sofisma
D. usa questo termine in Pd XI 6 (e chi regnar per forza e per sofismi) nel senso comunemente inteso dalla letteratura logica scolastica che con esso indicava un tipo di ragionamento falso, ma proposto in modo da apparire vero. E, altrove (Pd XXIV 81), chiama appunto sofista colui che, servendosi di abili tranelli logici, oscura con sottigliezze e argomentazioni capziose la verità, allo scopo di trarre in errore gli altri.
In realtà il termine fu usato in origine per indicare abili e ingegnose elaborazioni del discorso intese a persuadere gli ascoltatori e indurli ad accettare come provate asserzioni non provabili o meramente possibili; per Aristotele infatti s. è un sillogismo eristico (cfr. Top. VIII 11, 162a 16), cioè un sillogismo che muove da false premesse che sembrano fondate sull'opinione pur non essendolo, o che apparentemente deriva da elementi fondati sull'opinione, ma in realtà non conclude (Top. I 1, 100b 23 ss.). Solo più tardi s. venne assumendo il significato di " artificio logico " o di " argomentazione speciosa " e, in genere, di ragionamento erroneo o falso, presentato tuttavia sotto l'apparenza ingannevole di una verità logica. In questo senso esso fu usato da diversi autori logici classici, sebbene Aristotele adoperasse invece il termine παραλογισμός (cfr. Soph. el. 4, 166b 20; cfr. anche la definizione di paralogismo in Top. I 1, 101a 6 ss.), che le versioni medievali rendono di solito con " fallacia ". E si aggiunga che, se alcuni logici distinsero il ‛ paralogismo ' dal s., considerando il primo come il risultato di un errore involontario e il secondo, invece, come il prodotto di una precisa intenzione, l'analisi formale degli ‛ inganni ' logici fu unica e prese le mosse, anche negli scrittori scolastici, dall'ampia trattazione che Aristotele le aveva dedicato nei capitoli 4-6 degli Elenchi sophistici.
La logica scolastica dell'età di D. distingueva pertanto: 1) un tipo di argomentazione non concludente perché contraria alle leggi del ragionamento e perciò valida solo in apparenza; 2) un'argomentazione che perviene a conclusioni evidentemente inaccettabili e assurde, muovendo però da premesse verosimili e restando sempre entro i limiti del ragionamento formale. Ma, naturalmente, anche i maestri del sec. XIII e poi quelli del primo Trecento ripresero la classificazione aristotelica dei s. che, in sostanza, li riduce tutti a ‛ falsi sillogismi ', che sembrano veri o (1) perché i termini che li costituiscono, pure avendo significati diversi, sembrano significare la stessa cosa; oppure (2) perché le cose significate dai termini, a causa della somiglianza con altre cose, sembrano essere ciò che non sono. È questo appunto il fondamento della classica distinzione generale tra le ‛ fallaciae in dictione ' e le ‛ fallaciae extra dictionem ' o ‛ fallaciae in rebus ' che torna in molti trattati di dialettica del tempo e conosce poi singolari e importanti sviluppi formali negli scritti logici del tardo e maturo Trecento. Secondo tale distinzione è infatti possibile tracciare uno schema esauriente e compiuto dei s., che di solito è così articolato:
a) ‛ fallaciae in dictione ': 1) aequivocatio o s. per omonimia (prodotto dall'uso di un termine equivoco); 2) amphibolia o s. per anfibolia (generato dall'uso di un discorso equivoco); 3) compositio o s. per congiunzione di termini divisi; oppure: 4) divisio o s. per divisione di termini congiunti; 5) accentus o s. per errore dell'accentazione (che consiste nel trarre in inganno con una pronuncia ambigua, spostando l'accento o mutando la quantità della sillaba); 6) figura dictionis o s. per errore della forma di espressione verbale;
b) ‛ fallaciae extra dictionem ' o ‛ in rebus ': 1) ‛ fallacia accidentis ' o secundum accidens (v. Mn III XI 3), che consiste nel confondere l'accidentale con l'essenziale, come nel caso: " Corisco e Socrate sono diversi [intendi: accidentalmente], ma Socrate è uomo, quindi Corisco è diverso dall'uomo "); 2) ‛ fallacia secundum quid et simpliciter ' (cfr. Mn III IV 5, Quaestio 43) che è dovuto a errore o incomprensione della cosa stessa enunciata; 3) ‛ ignorantia elenchi ' (quando non si conosce in modo esatto la tesi in discussione e la si accusa di contraddizione, senza afferrare o chiarire il significato dei termini; esempio: un interlocutore dice: ‛ due non è doppio [di tre] '; e l'altro replica: ‛ Invece è doppio [di uno] '); 4) ‛ petitio principii ' (ragionamento errato consistente nell'assumere come già valida la tesi che si deve dimostrare); 5) ‛ fallacia consequentis ' (o s. del consequente: deriva dall'illecita supposizione che dal termine conseguente si possa arguire il precedente, perché dall'antecedente si è dedotto il conseguente, come nel caso: " Socrate se è uomo è animale, ma è animale, quindi è uomo ", dove l'errore consiste nel ritenere che un termine più universale possa implicarne uno meno universale, per la ragione fallace che il meno universale implica invece il più universale); 6) ‛ fallacia non causae ut causae ' (o s. della falsa causa, quando si adduce come dimostrazione di un asserto una causa o motivo che non è tale); 7) ‛ fallacia plurium interrogationum ut una ' (o s. delle molte interrogazioni, quando si raccolgono insieme molte domande in modo da costringere chi risponde a fornire una risposta sempre errata).
La teoria dei s., già molto sviluppata tra la fine del XIII e gl'inizi del XIV secolo, divenne, più tardi, un capitolo tra i più importanti della logica trecentesca. Anche D. mostra di comprendere e conoscere assai bene l'analisi dei falsi ragionamenti, soprattutto nella Monarchia (III XII), dove mira a confutare le argomentazioni, a suo giudizio, capziose e logicamente scorrette formulate dagli avversari della piena autonomia e sovranità del potere imperiale.
Bibl. - C. Pranti, Geschichte der Logik in Abendlande (partic. il vol. IV), Lipsia 1870; M. Grabmann, Entwiklung der mittelalterlichen Sprachlogik, in Mittelalterliches Geistesleben, I, Monaco 1926, 104-141; Ph. Boehner, Medieval Logic. An outline of its development from 1250 to 1400, Chicago 1952; E.A. Moody, Truth and consequence in Medieval Logic, Amsterdam 1953.