SMALTO
. Antichità. - Nel senso in cui noi l'intendiamo, la parola smalto non appare che nell'avanzato Medioevo, derivando dal tedesco schmelzen ("fondere"; antico alto ted. smaltjan). Gli antichi e gli uomini dell'alto Medioevo designavano gli smalti col nome generico di vitrum. E c'è da credere che le sostanze vetrose intensamente colorate dagli ossidi metallici siano state conosciute in età più antica dei vetri trasparenti, giacché le sabbie impiegate per la fabbricazione davano naturalmente un colore che, per essere eliminato, si doveva assoggettare a un processo di epurazione. Tuttavia pezzi di vetro incolore si trovano fin dal sec. XVI a. C. (scavi di Tell el-‛Amārnah).
I più antichi smalti furono lavorati dalle civiltà che si affacciavano sul Mediterraneo. In Egitto, fino dalle età più remote, esistono amuleti in quarzo ricoperti da smalto blu verdastro; più tardi appare la terracotta smaltata. Agl'inizî della monarchia, l'industria dello smalto prese un mirabile sviluppo. Un frammento di vaso col nome di ‛Aḥ‛a (uno dei primi re d'Egitto) è smaltato in verde, e ha il nome del monarca in incrostazione forse violetta. Perciò dal IV millennio a. C. s'impiegavano smalti di due colori, non soltanto per opere d'arte, ma anche per rivestimento interno di aule. Rileviamo altresì la diffusione delle terrecotte smaltate nella zona mesopotamica. È nota la decorazione della porta di Ištar a Babilonia del tempo di Nabucodonosor e più tardi in Persia la parete con le figure d'arcieri trovata a Susa nel palazzo di Dario I e oggi conservata al Louvre.
Sotto i regni d'Amenḥótpe III e IV l'arte egizia dello smalto diventa assai più varia in policromia e in applicazioni. Oltre il blu e il verde sono più usati il giallo, il rosso e il bianco. Bisogna dire tuttavia che paste vetrose rosse e viola già si notavano nel pettorale di Amenemḥê'e III (XII din.; 1845-1797 a. C.), trovato a Dahshūr (oggi nel museo del Cairo). Qui riscontriamo il primo grande esempio di paste vitree inserite in alveoli; ma l'inserzione è fatta, per così dire, a freddo. Il primo smalto fuso entro l'alveolo lo si trova in un gioiello egittizzante, scavato a Cipro e ora conservato nel British Museum. È opera della XVIII o XIX dinastia (circa sec. XIV-XIII a. C.) e l'incassettatura è costituita da strisce filiformi. Più tardi si trovano prodotti scitici con zone di smalto delimitate da un tenue filo liscio (come la leonessa di Siferopol conservata all'Ermitage di Leningrado), o da una filigrana; vi saranno anche importanti applicazioni di tale sistema in Etruria. Una corona funeraria d'oro del Museo Vaticano ha gli orli delle foglie rovesciati per contenere lo smalto. È difficile asserire dove questa tecnica sia stata originata; forse nelle civiltà egee, o nell'Asia anteriore. Dove non c'è il nuovo sistema di smalti fusi, vi è il perfezionamento degli alveoli che tendono a comporre figurazioni a mezzo di ponticelli intermedî. Grossolane alveolature ottenute con queste partizioni entro un'incassettatura si trovano anche in oggetti scitici, come la leonessa di Kelermes (Ermitage di Leningrado; circa sec. VI a. C.). Si va così pian piano generando il cloisonné del Medioevo, giacché basterà riunire le diverse esperienze per ottenerlo. Si aggiunga la tecnica vetraria alessandrina dei vasi "millefiori", cioè delle figurazioni ottenute con bastoncelli di smalto fusi poi nella massa vetrosa; tecnica che prende le mosse dal genere musivo. Quando gli orafi vorranno trasferire figurazioni simili nel metallo prezioso, dovranno ricorrere al giuoco delle alveolature e preferiranno la tecnica vera dello smalto, cioè delle polveri inserite negli alveoli e fuse dentro la fornace a temperatura elevata.
Medioevo ed età moderna. - Due principali procedimenti diversi nello smaltare furono usati nel Medioevo: quello dello smalto deposto in alveoli incavati sulla superficie del metallo (fr. champlevé; ted. Grubenschmelz), e quello dello smalto che riempie invece alveoli rapportati sulla superficie stessa, a cui vengono saldate sottili striscie di metallo che costituiscono il disegno (fr. cloisonné; ted. Zellenschmelz); il primo, noto anche ai Romani, fu certo praticato fino dai primi tempi cristiani, pur se pochi monumenti ne sono rimasti (fibule barbariche); l'altro fa la sua comparsa nei primi secoli del Medioevo e finisce col predominare fino all'epoca romanica: ebbe precedenti nell'oreficeria ad alveoli con granati o lamelle vitree incastrate, di probabile origine persiana, diffusa anche in Occidente dall'arte barbarica (v.).
