Sofista
(Σοφιστής) Dialogo di Platone. Vi si discute lo statuto dell’essere a partire dalle relazioni fra uno e molteplice, identico e diverso, riprendendo i temi trattati nel Parmenide (➔) e nel Teeteto (➔). L’analisi è avviata dall’esigenza di differenziare la scienza del sofista da quella del politico e del filosofo (216 a-217 b). Il sofista pratica una «caccia» pacifica mediante la persuasione e commercia cognizioni per ottenerne guadagno (224 b). La sua abilità nel confutare mediante l’antilogia (ἀντιλογία, ossia la contrapposizione di discorso a discorso) genera però una scienza solo apparente e nel praticarla si diviene piuttosto «incantatore» e «imitatore» (234 b-235 a) che sapiente. Oggetto delle dispute sofistiche sono infatti «parvenze» prive di reale consistenza ontologica, ossia forme di non-essere (235 b-236 d). In tal senso si pone il problema di come si possa parlare di ciò che, essendo solo «parvenza» o «immagine», propriamente non è, senza incorrere nelle obiezioni di Parmenide (236 d-237 b). Dire il falso comporta infatti che il non-essere si possa in qualche modo ‘dire’ e ‘pensare’, e alla luce di tale difficoltà bisogna protrarre l’indagine e commettere quasi un «parricidio», sul piano teorico, nei confronti di Parmenide (241 d). Si tratta di ripensare il rapporto fra essere e non-essere, superando le aporie fra unità e molteplicità, e fra moto e quiete, quali risultano dalle diverse ipotesi dei «materialisti» (per i quali è reale solo ciò che è corporeo) e degli «amici delle forme» (che ammettono molteplici forme intelligibili; 245 e-246 d), e dalla ulteriore contrapposizione fra «monisti» e «pluralisti» (242 b-243 c). Per comprendere il modo in cui l’essere si predichi dei termini da cui sorgono tali opposizioni, è necessaria la «dialettica», scienza filosofica per eccellenza (contrapposta alla mera abilità del confutare, tipica del sofista; 252 e-254 b). Essa consiste nel saper dividere (διαίρεσις) e distinguere fra i diversi «generi» delle cose, ma anche nel saper vedere se e come i diversi generi entrino in comunicazione ovvero si mescolino fra loro (253 e); in tal modo il problema logico dei generi della predicazione viene a coincidere con quello ontologico dei generi dell’essere. Applicando la dialettica alle distinzioni dell’essere si enucleano cinque generi sommi: quiete (στάσις), movimento (κίνησις), identico (αὐτó), diverso (ἕτερον; 254 c-257 c). Il non-essere non ha valore assoluto e consiste nell’‘essere diverso’ rispetto a ciò che si predica, al modo in cui, per es., «ciò che non è grande» ha comunque una certa grandezza e non è mero non-essere (258 c). L’analisi dei modi in cui nomi e verbi si uniscono nel discorso, derivata dall’analisi dei generi dell’‘essere’, consente di spiegare il discorso falso come discorso non circa ciò che non è, ma circa ciò che è in altro modo rispetto a ciò che è realmente (262 d-263 d). Così il non-essere, sia ontologicamente sia logicamente, si riduce all’‘essere altro’, ossia all’alterità (263 d-264 b). Poiché il pensiero può riferirsi all’‘essere altro’ è possibile l’errore, ma il sofista, diversamente dal filosofo, se ne avvale nel produrre ‘immagini’ che si fondano sull’opinione invece che sulla scienza.