VINCIGUERRA, Sisto
– Nacque ad Alatri, nel Frusinate, il 17 aprile 1815 da Bernardo e da Zefirina Mascetti.
I Vinciguerra furono una delle più ricche famiglie alatrine, grazie agli ampi possedimenti e agli investimenti nel settore tessile. Nel 1798, durante il periodo rivoluzionario, diversi suoi esponenti emersero a livello politico offrendo il loro appoggio alla Repubblica Romana. In questo contesto, Bernardo entrò a far parte dell’esercito repubblicano e, tornato ad Alatri nel 1799, ricoprì il ruolo di comandante della guardia nazionale, ponendosi a capo di numerose azioni contro gli insorgenti controrivoluzionari, che l’anno prima erano stati responsabili di diversi omicidi, tra le cui vittime si contavano vari membri della famiglia Vinciguerra.
Sisto compì i primi studi nel seminario vescovile di Alatri, e nel novembre del 1835 si trasferì a Roma per frequentare l’università. Nella capitale pontificia si stabilì poi definitivamente, avviando, una volta conseguita la laurea in legge, la carriera forense, che lo portò nel 1847 a curare la pubblicazione delle Declaratorie ufficiali di vari paragrafi del regolamento legislativo e giudiziario del 10 novembre 1834 e dell’editto disciplinare del 17 dicembre sudetto. In quegli anni l’accelerazione in senso riformatore della situazione politica permise all’avvocato alatrino di esprimere apertamente gli ideali liberal-patriottici e filorepubblicani ereditati dal padre. Fu, infatti, in questo contesto che Vinciguerra portò a piena maturazione quell’orientamento democratico-repubblicano, di stampo mazziniano, che avrebbe influito su tutte le sue scelte future.
Nel 1848 la sua presenza sulla scena politica romana si fece sempre più importante; nel fermento creato dalle concessioni costituzionali, da un lato, e dallo scoppio della guerra nel Lombardo-Veneto, dall’altro, Vinciguerra fu membro di spicco del Circolo popolare romano e di vari comitati che si formarono in quel periodo, tra cui, ad esempio, un Comitato di guerra creato ad aprile per sostenere e rinvigorire gli sforzi bellici dei volontari romani in Veneto.
Nel corso di quello stesso anno assunse posizioni sempre più apertamente repubblicane, mostrandosi favorevole alla convocazione di una Costituente nazionale formata da rappresentanti eletti dal popolo, e cominciò a collaborare con diversi esponenti del movimento patriottico provenienti da altre parti della penisola. In agosto entrò, infatti, a far parte del Comitato nazionale di liberazione, formato su iniziativa del veneziano Giovanni Battista Castellani e presieduto da Giovanni La Cecilia, il cui scopo era la promozione di una Costituente elettiva, che raccogliesse i rappresentanti di tutti gli Stati italiani. Un tale programma di impostazione democratico-repubblicana si opponeva apertamente a quello filomonarchico (e nello specifico filosabaudo) della Dieta giobertiana, il cui successo, agli inizi di ottobre, sancì la fine del Comitato romano.
Rimanendo fedele all’idea repubblicana di un’Assemblea nazionale costituita su un’estesa base elettorale, Vinciguerra aderì nel dicembre del 1848 al Comitato romano dell’Associazione per promuovere la convocazione in Roma di una Costituente nazionale e nel gennaio del 1849 al Comitato dei circoli italiani, di cui fu vicepresidente. Entrambi i comitati erano stati promossi da Filippo De Boni e coinvolgevano importanti personaggi del movimento nazional-patriottico di area repubblicana, come Goffredo Mameli, Francesco Dall’Ongaro, Atto Vannucci, Giuseppe Andrea Cannonieri.
L’attività politica di Vinciguerra si intensificò quindi negli ultimi mesi del 1848 e specialmente dopo la morte di Pellegrino Rossi e la fuga del papa da Roma, quando emerse come uno dei più efficaci oratori politici alla direzione del Circolo popolare, sempre presente alle numerose manifestazioni di piazza che si susseguirono in quei mesi per richiedere la Costituente. Quando infine furono indette le elezioni per l’Assemblea costituente romana, Vinciguerra contribuì alla fase preparatoria, entrando a far parte, a gennaio del 1849, della Commissione municipale incaricata della formazione delle liste elettorali, insieme con altri accesi repubblicani e futuri membri della Costituente, come Carlo Luciano Bonaparte, Felice Scifoni, Mattia Montecchi e Giuseppe Gabussi. Partecipò inoltre agli incontri che si tennero al teatro Tordinona per promuovere l’idea di Costituente italiana e la candidatura di elementi di spicco del movimento liberale radicale romano; in quelle occasioni diede mostra delle proprie capacità oratorie, come notò Piero Cironi a proposito del suo intervento nella riunione del 17 gennaio: «Vinciguerra parlò per il primo sulla necessità di salvare l’Italia dallo straniero, mediante la Costituente, fu applaudito. Ha il linguaggio per questo popolo» (Corrado, 1927, p. 85).
