smarrire (ismarrire)
Presenta un numero limitato di occorrenze, esclusive della Commedia e del Convivio, con una sola eccezione per la Vita Nuova. Nel suo significato fondamentale indica la perdita di qualche cosa di cui prima si era in possesso o si sapeva dove fosse; quando è usato in senso figurato, esprime invece il venir meno di una facoltà o di una capacità, implicante impaccio, turbamento o addirittura sbigottimento. Per quanto sia semanticamente vicino a ‛ perdere ', si distingue da questo verbo perché, per solito, in D., come del resto nella lingua materna, indica evento temporaneo, come chiaramente avverti Benvenuto (e con lui il Landino e il Vellutello), il quale, chiosando If I 3 mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita, osservava: " notanter dicit auctor smarrita, idest non perdita; nani, quamvis esset viciosus tunc, tamen poterat redire ad viam rectam virtutum ".
Del resto, l'accezione ora illustrata è chiaramente percepibile anche in Cv II Voi che 'ntendendo 40 Tu non se' morta, ma se' ismarrita, / anima nostra, che sì ti lamenti (che Barbi-Pernicone spiegano " svenuta ", " priva di spirito vitale "; e si noti la forma prostetica, solo qui attestata) e, in misura anche più evidente, in Pd XXVI 9 fa ragion che sia / la vista in te smarrita e non defunta, dove s. Giovanni vuol rassicurare D. dicendogli che egli è stato privato della facoltà della vista solo momentaneamente. Ancor più significativo è l'esempio di Pd II 6 non vi mettete in pelago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti, dove peraltro il rapporto fra i due verbi non ha un carattere antitetico, quale si verrebbe a costituire dalla contrapposizione fra l'idea di una perdita definitiva (perdendo me) e quella della momentanea incertezza della via sulla quale procedere (rimarreste smarriti): in realtà, le due locuzioni sono segni di due eventi complementari in quanto lo ‛ smarrimento ' che renderebbe i lettori forniti di troppo scarsa dottrina incapaci di ritrovare la via del ritorno, è sentito come l'effetto della loro inettitudine a tenersi ben stretti e vicini al legno del poeta, e cioè come esito di un'ineluttabile necessità per loro di ‛ perderlo '.
Né a queste osservazioni contraddice Pg I 119 com'om che torna a la perduta strada; qui, osserva F. Mazzoni (in Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 45), " perduta è ben attenuato da torna; e sarà dovuto al desiderio di evitare l'allitterazione smarrita strada ", che è per altro variante nota alla tradizione e accolta in varie edizioni (Aldina, Crusca, Foscolo, '37, ecc.; v. Petrocchi, ad l.).
Al tema dello smarrimento di D. nella selva si collegano anche If II 64 temo che non sia già sì smarrito, / ch'io mi sia tardi al soccorso levata, e XV 50 mi smarri' in una valle, mentre il valore fondamentale del verbo è ulteriormente confermato da Pg XVI 11 Sì come cieco va dietro a sua guida / per non smarrirsi.
Altre volte s. indica il venir meno di una facoltà sensitiva di fronte a un oggetto che ecceda le sue capacità: Pg VIII 35 ne la faccia [dell'angelo] l'occhio si smarria; Pd XXX 119 La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza [della candida rosa] / non si smarriva. E poiché " Dio è egli stesso la luce mediante cui egli vede sé " (C. Singleton, Viaggio a Beatrice, traduz. ital. Bologna 1968, 29) e l'attitudine a vedere l'essenza divina è effetto della speciale virtù che Dio infonde nell'intelletto creato con il lumen gloriae, la luce divina opera in maniera opposta alla luce solare: mentre questa abbacina l'occhio, quella, quanto più la si contempla, tanto più fortifica il senso; anzi: Io credo, per l'acume ch'io soffersi / del vivo raggio [di Dio], ch'i' sarei smarrito, / se li occhi miei da lui fossero aversi (XXXIII 77).
Così, la lunga ascesa del viandante che aveva iniziato il suo cammino ‛ smarrendosi ' nella selva (cfr. If I 3, già citato), si conclude con la suprema visione dell'essenza divina, dalla quale non è possibile distogliere lo sguardo senza ‛ smarrirsi '; e l'identità del sintagma (participio unito al verbo ‛ essere ') e della posizione in rima nei due passi suggestivamente sottolinea l'efficacia del ricorso a un medesimo vocabolo nei momenti supremi dell'esperienza ultraterrena di Dante.
In due esempi allude a un più o meno prolungato ottenebramento della lucidità mentale: Cv II XI 8 Se per avventura incontra che tu vadi là dove persone siano che dubitare ti paiano ne la tua ragione, non ti smarrire; III III 13.
Abbastanza frequente è l'uso del participio passato o retto da una voce del verbo ‛ essere ' o da solo (e quindi con schietto valore aggettivale), per indicare una condizione di turbamento determinata dallo stupore, dal timore, dalla pietà o da altra emozione profonda: Vn XXIII 21 32 l'anima mia fu sì smarrita, / che sospirando dicea nel pensero: / - Ben converrà che la mia donna mora -; If V 72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito; XXIV 116 [l'epilettico] quando si leva... 'ntorno si mira / tutto smarrito de la grande angoscia; e così X 125, XIII 24, Pg VIII 63, XII 35.
Il participio passato è usato come aggettivo con il valore di " sbigottito " e quindi " pallido ", " privo di colore ", in Pg XIX 14 lo sguardo mio.., lo smarrito volto, / com'amor vuol, così le colorava; senza alcun dubbio la locuzione riprende quella di colore scialba (v. 9), poco prima riferita alla femmina balba; non è invece concorde la spiegazione data dell'origine della metafora: mentre il Mattalia commenta " il colore naturale si era smarrito, perduto in quel volto ", per il Porena s. vale " svenuto, cioè pallido come di chi ha uno svenimento ".