Di questa tecnica il Rosemberg ha rintracciato gl'incunabuli in monumenti del periodo delle invasioni quali le fibule auree del tesoro di Szilágy Somlyó (Museo Nazionale di Budapest); da questi, altri esempî che rivelano influssi a volta a volta bizantini, ellenistici, o orientali (fibule di Canosa a Londra, Brit. Mus.; fibula della tomba di Gisulfo al museo di Cividale; smalti della Corona Ferrea a Monza) segnano il passaggio della tecnica alle varie scuole bizantina, siriaca, romana, e d'oltralpe. La prima è certamente la più importante sia per la sua durata sia per l'influsso che esercitò sulle altre; essa risale in ogni modo al sec. VI col reliquiario a trittico della Santa Croce inviato da Giustino II a Santa Radegonda a Poitiers, cui si aggiungono nei secoli seguenti la capsella di Risano (Oxford, Ashmolean Museum), la brocchetta del tesoro di Saint-Maurice d'Agaune nel Vallese, e la fibula Campana del Louvre. Alla scuola siriaca appartiene la stauroteca Fieschi (collezione Morgan) del sec. VIII, proveniente da Gerusalemme; a quella romana la croce del Sancta Sanctorum (Bibl. Vaticana) del tempo di Pasquale I, quella Beresford Hope (Londra, Vict. and Alb. Mus.) del sec. IX. Nelle scuole d'oltralpe, espressione del Rinascimento carolingio, il Rosenberg ha distinto varî gruppi: quello del medio e dell'alto Reno in cui è ancora traccia della tecnica ad alveoli incavati e sono visibili influssi dell'arte italiana (placchette col Cristo del Museo di Amsterdam, secolo VIII; altare portatile di Adelhausen, sec. X); quello italo-borgognone (borsa reliquiario del vescovo Alteo a Sitten, secolo IX); e quello alemanno-franco che riunisce caratteri dei due precedenti, palesando ancora influssi dell'arte romana tarda (borsa-reliquiario di Enger a Berlino, Kunstgewerbemuseum, fine secolo VIII) e che è rappresentato soprattutto dalla coperta dell'evangeliario di Lindau (collezione Morgan) uscita verso l'820 probabilmente da una officina di San Gallo.
Lo smalto bizantino ebbe la sua maggiore fioritura nella seconda età d'oro di quell'arte (sec. X-XI): abbellì tutti gli arredi del culto (calici, patene, altari, croci, reliquiarî, cornici d'icone) e non meno frequentemente anche oggetti destinati a uso profano (corone votive, piatti e coppe d'argento e d'oro, vasi e lampadarî di metallo prezioso, cofanetti, legature di libri, vesti, calzature, armi e selle di parata, ecc.). Disteso sempre su lamina di metallo prezioso, su cui venivano saldate le sottili striscette d'oro, alte non più di mezzo millimetro, destinate a fermare gli alveoli, aveva un'intensità di toni accresciuta dalla semplificazione del colorito che la tecnica stessa imponeva.
Gli oggetti più comuni sono le croci, pettorali o più grandi, da altare, spesso doppie (croci del duomo di Cosenza, di Velletri), frequenti le stauroteche come quella di Limburgo databile fra il 948 e il 959, quella di Esztergom (Ungheria) o quella della Grande Laura sul Monte Athos, le legature di evangeliarî (Monaco, Reiche Kapelle; Venezia, Bibl. Marciana; Siena, Bibl. Comunale). Di icone completamente smaltate due se ne conservano nel tesoro di S. Marco a Venezia, rappresentanti l'Arcangelo Michele (dove è anche, nel volto, esempio della tecnica dello smalto incrostato sul rilievo) e una nel monastero di Martvili in Georgia; più comune era però la decorazione delle cornici con targhette e medaglioni smaltati, di cui pure si hanno esempî in quel tesoro e nei monasteri della Georgia e del Monte Athos. Massimi esempî di questa produzione sono il trittico di Chachl′ nel convento di Gelaty in Imeretia (circa 1125-1150), preciso nel disegno delicato dei particolari e splendente nei colori, e la pala d'oro di S. Marco a Venezia, in cui agli smalti bizantini dei secoli X-XII altri ne sono stati aggiunti, nella parte inferiore e nella cornice, di fattura veneziana dei secoli XIII-XIV. Il tesoro di S. Marco, che possiede il gruppo più importante di monumenti di quest'arte, comprende anche varî calici con montature decorate di busti di santi sul piede e sull'orlo, d'iscrizioni e di disegni geometrici, tutti riferibili sicuramente ai secoli X e XI. Uno dei maggiori smalti bizantini, su rame, è il grande Cristo rinvenuto presso S. Maria in Trastevere (Roma, Museo di Palazzo Venezia). Nell'oreficeria civile sono frequenti gli smalti nei gioielli di uso personale (orecchini, collane, diademi); due corone così decorate si conservano al Museo di Budapest e nel tesoro reale di Ungheria, una donata da Costantino Monomaco a Andrea d'Ungheria (sec. XI), l'altra detta di S. Stefano, inviata da Michele VII a Géza I. Col secolo XII lo smalto bizantino che aveva esercitato un influsso anche sulla miniatura, manifesta segni di decadenza specie nei colori che perdono la vivezza e lo splendore di quelli dell'epoca dei Comneni.
Anche se non è da ritenere che solo dagli esempî bizantini sia proceduto l'uso dello smalto in Occidente, è innegabile l'influsso che essi vi hanno esercitato, fino dall'epoca carolingia. Esempio insigne in Italia ne è l'altare di S. Ambrogio a Milano, opera di Vuolvinio, anteriore di qualche anno alla metà del sec. IX, in cui l'imitazione bizantina negli smalti della cornice è evidente anche nella tecnica degli ornamenti su fondo verde translucido: incerto è però se la fattura se ne possa dire veramente italiana, per quanto fin dal principio di quel secolo non manchino attestazioni della conoscenza di quella tecnica. Più tarde sono invece le conseguenze palesi dell'influsso bizantino nei paesi di popolazione franca dove, se si astrae dai motivi di animali che appaiono sul reliquiario della Circoncisione donato a Conques da Pipino d'Aquitania (morto nell'838), bisogna giungere alla fine del sec. X per trovare una scuola vera e propria in Treviri, attestata dalla lettera diretta da un arcivescovo di Reims al collega Egberto di Treviri per chiedergli materiali per fare smalti, e da opere come l'altare portatile di S. Andrea a Treviri, la capsella del chiodo della croce nella stessa chiesa, la croce d'oro di Egberto a Maastricht, la custodia aurea del bastone di S. Pietro a Limburgo (980), o la legatura di Echternach nel museo di Gotha (983-991).
