SĪWA (o Siua; A. T., 115)
Oasi del Deserto Libico, in territorio egiziano non lungi dal confine della Libia italiana, alla quale geograficamente apparterrebbe; fu detta anche Oasi di Giove Ammone e dagli antichi egizî Sekhet-am: paese delle palme. Dista circa 560 km. dal Cairo, circa 300 km. dal mare (Sollūm) e un centinaio di chilometri da Giarabub che è l'oasi più vicina, in territorio libico. Una seconda oasi minore dello stesso gruppo, ez-Zeitun, si trova a 16 km. di distanza verso SE., mentre a O. e a SO., verso el-Farāfra (che dista 350 km.) si stende una serie di oasi minori e di depressioni: el-Areq, Behelet Sitra, Baḥr-bilā-mā' ("fiume senza acqua"), ecc. L'oasi, lunga una decina di km., larga circa 8, è una delle più fertili, ricca di laghetti e sorgenti in parte salmastre o calde, e contiene parecchie migliaia di palme da dattero associate alle solite colture delle oasi sahariane: olivo, vite, melograno, orzo, cipolle, medica, ecc. I villaggi sono 5. Il centro principale, Sīwa è assai pittoresco, costruito con blocchi di calcare conchigliaceo e argilla salata su due delle gare (monticelli rocciosi), che si elevano in gran numero nella pianura, eguagliando talora l'altezza degli altipiani vicini; e le sue stradicciole, strette e sinuose, sono spesso scavalcate da archi e trasformate in freschi e oscuri sottopassaggi. La città copre un'area molto ristretta ed è cinta di mura con 15 porte. Gli abitanti sono molto misti, con lingua propria, di origine berbera, ma parlano anche l'arabo; molti di essi appartengono alla confraternita senussita, che ebbe i suoi centri a Giarabub, poi a Cufra.
Sīwa giace a qualche decina di metri sotto il livello del mare, su terreni miocenici, ma non lontano dal margine occidentale del tavolato calcareo eocenico; e l'una e l'altra di queste formazioni sono estremamente ricche di conchiglie marine petrificate, le quali sono forse tra i primi fossili conosciuti dagli antichi, poiché ne parlano già Erodoto ed Eratostene.
Sīwa appartiene alla mudīryyah di Behera; vi si perviene per tre vie carovaniere di quasi eguale lunghezza: una parte da Alessandria, la seconda da Hoche Issa, la terza da Gīza presso il Cairo.
Nell'antichità l'oasi fu sede di un celebre tempio di Ammone, divinità rappresentata con corna di ariete. Le rovine del tempio, con iscrizioni del sec. IV, rimangono tuttora nel villaggio di Aghormi, circa 3 km. ad E. di Sīwa, non lungi da quelle di un secondo tempio, Om Beda, della stessa epoca. Quivi affluivano pellegrini per consultare un celebre oracolo e pare raccogliessero, secondo Plinio e Solino, una pietra detta corno di Ammone, tortuosa e incurvata così da riprodurre l'immagine di un corno d'ariete, che sottoposto alla testa dei dormienti si diceva avesse il potere di ingenerare sogni profetici. Queste conchiglie fossili, furono interpretate da qualche paleontologo come quelle oggi note col nome appunto di Ammoniti, altri invece, osservando che le ammoniti non si trovano negli strati geologici della regione circostante, credette di identificarle con modelli di gasteropodi, che invece vi sono comuni; ma secondo quelle descrizioni i fossili sarebbero stati nella pirite, ciò che non sembra potersi applicare a petrefatti del deserto libico.
A consultare l'oracolo si recò nel 331 a. C. anche Alessandro Magno. Più tardi però, sotto la dominazione romana, l'oracolo cadde in discredito, e Pausania nel sec. II d. C. lo dice muto; tuttavia non mancano, oltre alle rovine di edifici arcaici, monumenti greco-romani e tombe di epoca tolemaica e romana specialmente nella necropoli di Gebel el Mutah. Con la conquista musulmana dell'Africa Settentrionale Sīwa si rese indipendente, e tale rimase, finché nel 1820 Mohammed ‛Ali inviò una spedizione di 1500 uomini a conquistarla: ne facevano parte col francese Linant, il medico e disegnatore fiorentino Ricci e altri due Italiani: Drovetti e Frediani, incaricati di rilevare e disegnare i monumenti: i piani topografici del Drovetti servirono poi di base al Jomard per costruire la carta della spedizione. Dopo l'occupazione egiziana, lo studio geografico, geologico e archeologico dell'oasi, iniziato da W. G. Browne nel 1792, dal Hornemann nel 1798 e dal Minutoli nel 1820, proseguì più intensamente, e fu poi completato per opera specialmente di G. Rohlfs, di Zittel e di G. Steindorff; nel 1885 vi fu anche l'ingegnere L. Robecchi Bricchetti.
Lingua. - Gli abitanti di Sīwa, di Aghurmī e di Gārah, insieme con quelli di Manshiyyat al‛Agiūzah nell'Oasi di Baharia (al-Bahriyyah) costituiscono il gruppo berberofono più avanzato verso est. Essi hanno conservato come lingua materna e nell'uso interno e familiare il berbero, e parlano inoltre, come gli altri bilingui, l'arabo che è anche la lingua scritta. Il dialetto berbero presenta strette affinità con quelli della Tripolitania settentrionale e della Tunisia meridionale e deve quindi ascriversi al gruppo della Zenātiyyah (v. berberi); il suo lessico è stato fortemente penetrato dall'arabo, in misura anche maggiore degli altri linguaggi berberi. Esso attrasse l'attenzione già di qualche storico arabo, come al-Maqrīzī, e più di viaggiatori ed esploratori europei della fine del sec. XVIII e del XIX, parecchi dei quali, e tra questi l'italiano L. Robecchi-Bricchetti, raccolsero delle liste di vocaboli e dei brevi testi, che vennero elaborati da studiosi di berberistica, come A. Hanoteau, R. Basset, H. Stumme. Nel secolo attuale è stato redatto un piccolo manuale dall'inglese Seymour Walker, ed infine un lavoro ampio ed esauriente da E. Laoust.
Bibl.: G. Rohlfs, Expedition zur Erforschung der libyschen Wüste im Winter 1873-74, Kassel 1875; L. Robecchi-Bricchetti, All'oasi di Giove Ammone, Milano 1890; T. B. Hohler, REport on the Oasis of Siwa, Cairo 1900; Steindorff, Durch die libysche Wüste zur Ammonoase, Lipsia 1904.
L. Robecchi-Bricchetti, Sul dialetto di Siuwah, in Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, scienze morali, V (1889), 1° sem., fasc. 4°, pp. 277-291; W. Seymour Walker, The Siwi Language, Londra 1921; E. Laoust, Siwa, I, Son parler, Parigi 1932.