VANNI ROVIGHI, Sofia
– Nacque a Croara, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna), il 28 settembre 1908 da Carlo Vanni, ingegnere fiorentino, e da Laura Calzoni, bolognese.
Con decreto reale del 12 settembre 1929 Sofia Vanni fu autorizzata ad aggiungere al cognome del padre quello di Rovighi, che era il cognome del secondo marito della madre, Augusto, che l’avrebbe adottata con atto del 19 giugno 1936 (per queste note e per l’intera biografia, v. Profilo biografico, in Sofia Vanni Rovighi..., 2019, pp. 11-33).
Trasferitasi con la mamma a Bologna nel 1922 e poi a Milano nel 1923, frequentò le tre classi del liceo classico Giovanni Berchet e nel 1926 conseguì la maturità. Si iscrisse quindi alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università cattolica del Sacro Cuore, dove, nel corso di filosofia, seguì specialmente l’insegnamento di Emilio Chiocchetti, Giuseppe Zamboni e Amato Masnovo. Con quest’ultimo si laureò nel 1930 con una tesi su L’immortalità dell’anima in Duns Scoto. Da Masnovo, che insegnava storia della filosofia medievale e filosofia teoretica, ricevette fondamentali indicazioni di metodo e preziosi suggerimenti per le sue ricerche, che l’accompagnarono in tutta la sua vita di studiosa, sia in ambito storiografico sia in campo teoretico. Subito dopo la laurea fu incaricata dell’insegnamento della filosofia presso la sezione della facoltà di magistero a Castelnuovo Fogliani, con il compito di spiegare un manuale di filosofia scolastica e di approfondire il pensiero di qualche classico. Ebbe così l’occasione di ampliare la lettura di testi medievali e di approfondire anche autori moderni; gli appunti stesi per questi corsi furono la base per i suoi Elementi di filosofia (pubblicati in cinque tomi, Como 1941-1950, e poi, in un’edizione ampiamente riveduta, in tre volumi, Brescia 1962-1964). Caratterizzati da rigore logico, chiarezza espositiva e apertura intellettuale, questi testi ebbero grande fortuna e contribuirono a formare generazioni di studenti di filosofia, non solo in Università cattolica, ma anche in molte università italiane ed ecclesiastiche.
Della filosofia scolastica si presentava un’intrinseca fondazione e la si confrontava con pensatori di altre tendenze, dai quali poter eventualmente ricavare spunti di approfondimento e di arricchimento. In questi anni e in questi studi si venne sempre meglio configurando la formazione tomistica e scolastica, attuata non per passiva adesione alle convenienze dell’ambiente di appartenenza, ma per convinto assenso, frutto di assidua frequentazione dei testi originali e di rigorosa analisi critica.
Pur consapevole che un paziente lavoro storico fosse essenziale, Vanni Rovighi fu sempre animata da vivi interessi per la filosofia e i suoi problemi e, poiché non era particolarmente attratta dalla speculazione gentiliana, cercò nelle ricerche sviluppate all’estero spunti di riflessione, soprattutto nel campo della filosofia della scienza e dell’ontologia, persuasa che i problemi e le soluzioni della scolastica rinascessero, sia pure in diversa forma e in altro contesto, nella filosofia contemporanea. Per le tematiche e il metodo delle scienze, resi familiari dall’assidua frequentazione dei neopositivisti logici, Vanni Rovighi mantenne sempre un forte interesse, che la spinse a iscriversi alla facoltà di scienze dell’Università di Milano e a seguirne per un anno i corsi, ma gli impegni didattici e di ricerca non le permisero di proseguire. Pur riservando sempre attenzione ai problemi epistemologici, si dedicò all’ontologia: nel 1932 si recò a Friburgo, dove seguì, nel semestre estivo, le lezioni di Martin Heidegger; quindi