Nonostante il suo paese d’origine, Alatri, registrasse un altissimo tasso di assenteismo alle urne, non riuscendo a indicare alcuna preferenza, Vinciguerra venne comunque eletto come rappresentante all’Assemblea costituente romana, con 2479 voti, dal collegio di Frosinone, per il quale optò, e con 3012 voti dal collegio di Velletri.
All’interno della Costituente sedette a sinistra e continuò a propugnare le idee repubblicane e unitarie. Fu un deputato assiduamente presente e attento a tutte le attività assembleari. Il suo discorso più importante fu quello pronunciato l’8 febbraio 1849 per sostenere l’adozione del regime repubblicano: l’avvocato alatrino si oppose direttamente alla posizione attendista espressa da Terenzio Mamiani, affermando in maniera categorica l’impossibilità di restituire il potere politico al pontefice, in quanto l’autorità temporale del papa era, per sua stessa natura, inconciliabile con la causa nazionale italiana. Propose dunque un decreto in cui, dopo aver elencato tutte le ragioni per cui storicamente il papato entrava in contraddizione con i principi della nazionalità italiana e della sovranità popolare, così come con qualsiasi forma di governo costituzionale, proclamava la separazione dei poteri temporale e spirituale e la decadenza del principato papale, riconoscendo la piena sovranità del popolo. La proposta di Vinciguerra non fu, però, messa ai voti, venendo invece approvato il decreto precedentemente formulato da Giuseppe Barilli (alias Quirico Filopanti), con cui si proclamava l’instaurazione della Repubblica; quest’ultimo decreto raccolse il consenso di un’ampia maggioranza dell’aula, tra cui anche il voto favorevole di Vinciguerra.
Nei mesi che seguirono, l’avvocato alatrino fu tra i deputati più attivi all’interno dell’agone assembleare; fece parte della commissione tecnica dell’Interno e intervenne su molti temi di fondamentale rilevanza, come le misure di natura finanziaria, la forma da dare all’organo del potere esecutivo, o ancora la riforma della giustizia. Su quest’ultimo punto si espresse energicamente a favore dell’abolizione del tribunale del S. Uffizio e dell’introduzione della figura del pubblico ministero nei tribunali.
Al momento della discussione sul testo costituzionale, si unì ad altri colleghi (tra i quali l’abate Carlo Arduini), proponendo due emendamenti al preambolo sui Principi fondamentali, dove si voleva aggiungere un quarto articolo che recitasse «La Repubblica premia e punisce secondo i principi della vera moralità e della vera giustizia» (Le Assemblee del Risorgimento, IV, Roma 1911, p. 893), e sostituire i due articoli riguardanti il culto religioso e le relazioni tra Stato e Chiesa, con uno che dichiarasse in modo esplicito e categorico la libertà di culto, senza riferimenti specifici alla religione cattolica o ai rapporti con il pontefice. Entrambi questi emendamenti non vennero però discussi. Vinciguerra firmò poi il testo originale della costituzione della Repubblica e la protesta contro l’invasione francese, redatta da Filopanti, il 4 luglio 1849, giorno dell’ingresso delle truppe nemiche a Roma.
Durante l’assedio si impegnò anche sul campo, come membro della commissione delle ambulanze. Dopo la vittoria dei francesi, Vinciguerra fu costretto ad allontanarsi velocemente da Roma, e trovò rifugio a Genova. Qui visse per il resto della sua vita, insieme con la moglie Amalia Federici e il figlio, Decio, nato nel 1856, che sarebbe diventato un importante ittiologo.
In quegli anni non abbandonò la lotta politica, rimanendo tra i seguaci più fedeli di Giuseppe Mazzini, di cui difese l’operato come triumviro della Repubblica in un breve articolo del 14 giugno 1850, sul giornale genovese L’Italia. Fu in diretto rapporto con lui e con diversi altri patrioti attivi in quegli anni sul fronte repubblicano, come Felice Orsini, e frequentò assiduamente la casa di Maria Mazzini. Nel corso dei primi anni Cinquanta la sua azione a supporto delle trame mazziniane fu tale da attirargli i sospetti della polizia piemontese, che ne vigilava l’operato durante i suoi frequenti viaggi a Torino. All’interno di questa attività vanno collocati i fatti del 1853, quando il patriota alatrino fu tra i promotori, insieme con altri esuli romani rifugiati a Genova, di un moto insurrezionale che sarebbe dovuto scoppiare nella città del papa. Stroncato sul nascere dall’attenta polizia pontificia – che, ad agosto, procedette a diversi arresti, tra cui quello del leader Giuseppe Petroni –, il tentativo condusse alla condanna in contumacia di Vinciguerra, insieme con Mazzini, Luigi Pianciani e Massimiliano Grazia, tutti individuati come mandanti.
