SMIRNE (Σμύρνα o Σμύρνη; oggi Izmir)
Città portuale sulla costa occidentale dell'Asia Minore, situata all'estremità dell'omonimo golfo (Σμυρναίων κόλπος) ed all'incrocio di molte strade (verso Pergamo, Efeso-Sardi ed Efeso-Magnesia sul Meandro-Tralles). La città elleno-romana si trova nel centro della città odierna di S., ma non si tratta della città antica di Smyrna che, secondo la testimonianza di Strabone (xvi, 634), ne distava 20 stadî (circa 8 km in linea d'aria). Attualmente, a questa stessa distanza, presso l'odierno sobborgo Bayrakli, è stata definitivamente accertata su una estesa collina artificiale (detta per lungo tempo Colle Haci-Mutso), che certamente in epoca remota doveva costituire una penisola, l'esistenza di questa città, e ciò in seguito agli scavi turco-inglesi ivi effettuati nel periodo 1948-51 sotto la direzione di E. Akurgal e J. Cook.
Qui furono riportati alla luce i varî stanziamenti, nei loro strati sovrapposti, permettendo l'esatta conoscenza della documentazione delle varie culture. La presenza di ceramiche protogeometriche ivi scoperte valse ad accertare che la colonizzazione greca del luogo risale sino all'XI sec. a. C. Ma poiché il nome Smyrna appartiene ad un idioma preellenico peculiare all'Asia Minore, e negli strati inferiori sono state ritrovate ceramiche monocrome preistoriche del III e II millennio a. C., nonché frammenti micenei isolati, si può presumere che in questa località sorgesse uno stanziamento pre-ellenico, supposizione peraltro avvalorata dalla leggenda che attribuisce la fondazione della città all'amazzone Smyrna. Tra i resti del primo strato protogeometrico greco, va menzionata una casa di forma ovale, in mattoni d'argilla (intorno al 900 a. C.), consistente in un unico vano di circa m 3 × 5, e provvista di un tetto in legno che poggiava su due sostegni. Dallo strato geometrico più antico (IX sec. a. C.) furono riportate alla luce case più ampie, di forma ovale ed anche rettangolare, con fondamenta di pietra, mentre le parti superiori consistevano in legno e mattoni di argilla. Questo stanziamento era recintato da uno spesso muro costruito con massi irregolari, il quale rappresenta la più antica cinta muraria, sin qui conosciuta, di una città greca. Questo stanziamento fu distrutto a seguito di un'improvvisa catastrofe, che va forse collegata con la conquista degli Ioni di Colofone. Secondo la testimonianza di Erodoto (i, 149), in quell'epoca S. doveva essere stata incorporata nella lega ionica, come tredicesima città. Nello strato tardo-geometrico, che rivela due fasi (circa 770-670 a. C.), la località fu nuovamente colonizzata, per cui alcune delle vecchie case furono restaurate, altre abbattute, e sull'area così ottenuta furono costruite nuove dimore, di forma rettangolare, ovale, oppure absidate. Le costruzioni rotonde (thòloi), collegate con questi edifici, saranno da considerarsi magazzini di deposito. Questa città, che risale all'epoca omerica, appare, in base alle ceramiche ivi ritrovate, strettamente dipendente dalla Grecia, per quanto si rilevino nella decorazione vascolare, a partire dall'VIII sec., motivi originali nonché un'impronta greco-orientale. Dopo lo strato successivo (670-640 a. C.), di poco rilievo, la città pare aver vissuto un periodo di grande prosperità, e precisamente negli anni 640-600 a. C. A quest'epoca va ascritto un tempio, di cui è rimasto il podio, e qualche parte del muro della cella. Al tempio si perveniva attraverso un corridoio a labirinto. Un capitello ben conservato, con doppia corona di foglie, appartiene all'ultima fase di questo tempio. Edifici, evidentemente a più vani (una casa con mègaron), costruiti su piano rettangolare, sono orientati N-S; contenevano granai recipienti di deposito (pìthoi) e talora anche vasche di terracotta. La città era fortificata da mura, costruite con bella tecnica poligonale. Bei recipienti decorati da fregi con animali, vasi protocorinzî, statuette cipriote in terracotta, vasi con iscrizioni in lingua caria, vasetti della Lidia per unguenti, nonché oggetti varî di impronta greco-orientale ed orientale pura, attestano i vasti rapporti commerciali di questa città ed il grado della sua prosperità. Dopo la sua distruzione, ad opera di Aliatte re dei Lidi (intorno al 6oo a. C.), l'antica S. rimase disabitata per un certo tempo. La nuova colonizzazione avviene soltanto attorno agli anni 570-560. Tombe a tumulo sul Yamanlar-Daǧ, situato a N, in prima linea la Tomba di Tantalo scoperta da Ch. Texier, come pure altre tombe, sempre sulle pendici dello stesso monte, esaminate da F. Miltner, testimoniano a loro volta la prosperità di questo centro arcaico. Verso la metà del VI sec. a. C., esso fu distrutto dal generale persiano Arpagos. Dopo questo avvenimento, la città non riacquistò mai la fioridezza di un tempo; tuttavia sono stati accertati altri due strati di colonizzazione risalenti, rispettivamente, al V ed al IV sec. a. C.; ma sono complessi miserevoli, tipo villaggio, privi di sviluppo. In seguito alle alluvioni marittime ed alla conseguente formazione di vaste zone paludose, l'antica S. aveva già perduto il collegamento col mare.