Da Treviri l'uso di questi smalti si diffuse anche in altre regioni, come provano la presenza di smalti di quella scuola in oggetti fabbricati certamente altrove, e gli esempi riferibili ad altre officine (Aquisgrana, legatura di un evangeliario). Con la fine del sec. XI tale diffusione è assai progredita in Germania: e accanto a prodotti usciti da officine di Colonia e di Magonza, si hanno sicure prove dell'esistenza di scuole monastiche a Ratisbona (convento di S. Emmeramo: custodia dell'evangeliario di Uta 1002-1025, croce d'oro della Reiche Kapelle a Monaco, 1007), a Bamberga, a Essen (croci delle abbadesse Matilde e Teofano), a Brunswick dove si giunge a un notevole grado di fantasia decorativa. Dello smalto parla anche il monaco Teofilo (Ruggero di Helmershausen) nella sua Schedula diversarum artium; poca parte esso ha invece nell'opera di lui come orefice (smalti ornamentali nella legatura di un ms. del tesoro di Treviri); in ogni modo gli era ignoto lo smalto su rame che appare in oggetti del tesoro di S. Pietro a Fritzlar. Meno ricca è nei secoli X e XI la produzione francese in cui pure persistono le tracce dell'influsso bizantino (smalti su rame dell'altare portatile di Conques): esempî più significativi, il calice con patena e la legatura di evangeliario del duomo di Nancy, quella di Beatrice sorella di Ugo Capeto fatta per Saint-Denis (Parigi, Louvre), insieme con una più tarda da Saint-Maurice d'Agaune (Londra, Victoria and Albert Mus.) e con la corona della statua di S. Fede a Conques. L'Italia continua ad essere tributaria di Bisanzio, sia importandone direttamente i prodotti (smalti della pala d'oro di S. Marco; tavola d'altare coi miracoli di S. Benedetto per Montecassino, ordinata a Bisanzio dall'abate Desiderio), sia manifestando la dipendenza da quell'arte nelle opere di fattura locale, che non raggiungono naturalmente la bellezza dei modelli sia per finezza di fusione sia per armonia di colorito (legatura di evangeliario del vescovo Ariberto [1018-1045] al duomo di Milano; legatura del tesoro di Saint-Denis al Louvre e di evangeliario del sec. XII nel duomo di Vercelli); la "pace" di Chiavenna mostra più degli altri la derivazione bizantina, che porta a migliori resultati nei prodotti degli artefici veneziani (smalti con iscrizioni latine della parte inferiore della pala d'oro di S. Marco) e che si afferma anche nel Mezzogiorno probabilmente attraverso maestri saraceni cui son dovuti molti degli oggetti del tesoro dei re normanni (corona dei primi del sec. XII, spada [1195], vesti imperiali [1133] e fodero aureo della spada di S. Maurizio alla Schatzkammer di Vienna; corona di Palermo) e in altri esempî quali la mitra del duomo di Scala e la legatura aurea dell'evangeliario del vescovo di Capua Alfano (1182).
Ragioni economiche probabilmente condussero alla sostituzione graduale, in periodo romanico, dello smalto ad alveoli rapportati su oro, con quello ad alveoli incavati su metallo meno prezioso, che permise anche l'esecuzione di opere di carattere monumentale, specialmente fra gli arredi ecclesiastici, e che accentuò il valore cromatico della decorazione, con le masse più ingenti di colore che coprivano le superficie più ampie ad essa destinate. Fu usato quasi esclusivamente il rame, dorato nelle parti libere da smalto. La decorazione di ornati e di figure, cui la tecnica stessa consentiva una maggiore libertà, è o in smalto sul fondo dorato, o a metallo scoperto, dorato e anche a rilievo, su fondo di smalto, o in smalto su fondo anch'esso smaltato. Gli smalti adoperati sono opachi, e la gradazione dei loro colori comprende anche sfumature che attenuano gli effetti della loro giustapposizione aumentandone il valore pittorico. Lo stile subisce gl'influssi di quello proprio alla tecnica precedente, della quale la nuova non è però una derivazione o una semplificazione; essa si ricollega invece a quella romana tarda attraverso una serie di esempî saltuarî ma spettanti a tutte le regioni occidentali dell'Europa, e le cui ultime manifestazioni di carattere popolare in Germania hanno riflessi in un gruppo di smalti a soggetto religioso del sec. XII, di probabile provenienza inglese (cfr. il gioiello del re Alfredo, del sec. X, all'Ashmolean Museum di Oxford).
