SMARAGDO
– Non sono noti data e luogo di nascita del patricius Smaragdo, ufficiale bizantino di origine sicuramente grecofona.
Fu nominato esarca d’Italia una prima volta tra il 585-586 e il 588-589 e, una seconda volta, dal 603 al 608. Non è ancora stato chiarito se l’exarchus cui fa cenno papa Pelagio II in una epistola indirizzata nel 584 al diacono Gregorio (futuro papa Gregorio I), sia identificabile con Smaragdo (Bertolini, 1941, p. 228; Guillou - Burgarella, 1998, p. 283, nota 3) o con il patricius Decio, menzionato nello stesso documento (Hartmann, 1889, p. 9; Goubert, 1965, II, 2, p. 77). È, invece, inconfutabile il fatto che Smaragdo sia il primo funzionario imperiale a comparire nelle fonti scritte con il titolo di esarca, come attestato in una seconda lettera redatta da Pelagio II intorno all’anno 585-586 e indirizzata al patriarca Elia di Aquileia e agli altri vescovi istriani (Gregorii I papae..., a cura di P. Ewald - L.M. Hartmann, 1891-1899, App. III, ep. 1). Da quest’ultima e da una epistola di Gregorio Magno (I, ep. 16a) apprendiamo che prima di arrivare in Italia Smaragdo esercitò la funzione di chartularius sacrii palatii. La sua condizione di eunuco si evince dalla prestigiosa carica di praepositus sacri cubiculi (Corpus inscriptionum latinarum, CIL, VI, n. 1200) che, invece, rivestì presumibilmente nel periodo tra il primo e il secondo esarcato. Molto verosimile appare anche la sua identificazione con l’omonimo patrìkios e stratègos ricordato in una fonte tarda (Scriptores originum Constantinopolitanarum, a cura di T. Preger, 1901, I, p. 277, n. 197) come proprietario di una domus a Costantinopoli e committente di una chiesa e un bagno nel corso del regno di Tiberio II (578-582).
All’inizio del suo primo esarcato la pressione longobarda sui territori bizantini era divenuta sempre più opprimente e nel 585 era fallita la seconda spedizione franca in Italia. Nel corso di queste operazioni belliche, però, il nostro non sembra essere stato particolarmente attivo, dato che l’unica fonte che lo menziona è una lettera di Childeberto II all’arcivescovo Lorenzo di Milano, all’epoca in esilio a Genova, datata al 585, in cui il re sollecitava un aiuto militare bizantino contro i Longobardi, alludendo anche all’organizzazione di una spedizione franca in Italia prevista per l’anno successivo (Epistolae Austrasicae, a cura di W. Grundlach, 1892, n. 46). Sicuramente Smaragdo ebbe un ruolo decisivo nelle trattative diplomatiche che portarono all’accordo di una tregua triennale con il re longobardo Autari tra la fine del 585 e l’inizio dell’anno seguente, a cui si accenna in una lettera indirizzata ai vescovi istriani da parte di papa Pelagio II «per labores atque sollicitudinem filii nostri excellentissimi domni Smaragdi exarchi et chartularii sacri palatii pacem nobis interim vel quietem donare dignitatus est» (Gregorii I papae..., cit., App. III, ep. 1, pp. 442 s.).
Approfittando della momentanea interruzione delle attività militari, Pelagio II si adoperò per la ricomposizione dello scisma tricapitolino. Tuttavia Smaragdo, contravvenendo alle disposizioni imperiali sulla questione (I, ep. 16a), tra il 586 e il 587, dopo la morte di Elia, vescovo di Aquileia, si recò a Grado dove arrestò di propria iniziativa il nuovo metropolita Severo, insieme ad altri tre vescovi scismatici e al defensor di Grado. Essi vennero portati a Ravenna con la forza e costretti ad abiurare al cospetto del vescovo Giovanni, venendo rilasciati soltanto dopo un anno di prigionia (I, ep. 16a; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, 1992, III, cap. 26). Verosimilmente le conseguenti rimostranze di questi ultimi presso il governo centrale aggravarono ancora di più la posizione dell’esarca, che poco tempo dopo fu richiamato a Costantinopoli (ibid.). Una iscrizione romana, oggi scomparsa, datata al 31 marzo del 589, attesta la presenza a Ravenna di Giuliano, l’esarca che probabilmente lo sostituì, per cui è stato ipotizzato che il suo primo mandato avesse avuto termine qualche tempo prima, tra il 588 e l’inizio 589 (A. Guillou, Recueil des inscriptions grecques médiévales d’Italie, Roma 1996, pp. 45 s., n. 47).
