Sistema solare
Il S. s. è oggetto di un'intensa attività di esplorazione attraverso numerose missioni che hanno come obiettivo la Luna, Marte, Giove, Saturno e alcuni asteroidi e comete. Altre sonde sono state lanciate verso Mercurio, Venere e Plutone: Mercurio sarà raggiunto nel marzo 2011 dalla missione MESSENGER (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry, and Ranging), lanciata nell'agosto 2004; attorno a Venere è entrata in orbita nell'aprile 2006 la sonda Venus Express, lanciata nel novembre 2005; infine, nel gennaio 2006 è partita la missione New Horizons, che arriverà su Plutone nel 2015. Nel seguito sono esposti gli sviluppi relativi principalmente alle conoscenze di Marte, Saturno e dei corpi minori del Sistema solare.
Una premessa essenziale riguarda la nuova definizione di pianeta formulata dalla IAU (International Astronomical Union) durante i lavori della xxvi Assemblea Generale svoltasi a Praga nell'agosto 2006, che ha comportato la riclassificazione di Plutone da pianeta a pianeta nano. La decisione ha posto fine a un acceso dibattito alimentato dall'esistenza di corpi nella fascia degli asteroidi e oltre l'orbita di Nettuno più grandi di Plutone. L'IAU ha stabilito che nel S. s. siano definite tre categorie di corpi celesti: pianeti, pianeti nani e tutti gli altri piccoli corpi (asteroidi, comete ecc.). Un pianeta è definito come un corpo celeste che orbitando attorno al Sole, ha una massa sufficientemente grande per cui l'autogravità prevale sulle forze di corpo rigido tanto da fargli assumere una forma approssimativamente sferica dovuta all'equilibrio idrostatico e ha 'ripulito' dagli altri corpi celesti la regione prossima alla sua orbita. L'ultima condizione si riferisce al processo evolutivo di accrescimento mediante cattura e aggregazione dei corpi circostanti, che per un pianeta deve essere terminato. Plutone si trova in una regione del S. s. piena di corpi celesti ghiacciati, per cui per esso tale condizione non è verificata.
Marte
Dopo le osservazioni telescopiche della seconda metà del 19° sec. e le missioni spaziali degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, l'esplorazione di Marte è entrata in una nuova fase. I satelliti in orbita (Mars Global Surveyor, 2001 Mars Odyssey e Mars Express), i moduli d'atterraggio (Sagan Memorial Station) e i veicoli mobili (Sojourner, Spirit e Opportunity) hanno offerto una visione complessiva del pianeta che per la quantità e la qualità dei dati raccolti è seconda solo a quella della Terra. In base alle caratteristiche topografiche e alle proprietà geologiche Marte può essere suddiviso in quattro grandi zone. Le calotte polari sono ricche di ghiacci, di anidride carbonica e acqua; l'emisfero settentrionale è pressoché piatto e mostra antiche linee costiere; nella zona equatoriale si trovano canyon profondi e giganteschi vulcani; infine l'emisfero meridionale è densamente craterizzato e dai suoi altopiani si dirama una fitta rete di vallate.
L'orografia marziana annovera sterminate depressioni e rilievi imponenti, che non hanno uguali nel Sistema solare. Lungo l'equatore si trova il sistema di canyon di Valles Marineris, che si estende per 4000 km (un quinto del diametro del pianeta) con una larghezza massima di 600 km e una profondità che arriva a 7 km. La frattura di Valles Marineris si snoda dall'altopiano di Tharsis, che ospita numerosi vulcani estinti tra cui Olympus Mons, alto 21 km, fino alle vallate che sfociano nella pianura di Chryse Planitia. Nell'emisfero sud, Hellas Planitia, che ha un diametro di 2300 km e una profondità massima di oltre 8 km, è uno dei più vasti crateri da impatto mai osservati. Il dislivello tra le quote di Tharsis e Hellas Planitia raggiunge dunque i 30 km contro i 20 km che si misurano sulla Terra tra il fondo della fossa delle Marianne e la cima del monte Everest. I canali e le valli, che dagli altopiani dell'emisfero sud si riversano nei bassopiani dell'emisfero nord, sono da 10 a 100 volte più grandi dei loro analoghi terrestri. È presumibile che siano il frutto di inondazioni catastrofiche piuttosto che il risultato dell'erosione di normali corsi d'acqua alimentati da piogge. Fino a 3,8 miliardi di anni fa, questa rete di valli alimentava un vasto oceano di forma vagamente triangolare, che ricopriva l'emisfero settentrionale tra le regioni di Amazonis Planitia, Utopia Basin e Chryse Acidalia. - Come gli oceani terrestri, esso non solo ha un fondo piatto e smussato dalla prolungata deposizione di sedimenti ma possiede anche una serie di terrazzamenti formati dall'erosione e dalla deposizione della sabbia lungo le sue linee costiere. Si stima che il volume di acqua liquida di questo antico oceano fosse equivalente a quella di un oceano globale (cioè distribuito sull'intera superficie planetaria) profondo tra 500 e 1000 m. Parte di questa riserva è andata consumata per effetto della dissociazione delle molecole d'acqua causata dai raggi ultravioletti della radiazione solare. La fotolisi, fenomeno che avviene negli strati alti dell'atmosfera, è responsabile della perdita di poche decine di metri d'acqua dell'antico oceano. Il resto della riserva deve quindi essere disperso nell'atmosfera o congelato sulle calotte polari e nel sottosuolo.