In esilio, Vinciguerra non riprese la professione legale, ma non abbandonò del tutto l’interesse per la legge, come testimonia la sua collaborazione con Emidio Pacifici Mazzoni nella stesura dei primi fascicoli del Dizionario domestico di legislazione e giurisprudenza civile commerciale amministrativa e penale, pubblicato a Roma nel 1864. Negli ultimi anni di vita le sue condizioni di salute si aggravarono, tanto da impedirgli di rientrare nella nuova capitale del Regno d’Italia.
Morì a Genova il 5 febbraio 1871.
Nel 1906 la città di Frosinone ne ricordò il contributo al processo di unificazione nazionale includendolo nel monumento bronzeo con cui si celebrarono i ‘martiri’ del Risorgimento frusinate.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Università di Roma, b. 373, pos. 224; Tribunale della Sacra Consulta, bb. 309-313; Museo centrale del Risorgimento, Carte La Cecilia, vol. 14, f. 71; Archivio di Stato di Torino, Comitato centrale dell’Emigrazione italiana, s. 1, m. 72; Segreteria degli Interni di Torino - Gabinetto (1842-1860; 1863-1866), m. 8.
L.C. Farini, Lo Stato romano dall’anno 1815 al 1850, III, Firenze 1850, p. 230; G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluzione degli Stati romani dall’elevazione di Pio IX al pontificato sino alla caduta della repubblica, I-III, Genova 1852, passim; Processi segreti della Sacra Consulta di Roma contro i liberali italiani, I, Milano 1860, passim; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio, III, Firenze 1868, passim; O. Fortuna, Martiri e patrioti del circondario di Frosinone, Frosinone 1890, pp. 83 s.; Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, I-C, Imola 1906-1950, ad indices; P. Ceci, S. V., Alatri 1910; Le Assemblee del Risorgimento, Roma, III-IV, Roma 1911, passim; G. Signorelli, Viterbo dal 1789 al 1870, Viterbo 1914, ad ind.; R. Corrado, Filippo De Boni, i circoli popolari e la legazione di lui a Berna, in Studi e documenti su Goffredo Mameli e la Repubblica Romana, Imola 1927, pp. 43-111; Lettere di Felice Orsini, a cura di A.M. Ghisalberti, Roma 1936, passim; E. Michel, V. S., in Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, IV, Le persone, R-Z, Milano 1937, p. 577; F. Ercole, Il Risorgimento italiano. Gli uomini politici, III, Roma 1946, p. 355; A. Sacchetti Sassetti, Storia di Alatri, Frosinone 1947, ad ind.; M. Cessi Drudi, Un patriota veneto del 1848: G.B. Castellani, in Archivio veneto, 1948, vol. 42, pp. 127-163; R. Cessi, Il Comitato nazionale di liberazione nel 1848, in Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Classe di scienze sociali, storiche e filologiche, VI (1951), 7-10, pp. 338-360; A. Ottolini, Moto mazziniano fallito in Roma, in Studi sul Risorgimento in Lombardia, Modena 1953, pp. 34-41; F. Poggi, L’emigrazione politica in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857, III, Modena 1957, ad ind.; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano 1958, ad ind.; F. Bartoccini, Il movimento liberale e nazionale romano dal 1840 al 1860, in Rassegna storica del Risorgimento, XLVIII (1961), 3, pp. 387-428; W. Pocino, I ciociari. Dizionario biografico, Roma 1961, pp. 472 s.; Frosinone per il centenario dell’Unità d’Italia, Frosinone 1961, ad ind.; M. Stirpe, Veroli nella seconda Repubblica Romana, in Latium, I (1984), pp. 147-174; G. Minnocci, S. V. nell’Assemblea costituente della Repubblica romana del 1849, Alatri 1995; Id., Il contributo della Ciociaria al Risorgimento italiano e S. V., Alatri 2002; M.G. Cerri, V. S., in Dizionario storico biografico del Lazio. Personaggi e famiglie nel Lazio (esclusa Roma) dall’antichità al XX secolo, a cura di S. Franchi - O. Sartori, III, Roma 2009, pp. 1978 s.; D. Armando, Costruire la sovranità popolare. Le commissioni municipali romane e le elezioni per la Costituente del 1849, in Laboratorio dell’ISPF, IX (2012), 1-2, pp. 117-164. Sulla famiglia Vinciguerra e sul suo coinvolgimento nei fatti del 1798-99 si veda anche L. Topi, «Tutto va a cambiarsi». La nascita della lotta politica ad Alatri (1798-1799), Roma 2012, ad indicem.