Nel corso del suo primo incarico Smaragdo compartecipò economicamente insieme all’arcivescovo Giovanni alla fondazione di un monastero dedicato ai Ss. Marco, Marcello e Felicita a Ravenna, come attestato da una iscrizione commemorativa tramandata da Agnello («Additus his meritis felix Smaragdus in aevum cuius in his titulis participantur opes», Liber..., a cura di O. Holder, 1878, cap. 98, p. 342). Una epigrafe frammentaria rinvenuta a Ravenna, invece, documenterebbe un suo intervento per la riparazione dell’acquedotto della città (CIL, XI, n. 11).
Con l’avvento dell’imperatore bizantino Foca (602), Smaragdo fu inviato per la seconda volta come esarca nella penisola in sostituzione di Callinico. Al nostro è indirizzata una lettera di Gregorio Magno datata al giugno del 603, in cui il papa lo lodava per il fervore dimostrato durante il suo precedente incarico nella repressione dello scisma tricapitolino, esortandolo a proteggere dalle insidie del metropolita scismatico Severo il vescovo di Trieste Firmino, ritornato da poco alla comunione con Roma. Inoltre, nella stessa lettera, lo informava, tra le altre cose, di aver avuto uno scambio epistolare con Cilla, probabilmente un dux longobardo, con il quale Smaragdo aveva concordato una tregua di trenta giorni (Gregorii I papae..., cit., XIII, ep. 36).
Nel corso del suo secondo mandato Smaragdo dovette fronteggiare l’energica avanzata longobarda nei territori imperiali, che portò alla perdita prima di Cremona e Mantova (21 agosto e 13 settembre 603) e successivamente anche del castrum di Volturina, forse l’attuale Viadana in provincia di Mantova. L’esarca si vide costretto, quindi, a concludere una serie di armistizi, il primo dei quali, stipulato nel settembre del 603 con scadenza nell’aprile del 605, prevedeva la restituzione della figlia di Agilulfo, catturata e deportata a Ravenna da Callinico, insieme al marito e ai figli (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., IV, cap. 28). Nell’estate del 605, allo scadere della tregua, i Longobardi riaprirono le ostilità, conquistando Orvieto e Bagnoregio nella Tuscia meridionale. Tuttavia nel novembre dello stesso anno Smaragdo riuscì a sottoscrivere con Agilulfo, attraverso l’esborso di un lauto tributo di 12.000 solidi, un secondo armistizio della durata di un anno che successivamente riuscì a rinnovare per altri tre anni (IV, cap. 32).
Fu probabilmente in uno di questi intervalli della guerra bizantino-longobarda che si collocò l’erezione dei castra di Argenta e Ferrara, attribuita a Smaragdo da alcune fonti di età moderna (Biondo Flavio, Italy illuminated, a cura di J.A. White, 2005, I, p. 346; H. Rubeus, Italicorum et Ravennatum historiam, 1603, p. 198) e che sembrerebbe confortata anche dalla documentazione archeologica (Patitucci Uggeri, 1974, pp. 121-130; Ead., 2013-2014, pp. 8, 14).
Malgrado il suo precedente atteggiamento intransigente nei confronti della Chiesa tricapitolina, non vi sono menzioni di una sua diretta partecipazione nelle vicende che portarono, nel 606, alla duplicazione del patriarcato di Aquileia nelle sedi di Grado e di Forum Iulii (Cividale del Friuli).
Il periodo di relativa pace con i Longobardi, conseguito grazie all’attività diplomatica da lui intrapresa nel suo secondo esarcato, è celebrato in una iscrizione romana datata al 1° agosto 608. Essa è affissa alla base di una colonna celebrativa che sorreggeva una statua di bronzo dorato dell’imperatore Foca, fatta erigere da Smaragdo nel foro Romano («Smaragdus ex praepos[ito] sacri palatii / ac patricius et exarchus Italiae / devotus eius clementiae / pro innumerabilibus pietatis eius beneficiis et pro quiete / procurata Ital[iae] ac conservata libertate», CIL, VI, 1200). Dopo quest’ultima attestazione del nostro non si hanno più notizie. Si può ipotizzare che il suo incarico in Italia abbia avuto termine alla fine del 608, quando fu probabilmente rimpiazzato da Fozio (Vie de Théodore de Sykeon, a cura di A.-J. Festugière, Bruxelles 1970, cap. 127, p. 102; Sansterre, 1985, p. 268).
