soffiare
Il verbo assume il valore di " emettere violentemente sospiri ", fenomeno che precede la fuoruscita di sangue e voce, in If XIII 91 Allor soffiò il tronco forte, e poi / si convertì quel vento in cotal voce, e 138 Chi fosti, che per tante punte / soffi con sangue doloroso sermo?. Nota a proposito lo Spitzer: " Siamo dinanzi a un'equazione poetica: sangue-linfa, parole-vento; così la lingua degli uomini-pianta è un semplice flatus vocis, linguaggio generato dal vento " (Lett. dant. 228).
Nel passo di If XXIII 113 soffiando ne la barba con sospiri (riferito a Caifas), vale " sbuffare "; così Caifas sfoga la sua stizza perché " vedea Dante cristiano salvato per la passione di Cristo, per la quale egli era dannato " (Buti).
Significa " spirare " (detto di vento), in Pg V 15 sta come torre ferma, che non crolla / già mai la cima per soffiar di venti (l'immagine è virgiliana [Aen. VI 554, X 693-694], ed è anche nei Carmina de mensibus di Bonvesin, vv. 395-396).
In Pd XXVIII 80 quando soffia / Borea da quella guancia ond'è più leno, si ricordi che " gli Dei de' venti (cfr. Purg. XXVIII 21) erano rappresentati con le guance gonfie in atto di soffiar con le bocche dal mezzo e dai due lati " (Torraca). Per la similitudine D. risentì certo di un luogo virgiliano (cfr. Aen. XII 365 ss. " ac velut Edoni Boreae cum spiritus alto / insonat Aegaeo sequiturque ad litora fluctus; / qua venti incubuere, fugam dant nubila coelo ") e inoltre di Boezio (Cons. phil. I m. III).
Nel caso di Pg XXX 87 Sì come neve... sì congela, / soffiata e stretta da li venti schiavi, assume il particolare significato di " portata sul soffio dei venti ".