slavi
Gruppo di popolazioni europee parlanti lingue del ceppo slavo, originarie forse dei Carpazi nordorient., o della regione tra Vistola e Dnepr. Non esiste concordanza di opinioni riguardo all’origine del nome s., che in una delle numerose etimologie è messo in relazione con il termine slovo «parola»: gli s. sarebbero dunque «i parlanti», cioè coloro che si esprimono in un idioma comprensibile, in contrapposizione ai tedeschi, nĕmĭci, vale a dire «i muti». A questa etimologia se ne preferiscono attualmente altre, tra le quali merita speciale considerazione quella che fa risalire il nome a una radice skloav/sklav, analoga al lat. cloaca «acquitrino, canale di scolo», che darebbe un valore di «abitanti presso un luogo umido o presso un corso d’acqua chiamato Slovo o Slova». Infine, va segnalato che nel latino medievale del sec. 13° il vocabolo sclavus indica lo schiavo, e ciò prova l’importanza degli s. nel fornire, loro malgrado, materiale umano per il commercio degli schiavi che interessò tutta l’Europa medievale, dalla Germania, alla Francia, all’Italia, alla Spagna, a Bisanzio, fino ad arrivare al mondo islamico.
Quando entrarono nel campo visuale degli scrittori greci e occidentali gli s. poggiavano ancora su strutture sociali rudimentali. Le esigenze imposte dalla convivenza accanto a forti e ben organizzati vicini o alleati provocarono una loro rapida evoluzione verso forme statali più solide e compatte. Nucleo essenziale era la grande famiglia patriarcale caratterizzata dal possesso in comune della terra, degli strumenti di produzione e del bestiame. Suo capo era un anziano eletto, che si avvaleva della consulenza dei più maturi e autorevoli membri della comunità. I capi e i potenti erano poligami, e tale uso sopravvisse anche molto tempo dopo la cristianizzazione (fino al sec. 12°). Più grandi famiglie formavano una stirpe o clan, i cui membri erano collegati da vincoli di parentela, più stirpi una tribù, più tribù federate un popolo. In seguito, le strutture basate su vincoli di sangue si evolvettero in strutture territoriali (comunità di villaggio), e in questa forma ebbero una notevole capacità di sopravvivenza nel tempo. Esistevano anche forme di associazioni più ampie, cui si ricorreva soprattutto per fini bellici. Oltre ai capi e ai consigli degli anziani, esisteva un altro organo di controllo: le assemblee generali dei liberi, che venivano convocate in tempo di guerra. Dal Cinquecento in poi, man mano che le popolazioni slave vennero a trovarsi implicate in guerre, il potere dei capi andò progressivamente aumentando. A poco a poco si formò una specie di aristocrazia guerriera dalla quale scaturirono successivamente i principati; per influsso del sistema franco si creò in seguito tutta una scala gerarchica al cui vertice si trovava il re, seguito da principi, duchi, conti e così via. Tale sistema nobiliare si sviluppò specialmente nei Paesi che furono maggiormente a contatto con l’Occidente e che più a lungo conservarono la loro indipendenza, come la Polonia e la Boemia. La popolazione era divisa in due categorie, liberi e schiavi, cui solo più tardi si aggiunsero i nobili. I liberi erano i soli che godessero pieni diritti civili; la condizione dello schiavo (solitamente prigioniero di guerra), d’altro canto, era relativamente tollerabile: dopo qualche anno di servizio gli veniva offerta la scelta tra il riscatto e l’aggregazione alla famiglia in cui si trovava. Se egli optava per la seconda possibilità, entrava nella società con tutti i diritti. Il più antico diritto slavo era fondato sulla legge del taglione, sistema che in certe regioni balcaniche arretrate si è conservato fino a non molto tempo fa. Altro principio vigente era quello che conferiva al danneggiato la piena facoltà di esercitare liberamente la sua vendetta sul reo che avesse colto in flagrante. Trascorsa la flagranza, l’intera famiglia o stirpe era moralmente impegnata a vendicare l’offesa ricevuta punendo il colpevole o qualsiasi altro membro del suo gruppo sociale. Il concetto della responsabilità collettiva, applicato anche a interi villaggi, o gruppi di villaggi, si conservò pure quando il diritto venne posto su basi meno arbitrarie, in Boemia fino al sec. 12°, in Polonia fino al sec. 13°, in Russia e nella Penisola Balcanica almeno fino al sec. 14°. Dal sec. 10° i principi proclamarono d’altro lato la loro capacità di legiferare e di giudicare, ponendo in tal modo un freno agli eccessi individuali.
La religione dei popoli slavi sopravvisse fino alla loro cristianizzazione, iniziata nel sec. 7° e completata nel 12°: il cristianesimo divenne la religione predominante di cechi, slovacchi, serbi e bulgari già nel sec. 9°, di polacchi e russi nel 10°, infine dei sorabi nel sec. 12°. Le nostre conoscenze sulla religione pagana degli s. si limitano a quella degli s. orientali (russi), e degli s. stanziati in prossimità del Mar Baltico: per gli altri s. occidentali (polacchi e cechi) e per gli s. meridionali (s. balcanici) le conoscenze sulle forme precristiane di religione sono pressoché nulle e affidate per lo più a indicazioni tratte dal folclore. Le testimonianze relative al paganesimo slavo sono quasi tutte d’età medievale e quasi tutte contenute in opere di autori cristiani, i quali presentano le divinità slave come incarnazioni di demoni e il loro culto come «idolatrico», identificante cioè la divinità col suo simulacro. Dall’insieme, molto scarso, di queste fonti si possono comunque individuare alcuni punti sicuri del paganesimo russo, primo fra tutti l’esistenza nelle credenze e nel culto della figura di un dio supremo, che nelle scritture russe appare col nome di Perun, a cui si affiancano figure salienti come Chors-Daž′bog (dio di natura solare), divinità «di categoria» e infine collettività di esseri divini collegati col mondo della natura e con la sfera delle attività umane. Per quanto riguarda il culto, la Russia è estremamente povera di notizie: quelle che abbiamo sono per lo più di origine araba e parlano di offerte primiziali e di altre offerte fatte dai mercanti russi a questa o quella divinità; sono documentati anche sacrifici umani. La credenza in un oltretomba è largamente dimostrata presso gli s., soprattutto dalla modalità dei riti funebri (che presentano sia la cremazione sia l’inumazione), comuni, del resto, a numerosi popoli indoeuropei. In base alle descrizioni fornite da autori tedeschi dei secc. 11°-12° sappiamo che le caratteristiche generali del paganesimo degli s. occidentali sono la complessità del culto tributato alle loro divinità, il sacerdozio piuttosto articolato, la policefalia di molti simulacri e la relativa imponenza dell’attrezzatura cultuale e dei templi, di cui non si ha notizia per gli s. russi, infine la tendenza ad accentrare il culto intorno a una divinità suprema, tanto che si è pensato a un Essere supremo «primitivo»; ma per gli s. occidentali si può accogliere solo il concetto di un «politeismo limitato», data la molteplicità delle figure di divinità minori e la ricchezza cultuale e iconografica che le caratterizza. Il paganesimo degli s. occidentali oppose una forte resistenza alla penetrazione del cristianesimo; contro di esso, vescovi e cavalieri tedeschi bandirono delle vere e proprie crociate, la più importante delle quali fu quella del 1147, predicata da Bernardo di Chiaravalle e contemporanea alla seconda crociata in Terra Santa.