si dedicò allo studio delle Logische Untersuchungen di Edmund Husserl, un autore che ebbe importanza fondamentale per la formazione del suo pensiero, specie in ambito teoretico. A Parigi nel 1934 seguì le lezioni di Étienne Gilson, mentre a Berlino nel 1938 ascoltò alcune lezioni di Nicolai Hartmann e incontrò Richard Kroner, che la incoraggiò a studiare Hegel, offrendole suggerimenti utili per apprezzarne la grandezza e meglio comprenderlo. Nel 1938 pubblicò La filosofia di Edmund Husserl (Milano 1938 e 1939), un testo pionieristico in Italia negli studi sulla fenomenologia; nel 1939 ottenne poi la libera docenza in storia della filosofia e cominciò a tenere nella sede milanese dell’università corsi liberi ed esercitazioni. Avendo iniziato a leggere Immanuel Kant fin dagli anni universitari, grazie alle lezioni di Zamboni, ne riprese più volte lo studio e nel 1945 pubblicò una Introduzione allo studio di Kant (Como-Milano 1945; poi, in edizione rinnovata, Brescia 1968), in cui offrì una presentazione dell’intero pensiero di Kant ricca di osservazioni critiche. Al di là dei limiti, individuati soprattutto nell’impostazione gnoseologica e nel rifiuto di una metafisica, di Kant veniva apprezzata la rigorosa chiarezza e l’affermazione, pur in mancanza di una fondazione metafisica, dell’assolutezza del dovere morale.
Nei primi anni Quaranta venne invitata agli incontri tenuti nella casa del collega Umberto Padovani, cui prendevano parte, fra gli altri, anche Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani, allo scopo di riflettere sul futuro dell’Italia dopo la prevedibile caduta del fascismo e sul ruolo che vi avrebbero dovuto svolgere i cattolici. Quando però emerse l’intento primariamente politico dell’iniziativa, si distaccò da questo gruppo, ritenendo compito principale del filosofo quello di offrire chiarificazioni concettuali e giustificazioni razionali ai principi morali del concreto agire politico.
In seguito all’incarico di filosofia morale, ottenuto nel 1949 presso la facoltà di lettere e filosofia, fu indotta ad approfondire la fondazione della morale in Tommaso d’Aquino – spesso trascurata dai manuali – e la concezione fenomenologica di Max Scheler, del quale già aveva studiato la filosofia della religione. Trasse inoltre profitto dagli scritti di Erminio Juvalta e da alcune riflessioni sviluppate dalla filosofia analitica anglosassone. Si soffermò in particolare sulla fondazione metafisica della morale; sulla prospettiva finalistica, in cui la legge è intesa come via al fine, che l’uomo è liberamente chiamato a conseguire per realizzare pienamente sé stesso nella sua vocazione; sull’importanza della coscienza nel giudizio morale e sull’attenzione che va sempre rivolta al caso concreto, cui la legge universale va applicata.
In seguito al concorso bandito dall’Università cattolica, nel 1951 vinse la cattedra di storia della filosofia medievale ed ebbe così modo di tornare agli autori cui si era già interessata, peraltro mai completamente abbandonati.
I risultati di questi studi furono poi raccolti nei due volumi di Studi di filosofia medioevale, pubblicati nel 1978 in occasione del suo settantesimo compleanno; in essi il Medioevo filosofico venne analizzato nelle sue linee essenziali, con particolare attenzione alla concezione agostiniana di Dio e dell’anima; al pensiero di Anselmo d’Aosta, di cui stimava la sottigliezza logica e discuteva con rigore e interesse il famoso argomento ontologico per l’esistenza di Dio; alla ricca produzione del secolo XII, oltre, naturalmente, ad aspetti peculiari della riflessione di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio.