Lo smalto su rame apparve contemporaneamente nelle varie regioni, dove poi ebbe i suoi centri maggiori: in Lorena, nella valle della Mosa; nella valle del Reno, a Colonia e Aquisgrana, a Hildesheim e nella Germania settentrionale; a Limoges. Fra gli orafi lorenesi che esercitarono questa tecnica è primo Godefroid de Claire (reliquiario di S. Alessandro, 1145, al Museo di Bruxelles), attivo per oltre un ventennio (arca di Eriberto a Deutz; reliquiario del braccio di Carlomagno al Louvre, 1166) e che diede origine a una vera e propria scuola i cui prodotti sono costituiti da numerosi oggetti di uso culturale (altaroli con sportelli smaltati internamente, reliquiarî anche a forma quadrilobata, altari portatili, croci) diffusi anche al di fuori della regione: si sa infatti che esso lavorò per l'abate Suger di Saint-Denis e se ne trova l'influsso nella produzione limosina. Anche maggiore importanza ebbe l'opera di Nicola di Verdun che nell'altare per Klosterneuburg (1181) non fece più spiccare le figure sul fondo dorato, come Godefroid, ma risparmiandole sul metallo e circondandole del fondo azzurro, ne indicò anche il disegno con smalti, raggiungendo un notevole effetto coloristico.
In Germania, il centro più antico di produzione è Colonia, che ebbe un'officina nel convento benedettino di San Pantaleone, cui appartennero insigni maestri quali Eilberto (1125-1150 circa: altare portatile del tesoro dei Guelfi) e, più originale nel disegno, Federico (1100-1135 circa: altari portatili del Kunstgewerbemuseum di Berlino, di Bamberga, di Siegburg): le figure risparmiate sul fondo di smalto o smaltate solo nelle vesti presentano la tendenza a un colorismo sempre maggiore, che rende lo smalto sempre più pittorico. Scuole minori come quella di Aquisgrana contemperano influssi della scuola della Mosa con quelli renani; più sentiti questi a Hildesheim, dove lo smalto provenne da Colonia dopo la metà del sec. XII: tipiche di questa scuola le figure incise e i fondi azzurri seminati di punti d'oro che riappaiono nella Germania Settentrionale dove lo smalto passò probabilmente da Hildesheim (Fritzlar, Senden, ecc.), non conservando però la cura e la finezza del disegno. Quasi nulla la produzione della Germania meridionale, dove rimane predominante l'influsso bizantino e giunge la tecnica, non lo stile, degli smalti renani. In Francia nei secoli XII e XIII un'attività modesta spiegano le regioni settentrionali (riccio di pastorale di un frate Guglielmo, a Firenze, Museo del Bargello) soggette agli influssi mosani e a quelli dell'altra grande scuola medievale di smaltatori, Limoges. Le officine limosine, che più delle altre raggiunsero fama europea e diffusero i loro lavori in ogni nazione, affermano fino da principio la loro indipendenza da quelle mosane e renane, e detengono il monopolio della produzione francese dalla metà del sec. XII fino alla fine del XIV, con una schiera di artefici sia laici sia religiosi (abbazie di Grandmont e di San Marziale). La quantità stessa della produzione portò fatalmente a una minore raffinatezza: forma, motivi decorativi, soggetti sono spesso ripetuti: prevalgono anche qui i piccoli oggetti di uso ecclesiastico (cofanetti con coperchio a spioventi ripidi, croci, coperte di libri, candelabri, pastorali, ciborî, navicelle, ecc.), pur non mancando esempî di opere di maggior mole (altari di Burgos e di San Miguel in Excelsis in Navarra, arche di Mozac e Ambazac, lastre tombali, per lo più perdute); fra gli oggetti profani sono frequenti cofanetti di varie grandezze con stemmi o con scene profane, borse da sella, fiaschette, ornamenti per bardature, per cinture, coppie di piccoli bacini per lavarsi le mani (gémellions, di uso forse anche sacro). Lo smalto limosino raggiunge il suo massimo fiorire tra il 1150 e il 1250: ebbe anche varietà di tecniche, alternando le figure tutte o in parte smaltate sul fondo dorato a quelle dorate sul fondo di smalto, e a quelle smaltate su fondo pure smaltato; le figure risparmiate nel metallo ebbero i particolari incisi, ma furono talvolta munite di testine in rilievo, talaltra emersero per intero plasticamente dal fondo di smalto. Le forme rimasero prevalentemente romaniche fino a tutto il '200 (ciborio di Alpais al Louvre, e croce di Johannes Garnerius). Prima della metà del sec. XII sono rare le figure smaltate su fondo di smalto e si notano ancora motivi orientalizzanti: dovette però fin da allora essere raggiunta una notevole perizia tecnica, come attesta la lastra tombale di Goffredo Plantageneto a Le Mans, anteriore al 1160. Con la seconda metà del sec. XII prevalgono le figure smaltate sul fondo dorato, con panneggi ombreggiati; le teste e le mani sono dorate o in rilievo; il fondo dorato è seminato di rosette o decorato di arabeschi incisi: appaiono influssi degli smalti mosani forse attraverso i lavori di Godefroid de Claire a Saint-Denis. Dopo il 1220 le figure sono per lo più risparmiate nel metallo sul fondo di smalto azzurro ravvivato da strisce e rosette di altri colori, e più tardi, da motivi vegetali risparmiati con foglie e fiori smaltati (lastra tombale di un figlio di S. Luigi a Saint-Denis, posteriore al 1247, trittico di Chartres, arca di Ambazac 1270, targhetta con Morte di Maria al Louvre). Nel sec. XIV predominano le figure risparmiate nel metallo su fondo azzurro, ma coi particolari indicati in smalto rosso: gli smalti limosini ebbero allora imitatori anche in Spagna, a Vienna e in Italia. Col secolo XV lo smalto limosino, che indulge ormai a un'abbondanza di ornamenti eccessiva, è in piena decadenza. Fra i colori usati a Limoges sono rari il nero e il bianco; predomina il blu in varie gradazioni (scuro, lapislazzuli, chiaro e turchese) accanto al rosso vivo e porporino, al violetto, al verde scuro o tenero; alla fine del sec. XIII appaiono anche un grigio ferro e un blu molto vivo: alcuni di questi colori (rosso porporino, violetto) sono translucidi. Nonostante la ricchezza della produzione non si scorgono personalità artistiche eccezionali nei nomi non scarsi di smaltatori che le iscrizioni non infrequenti ci hanno tramandato. Questa inferiorità degli smalti limosini in confronto agli altri medievali si riflette anche nelle imitazioni che se ne fecero nel Nord della Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia. Quivi essi furono diffusissimi, come attestano ancora molti tesori delle chiese; e scarsi sono invece gli oggetti di fattura locale, sempre andante, e dipendenti anche da modelli renani, come la Madonna di S. Maria in Campitelli a Roma, e gli Angioli del reliquiario di S. Galgano (Siena, Duomo) o il reliquiario a braccio di S. Paolino in Lucca.
