SMALTO
Il termine smalto, nel suo significato odierno, cioè di pasta vitrea applicata a caldo a un supporto metallico, non appare che nell'avanzato medioevo, derivando dal tedesco schmelzen (fondere). Presso gli antichi si ritrova il nome generico vitrum; nel XII sec., Teofilo, nel suo manuale sulle diverse tecniche, parla di electrum descrivendo il processo di lavorazione dello s.; ancora nel Rinascimento e in età barocca s. indica qualunque tecnica che implichi la fusione dei colori con il calore, perfino l'encausto (v.). Non è dunque dalle fonti letterarie che possiamo aspettarci lumi sulla tecnica e sulla diffusione dello smalto.
Prima di indicare i monumenti a noi pervenuti, e di tracciare un breve quadro dello svolgimento tecnico e artistico, sembra perciò opportuno fornire alcune indicazioni sulle caratteristiche tecniche dello smalto.
La pasta vitrea è composta di vetri coloriti con ossidi metallici; i vetri, macinati in finissima polvere, sono impastati con l'acqua e raccolti con una penna d'oca, dalla quale vengono deposti sulla lastra di metallo da decorare; il tutto, chiuso entro una scatola metallica provvista di fori - in modo di controllare la cottura - è successivamente messo sul fuoco affinché il vetro fonda e, fondendo, aderisca al supporto metallico (v. anche vetro).
Le due tecniche principali note nell'antichità sono quella ad alveoli incavati (designato nel linguaggio tecnico con il termine francese champlevé) e quella ad alveoli riportati (indicata col francese cloisonné). La prima consiste nel praticare nel metallo incavi, i cui bordi seguono un opportuno disegno, entro i quali si cola la pasta vitrea; i campi metallici risparmiati danno il contorno e il disegno interno della figura; nella tecnica degli alveoli riportati, invece, si fissano alla superficie metallica i cui bordi sono opportunamente rialzati, dei tramezzi di metallo (nastri), in modo di costruire diversi compartimenti, entro cui è quindi colata la pasta vitrea; il contorno e il disegno interno delle figure risultano allora dal percorso dei nastri, il cui spessore, affiorando sulla pasta vitrea, appare come un sottile filo di metallo. L'esecuzione degli s. nelle due tecniche richiede una gradualità del processo e la ripetizione delle varie operazioni, specialmente in considerazione del diverso punto di fusione delle paste vitree, a causa della loro composizione metallica, e della necessità di polire il prodotto uscito dal forno allo scopo di ottenere una superficie brillante ed eguale.
Nell'antichità fu anche diffuso lo s. "a freddo", che aveva preceduto lo s. vero e proprio, e che consisteva nell'incastonare paste vitree al metallo facendole aderire con un mastice.
I. - Egitto, Mesopotamia, Caucaso. - Il primo s. fuso entro l'alveolo lo si trova in un gioiello egittizzante, scavato a Cipro e ora conservato al British Museum. È datato circa il XIV-XIII sec. a. C e l'incassettatura è costituita da strisce filiformi.
Malgrado la notevole produzione egizia di ceramiche smaltate e di vetri, non è noto nessuno s. egizio anteriore all'età romana. Contro codesta constatazione materiale, sta tuttavia, come già notava il Riegl, la particolare disposizione dell'arte egizia verso un rapporto oro-colore, che sia attuato non contrapponendo oggetti individuali colorati, ma usando un colore malleabile, che si insinui entro un disegno continuo. Mentre sono noti alcuni "smalti a freddo", ossia paste vitree applicate al metallo con un mastice, si è anche supposto che alcuni gioielli del Nuovo Regno potessero ospitare veri s., ossia paste vitree fuse direttamente col metallo.
Smalti più tardi, eseguiti con tecnica affine al cloisonné, sono stati rinvenuti nella piramide di Meroe, in Nubia, insieme ad oggetti romani.
Nell'assenza totale di s. nei rinvenimenti archeologici protostorici in Mesopotamia e in Persia (ma per quest'ultima è stata supposta la conoscenza di tale tecnica), è problematica l'origine degli s. rinvenuti nel Koban (1000-300 a. C.): placche di ferro o di bronzo, decorate con il processo dello champlevé a fuoco. Alcuni autori riterrebbero di poter stabilire un rapporto fra gli s. dell'Età del Ferro rinvenuti nel Caucaso e quelli celtici; altri invece sottolineano che il tipo di s. del Koban, che presentà una colorazione mista di granelli color rosso-mattone sparsi in una pasta bluastra, è assai diverso da quello rosso brillante degli s. La Tène.
