SODEGERIO da Tito
SODEGERIO da Tito. – Ignota la data di nascita, da collocarsi verosimilmente nel primo decennio del Duecento; Tito era il luogo di provenienza, circa dieci km a sud-ovest di Potenza (talvolta era detto de Apulia); nulla si sa dell’identità dei genitori.
La prima notizia che lo riguarda, in data 7 dicembre 1238, lo qualifica già come uno di quegli ufficiali provenienti dal Regno di Sicilia cui l’imperatore Federico II affidava importanti incarichi in Italia settentrionale: Sodegerio era infatti podestà di Trento.
Dall’XI secolo i vescovi di Trento detenevano anche il potere temporale; nel maggio del 1236 Federico II decise però di esautorare il vescovo Aldrighetto da Campo nel contesto di un intervento nell’area italiana nordorientale che portò di lì a poco, tramite conquiste a mano armata o patti di dedizione, al controllo stabile di Verona, Vicenza, Padova e Treviso (oltre che dell’altro episcopato alpino, quello di Bressanone) da parte di ufficiali imperiali. Podestà imperiale di Trento fu prima un certo Wibotone; lo seguirono in rapida successione il ministeriale tirolese Svicherio da Montalban e Lazzaro da Lucca.
L’azione di Sodegerio si collocò all’interno dell’architettura istituzionale voluta da Federico II con la formazione della Marca trevigiana, di cui Trento fu considerata parte dal 1239. A differenza di altri centri della Marca, però, in quella «città a debole sviluppo comunale» poté essere esercitata «un’autorità che per efficacia e immediatezza [fu] senza confronti nelle altre aree dell’Italia settentrionale» (Varanini, 1994, p. 56).
A Trento l’assetto istituzionale presistente non fu però cancellato: Sodegerio si definì «potestas, capitaneus et rector Tridenti et episcopatus» e agiva in quanto «provisor episcopatus et pro episcopatu nomine» (Riedmann, 2004, pp. 235 s.). Esercitava la sua attività di governo e di amministrazione della giustizia stando nei palazzi vescovili (a Trento, a Riva del Garda e a Bolzano – la cui contea, dove il vescovo di Trento aveva mantenuto in un primo momento un residuo diritto di intervento, fu assicurata al controllo imperiale). Sodegerio era coadiuvato da un gruppo di specialisti del diritto e di personale di cancelleria in parte di provenienza non locale. Presiedette le riunioni del Consiglio cittadino; fece mettere per iscritto le tariffe del dazio; promosse un’inchiesta per la definizione dei beni comuni della città, «pro bono communitatis Tridenti et statu ipsius comitatus» (p. 236). Si comportava insomma come uno dei podestà chiamati a reggere il governo delle città dell’Italia centrosettentrionale; grazie anche a questo atteggiamento egli trovò la collaborazione sia della feudalità vescovile, sia dei ceti dirigenti cittadini, sia del capitolo della cattedrale; non si può escludere che in questo atteggiamento vi fosse anche l’intenzione, da parte di quegli ambienti, di riprendere la tradizionale posizione filoimperiale che era stata in qualche misura abbandonata dal vescovo Aldrighetto.
Aldrighetto accettò sostanzialmente la nuova situazione; anzi, nel corso del 1246 papa Innocenzo IV ordinò un’inchiesta su di lui, accusandolo di connivenza. Alla sua morte (1247), i canonici della cattedrale elessero vescovo – verosimilmente con il sostegno del podestà: Federico II amava presentarsi come il difensore dei diritti delle chiese locali contro il Papato – il decano del capitolo, Ulrico dalla Porta, un esponente della società cittadina che fu confermato dal patriarca di Aquileia, ma non riconosciuto da Innocenzo IV. Quest’ultimo affidò invece l’episcopato trentino a Egnone, conte di Appiano e vescovo di Bressanone, che per il momento non poté fare ingresso nella sede.
Dopo la scomparsa di Federico II (1250), Sodegerio continuò a operare in quanto podestà imperiale in nome di Corrado IV. La debolezza del sostegno che poteva ricevere da quest’ultimo (che scomparve nel 1254) e la perdurante opposizione papale lo spinsero però a cercare in Ezzelino III da Romano un appoggio più vicino e concreto. Non vi è motivo di ritenere che, fino allora, il leader del partito imperiale nella Marca fosse stato più di un potente vicino, come è attestato, tra l’altro, dal tono della lettera che era stata rivolta da Ezzelino a Sodegerio nel febbraio del 1240, con la proposta di istituire un dazio sulla strada tra Trento e Verona per finanziare la difesa di alcuni castelli della Vallagarina. Con gli anni Cinquanta, però, Ezzelino modificò (prima nella sostanza e poi anche nella forma) il rapporto con tutti i funzionari imperiali presenti sul territorio della Marca. Sodegerio, in particolare, divenne suo vassallo, in seguito all’investitura con cui gli fu concessa l’eredità di Riprando d’Arco (10 maggio 1253); e non vi è dubbio che nel 1255 Ezzelino considerasse Trento come appartenente alla propria area di influenza (un cronista veronese definì Sodegerio come il «potestas Tridenti pro domno Icerino»: Riedmann, 1996, p. 141).
