SOLARE, SISTEMA (XXXII, p. 39)
Si riassumono brevemente le più importanti ricerche compiute negli ultimi anni.
Pianeti. - Nulla si sa ancora di preciso sopra la durata della rotazione dei pianeti Mercurio e Venere. Per Mercurio, la maggioranza degli astronomi ritiene ancora molto probabile l'opinione di G. Schiaparelli, secondo cui esso rivolge sempre la stessa faccia al Sole e cioè ha una rotazione di durata eguale a quella della sua rivoluzione (88 giorni); per Venere sembra assai attendibile l'opinione che la sua rotazione sia molto lenta (forse di alcune settimane), senza però poter specificare maggiormente. Inoltre le ultime ricerche spettroscopiche sembrano escludere, quasi completamente, l'esistenza di vapor acqueo nell'atmosfera di Venere, onde la sua grande nebulosità (che impedisce appunto di vedere il suolo del pianeta e quindi di determinare la sua rotazione) viene modernamente attribuita a polveri riflettenti (forse particelle di mica) mantenute in sospensione dai venti dell'atmosfera di Venere. Invece viene confermata in essa l'esistenza di anidride carbonica.
Per Marte, le ricerche spettroscopiche confermano l'esistenza di vapor acqueo nella sua atmosfera, mentre - contrariamente a quanto si credeva fino a poco fa - viene esclusa quasi del tutto l'esistenza di ossigeno. Nonostante qualche contraria opinione, si ritiene pure che le calotte polari di Marte siano dovute a ghiacci (ed in parte anche a nebbie atmosferiche) e non già a depositi di anidride carbonica congelata; come pure sembra probabile che le macchie di Marte siano dovute a qualche forma di vegetazione rudimentale. Quanto ai "canali" si esclude ormai del tutto che essi siano dovuti a costruzioni artificiali, pur ammettendo che (almeno nel loro insieme) abbiano una qualche esistenza reale e cioè corrispondano a spaccature naturali, più o meno irregolari, e spesso interrotte, nelle quali potrebbe svilupparsi una certa vegetazione.
Viene sempre meglio confermata l'esistenza di ammoniaca e metano, e probabilmente anche di grande quantità d'idrogeno, nelle atmosfere dei pianeti superiori Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Inoltre si conferma che la rotazione di Nettuno si compie in circa 16 ore ed in senso contrario al moto del suo unico satellite Tritone; fenomeno raro nel sistema solare e che porta un nuovo argomento contro l'ipotesi cosmogonica di Laplace.
Ma il pianeta che, secondo le moderne ricerche, presenta una costituzione fisica veramente eccezionale tra tutti gli altri, è il pianeta più lontano dal Sole: Plutone. Infatti, tenendo conto delle perturbazioni che l'attrazione di Plutone produce nel moto di Urano e di Nettuno, si è trovato che la sua massa è pressappoco eguale a quella della Terra. D'altra parte, le osservazioni micrometriche eseguite a Monte Wilson mostrano che il diametro di Plutone sarebbe di circa 3000 km., onde un facile calcolo indica che la sua densità media dovrebbe essere circa trecento volte superiore a quella dell'acqua; fenomeno veramente unico tra i pianeti, che hanno tutti densità medie comprese tra 5,5 (Terra) e 0,7 (Saturno) e anzi assolutamente inesplicabile dal lato fisico e mineralogico. Si potrebbe supporre, per sciogliere l'enigma, che le osservazioni di Monte Wilson siano erronee (data l'estrema delicatezza delle misure) e che il diametro di Plutone sia in realtà maggiore; ma in tal caso si cade in una nuova difficoltà. Infatti, Plutone appare come una stellina debolissima di quindicesima grandezza circa; onde, tenendo conto della sua distanza dal Sole e da noi, si trova che se il suo diametro fosse, p. es., eguale o superiore a quello della Terra, esso dovrebbe riflettere meno della trecentesima parte della luce che riceve dal Sole. Ora nessuna delle rocce conosciute presenta un potere riflettente tanto basso.
Pianetini. - Il numero dei piccoli pianeti conosciuti va continuamente crescendo; al principio del 1948 esso ammontava già a 1566. Tra i pianetini che possono maggiormente avvicinarsi alla Terra - oltre ad Eros ed Amor (v. XXXII, p. 43) - si devono ora notare Alberto, Alinda e Ganimede e in modo specialissimo Adone, Apollo ed Ermete le cui orbite tagliano l'orbita terrestre, oltre a quella di Marte; anzi l'orbita di Adone taglia anche quella di Venere, avvicinandosi molto, nella regione perieliaca, all'orbita di Mercurio. Ciò è dovuto al fatto che Adone ha un'eccentricità fortissima (e = 0,78), onde esso può ben dirsi un pianetino con orbita cometaria. Si noti che anche il pianetino Hidalgo, la cui orbita taglia quella di Giove, giungendo fin quasi a quella di Saturno, possiede una vera orbita cometaria, non solo per la grande eccentricità (e = 0,66), ma anche per la grande inclinazione sopra l'eclittica (i = 43°).
