CUCCHI, Sisto
Nacque il 13 apr. 1585 a Bergamo da nobile famiglia. L'11 febbr. 1603 entrò nell'Ordine dei minori osservanti. Dopo un breve periodo trascorso nel convento di Capistrano tornò nel Bergamasco. Il 19 luglio 1630 mentre si prodigava ad assistere gli appestati, avendo contratto il morbo si spense a Gandino (Bergamo).
Due opere ispirarono soprattutto il C.: la Theologia Mystica di Henricus Harphius (Hendrik Herp), che fu stampata anche a Brescia nel 1601; le sue citazioni corrispondono a questa edizione mentre all'edizione veneta del 1556 rimandano le citazioni dell'altro caposaldo della sua formazione mistica, Piissimae tamde tempore quam de Sanctis Homiliae pietati quam maximeinservientes di Giovanni Tauler. Del primo raccomandava di leggere le opere nelle edizioni complete e non nei sunti che circolavano in quel periodo. Oltre ai due suddetti, altri autori ispirarono la sua opera e furono riferimenti per legittimare l'ortodossia del suo atteggiamento. Il clima "quietista" rendeva infatti pericolosa qualsiasi argomentazione di tipo misticheggiante. Quasi certamente per questo in Vie dellacontemplazione (Brescia 1621), pubblicata in un primo momento con il titolo (subito dopo corretto) Strada per ascendere all'altoMonte della contemplazione, troviamo l'elenco di autori approvati che garantivano agli occhi del S. Uffizio la correttezza dell'impostazione teorica delle idee professate. A questo proposito vengono citati espressamente oltre all'Harphius e al Tauler, s. Teresa, fra Alfonso da Madrid, Bartolomeo da Salutio, il Lansperger, s. Bonaventura.
Fondandosi su queste autorità il C. riduceva l'originalità del suo pensiero per non incappare nelle severe maglie della censura ecclesiastica; il 9 giugno 1690 però il S. Uffizio a sessanta anni dalla sua morte Io condannava e poneva all'Indice Vie della contemplazione. In realtà non dovette essere difficile avvicinare il pensiero del C. a quello "quietista" dei Molinos e dei suoi seguaci. Niente di più facile, estrapolando idee e pensieri, appariva il poterlo collocare tra i "prequietisti". Analizzando però le sue opere e soprattutto le sue azioni, non risulta difficoltoso allontanare i sospetti di eresia che si vollero far pesare sul mistico bergamasco.
Ben cinque edizioni, di cui quattro a Brescia (1619, 1621, 1625, 1626) e una a Venezia (1623), furono stampate delle Vie; nel 1625 il C. pubblicava il Compendio della preparazione per la S. Comunione e sullo stesso tema, nello stesso anno vedeva la luce sempre a Brescia il Compendio breve della perfettione e oratione mentale con alcuni esercitii affettuosi per la S. Comunione et alcuni cantici spirituali et amorosi. L'anno dopo si stampavano le Regole per la Compagnia dell'Oratione Mentale (Brescia 1626). Si hanno di quest'opera, che risulta introvabile, scarse notizie perché lo stesso C. poco ne parlò; quasi certamente comunque si doveva trattare del regolamento della "Compagnia" formata dallo stesso a Bergamo, e della quale si sa ben poco. Destino questo comune un po' a tutte le organizzazioni religiose misticheggianti che fiorirono nel sec. XVII in tutta Italia.
Nel 1627 tornò di nuovo ai temi cari alla sua cultura pubblicando il Breve compendio dei principali affetti che si raccolgono dai misteri della Vita e Passione di Cristo e Maria Vergine (Brescia 1627); l'anno dopo a Bergamo usciva la sua ultima opera Pratiche delle più insigni meditazioni della Passione di Cristo.