Il passaggio fuori ruolo di Francesco Olgiati nel 1959 determinò la chiamata di Vanni Rovighi sulla cattedra di storia della filosofia, il cui insegnamento professò dedicandosi soprattutto al pensiero moderno e contemporaneo, ma riservando sempre una parte dei corsi a tematiche agostiniane o tomistiche. La Storia della filosofia moderna e la Storia della filosofia contemporanea (Brescia 1976 e 1980) raccolsero i frutti di molte letture dedicate a filosofi noti e meno noti. In particolare, di Galileo Galilei sottolineò sempre l’importanza che la nascita della scienza ebbe per lo sviluppo della filosofia moderna; di Gottfried Wilhelm von Leibniz apprezzò, oltre alla metafisica, la sottile distinzione tra metodo scientifico e metodo filosofico; di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, cui nel 1942 dedicò il volume La concezione hegeliana della storia (Milano 1942), ammirò la vasta cultura e l’insistenza sull’importanza della metafisica per la costruzione di un sistema filosofico, ma non lo seguì nella pretesa di conseguire una conoscenza assoluta dell’Assoluto, di possedere un concetto universale concreto, in cui la realtà sia conosciuta in maniera adeguata, necessaria ed esaustiva, e neppure nello storicismo, incompatibile con valori assoluti e metastorici. Per questo aspetto molto più umana le apparve la visione kantiana, ben consapevole dei limiti della nostra conoscenza, strutturalmente finita e aperta a un Trascendente.
Nel 1973 fu chiamata sulla cattedra di filosofia teoretica, succedendo così a Gustavo Bontadini e al suo maestro Masnovo: nell’affrontare i grandi temi speculativi non abbandonò mai il richiamo ai testi classici e con questo metodo si soffermò sulla gnoseologia, la teologia razionale e l’antropologia, che furono i perduranti interessi della sua vita di ricerca. Tommaso d’Aquino e Husserl furono i punti di riferimento per queste riflessioni. Uscita fuori ruolo nel 1978, tenne sino al 1982 il corso libero di istituzioni di filosofia.
Fu socia dell’Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere; nel 1964 ricevette il diploma di prima classe per i Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte con medaglia d’oro; il 16 gennaio 1981 le venne conferito il premio Antonio Feltrinelli per le scienze filosofiche da parte dell’Accademia nazionale dei Lincei; nel 1990 fu nominata membro onorario della neonata Società per lo studio del pensiero medievale.
Vanni Rovighi non smentì mai la sua convinta adesione al tomismo, di cui apprezzava che fosse una filosofia di uomini e non di dei, come quella hegeliana; era convinta dei limiti dell’umana ragione, ma la finitezza non equivaleva a scetticismo e, se le risposte trovate non potevano essere pienamente adeguate ed esaustive, potevano però essere vere e rigorosamente fondate. L’intenzionalità e l’astrazione universalizzante, il primato dell’atto e le viae per affermare l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima spirituale e l’unità sostanziale dell’uomo costituivano le tesi portanti di quella concezione, che non era subita come una filosofia vecchia, poiché ella non cercò mai il nuovo come tale, ma il vero, con un’indagine durata tutta la vita; fatta non tanto di geniali intuizioni tra loro incomunicabili, ma di un paziente lavoro, cui generazioni di uomini partecipano e tradizioni diverse collaborano. E qui sta anche il senso dell’unità della filosofia al di sotto delle molte filosofie, il senso della philosophia perennis, da intendersi come un’idea regolativa, una vena profonda cui tutte le filosofie attingono, sicché pensando a fondo una filosofia, si ritrovano verità messe in luce da altre filosofie, apparentemente lontane e contrapposte (Curriculum per l’Accademia dei Lincei, in Sapientiae studium..., 1994, p. 114).
Morì il 10 giugno 1990 a Bologna, dove era rientrata dal 1978.
Fonti e Bibl.: Sapientiae studium. La giornata operosa di S. V. R. (1908-1990), a cura di M. Sina, Milano 1994; Ricordo di S. V. R. nel centenario della nascita, a cura di M. Lenoci - M. Paolinelli - M. Sina, Milano 2008; M. Mangiagalli, S. V. R., Città del Vaticano 2018; S. V. R. Filosofia per la vita, a cura di M.P. Negri - A. Tarabochia, Milano 2019.