In questi ultimi anni, oltre ad osservazioni di posizione - destinate a controllare i calcoli di orbita - sono state eseguite anche osservazioni fotometriche e colorimetriche di precisione su molti pianetini. E ciò con lo scopo di ottenere qualche indicazione sopra la natura fisica delle rocce di cui essi sono costituiti; come pure con lo scopo di ricercare eventuali variazioni periodiche del loro splendore, da cui poter trarre altre indicazioni sopra la loro forma e sul loro periodo di rotazione. Benché questi studî siano ancora all'inizio, sembra intanto di poter ammettere che i pianetini non hanno atmosfera (come del resto risulta anche da considerazioni tratte dalla teoria cinetica dei gas, per cui un'atmosfera non può mantenersi quando il campo gravitazionale è estremamente debole); che essi sono probabilmente composti di rocce calcaree e silicee; che hanno spesso forma molto irregolare (ad es., Eros) e che il loro periodo di rotazione è generalmente di poche ore.
Satelliti. - Le ricerche fotografiche eseguite a Monte Wilson hanno portato a undici il numero dei satelliti di Giove, mentre ultimamente (1948) sembra che sia stato anche scoperto un quinto satellite di Urano. Recentemente si è pure trovato che Titano, il maggiore satellite di Saturno, ha un'atmosfera di composizione simile a quella dello stesso Saturno, contenente ammoniaca e metano.
Comete. - Tra i recenti più importanti lavori sopra le comete, si cita Il Preliminary general Catalogue of Comets dell'astronomo giapponese A. S. Yamamoto, che riporta tutte le comete osservate, dalla prima vista dai Cinesi nell'anno 2349 a. C. fino al 1940. In questo lungo intervallo di tempo, comprendente oltre quattromila anni, risultano apparse 1503 comete, delle quali però si conosce l'orbita soltanto per 673. Di queste 673 orbite soltanto 480 sono distinte e precisamente 303 sono quasi paraboliche e solo 177 decisamente ellittiche. Di queste ultime, 48 appartengono alla famiglia di Giove (e cioè hanno l'afelio poco discosto dall'orbita di Giove); 8 alla famiglia di Saturno; 3 a quella di Urano; 9 a quella di Nettuno e 109 a famiglie ultranettuniane. Soltanto di 39 comete (27 di Giove, 4 di Saturno, 2 di Urano, 5 di Nettuno ed una ultranettuniana) si è potuto osservare il ritorno; una di esse - la cometa di Biela, della famiglia di Giove - si è disgregata in sciami di stelle cadenti (bielidi).
Tra le orbite cometarie recentemente scoperte, meritano speciale attenzione quella della cometa Schwassmann-Wachmann i (passata al perielio nel 1941) e quella della cometa Oterma 3 (passata al perielio nel 1942), giacché poco diverse da cerchi (e = 0,14), posti l'uno tra Giove e Saturno e l'altro tra Marte e Giove. Si tratta, in altre parole, di due comete aventi orbite planetarie. Le osservazioni spettroscopiche più recenti (dopo il 1940), hanno mostrato nei gas cometarî l'esistenza delle due molecole biatomiche NH ed OH, oltre alla molecola del carbonio (C2) e al cianogeno CN già conosciuti. In alcuni casi, si è anche scoperta l'esistenza del sodio e della molecola triatomica CH2.
Cosmogonia planetaria. - Secondo le leggi della meccanica razionale, durante le molteplici trasformazioni che il sistema solare può aver subìto nella sua formazione, due entità (l'una scalare e l'altra vettoriale) sono rimaste invariate; e cioè la sua massa totale e il suo momento della quantità di moto. Ora le osservazioni mostrano che, al presente, mentre la massa è quasi tutta raccolta nel Sole, il momento della quantità di moto è quasi tutto raccolto nei pianeti. Questo fatto, apparentemente assai strano, può essere considerato come il filo conduttore, che seguono gli astronomi moderni, nell'investigare le origini del sistema.
Caduta la vecchia ipotesi di Laplace, che oltre a presentare gravissime difficoltà non spiegava questo fatto fondamentale, i moderni si sono orientati verso l'ipotesi planetesimale (v. anche XXXII, pp. 41-42) secondo la quale, alcuni miliardi di anni fa, una stella passò in vicinanza del Sole sollevando in esso, con la sua attrazione, due enormi protuberanze opposte. Queste si avvolsero intorno al globo solare nel senso del moto dell'astro perturbatore, dando così origine a due grandi spirali poste nel piano determinato dal Sole e dalla retta individuante la direzione del movimento della stella. Condensandosi in nuclei separati, diedero poi origine ai pianeti; e precisamente dalla protuberanza maggiore, situata tra il Sole e la traiettoria seguita dall'astro nacquero i grandi pianeti (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), mentre dalla protuberanza minore, situata dal lato opposto, nacquero pianeti più piccoli e più vicini al Sole (Mercurio, Venere, Terra e Marte). Questa ipotesi, che spiega immediatamente perché i pianeti si muovano intorno al Sole tutti nello stesso senso e perché le loro orbite siano quasi complanari, appare molto suggestiva anche per la sua grande semplicità e perché suffragata dalle osservazioni, che mostrano come le braccia di molte nebulose spirali tendano realmente a condensarsi in nuclei separati rotanti intorno alla nebula centrale. Ma un esame accurato fa apparire tre gravi difficoltà.
