dei molti fattori di attivazione del sogno. Altre strutture più recenti (parti inferiori dei lobi parietali e mediobasali dei lobi frontali) regolano a loro volta l’attività onirica nel suo complicato operare. Per quel che riguarda la modalità intrinseca del sognare, Solms – e con lui Gerald Epstein, Ernest Hartmann, Stanley R. Palombo e altri – ritengono che venga invertita l’abituale sequenza dei processi psichici: i pensieri astratti e simbolici, le memorie vengono convertiti in rappresentazioni percettive motoriamente inibite. In sintesi, sostiene ancora Solms, il s. esprime la ricerca di obiettivi che possano soddisfare bisogni interiori biologici. Né più né meno il linguaggio della Traudeutung di oltre cento anni fa: pulsioni libidiche che, sottratte alla censura della veglia e della coscienza, cercano l’appagamento allucinatorio sostitutivo del desiderio.
I risultati dei pur generosi sforzi di incontri interdisciplinari rimangono fino a oggi (2010) al di sotto delle aspettative, o approdano a prodotti confusi e deresponsabilizzanti. Troppo dissimili sono i modelli, gli strumenti, gli interessi e gli obiettivi di psicofisiologi, psicobiologi, neurofisiologi rispetto a quelli degli psicoanalisti. I s. sono fatti di tanti livelli e funzioni non riducibili a una singola esperienza, compresa quella psicoanalitica. Certamente su questo terreno molte ulteriori speculazioni e preziose convergenze interdisciplinari saranno possibili, purché ciascuno mantenga ben chiaro il suo ambito di competenza. È compito della psicoanalisi svelare gli enigmi del linguaggio onirico, capire se e come si modifichi a seconda del tempo e della cultura, analizzarne la funzione di elaborazione notturna delle esperienze, l’inesauribile potenzialità creativa e narrativa, l’irripetibile cifra comunicativa nel gioco del transfert e del controtransfert. Rimane, in assoluto, il valore del s. come spia preziosa dei processi inconsci, teatro della mente, beneficio notturno, costruzione di sé, compenso per le frustrazioni del reale, inesauribile fonte narrativa.