La maggiore ricchezza e la maggiore larghezza dei metalli preziosi e specie dell'argento portarono già sulla fine del sec. XIII a escogitare, in Italia, una nuova tecnica, quella dello smalto translucido (che consente di usufruire dei riflessi d'argento e dell'oro che fanno brillare i colori), steso sulla superficie metallica scolpita a rilievo (fr. basse-taille) le cui varie profondità moltiplicano l'effetto cromatico facendo risultare più pallido il colore nelle parti più alte del rilievo, e più scuro in quelle più basse, e giungendo ad effetti delicatamente graduati di luce e di ombra. Questa tecnica, che doveva predominare sino a tutto il sec. XV appare per la prima volta a Siena sullo scorcio del sec. XIII nel calice che Guccio di Manaia fece per papa Niccolò IV (Assisi, tesoro) decorandolo di medaglioni d'argento lavorati a figure e ornati di gusto gotico che rivelano ancora influssi francesi. Essa acquistò subito grande favore a Siena e in Toscana e nel resto d'Italia e si diffuse nel sec. XIV anche oltralpe; orafi senesi ne portarono la conoscenza ad Avignone (Toro da Siena vi lavorò per i papi Clemente X e Giovanni XXI), donde poi provenne a Parigi che diventò centro di produzione della nuova tecnica.
Anche lo smalto translucido ritrova le sue maggiori applicazioni nell'oreficeria religiosa: medaglioni sul nodo e sul piede dei calici; simboli evangelistici e santi della Passione nelle croci astili o stazionali; ma presto esso oltrepassa il semplice valore decorativo che ha in questi oggetti non grandi per giungere a grandi espressioni artistiche in altari o reliquiarî di maggior mole. Esempio più di ogni altro significativo il tabernacolo del Corporale nel duomo di Orvieto che Ugolino di Vieri, nel 1337 insieme con Viva di Lando e Bartolommeo di Tommé detto Pizzino decorò, con un senso pittorico grandioso, di scene della vita di Cristo e di storie del miracolo venerato nella reliquia, su fondo generalmente azzurro, elevando lo smalto a dignità di espressione non inferiore a quella dell'architettura cui s'ispira la forma del reliquiario o della pittura che egli può aver tenuto presente nelle sue composizioni.
La scuola senese ebbe vita assai rigogliosa nel sec. XIV, attraverso numerosi maestri che diffusero essenzialmente in Umbria e nel Lazio i loro lavori: il maggiore di essi, Giovanni di Bartolo, operò ad Avignone e impiegò anche la tecnica dello smalto dipinto per le parti nude dei suoi busti-reliquiarî (di S. Agata, Catania; dei santi Pietro e Paolo al Laterano, perduto); quelli del secolo successivo ebbero prima tendenze conservatrici (Goro di ser Neroccio) che a poco a poco furono sommerse dal nuovo indirizzo plastico dell'oreficeria (Giovanni di Turino, Francesco di Antonio, ecc.). Non meno importanti e attive sono le altre scuole italiane: a Pistoia fino dal 1316 Ognabene orna di smalti translucidi l'altare di S. Iacopo; a Firenze dal 1313 Andrea Pucci orna il gradino dell'altare del Battistero (ora frammentario al Bargello) e nel 1331 è attivo Andrea Arditi; a Napoli nel 1337 Roberto d'Angiò fa eseguire il reliquiario a braccio di S. Lodovico di Tolosa (ora al Louvre); Venezia (reliquiario di S. Giorgio nel tesoro di S. Marco), Bologna, Perugia, Sulmona, sono altrettanti centri di produzione da cui escono altari, reliquiarî, pastorali, calici, patene, dittici e trittici sacri, tutti splendenti dei vivi colori che hanno sostituito sul metallo la luce delle pietre preziose. La diffusione dello smalto translucido si estende all'alta valle del Reno fino dai primi decennî del sec. XIV (urna argentea di G. Pfrumbom di Spira, coll. Arco Zinneberg; calice di Costanza al Museo dl Sigmaringen); di officina locale il gruppo della Crocifissione e due ostensorî già nel tesoro del duomo di Basilea (Berlino, Kunstgew.-Museum e già coll. Basilewsky) donde attraverso Basilea o Costanza passa anche a Vienna prima della metà del secolo, e per il Reno a Magonza, Aquisgrana; se ne trovano le propaggini anche in Scandinavia. Quasi contemporanea è l'apparizione della nuova tecnica in Francia (collare del busto di S. Valeria a Chambon, mitra di S. Martino a Soudeilles, cassetta per il reliquiario di Gregorio XI, di Pierre Verrier) cui appartiene una serie di altaroli con sportelli (uno al museo Poldi-Pezzoli di Milano); alla fine del secolo, la sostituzione dell'oro all'argento negli oggetti di maggior pregio ci è ancora attestata dalla coppa d'oro di Carlo VI con storie di S. Agnese (Londra, British Museum). La Spagna ornò sontuosamente di smalti i suoi calici (uno di Siviglia, al Louvre) rivelando assai evidentemente la derivazione italiana: croci processionali e ciborî smaltati si fecero a Barcellona: lo smalto translucido continuava là ancora nel sec. XVI.