L'atmosfera di Marte è costituita per la maggior parte da anidride carbonica (95%) e azoto (3%) ed è molto rarefatta, tanto che la pressione media al suolo è inferiore ai 7 hPa. La temperatura media al suolo è di ≃−55 °C all'equatore e ≃−119 °C ai poli. Il contenuto atmosferico di vapore acqueo è così basso che se condensasse formerebbe sulla superficie uno strato liquido di soli 15 μm. Durante l'inverno marziano l'anidride carbonica si condensa nella regione polare formando uno strato di ghiaccio spesso 1 m che arriva a lambire le regioni situate a 50 gradi di latitudine. Con la primavera l'anidride carbonica ghiacciata sublima e ritorna nell'atmosfera. Viene così alla luce lo strato sottostante di ghiaccio d'acqua che, a causa del freddo e della bassa pressione, non si liquefa né sublima nemmeno d'estate. La quantità d'acqua delle calotte polari è confrontabile con quella persa per fotolisi. Quasi tutta l'acqua di Marte (96%) è quindi intrappolata nel terreno. Essa forma uno strato ghiacciato, la criosfera, che si spinge fino a 5 km di profondità nella zona equatoriale e fino a 13 km di profondità ai poli. Le colate fangose che si osservano attorno ai crateri a piedistallo sono prodotte dal parziale scioglimento della criosfera dovuto al calore liberato durante l'impatto che li ha generati. Per effetto della pressione degli strati sovrastanti, in profondità si possono verificare condizioni di temperatura e pressione tali da consentire la presenza di acqua liquida che si ipotizza possa sgorgare in superficie per scavare le gole e canali che sono stati osservati alle latitudini intermedie.
Combinando i rilevamenti topografici e le informazioni geologiche con le misure del campo gravitazionale si deduce che lo spessore totale della crosta è di circa 50 km e varia da un minimo di 40 km sotto Hellas a un massimo di 70 km sotto Tharsis. La densità media (5,5 g/cm3), il momento d'inerzia del pianeta (0,37) e la composizione della crosta e delle meteoriti marziane indicano che Marte ha un nucleo solido di ferro e nickel, il cui diametro è la metà del diametro del pianeta. Il nucleo è avvolto da uno spesso mantello, composto soprattutto di silicati, ed è più ricco di ferro di quello terrestre; sul mantello si appoggia la crosta. Il nucleo deve essere solido per giustificare l'assenza del campo magnetico globale. A dispetto di ciò alcune porzioni della crosta mostrano un campo magnetico locale la cui intensità massima può raggiungere 1,5 nT (pari a 10 volte l'intensità del campo magnetico terrestre) e la cui polarità rimane costante. Queste aree magnetizzate si trovano soprattutto nell'emisfero meridionale, sono larghe circa 200 km e si estendono in direzione est-ovest per quasi 2000 km. Le anomalie magnetiche più intense sono state identificate nella Terra Cimmeria. La presenza di questo magnetismo residuo prova che durante l'epoca in cui la crosta si è raffreddata, Marte aveva un intenso campo magnetico globale la cui polarità si invertiva spesso. Esso si è attenuato fino a scomparire quando il nucleo si è raffreddato e solidificato. La formazione di Hellas Planitia è avvenuta durante il periodo Noachiano, che è terminato 3,8 miliardi di anni fa ed è successiva alla scomparsa del campo magnetico dal momento che in quella regione non si misura alcuna anomalia.
La crosta di Marte, pur non essendo suddivisa in placche tettoniche, è tutt'altro che un guscio omogeneo e indifferenziato. Nell'emisfero meridionale è più fittamente craterizzata e quindi è più vecchia di quella dell'emisfero settentrionale. A sud è ricca di basalto e la sua formazione risale al periodo Noachiano. A nord si è formata durante il successivo periodo Esperiano, conclusosi 3 miliardi di anni fa e poi è stata ricoperta da una miscela di materiale vulcanico (forse andesite) e sedimenti. Il raffreddamento ritardato della crosta dell'emisfero settentrionale è la conseguenza di una distribuzione asimmetrica dei processi convettivi del mantello, che hanno convogliato verso nord la maggior parte del calore sprigionato dal nucleo. L'attività vulcanica, che in passato deve essere stata intensa, si è progressivamente estinta pur continuando sporadicamente anche nel periodo Amazoniano, ossia l'era geologica marziana attuale. Vi sono infatti tracce di colate laviche relativamente recenti, come quelle a sud di Elysium Mons che risalgono a soli 20 milioni di anni fa. Nella zona equatoriale si trovano affioramenti di ematite, un ossido ferroso spesso associato alla presenza di acqua liquida. Questi affioramenti sono molto circoscritti e probabilmente corrispondono a ciò che rimane del letto di antichi laghi.