Fu soltanto verso la fine del IV sec. a. C. che S., nuovamente fondata da Antigono Monoftalmo nella zona dell'odierna Izmir, poi ampliata ed abbellita da Lisimaco, poté svilupparsi in centro importante come molte altre città ellenistiche. La scelta della nuova località provvista di un porto quasi chiuso, arcuato a mezzaluna (κλειστὸς λιμήν) e del colle Pagos (oggi Kadifekale), che serviva da acropoli, contribuì molto allo sviluppo della nuova città. Riesce difficile farsi un quadro esatto della topografia della città ellenistica e romana, poiché l'occupazione continuata della località, sino ai giorni nostri, i terremoti, gli incendî, l'alternarsi delle popolazioni, gli eventi bellici ed i violenti saccheggi, ne hanno cancellato notevolmente il primitivo aspetto. Pare che l'antica città si estendesse sulla costa pianeggiante, lungo il mare, giungendo sino alle pendici dei colli Pagos e Degirmentepe. All'epoca di Strabone (xiv, 646), che attribuisce la pianta originale ai diadochi, la città era divisa in tre quartieri (porto, metròon, gymnàsion), che erano serviti, secondo il sistema ippodameo, da una rete di strade ortogonali; tuttavia, le direzioni principali variavano da un quartiere all'altro, certamente a seconda della particolare posizione dei singoli rioni. Strabone parla di strade selciate, di vasti edifici a due piani, di piazze con peristilio, di un heròon, dedicato a Omero, ma deplora l'assenza di cloache. Come tutte le città ellenistiche, anche questa era circondata da mura che partivano dall'acropoli tracciando un'ellisse allungata, e cingevano la città, quasi a forma di imbuto irregolare con la bocca rivolta verso il mare. Ne sussistono solamente pochi avanzi, per lo più sottoposti a rifacimento in epoca posteriore. Tra i monumenti ancora appartenenti all'epoca ellenistica figurano un pritaneo, un ginnasio, uno Stratonikeion, un portico che, secondo la dichiarazione di Vitruvio (v, 9, 1), era collegato con il teatro, ed un tempio di Afrodite Stratonicea.
Durante la dominazione romana la città venne ampliata verso oriente; pare tuttavia che questo ampliamento si sia limitato alla parte bassa della città commerciale. A quest'epoca risale la costruzione dei grandiosi acquedotti (specialmente le condutture a pressione di Karapinar e Akpinar), di diversi templi, conosciuti attraverso monete ed iscrizioni, ma la cui esatta località non è dato accertare, il tempio di Zeus Akràios, sul Degirmentepe, che era in stile corinzio e le cui dimensioni (10 × 23 colonne, il cui diametro inferiore era di m 1,8o) sono simili a quelle dell'Olympieion di Atene; il teatro, posto sull'estrema pendice settentrionale del Pagos e la cui pianta può ancora essere presso a poco definita in base ai ruderi rimasti; lo stadio sulla pendice occidentale del Pagos, il cui asse di lunghezza va da O-S-O in direzione E-N-E.