Alcune ceramiche rinvenute a Creta (v. il rhytòn di Kition, s. v. rhyton) hanno la particolarità di presentare alcuni colori inseriti entro alveoli praticati nella superficie del vaso, sulla quale sporgono leggermente, rivelando in una materia completamente diversa una tecnica paragonabile a quella dei metalli smaltati a cloisonné.
II. - Grecia. - Nell'orificeria greca, lo s. è subordinato agli altri aspetti del gioiello ed è per lo più usato come nota di colore in vivace contrasto con l'oro. Due sono i tipi principali: nel primo, più antico, la pasta in uno strato sottile, è colata entro l'alveolo delimitato da un filo di filigrana; quest'ultimo naturalmente sporge sulla superficie e di conseguenza lo s. non può essere levigato, onde si accentua lo stacco fra lo s., che spesso raffigura delle piccole foglie, e la cornice di filigrana. Del resto i colori impiegati generalmente, blu e verde, intendono forse imitare i lapislazzuli e la malachite, mantenendo quindi vivo il contrasto fra le due materie, l'oro e lo smalto. È anche significativo che l'afflusso di pietre preziose con le conquiste di Alessandro dovesse portare a un decadere e ad un rarefarsi di tale tecnica; per contro l'epoca del suo maggiore splendore è quella dalla fine del V a tutto il IV sec. a. C. (v. tav. a colori s. v. taranto).
Il secondo tipo, costituito da figurine a tutto tondo - spesso colombe - smaltate su tutta la superficie, generalmente in s. bianco, appartiene ad epoca relativamente tarda.
La Ionia sembra essere stata una dei maggiori centri di produzione, ma l'esportazione si rivolse a un'area vastissima, specialmente verso l'Etruria - dove si trovano anche imitazioni locali dei prodotti greci e la Russia meridionale, dove sono stati rinvenuti i gioielli di qualità più alta e dove si deve ammettere anche la presenza di artefici greci attivi sul posto. Tra gli oggetti rinvenuti nel tumulo di Kul'-Oba presso Kerč (ora all'Ermitage di Leningrado), il diadema a rosette smaltate è probabilmente d'importazione, ma il collare d'oro che termina con cavalieri in costume scitico e con fasce di filigrana smaltata deve ritenersi opera di un maestro greco. Gli s. più antichi rimontano al VI sec. a. C.
Ancora nell'oreficeria romana si hanno riprese occasionali del primo tipo di s. greco: per esempio, nel II sec. d. C., nei braccialetti d'oro rinvenuti in Gallia, a Rayader, con s. blu e verdi adattati, per altro, a un disegno decisamente celtico.
III. - Arte celtica, gallo-romana e anglosassone. - Nell'arte celtica lo s. appare sin dall'inizio dell'epoca La Tène (V sec. a. C.) e segue lo stesso percorso del diffondersi di quest'arte dai tumuli della Boemia e della Renania alle necropoli galliche della Marna sino alle Isole Britanniche (v. celtica, arte). Sino al III sec. lo s. è spesso abbinato al corallo; si tratta, almeno sino al I sec., di uno s. rosso, ottenuto con vetro colorato da ossido di rame (che nei trovamenti archeologici appare talora alterato dall'umidità che lo rende verdastro). In alcuni oggetti, per esempio in un pendaglio nel museo di Klausenburg, rinvenuto nel territorio dei Sette Comuni e databile fra Traiano e Aureliano (107-270 d. C.), lo s. rosso è sovrapposto a uno strato di s. giallognolo ed è ottenuto dalla fusione di frammenti di vetro colorato piuttosto grossi. La superficie smaltata non è polita.
La tecnica più comune è quella dello champlevé su bronzo, ma l'insieme dell'arte La Tène presenta una grande varietà di tecniche. Così troviamo bozze di bronzo traforate riempite di s., per esempio nelle falere della tomba di Cuperly (Marne), nel Musée des Antiquités Nationales e sui tappi delle oinochòai rinvenuti a Basse-Yutz, nella Lorena (v. vol. iv, fig. 578). In questi casi la pasta vitrea deve essere stata colata dentro la calotta metallica quando questa era ancora dentro la matrice di argilla. Le stesse oinochòai, attribuite alla fine del VI sec., sono invece decorate con placchette di smalto champlevé e coralli. Una tecnica che si avvicina al cloisonné è documentata da un elmo rinvenuto presso Amfreville, databile al periodo La Tène II (III-II sec. a. C.), nel quale lo s. è colato negli spazi delimitati da una lamina di ferro applicata alla calotta di bronzo dell'elmo. Appartengono allo stesso periodo e al La Tène III (I sec. a. C.) certi chiodi smaltati (la pasta vitrea fusa in un crogiuolo doveva essere colata sui chiodi arroventati) fissati ad oggetti di ferro o di bronzo (esempî al museo di Neuchätel, ecc.).