Il Quattrocento vede anche in Italia una persistenza di gusto gotico nello smalto translucido (altare di Niccolò da Guardiagrele nel duomo di Teramo, 1448; smalti dei pilastri dell'altare di S. Giovanni a Firenze); ma conosce anche esempî di altre tecniche: lo smalto su rilievo o sul tutto tondo come il "Rössl" di Altötting in Baviera, 1403; frequente nei gioielli lo smalto filogranato (émaillerie à jour) che è come uno smalto ad alveoli rapportati senza fondo, già noto al secolo precedente e in uso in Italia (specie nell'oreficeria abruzzese e senese) anche nel '500: B. Cellini vi accenna nel suo Trattato dell'oreficeria; una particolare varietà ne è quella fiorita in Ungheria nello stesso tempo, in cui gli smalti sono contornati da filo di argento (boccale di Mattia Corvino a Wiener Neustadt) e che fu nota anche in Italia, nel Friuli, e in Spagna. Sono di allora anche i primi tentativi dello smalto dipinto fatti nella Lombardia e nel Veneto: si ritorna poi in Italia anche allo smalto opaco su rame, pur continuando la produzione di quello translucido su argento che nell'Italia settentrionale è attestata fino ai primi del sec. XVI. Nell'Italia settentrionale gli smalti dipinti sono stesi su uno strato di smalto azzurro scuro opaco (croce di Dongo, 1513, di Francesco di ser Gregorio di Gravedona): e sono indipendenti dal contemporaneo apparire della stessa tecnica in Francia, che ha i suoi incunabuli in due smalti di Jean Fouquet (al Louvre e a Berlino, Kunstgew. Museum), probabilmente dovuti a un influsso fiammingo (boccale di cristallo del tesoro del duomo di Magonza) che si afferma anche a Vienna prima che la nuova tecnica trovi il suo massimo sviluppo a Limoges. La Spagna ritorna nel '400 anche allo smalto ad alveoli rapportati su oro e su rame, residuo dell'influsso dell'arte musulmana che si manifesta nei lavori degli orafi di Granata (spada di Boabdil a Parigi, Bibl. Nat., e all'Armeria di Madrid). Il Rinascimento vede fiorire anche la tecnica dello smalto a rilievo (émail de ronde bosse), che copre interamente di smalto colorato le parti plastiche, figurate o ornamentali, divenuta comune nel Cinquecento specie per i gioielli e che in quel secolo ha il suo massimo esempio nella saliera per Francesco I di B. Cellini: un gruppo omogeneo formano gli oggetti di rame sbalzato (boccali e piatti) coperto di smalto opaco (per lo più azzurro scuro, ma anche bianco e verde) seminato di stelle, rosette, foglie, ecc., in oro, prodotti da officine veneziane attive fino alla metà del secolo XVI. Ma in questo secolo lo smalto, se ha frequente applicazione nell'oreficeria così rigogliosa dei paesi tedeschi, non è però considerato che come un accessorio decorativo nei boccali, negli stipi dove esso arricchisce l'oro o l'argento: si evita d'impiegarlo in superficie vaste (boccale di Pfinzing a Norimberga, Germanisches Museum), e solo nella seconda metà del secolo si torna a un impiego più intenso, spesso su lamine d'argento che vengono applicate sugli oggetti: esempî più significativi il boccale di Hans Reimer del 1563 (Monaco, Schatzkammer), una legatura e uno stipo di Hans Lencker (Monaco, Biblioteca) e, alla fine del secolo, i lavori di David Altenstetter di Augusta (corona imperiale austriaca a Vienna, Schatzkammer); frequente l'impiego anche nei gioielli.
Carattere e tecnica particolari ebbe lo smalto dipinto in Francia, dove ebbe il suo centro a Limoges.
Questa tecnica, che permise di rappresentare anche scene complesse, dopo avere tracciato il disegno sulla superficie del metallo vi stendeva leggermente lo smalto con spatole e pennelli, sia direttamente sia ricoprendola prima di uno strato di smalto bianco, e aggiungendovene alla fine uno di translucido. In principio i colori sono sordi e spesso crudi, il disegno è di un forte realismo (Monvaerni); lo stile si fa più naturale e i colori più splendenti con Nardon Pénicaud (v. pénicaud) che è ancora sotto l'influsso dei modelli tedeschi per le sue composizioni, pur non essendo immune da riflessi italiani. Questi si fanno sempre maggiori in pieno sec. XVI, quando lo schema cromatico si fa meno sontuoso; con i tre Jean Pénicaud diviene generale lo smalto a chiaroscuro (figure in bianco opaco su fondo nero) in cui molto si distinsero maestri come Pierre Reymond (morto nel 1584), finché l'eccessiva produzione non portò in questo genere a una minore finezza; ancora assai efficace, specie nei ritratti, è Léonard Limousin (1505-77); più debole nel disegno Conly Nonailher, capostipite di una famiglia che continua l'arte nei due secoli successivi. La decadenza è piena, col sec. XVII, nella tecnica, nel colore e nel disegno: e anche gli oggetti per cui viene impiegato lo smalto sono ormai soltanto elementi del lusso del tempo.