Un'edizione stampata a Brescia nel 1627 riuniva nello stesso testo il Compendio dei principali affetti con il Compendio breve della perfettione. L'autore stesso sottolineava che l'omogeneità delle argomentazioni avrebbe favorito questa sintesi, e tale conformità avrebbe agevolato l'approssimazione dell'anima a Dio. È in fondo questo il fulcro del pensiero del C. che partendo da un totale disprezzo e rifiuto della propria natura cerca l'accostamento, anzi, l'abbandono totale in Dio.
La vita spirituale si impernia in otto virtù: cognizione della grandezza di Dio, amore purissimo, allegrezza che Dio sia Dio, totale rassegnazione al Suo volere, umile sentire di sé, odio di sé, desiderio di patire, rinnegamento della volontà. Non deve dunque sembrare paradossale se si arriva a parlare di gioia per essere inclinati al male, proprio perché dalla coscienza della propria negatività, dall'odio nei confronti di sé stesso nasce l'esigenza e la soluzione unica della perdizione totale in Dio. Il passo verso l'impeccabilità "quietista", il peccato visto come non dipendente dalla volontà umana, poteva indubbiamente leggersi in queste affermazioni, specialmente cogliendo qua e là frasi e pensieri e dare luogo a malintesi e fraintendimenti come accadde nel 1680. Altrettanto vicina a posizioni quietiste può apparire la critica a tratti dura contro i religiosi del suo tempo che preferivano la scienza alla sapienza.
Per il C. non occorrono meditazioni e discorsi perché con maggiore facilitá l'anima giunge al "felice monte della contemplazione". Diventa inutile se non dannosol'intervento razionale, l'unica via per perdersi nell'amore di Dio è quella del sentimento, dei cuore. Questo perdersi nell'amore "puro" di Dio può anche essere interpretato come una posizione poco preoccupata di cristologia: ogni vittoria deriva infatti solo da Dio: "il solo fonte di virtù, e che né in Christo, in quanto all'humanità; né in Maria, né ne gl'Angioli, e i Santi, né in sé stesso, né in altra creatura, sia virtù alcuna che non sia da Dio, che vorrebbe più presto patir gran pene, che veder pur una minima virtù esser in sé stesso, o in altra creatura, che non sia derivata dall'eterno sommo bene" (Vie della contemplazione, Venezia 1637, p. 218).
Scopo ultimo e fondamentale resta comunque la contemplazione; e la meditazione, per certi versi momento razionale e quindi intellettuale, è solo una via per giungervi. Occorre però ben precisare che nell'ascesi il C. vide lo strumento per giungere alla perfezione. Il fine ultimo resta la gloria di Dio. L'indifferenza quietista del mistico, unicamente interessato alla contemplazione, di fronte al peccato è ben lontana dal pensiero dei francescano bergamasco.
Il recupero dei peccatori, l'abnegazione per il trionfo della dottrina cattolica, la sua stessa testimonianza pratica di partecipare alla sofferenza degli altri, il suo estremo sacrificio per curare gli appestati di Gandino tolgono molti sospetti sulla sua ortodossia religiosa.
Fonti e Bibl.: D. Calvi. Scena lesser. degli scrittori bergamaschi. II, Bergamo 1764, pp. 470-472; Costantino di Val Camonica, Scriptores Ordinis Minorum Strictioris Observantiae Reform. Prov. Brixiensis, Brixiae 1884, pp. 120-140; M. Petrocchi, Il Quietismo ital. del Seicento, Roma 1948, pp. 9, 19, 25-28; C. Giraldi, Un mistico bergamasco: S. C., in Bergomum, LXVII (1953), pp. 71-82; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Milano 1959, IV, p. 120; V, pp. 3, 26, 49 n.; M. Marcocchi, Ascesi e misticismo nelle "Vie della contemplazione di S. de C.", in Problemi di storia della Chiesa nei secoli XVII-XVIII. Atti del V Congresso di aggiornamento (Bologna, 3-7 sett. 1979), Napoli 1982, pp. 353-361; L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum, Roma 1906, p. 243; G. Sbaraglia, Suppl. et castigatio ad scriprores Trium Ordinum S. Francisci a Waddingo, aliisve descriptos, Romae 1806, p. 661.