In Gran Bretagna l'arte dello s. conobbe un particolare prestigio negli anni intorno alla conquista romana; si produssero allora grandi piastre bronzee di finimenti, smaltate a champlevé con motivi di pelte e disegni curvilinei di raffinata composizione, con l'impiego oltreché del rosso, del blu e di altri colori. Filostrato, vissuto a Roma nei primi anni del III sec. e che accompagnò Settimio Severo in Gran Bretagna, ricorda nelle sue Eikones le bardature smaltate fabbricate dai "barbari che vivono presso l'Oceano" (v. anche speccchio, fig. 540).
L'afflusso di maestri vetrari siriaci nella Valle del Reno, dava poi nuove possibilità coloristiche nell'applicazione di vetri colorati agli oggetti metallici. Lungo il Vallo di Adriano e lungo tutta l'estensione del Limes sono stati trovati spilloni, borchie, cinturoni e altri oggetti usati dai legionari, decorati di millefiori (v. vetro) disposti a scacchiera o di fiorellini di smalto. Per alcuni oggetti è possibile accertare la provenienza da un comune centro di produzione, come, per esempio, per le piccole scatole poligonali (vasetti per unguenti?) trovate in Lombardia, in Renania, in Crimea, in Francia - tutte ugualmente decorate con la stessa decorazione di millefiori rossi, blu, bianchi disposti a scacchiera.
Scavi presso Dinant, sulla Mosa, nel Namur, hanno consentito di identificare alcune delle officine che producevano gli oggetti decorati a "millefiori" diffusi su un'area tanto vasta, e il ritrovamento in inconsueta abbondanza di simili ornamenti nelle necropoli della zona consente di identificare nella regione del Namur uno dei maggiori centri di produzione. La fabbrica di Dinant cessò nel III sec. con l'invasione dei Franchi; all'ultimo periodo della sua attività debbono risalire gli oggetti maggiori, come le pissidi, mentre le fibule decorate a millefiori possono risalire già al I sec.; dalla stessa fabbrica provenivano anche fibule decorate in champlevé, evidentemente in concorrenza con i prodotti consimili della Britannia, del Reno, e forse dello stesso Oriente mediterraneo. Oltre a molti oggetti piccoli (coperchi di sigilli, fibule, ecc.) dalle stesse officine in Gallia e in Britannia sono usciti alcuni vasi a superficie interamente smaltata, datati dal I sec. alla fine del II: ve ne sono esempî nel British Museum (da Benevento, da Braughing, da Bartlow Hill), nel Metropolitan Museum, nel museo di Edimburgo (patera di Linlithgow); la loro decorazione ricorda quella della terra sigillata contemporanea. La forma semplice di questi e di altri oggetti d'uso ne affida la funzione estetica interamente alle decorazioni smaltate, in cui il gusto coloristico tardoantico si manifesta pienamente. Allo stesso gruppo si collegano una piastra d'altare rinvenuta nel Tamigi (British Museum) che, con la cornice architettonica (edicola) in champlevé che inquadra un settore di un disegno ininterrotto (come una stoffa) di palmette, nel quale il variare del colore dello s. interferisce con il motivo segnato dai bordi metallici ricavati con la tecnica a champlevé, ha fornito un famoso paradigma alle analisi del Riegl sul gusto tardoantico; un cucchiaino ritrovato a Pyrmont in Vestfalia (museo di Arolsen) una piastra di Badenweiler nel museo di Karlsruhe (oltre a questi, molti altri oggetti specialmente nei musei renani, a Spira, a Oldenburg, a Colonia, ecc.). Sono di fabbricazione britannica due coppe, l'una rinvenuta a Rudge, l'altra ad Amiens, con i nomi di due stazioni del Vallo di Adriano (e quindi posteriori al I sec.); altre coppe,decorate con caratteristici disegni pentagonali, vengono invece dal continente, probabilmente dal Namur (esempî a Namur, a Canterbury, ecc.). Borracce di bronzo ottenute con la fusione di due calotte fittamente decorate di s. con un disegno vario di viticci e di fiori su cerchi concentrici, sono state rinvenute insieme a monete romane (a La Guirche, presso Limoges) o anche con oggetti della stessa provenienza (a Pinguente, in Istria) datati al I e al III secolo. I colori sono rosso, blu e giallo, lo s. fa da sfondo al disegno rilevato del bronzo, ma alcuni ornamenti - per esempio alcune foglie - sono accentuati da disegni complementari in smalto. Il vaso d'Ambleteuse (British Museum) è stato ritrovato insieme a monete del II sec.; ma ancora nel IV sec. si datano due dischetti di bronzo, decorati a "millefiori", ora nella Biblioteca Vaticana.