In Germania nel periodo barocco lo smalto viene impiegato volentieri come ornamento di bicchieri, caffettiere, ecc., d'argento dorato (Augusta, I. C. Schnall). In Francia Limoges è ormai sostituita da Parigi come centro di produzione: si fa pittura a smalto su fondo bianco, la cui maniera è rappresentata soprattutto da Jean Toutin che, verso il 1650, inizia quello stile che passerà poi negli orologiai di Francia e degli altri paesi e che culmina con le miniature su smalto di Jean Petitot a Ginevra e di altri, il cui influsso è notevole anche in altri paesi d'Europa. Nel '700 soltanto tabacchiere, astucci e simili vengono decorati con smalto dipinto sull'oro o sul rame; mentre all'argenteria da tavola si applicavano lamine di rame smaltate: soggetti favoriti le scene mitologiche specialmente amorose, quelle storiche, paesaggi, fiori, ecc.: centri di produzione la Francia (Le Tellier, J. Thouron, P. A. Hall, J. Weyler, J. Ch. de Mailly), Vienna, Dresda e Londra con gli smalti di Battersea (S. Th. Janssen) assai modesti di esecuzione. Per finezza eccellono soprattutto i ritratti in miniatura, sia quelli di grandi dimensioni (W. H. Craft, H. Bone e altri) sia quelli su tabacchiere, specialmente francesi del periodo dell'impero. Nel secolo XIX sono stati fatti tentativi specialmente in Francia e a Vienna di rimettere in onore lo smalto soprattutto ricollegandosi alla tradizione medievale, ma non hanno avuto efficacia duratura: solo lo smalto filogranato continua a essere adoperato nella gioielleria.
Nell'arte musulmana lo smalto è di uso non frequente e dovuto solo a derivazione bizantina: esempio notevole la coppa (Innsbruck, Ferdinandeum) decorata con smalto ad alveoli rapportati su rame, databile, dall'iscrizione, fra il 1141 e il 1144. Decorazioni di smalto nelle armi si trovano anche fra quelle di produzione spagnola; sul vetro furono particolarmente impiegate in Mesopotamia nel sec. XIV e anche in altre regioni.
Nell'Estremo Oriente. - Gli scrittori cinesi fanno risalire l'arte dello smalto alla dinastia mongola Yüan (1280-1368). Nell'opera Ko-ku yao lun, nella 2ª ed. del 1459, è detto che "gli Arabi fabbricano oggetti di bronzo, decorati con materie colorate e fuse, incensieri, vasi da fiori, scatole con coperchi, coppe da vino e altri oggetti che si usano negli appartamenti femminili, ma troppo appariscenti per un gusto severo. Essi somigliano agli smalti alveolati (cloisonnés) del paese di Fa-lang (forse Bisanzio). Alcuni artigiani dello Yün-nan hanno fondato a Pechino fabbriche di questi oggetti; sono assai belli quelli fabbricati nella capitale dello Yün-nan".
Gli smalti cinesi più antichi sono a incavo, o champlevés in oggetti di bronzo che contengono lo smalto in cavità, ottenute già inizialmente al momento della fusione, ovvero scavate poi dal bulino. Queste cavità sono separate le une dalle altre da sottili strisce del metallo dell'oggetto, alquanto irregolari, che rimangono scoperte. Le cavità o celle sono riempite di smalto polverizzato, di varî colori, e fusi a strati successivi, a un fuoco di legna. La superficie è poi levigata con pietra pomice, quindi con polvere di carbone, e infine sono dorate le parti di bronzo rimaste scoperte.
Un lavoro più fine e regolare si ottiene negli smalti alveolati o cloisonnés con alveoli formati di sottile filo di rame, argento od oro, che segue i meandri della decorazione. Gli smalti più antichi conosciuti portano il nome del periodo Chih-cheng (1341-1367). Sono più comuni quelli che portano la data di fabbricazione del periodo Ching-t'ai (1450-1456). Il nome Ching-t'ai lan, o smalti del periodo Ching-t'ai, è spesso adoperato a Pechino, per indicare i cloisonnés. La caduta di Costantinopoli, del 1453, può forse aver prodotto la dispersione in Oriente e l'arrivo a Pechino di artigiani rifugiatisi in Cina.
C. Puini (Riv. di Studi Orientali, VI, 1914) ha attribuito due oggetti della sua collezione (ora nel Castello Sforzesco di Milano) a questo periodo.
Gli oggetti più antichi hanno vigoria di disegno e trattamento largo, colori profondi e puri, tra cui spicca un azzurro carico. La tecnica non è perfetta, la levigatezza mediocre, e lo smalto ha piccoli buchi e irregolarità.
Dopo un periodo di transizione, che prende il nome dal regno di K'ang-hsi (1662-1722), la tecnica si perfeziona, ma l'originalità e la vivacità del disegno e dei colori diminuisce. Il maggiore splendore di questa arte è ottenuto nel periodo dell'imperatore Ch'ien-lung (1736-1795): i colori sono brillanti, il bronzo è solidamente dorato a fuoco, ma il valore complessivo artistico è lontano dai più antichi smalti.
Esistono in Europa collezioni preziose di smalti cinesi. Notevoli quelle del British Museum, gli esemplari più importanti provengono dal saccheggio del Palazzo d'Estate di Pechino. Notevole altresì quella del Musée des Arts Décoratifs di Parigi, ecc. Nel Museo Preistorico Etnografico L. Pigorini di Roma si conserva un grande tripode di bronzo smaltato (v. cina, X, tav. LXXX).
