SOCIOLOGIA CRIMINALE
. Con questa denominazione Enrico Ferri volle caratterizzare in tutta la molteplicità dei suoi aspetti lo studio del fenomeno della delinquenza condotto con metodo positivo. Essa è l'espressione più compiuta della cosiddetta "scuola positiva" di diritto penale, secondo cui occorre sostituire alla tradizionale deduzione logica del concetto di delitto come ente giuridico lo studio della "storia naturale dell'uomo delinquente" e da questa trarre i principî della giustizia penale nella formulazione delle leggi e nella loro applicazione.
La sua origine è così rievocata dallo stesso Ferri nell'opera a essa intitolata: "Ed ecco allora, verso la fine del sec. XIX, determinarsi nella scienza criminale un nuovo movimento, iniziato nella parte antropologica dal Lombroso e affermato subito dopo nella parte sociologico-giuridica da persona che non importa nominare, con un libro sulla Teorica dell'imputabilità, che nel 1878, tra i difetti di un'opera giovanile, affermava "l'intendimento di applicare il metodo positivo alla ricerca del giure criminale"; e svolgeva dappoi soprattutto il lato sociologico delle nuove ricerche, dando al nuovo indirizzo il nome appunto di sociologia criminale" (Sociologia criminale, 5ª ed., Torino 1929, p. 12).
I dati sui quali il Ferri costruisce il suo sistema gli sono forniti dall'antropologia criminale, nel significato biologico attribuitole da C. Lombroso, e dalla statistica: con la prima si dimostra l'anormalità del delinquente derivante da fattori organici e psichici, ereditarî e acquisiti; con la seconda si dimostra come l'aumento o la diminuzione dei delitti, il loro sorgere e il loro scomparire in determinati tempi e luoghi dipendano da ragioni ben diverse e ben più profonde che non siano l'attenuazione, l'aggravamento o la mancanza delle pene dei codici. Attraverso queste due serie di ricerche si svolgono tutti i presupposti della sociologia criminale e si determinano tutti i fattori del delitto, che il Ferri riduce a tre classi fondamentali: antropologici, fisicí e sociali. Gli antropologici sono inerenti alla persona del delinquente e riguardano in primo luogo la costituzione organica (anomalie organiche, del cranio e del cervello, dei visceri, della sensibilità e dell'attività riflessa, e tutti i caratteri somatici in genere), in secondo luogo la costituzione psichica (anormalità dell'intelligenza e dei sentimenti), in terzo luogo i caratteri personali del delinquente come membro di una società (condizioni biologiche: razza, età, sesso; condizioni biologico-sociali: stato civile, professione, domicilio, classe sociale, istruzione ed educazione). I fattori fisici o cosmo-tellurici appartengono all'ambiente fisico e sono il clima, la natura del suolo, la vicenda diurna e notturna, le stagioni, la temperatura annuale, le condizioni meteoriche, la produzione agricola. Infine i fattori sociali del delitto risultano dall'ambiente sociale e sono in principal modo: la densità della popolazíone, i costumi, la religione, l'opinione pubblica, la famiglia, l'educazione, la produzione industriale, l'alcoolismo, l'assetto economico e politico, l'ordinamento dell'amministrazione pubblica, della giustizia, della polizia, e infine le leggi civili e penali.
In sostanza, i fattori del delitto vanno ricercati in tutto il mondo naturale e sociale di cui il delinquente è una manifestazione determinata. Il delitto rientra nella fenomenologia naturalistica di un sistema di cause e di effetti, in cui necessariamente si annulla ogni concetto di libertà e di responsabilità morale e da cui deriva l'impossibilità logica di attribuire alla pena la finalità di una retribuzione giuridica o etica. Alla responsabilità morale si sostituisce la responsabilità sociale e alla sanzione morale la sanzione sociale. Ma appunto perché il delitto non è che la naturale conseguenza di una triplice serie di fattori, per combatterlo non bisogna attendere la sua manifestazione e reprimerlo con la sanzione, bensì prevenirlo con i cosiddetti sostitutivi penali. "Sostitutivi penali di cui il concetto si riassume in ciò che il legislatore, abbracciando con lo sguardo l'andamento e le manifestazioni dell'attività individuale e sociale e scorgendone le origini, le condizioni, gli effetti, tenga conto delle leggi psicologiche e sociologiche, per le quali rendersi padrone o per lo meno avere il controllo di una gran parte dei fattori criminosi, e specialmente di quelli sociali, per influire così in modo indiretto, ma più sicuro, sull'andamento della criminalità. Il che poi si riduce a dire: che alle disposizioni legislative (politiche, economiche, civili, amministrative, penali) dai più grandi istituti ai minimi particolari, sia data una tale orientazione, per la quale l'attività umana, anziché essere minacciata meno efficacemente di repressione, sia guidata in modo continuo e indiretto nelle vie non criminose, con l'offrire libero sfogo alle energie ed ai bisogni individuali, urtandoli il meno possibile e scemando le tentazioni e le occasioni di delinquere" e (Op. cit., pp. 475-476).
