socialismo
Dottrina, teoria o ideologia che postula una riorganizzazione della società su basi collettivistiche e secondo principi di uguaglianza sostanziale. In un’accezione più restrittiva, il s. può considerarsi come un sistema generalizzato di idee, valori e convinzioni finalizzato a guidare i comportamenti collettivi – e le forze sociali che li organizzano – verso l’obiettivo di un nuovo ordine politico in grado di ridurre le disuguaglianze sociali attraverso forme di socializzazione dei mezzi di produzione e correttivi applicati ai processi distributivi.
Nonostante alcuni elementi embrionali riconducibili a ideali egualitari legati al s. risalgano all’epoca antica e medievale, è soltanto nel 19° sec. che la parola e il fenomeno s. assumono i contenuti propri che comunemente gli si attribuiscono. È in particolare in Francia e, con R. Owen (➔), in Gran Bretagna, che nei primi decenni del 1800 trovarono espressione le teorie originarie del movimento socialista, cui si rifaranno, in modi e forme differenti, le formulazioni successive.
Tra i socialisti utopistici si trovano, da una parte, pensatori – quali C.-H. de Saint-Simon (➔), C.-F.-M. Fourier (➔), Owen, J.-J.-C.-L. Blanc (➔), Cabet e P.-J. Proudhon (➔) – le cui analisi, articolate prevalentemente sul piano economico e giuridico-istituzionale, erano essenzialmente volte all’individuazione di una più equa organizzazione sociale, ispirata ai criteri di rappresentanza meritocratica e ai principi dell’autonomia. Dall’altra, si colloca, invece, chi, come J.-A. Blanqui (➔), F. Buonarroti e F.-N. Babeuf (➔), ritiene imprescindibile la conquista del potere politico in vista della realizzazione sostanziale del principio egualitario e del ‘comunismo’ dei beni, finalità ultime del socialismo. ● K. Marx (➔), teorico del s. scientifico, individuò in questa dottrina la fase transitoria del processo rivoluzionario, attraverso cui la classe operaia si appropria dello Stato e del potere legale per instaurare la dittatura del proletariato, momento propedeutico all’estinzione dello Stato stesso e all’avvento della società comunista (Kritik des Gothaer Programms, 1875).
La Seconda Internazionale (1889-1917) presentò una rilettura del marxismo in chiave di revisionismi ‘di sinistra’, attraverso una rivalutazione della dialettica hegeliana, e ‘di destra’, attraverso gli strumenti concettuali dell’evoluzionismo positivistico o del neokantismo. Si ebbero così, da un lato, posizioni a difesa dell’‘ortodossia’ marxista di K. Kautsky (➔) e R. Luxemburg. Dall’altro, emersero invece assunzioni fortemente critiche, espresse da E. Bernstein, M. Adler e dagli altri esponenti del cosiddetto austromarxismo, che recuperavano le ragioni etiche del s. e ne rigettavano le basi scientifiche.
In Italia, il partito socialista, in quanto manifestazione politica del proletariato, venne fondato nel 1892. Tra i leader socialisti italiani si ricordano: F. Turati, G. Matteotti, O. Lizzadri, e nel secondo dopoguerra G. Saragat e B. Craxi.
Le estreme conseguenze, anche scissionistiche, della diatriba tra ortodossia e revisionismo emersero in seno alla Terza Internazionale (1919): non più socialista, ma comunista, in quanto ebbe come guida il partito bolscevico e come modello quello della rivoluzione sovietica dell’ottobre 1917. Secondo V.I. Lenin (➔), il comunismo si differenziava dal s. revisionista perché non assumeva la coscienza di classe come prodotto spontaneo dello sviluppo capitalistico. Solo gli intellettuali borghesi, che ne sono gli interpreti, e il partito come «avanguardia armata del proletariato» possono trasmettere la consapevolezza del fine supremo cui tende la storia dell’umanità, cioè la società comunista. Questa ideologia, «onnipotente perché giusta», divenne la dottrina ufficiale del partito rivoluzionario e dello Stato socialista con il quale si identificava.
La principale applicazione in chiave politico-economica di alcuni principi cardine del s. in seno ai sistemi di economia di mercato, successiva alla Seconda guerra mondiale, è la realizzazione del welfare State: assetto istituzionale in cui l’erogazione dei servizi quali pensioni previdenziali, servizi sanitari, ammortizzatori sociali, servizi assistenziali e di istruzione veniva affidata allo Stato e finanziata principalmente attraverso la fiscalità generale (➔ benessere, Stato del).