In quegli anni Sodegerio stava anche rafforzando la propria posizione personale, sia nel territorio (dopo aver ricevuto da Federico II il castello di Stenico, acquistò alcuni feudi nelle valli Giudicarie), sia in città. A questo proposito è significativo il destino della residenza fortificata posta sul colle del Malconsilium, che Sodegerio aveva costruito al margine orientale della città, in posizione eminente, a controllo delle vie che portavano verso nord e verso est. Essa fu chiamata prima «domus nova imperatoris» (24 dicembre 1250) e poi «domus nova in qua habitat dominus Sedoerius potestas» (ottobre del 1251); Sodegerio ne fu quindi investito, «in pleno consilio Tridenti», da due rappresentanti della città, senza fare alcun riferimento a Corrado IV o all’Impero (2 gennaio 1254; tutti i passi citati provengono da Riedmann, 2004, pp. 244 s.). La città era dunque la fonte di legittimazione di un’incipiente signoria laica.
Nella primavera del 1255 Sodegerio, la città e alcuni potenti vassalli vescovili scelsero di liberarsi della tutela di Ezzelino III e si accordarono con il vescovo Egnone, il quale poté così fare ingresso in sede. Ulrico dalla Porta tornò a essere solo il decano del capitolo, alcune famiglie signorili furono generosamente ricompensate e a Sodegerio fu confermata una posizione di eccezionale rilievo: egli avrebbe potuto tenere tutti suoi feudi e la sua domus cittadina «eo modo et forma ut comune et consilium Tridenti dedit» (con diritto di trasmetterli ai propri discendenti) e fu nominato vicario dell’episcopato a vita; avrebbe per questo ricevuto una parte dei redditi dell’episcopato, «prout decebit honorem suum» (28 maggio 1255; p. 247). Il percorso verso la formazione di una signoria laica a Trento proseguiva, anche se cambiava la fonte della sua legittimazione.
A distanza di qualche giorno intervennero però fatti nuovi che costrinsero Sodegerio a rinunciare a quasi tutti i suoi beni e alla stessa domus nova. Questa passò al vescovo, che il 15 giugno ne aveva già fatto la sua residenza (si tratta infatti del primo nucleo di quello che sarà il castello del Buonconsiglio). L’ex podestà non esercitò mai compiti vicariali e uscì bruscamente di scena, tanto che una parte della storiografia ha ritenuto a lungo che egli fosse morto in quei giorni. In realtà esistono documenti che lo vedono attivo nel novembre del 1255, quando rinunciò ai suoi diritti nelle Giudicarie, e poi nel luglio del 1257: in quel momento egli possedeva ancora una domus murata presso il castello di Arco. L’ex podestà però non era morto, ma era tornato in patria.
Rimase invece in Trentino l’omonimo figlio, che nel 1267 cedette ai conti di Tirolo quanto rimaneva dell’eredità paterna in cambio di un’ingente somma e che anche in seguito è attestato nell’episcopato (Curzel, 2005).
Alla fine degli anni Sessanta, Sodegerio aderì allo schieramento imperiale durante la discesa di Corradino di Svevia (lo si deduce dal fatto che nel 1269 Carlo d’Angiò lo definì «proditor» e gli tolse un terzo del borgo di Tito per darlo in feudo ad altri). Vi è infine un’ultima testimonianza, databile intorno al 1277, nella quale viene chiamato «Siduerius lombardus, qui fuit potestas in Trenta» (per queste due notizie v. Riedmann, 1980, p. 149). Dopo questa data nulla più si sa di Sodegerio.
Nella documentazione trentina successiva il periodo di governo podestarile non fu considerato, dal punto di vista istituzionale, una soluzione di continuità rilevante: nei rinnovi delle infeudazioni vescovili il nome di Sodegerio si trova accanto a quello dei vescovi che lo avevano preceduto e seguito.
A livello storiografico, la memoria di Sodegerio rimase legata a quella di Ezzelino da Romano, e dunque il giudizio sul personaggio è stato generalmente molto negativo; è merito di Josef Riedmann l’aver riconosciuto nella figura di Sodegerio non quella di un tiranno, ma quella di un funzionario che cercò di governare con la collaborazione di tutte le forze dell’episcopato. Si può certamente ritenere che durante l’ultima fase podestarile egli abbia tentato di conseguire stabilmente la signoria della città; restano sconosciuti i motivi per cui dovette rinunciare a tale progetto.
Fonti e Bibl.: J. Riedmann, Die Übernahme der Hochstiftsverwaltung in Brixen und Trient durch Beauftragte Kaiser Friedrichs II. im Jahre 1236, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, LXXXVIII (1980), pp. 131-163; Id., Ezzelino e Trento, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992, pp. 325-340; G.M. Varanini, La Marca trevigiana, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert - A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 48-64; J. Riedmann, Crisi istituzionale agli albori dello Stato moderno (1236-1256), in Storia del Trentino, a cura di L. de Finis, Trento 1996, pp. 127-146; Id., Tra impero e signorie, in Storia del Trentino, III, L’età medievale, a cura di A. Castagnetti - G.M. Varanini, Bologna 2004, pp. 229-254; E. Curzel, S. da Tito, in Enciclopedia Federiciana, Roma 2005, pp. 764-766; J. Demattè, S. da Tito podestà imperiale di Trento (1238-1255), tesi di laurea, Università degli studi di Trento, a.a. 2007-08; E. Curzel, Trento, Spoleto 2013, pp. 74-79.