Fibule e cinturoni in s. si ritrovano in Gallia durante tutto il periodo merovingico; è caratteristico un tipo di s. suddiviso da sottili lamine d'argento a forma di zig-zag, di C o di S, un tempo ritenuto di origine visigota.
IV. - Persia. - Non si conoscono direttamente esempî di s. in Persia anteriori al periodo sassanide (224-642). È stato supposto che l'incastonatura che presentano alcuni gioielli achemènidi, come i bracciali dell'Oxus, potessero contenere paste vitree applicate a freddo, anziché pietre preziose; l'origine persiana è supposta per i bracciali provenienti da Kul'-Oba, nell'Ermitage di Leningrado, d'oro e s. azzurro. Lo s. non è incasellato entro cellette, ma semplicemente circondato da un filo di filigrana (s. "a filo", o a "filigrana"). Ma per il periodo sassanide si possiede una documentazione non scarsa e del tutto sicura, che ci rivela, accanto al tipo di s. ora descritto, per la prima volta il cloisonné (fibbie, già della Collezione Campana; al Louvre, gioielli da Azzuklava e da Samsun, nella Russia meridionale, rispettivamente all'Ermitage e al Louvre) che già troviamo imitato - o importato - al di fuori dell'ambito geografico persiano (fibbie da Risano, Dalmazia, nell'Ashmolean Museum di Oxford; fibbie smaltate nel museo di Berlino; due medaglioni smaltati nel British Museum). Sono tutti oggetti che consentono un confronto diretto con particolari decorativi delle sculture di Taq-i Bustan, e che debbono quindi essere datati prima del VI sec. d. C. (v. anche fig. 93).
È assai probabile che fossero i Persiani a trasmettere ai Bizantini la tecnica dello s. cloisonné, ma furono questi ultimi che seppero elevare una tecnica di interesse episodico a grande espressione artistica autonoma, interpretandone le caratteristiche tecniche del colore lucente e del sottile e nervoso disegno dei nastri d'oro nel raggiungimento di una forma sofisticata, non altrimenti ripetibile. Si hanno notizie dello s. cloisonné bizantino già nel VI sec.: il più antico pervenuto è forse il reliquiario in S. Croce a Poitiers, che Giustino II (565-575) avrebbe donato alla regina franca Radegonda. Originariamente a forma di dittico, ne rimane la placca centrale, con un bordo di s. verde smeraldo intorno alla croce che si accampa su un fondo di s. blu sul quale si snodano rami d'oro da cui si staccano fiori e caratteristiche "palmette sassanidi".
V. - Estremo Oriente. - In India, probabilmente trasmesso dall'Iran, lo s. fu usato soltanto nelle zone nord-occidentali: sinora è però noto soltanto un esemplare, un ciondolo rinvenuto a Sirkap (Taxila), attualmente nel Cleveland Museum of Art: è riferito all'inizio del V sec. d. C. e al di sopra una figurina di Tyche in lamine d'oro sbozzate presenta una decorazione, simile a un mazzo di fiori, di s. rosso. Lo s. fu impiegato anche per formare gli occhi nelle statue di bronzo del Gandhara.
In Giappone lo s. fu conosciuto prima che in Cina. Il più antico esempio noto, di s. cloisonné, è una piccola placca di bronzo a rosette rinvenuta in una sepoltura del periodo delle "tombe a tumulo" (III-IV sec. d. C.). Il vetro vi è stato colato negli alveoli secondo una tecnica usata in alcuni gioielli coreani dell'epoca Silla. I nomi cinesi dello s. cloisonné, tashih yao (= ceramica araba) o fa lan (Bisanzio) denunciano invece la data relativamente tarda dell'introduzione di una tecnica che avrebbe in seguito raggiunto risultati tanto alti nell'arte cinese.
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