Infatti (cfr. H. Russell, The Solar System and its origin), il calcolo mostra che il momento della quantità di moto dei pianeti (pur essendo maggiore di quel che risulterebbe dall'ipotesi di Laplace) non sarebbe assolutamente preponderante rispetto a quello del globo solare. Inoltre i pianeti descriverebbero ellissi piuttosto allungate, e in ogni modo la loro distanza media dal Sole dovrebbe essere assai più piccola dell'attuale. Per sciogliere queste tre gravi difficoltà, G. Armellini ha recentemente formulato la seguente ipotesi.
Come è noto dalla fisica, se si ha una sorgente luminosa puntiforme d'intensità J, la quantità di luce Q che essa invia al minuto secondo sopra un cm2 di superficie piana disposta normalmente alla distanza r, è data da:
dove K è un coefficiente piccolissimo, e cioè è uguale al valore reciproco della velocità della luce preso col segno negativo, e dr/dt rappresenta la velocità radiale. Ora, l'Armellini ha completato la formula di Newton, supponendo che in realtà la forza di attrazione F che si esercita tra due punti di massa m ed m′ sia data da una formula analoga, e cioè si abbia:
dove f indica il coefficiente attrattivo della legge di Newton ed ε è un secondo coefficiente estremamente piccolo e di segno positivo, giacché il vettore gravitazionale è ora rivolto in senso contrario. Ora poiché ε è estremamente piccolo, con grande approssimazione l'attrazione F data dalla [2] risulta identica all'attrazione newtoniana. In conseguenza, il termine in ε non produce effetti apprezzabili alle osservazioni nel moto dei pianeti, fino a che si considerino intervalli non molto lunghi di tempo, p. es., di qualche secolo. Ma la conclusione è ben diversa quando si tratta d'intervalli di tempo di miliardi di anni, quali sono appunto i periodi cosmogonici. Per questa ragione, la ε viene chiamata col nome di coefficiente cosmogonico.
Ciò posto, s'immagini che ogni particella m della massa del Sole (considerato come un corpo sferoidico di massa preponderante) attragga ogni particella m′ di un pianeta con la legge [2]. Si dimostrano allora, col calcolo, le seguenti proprietà del moto dei pianeti:1) le eccentricità delle orbite planetarie vanno lentamente diminuendo col tempo, onde le orbite tendono ad assumere la forma circolare; 2) le distanze medie dei pianeti dal Sole vanno aumentando; e cioè i pianeti si allontanano sempre più dal Sole; 3) il momento della quantità di moto passa lentamente dal Sole nei pianeti; onde dopo un lungo intervallo di tempo (quale è appunto il tempo trascorso dalla formazione dei pianeti all'epoca attuale) esso viene a trovarsi quasi tutto raccolto nei pianeti stessi, come appunto mostrano le osservazioni; 4) il Sole diviene capace di catturare permanentemente corpi estranei, provenienti dagli spazî interstellari con orbite paraboliche o anche lievemente iperboliche, trasformando le loro orbite in ellissi con eccentricità sempre decrescenti.
I primi tre teoremi sciolgono completamente le tre difficoltà, a cui si è accennato parlando dell'ipotesi planetesimale, mentre il quarto mostra come il pianeta eccezionale Plutone - e probabilmente anche gran parte delle comete - potrebbe essere un corpo estraneo catturato dal sole. In proposito, si nota come le comete abbiano vita relativamente assai breve, disgregandosi facilmente in sciami di stelle cadenti (meteoriti), onde è difficile ammettere che la loro origine rimonti - come quella dei pianeti - a parecchi miliardi di anni or sono e sembra invece più plausibile supporre che esse siano venute a far parte del sistema solare in epoche posteriori. Ovviamente le loro orbite non hanno il tempo di trasformarsi in circolari, o quasi circolari, giacché la cometa si disgrega molto prima che tale trasformazione sia compiuta. L'origine del sistema solare sembrerebbe quindi spiegata, almeno nelle sue grandi linee.
Bibl.: Per la parte fisica e descrittiva cfr. principalmente le due riviste: The Astrophysical Journal, Chicago; Lick Observatory Bulletins, University of California. Per la parte cosmogonica, oltre al citato libro di H. Russell, The Solar System and its origin, Princeton 1935, cfr.: G. Armellini, I problemi fondamentali della cosmogonia e la legge di Newton, in Rend. dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia d'Italia dal 1937 al 1943.