Di tutti questi complessi, grazie agli scavi eseguiti dal 1932 da S. Kantar, allora direttore del locale museo, nella zona del cimitero turco Namazghiah, al centro della vecchia città, il più conosciuto è l'agorà. Essa consiste in un piazzale, parzialmente posto in luce, delimitato su tre parti da portici e sul lato N da una basilica. Il portico occidentale, d'ordine corinzio, è a tre navate e a due piani, e poggiava su basamenti in parte a vòlta. Posteriormente vi era un'ampia sala, con pavimento a mosaico, ed appresso l'ingresso all'agorà. Il portico orientale si suppone uguale, mentre quello a S è tuttora interrato. Sul lato N sorgeva una basilica, lunga 165 m e larga circa 28 m, che poggiava su robuste sottostrutture. Queste erano sormontate, in parte, da vòlte costolate condotte in direzione normale oppure diagonale, e ricoperte da lastre di pietra, che univano un arco all'altro. Robusti pilastri quadri, ai quali si appoggiavano posteriormente semi-colonne e lateralmente pilastri scolpiti, dividevano la basilica in tre navate, di cui la centrale più alta, doveva essere ad un piano, a due quelle laterali, più strette. Al centro del lato rivolto verso la corte centrale si trovava un propileo, in forma di aggetto ad U. Degni di menzione sono i monumentali rilievi raffiguranti personaggi divini, dell'altezza di circa 2 m (sin qui sono stati identificati Posidone, Demetra, Artemide e Eracle), certamente appartenenti ad un altare. La costruzione dell'intero complesso parrebbe posteriore al grande terremoto dei 178 d. C., ipotesi che sembra confermata da un busto dell'imperatrice Faustina, posto in quell'anno su un arco dell'atrio.
Per quanto nella tarda epoca romana esistesse nella città una importante comunità ebraica ed anche cristiana, si hanno solo pochi e vaghi accenni sulla costruzione di grandi chiese o di sinagoghe. Durante il Medioevo, ed anche in epoca posteriore, S. godette fama di popolatissima e ricca città portuaria, ma decisamente povera in monumenti storici; e tuttora mantiene questo carattere.
Bibl.: Una vasta bibliografia sulla storia, le iscrizioni e i monumenti archeologici sino al 1927; Bürchner, in Pauly-Wissowa, III A, 1929, c. 730 ss. e in C. J. Cadoux, Ancient Smyrna, Oxford 1938; cfr. anche le opere citate nella bibliografia di A. M. Mansel, Türkiyenin Arkeoloji, Epigrafi ve tarihi Cografyasi icin Bibliografya, Ankara 1948, p. 381 ss. Sono da aggiungere: Fr.-H. Miltner, in Österr. Jahreshefte, XXVII, 1931, Supplem. cl. 125 ss.; E. Akurgal, in Belleten, X, 1946, p. 72 ss. Gli importanti scavi dell'antica S. (Bayrakli) sono stati definitivamente resi noti recentemente: E. Akurgal, in Zeitschrift der Philos. Fakultät der Univ. Ankara,VIII, 1950, p. 52 ss.; id., Phrygische Kunst, Ankara 1955, p. 118 ss.; id., Die Kunst Anatoliens von Homer bis Alexander, Berlino 1961, pp. 8, 9, 11, 14, 18, 175, 183, 286; J. Cook, in Journ. Hell. Stud., LXIX, 1949, p. 42 ss.; LXX, 1950, p. 10 ss.; LXXI, 1951, p. 247 ss.; LXXII, 1952, p. 104 ss.; J. M. Cook, in Ann. Br. Sch. Athens, LIII-LIV, 1958-9, p. 15 ss. Per l'agorà: F. Miltner-S. Kantar, in Türk Arkeologya ve Etnografya Dergisi, II, 1934, p. 219 ss.; S. Kantar-R. Naumann, in Belleten, VII, 1943, p. 213 ss., e soprattutto S. Kantar-R. Naumann, Kleinasien u. Byzanz, in Istanbuler Forschungen, XVII, Berlino 1950, p. 69 ss.; 91 ss. (catalogo delle sculture). Per la pianta ellenistico-romana della città: R. Martin, L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, p. 163 ss.; 209. Per le fortificazioni ellenistiche nei dintorni: v. G. E. Bean, in Jahrbuch für kleinasiatische Forschung, III, 1955, p. 43 ss.