Non è nota la data di morte.
Fonti e Bibl.: H. Rubeus, Italicorum et Ravennatum historiam libri XI, Venetiis 1603, p. 198; Corpus inscriptionum latinarum, VI, Berolini 1876, n. 1200, XI, 1888, n. 11; Agnello, Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder Egger, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicorum, Hannover 1878, pp. 265-391 (in partic. cap. 98, p. 342); Gregorii I papae Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald - L.M. Hartmann, in MGH, Epistolae, Berolini 1891-1899, I, Libri I-VII, l. I, ep. 16a, pp. 17-21, II, Libri VIII-XIV, l. XIII, ep. 36, pp. 398-400, App. III, epp. 1-2, pp. 442-449; Epistolae Austrasicae, a cura di W. Grundlach, ibid., III, Berolini 1892, p. 151, n. 46; Scriptores originum Constantinopolitanarum, a cura di T. Preger, I, Lipsiae 1901, p. 277, n. 197; Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, a cura di R. Cessi, I, secoli V-IX, Padova 1940, pp. 14-19, n. 8, 21-23, n. 11; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano 1992, l. III, cap. 18, pp. 148 s., cap. 26, pp. 156 s., l. IV, cap. 25, pp. 202 s., cap. 28, pp. 204 s., cap. 32, pp. 206 s.; Biondo Flavio, Italy illuminated, a cura di J.A. White, I, Cambridge 2005, p. 346.
L.M. Hartmann, Untersuchungen zur Geschichte der byzantinischen Verwaltung im Italien (540-750), Leipzig 1889, pp. 9 s., 110 s.; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, in Storia di Roma, IX, Bologna 1941, pp. 225-229, 290-295; P. Goubert, Byzance avant l’Islam, II, Byzance et l’Occident sous les successeurs de Justinien, 1, Byzance et les Francs, Paris 1956, pp. 179-186, 2, Rome, Byzance et Carthage, 1965, pp. 77-88; R. Janin, Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique, Paris 1964, pp. 222, 426; R. Guilland, Recherches sur les institutions byzantines, II, Berlin-Amsterdam 1967, pp. 149, 163; A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l’Empire byzantin au VIIe siècle: l’exemple de l’exarchat et de la Pentapole d’Italie, Roma 1969, pp. 58, 165; S. Patitucci Uggeri, Scavi nella Ferrara medioevale. Il ‘castrum’ e la seconda cerchia, in Archeologia medievale, I (1974), pp. 111-147; B. Bavant, Le duché byzantin de Rome. Origine, durée et extension géographique, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen-Âge, Temps modernes, 1979, vol. 91, n. 1, pp. 41-88 (in partic. p. 68 e nota 141); P. Delogu, Il regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, in Storia d’Italia, I, Torino 1980, pp. 26, 39, 221, 350-353; T.S. Brown, Gentlemen and officers: imperial administration and aristocratic power in byzantine Italy A.D. 554-800, Hertford 1984, pp. 44, 50 s., 64, 153; J.M. Sansterre, Une mention peu connue d’un exarque d’Italie, in Byzantion, LV (1985), pp. 267 s.; A. Carile, Introduzione alla storia bizantina, Bologna 1988, pp. 53 s.; J. Ferluga, L’esarcato, in Storia di Ravenna, II, Dall’età bizantina all’età ottoniana, a cura di A. Carile, I, Venezia 1991, pp. 351-377 (in partic. pp. 356 s., 360 s.); The prosopography of the later roman empire, a cura di J.R. Martindale, III, B, A.D. 527-641, Cambridge 1992, pp. 1164-1166; A. Guillou - F. Burgarella, L’Italia bizantina dall’esarcato di Ravenna al tema di Sicilia, Torino 1998, pp. 5, 283 nota 3, 285 s.; S. Cosentino, Storia dell’Italia bizantina (VI-XI sec.), da Giustiniano ai Normanni, Bologna 2008, pp. 47, 55, 89, 235, 302; G. Ravegnani, Gli esarchi d’Italia, Roma 2011, pp. 50-54, 66-68; S. Patitucci Uggeri, Il castrum bizantino di Ferrara, in Atti dell’Accademia delle scienze di Ferrara, 2013-2014, vol. 91, pp. 6-24 (in partic. pp. 8, 13 s).