Una categoria speciale di smalti dipinti su rame è conosciuta in Cina col nome di yang-tz'e "porcellana straniera", ovvero anche in Europa, come "smalti di Canton", che fu il centro della loro fabbricazione. La tecnica di questi smalti dipinti su rame è la stessa di quella degli smalti di Limoges, che i gesuiti francesi importarono in Cina nel sec. XVII e XVIII per farli copiare. Questi smalti erano dipinti per ordinazione degli Europei, su rame o anche su porcellana. Quest'arte non attecchì però a lungo in Cina, ed è quasi scomparsa da Canton. Gli esemplari più notevoli sono tutti del sec. XVIII.
I più antichi smalti giapponesi sono dovuti all'artista giapponese Hirata Donin, il quale lavorò alla corte di Iyeyasu nel 1611, e morì nel 1646. Egli ebbe nove generazioni di discendenti, tutti artisti dello smalto, l'ultimo dei quali viveva nel sec. XIX. Un segreto di questa famiglia fu quello dello smalto applicato sul ferro.
I primi smalti giapponesi sono champlevés a sei colori opachi, tra cui predominano il verde chiaro, un bianco latteo e un azzurro indeciso. Un cesellatore, Fujiwara Kunishige che viveva nel 1700 nell'Isola di Hirado, nel Hizen, cesellò impugnature di sciabole (tsuba) con quella tecnica arricchita di smalto opaco. Verso la metà del sec. XVIII i Giapponesi adoperarono smalti trasparenti, che applicarono su un fondo di argento con disegni visibili attraverso lo smalto.
Nel 1830 Kaji Tsunekichi nell'Owari, imitò lo smalto cinese dell'epoca di Ch'ien-lung. Dopo la restaurazione del 1868 la produzione di vasi smaltati s'industrializzò, assumendo una fisionomia europeizzante. I centri principali di produzione sono Nagoya, Tōkyō, e Kyōto. Le principali fabbriche di Tōkyō e di Kyōto appartenevano a fabbricanti di nome Namikawa. Mentre i prodotti di Kyōto lasciano apparenti le divisioni metalliche fra i diversi colori, quelli di Tōkyō hanno le divisioni ricoperte dallo smalto, cosicché paiono pitture su porcellana.
Gli artisti giapponesi hanno altresì eseguito smalti senza divisioni (musenshippō); cloisonnés su porcellana, smalti in rilievo (moriage); smalti senza base (mutai).
V. tavv. CLXXXIII-CLXXXVIII e tav. a colori.
Bibl.: I. Morin, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, s. v.; J. Labarte, Histoire des arts industriels au Moyen Âge et à l'époque de la Renaissance, III, Parigi 1875; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.; H. H. Cunynghame, European Enamels, Londra 1906; É. Molinier, Histoire générale des arts appliqués à l'industrie du Ve à la fin du XVIIIe siècle: IV, L'orfèvrerie religieuse et civile du Ve à la fin du XVe siècle, Parigi s. a.; M. Rosenberg, Zellenschmelz, Francoforte s. M. 1921; British Museum, A guide to the Mediaeval antiquities and objects of later date, Londra 1924; id., A guide to the early Christian and Byzantine Antiquities, 2ª ed., ivi 1921; O. M. Dalton, Byzantine Art and Archaeology, Oxford 1911, p. 494 segg.; H. Leclercq, Manuel d'archéologie chrétienne depuis les origines jusqu'au VIIIe siècle, II, Parigi 1907; J. Schulz, Der byzantinische Zellenschmelz, Francoforte 1890; N. Kondakoff, Histoire et monuments des émaux byzantins, ivi 1892; Ch. Diehl, Manuel d'art byzantin, 2ª ed., Parigi 1925-26; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, Torino 1927; Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné du mobilier français de l'époque carlovingienne à la Renaissance, II, Parigi 1871; E. Rupin, L'øuvre de Limoges, ivi 1890; E. Molinier, Dict. des émailleurs depuis le Moyen Âge jusqu'à la fin du XVIIIe siècle, ivi 1885; J. J. Marquet de Vasselot, Bibliographie de l'orfèvrerie et de l'émaillerie française, ivi 1925; O. v. Falke e Frauberger, Deutsche Schmelzarbeiten des Mittelalters, Düsseldorf 1902; A. Mihalik, L'origine dello smalto filogranato, in Corvina, XXI-XXIV (1931-1932); H. Clouzot, Dict. des miniaturistes sur émail, Parigi 1925; Th. Bosser, Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino 1930-1935. - Per lo smalto nell'Estremo Oriente, v.: M. Paléologue, L'Art chinois, Parigi 1887, pp. 229-240; S. Bushell, L'Art chinois (trad. franc.), ivi 1910, pp. 257-274; O. Münsterberg, Chinesische Kunstgeschichte, II, Esslingen, 1912, pp. 458-469; C. Puini, Di una singolare incarnazione di Samantabhadra Bodhisattva, in Riv. di Studi Orient., VI (1914); A. J. Koop, Bronzes and cloisonnés enamels, in Chinese Art, pubbl. da Leigh Ashton, Londra 1935, pp. 72-85; International Exhibition of Chinese Art, Catalogue (R. Acad. of Arts), ivi 1936 (che contiene la descrizione di oggetti preziosi e rari smaltati prestati dal governo cinese e da varî musei d'Europa); V. F. Weber, Koji-hôten, Parigi 1923.