Alla concezione sociologica del delitto aderirono ben presto tutti i positivisti. Anche C. Lombroso riconobbe la necessità di allargare il campo delle sue indagini e nella quinta edizione della sua opera su L'uomo delinquente (Torino 1896-97) la massima parte del terzo volume è dedicata all'eziologia del delitto, ai sostitutivi penali e ad altri problemi sociologici. La stessa esigenza indusse R. Garofalo nella sua Criminologia (Torino 1885) a distaccarsi dai canoni troppo astrattamente biologici dell'antropologia e ad approf0ndire il problema psicologico e giuridico del delitto e del delinquente. Sui fattori economico-sociali insisté soprattutto N. Colaianni nel saggio su Socialismo e sociologia criminale (Catania 1884) e poi nel volume La sociologia criminale (ivi 1887).
La molteplicità delle indagini cui dava luogo in tal guisa il criterio sociologico applicato allo studio della delinquenza fece nascere il problema del rapporto delle diverse scienze criminologiche (e in particolare dell'antropologia criminale, della statistica criminale e del diritto penale) con la sociologia criminale. Il Ferri diede una soluzione comtiana di questo problema e concepì la sociologia criminale come il sistema delle scienze criminologiche. Perfino il diritto penale divenne un capitolo della sociologia e il criterio di questa subordinazione fornì il motivo polemico fondamentale per la critica della scuola classica. I positivisti aceettarono in genere la soluzione di Ferri, ma allorché nel campo degli studî giuridici cominciò a prevalere il cosiddetto tecnicismo giuridico, vi fu qualcuno che, pur serbando fede ai presupposti sociologici, li ritenne compatibili con l'autonomia del diritto penale. I più autorevoli assertori del dualismo furono F. Puglia e E. Florian, sebbene il loro dissenso si sia rivelato più formale che sostanziale. Il dualismo invece si accentua nei tecnico-giuridici non sociologici, che ritengono la sociologia criminale e in genere le scienze criminologiche sperimentali scienze "ausiliari" del diritto penale. Un esempio tipico della diversità delle due concezioni si è avuto nella trasformazione operata da Arturo Rocco della Scuola d'applicazione giuridico-criminale, fondata da Ferri nel 1912 presso l'università di Roma.
L'influenza scientifica e pratica dell'indirizzo sociologico è stata molto considerevole in Italia e all'estero dove le opere del Ferri e dei suoi seguaci furono ripetutamente tradotte. Molti dei risultati raggiunti nel campo scientifico entrarono nella coscienza comune diventando elementi di nuova vita etica e politica. E ben presto cominciarono a vedersene i sintomi nelle legislazioni di tutti i paesi. In Italia, dopo il tentativo di un codice penale ispirato integralmente ai nuovi principî (Progetto di codice penale italiano - Libro I, con relazione di E. Ferri, 1921), abbiamo avuto il nuovo codice penale del 1930 che ha tradotto in norme di legge molte delle affermazioni della scuola positiva.
In quanto alle critiche rivolte alla sociologia criminale esse si sono generalmente limitate ai presupposti filosofici del positivismo, del determinismo e della sociologia senza affrontare i particolari problemi sociali posti in luce dalla nuova scienza. Il che può dirsi in modo specifico delle critiche mosse dall'idealismo italiano contemporaneo (B. Croce, G. Gentile, G. Maggiore), che, se sono valse a rivelare le contraddizioni insanabili di un determinismo assoluto, non sono riuscite a far procedere per altra via gli studî sulla delinquenza e hanno determinato soltanto un vago movimento di reazione astrattamente logica e sentimentale. Allo stesso risultato son pervenute le critiche dei cattolici e in genere di tutti gli spiritualisti preoccupati di salvare il concetto di responsabilità morale del delinquente. La conclusione pratica di una reazione tanto indeterminata si può vedere nell'eclettismo oggi dominante nel campo degli studî sulla delinquenza, sostanzialmente condotti secondo i criterî della scuola positiva, ma continuamente alterati e privati di rigore sistematico dalla estrinseca introduzione di motivi polemici rimasti nella fase di semplici esigenze critiche. Le conseguenze peggiori si riscontrano nel campo della legislazione penale, dove gli opposti principî del determinismo sociologico e della libertà spirituale cercano invano di conciliarsi in un organico atteggiamento di fronte al delinquente e restano reciprocamente estranei nel dualismo di misure di sicurezza e di pene.
Bibl.: Per un'ampia bibl., cfr. E. Ferri, Sociol. crim., 5ª ed., Torino 1929, voll. 2, e specie l'introd. dove è brevemente tracciata la storia della scuola criminale positiva ed è aggiunto un paragrafo sull'"Espansione scient. e pratica del nuovo indirizzo" in Italia e all'estero. Per la critica del movimento, specie dal punto di vista idealistico, v. U. Spirito, St. del dir. pen. ital. da C. Beccaria ai giorni nostri, 2ª ed., Torino 1932, e Il nuovo dir. pen., Venezia 1929.