La variazione stagionale del contenuto di anidride carbonica nell'atmosfera, correlata al periodico riscaldamento delle calotte polari, e il contenuto di polvere sono i principali ingredienti della meteorologia e del clima di Marte. La superficie del pianeta è completamente ricoperta da una spessa coltre di polvere formata dalla passata attività meteoritica e vulcanica e dall'attuale erosione eolica. I grani di polvere possono avere dimensioni che vanno da pochi nanometri a qualche decina di micron. Sono ricchi di ossidi di ferro, da cui trae origine la caratteristica colorazione rossastra del suolo.
Le polveri ricoprono anche i vulcani e si mescolano ai ghiacci polari; vengono sollevate dal vento, che può soffiare fino a velocità di 350 km/h e quando ricadono trascinano a terra le particelle di ghiaccio sospese nell'aria, che, sublimando, conferiscono al terreno un aspetto butterato. Le tempeste di polvere, che si scatenano durante la primavera australe e che possono durare mesi avvolgendo l'intero pianeta, sono la manifestazione più estrema dei fenomeni meteorologici marziani, tra cui vanno ricordati anche la formazione di nubi ghiacciate nell'alta atmosfera, di nebbie a bassa quota e di mulinelli di polvere, detti dust devils, sulla superficie.
Saturno e Titano
La missione Cassini/Huygens per lo studio di Saturno e del suo satellite principale, Titano, nasce dalla collaborazione tra la NASA (National Aeronautics and Space Administration) e l'ESA (European Space Agency) e vede un importante contributo da parte dell'ASI (Agenzia Spaziale Italiana). Si tratta di un progetto estremamente ambizioso e complesso sia dal punto di vista scientifico sia tecnologico, il cui costo (circa 3,5 miliardi di dollari), pur essendo elevato rispetto a quello delle altre missioni planetarie, è paragonabile alla spesa sostenuta per i programmi di osservazione dello spazio con i telescopi orbitanti.
Le dimensioni (6,7 m di altezza e 4 m di diametro) e la massa (5,7 t, di cui 3,1 t di combustibile) fanno di Cassini/Huygens una delle sonde più grandi mai lanciate nello spazio per l'esplorazione del Sistema solare. Per questo motivo il viaggio verso Saturno ha richiesto una complessa traiettoria di avvicinamento, durante la quale si sono svolte ben 4 manovre di flyby, rispettivamente con Venere (apr. 1998 e giugno 1999), la Terra (ag. 1999) e Giove (dic. 2000). L'inserimento nell'orbita di Saturno è avvenuto nel luglio 2004, a quasi 7 anni dal lancio. Pochi mesi dopo, il 25 dicembre 2004, alla fine della terza orbita attorno a Saturno e nel corso del quartosorvolo (flyby) con Titano, Cassini ha sganciato Huygens che è atterrato sul satellite il 14 gennaio 2005. Non a caso il lander prende il nome proprio dallo scienziato olandese che scoprì Titano nel 1655. L'orbiter deve il suo nome all'astronomo italiano che scoprì nel 1675 la più ampia delle divisioni degli anelli di Saturno. Cassini completerà entro il 2008 un totale di 76 orbite intorno a Saturno, compiendo 52 incontri con 7 delle sue lune. Sono infatti previsti passaggi ravvicinati con Titano, Iapeto, Dione e Rhea e incontri a distanza con Teti, Mimas e Iperione.
Lo studio del pianeta, che ha spesso rivestito un ruolo di secondo piano rispetto alla curiosità destata dalla maestosa bellezza degli anelli, è uno degli scopi principali della missione. Gli strumenti a bordo di Cassini dovranno caratterizzare le proprietà fisiche, la composizione chimica e i fenomeni energetici dell'atmosfera, la distribuzione e l'intensità del campo magnetico planetario e potrebbero svelare la sorgente di energia interna, grazie alla quale Saturno irraggia quasi il doppio dell'energia che riceve dal Sole. Orbitando a quote e a inclinazioni diverse, Cassini otterrà una mappa completa degli anelli che, combinata con le informazioni relative alla loro composizione, sarà utile a chiarire i meccanismi e i tempi della loro formazione, oltre al ruolo di stabilizzazione giocato dai satelliti. Saturno è dotato del più ricco sistema di lune di tutto il Sistema solare. Si contano 56 satelliti, i cui diametri variano da 3 a 5150 km, ma di cui si conosce molto poco. Soltanto 18 lune erano note al momento del lancio di Cassini/Huygens; le rimanenti sono state scoperte grazie a osservazioni condotte da terra durante la fase di crociera della sonda o da Cassini stessa dopo il suo arrivo.
Titano è più grande sia di Mercurio sia di Plutone, ma a renderlo straordinario non sono tanto le sue dimensioni ma la presenza di un'atmosfera che, essendo composta principalmente da azoto (circa il 94%) e metano (circa il 5%), potrebbe essere simile all'atmosfera prebiotica terrestre. Questo offre la possibilità di studiare in situ alcuni dei processi chimici che hanno condotto alla nascita della vita sulla Terra. I raggi cosmici, accelerati dal campo magnetico di Saturno, e la radiazione solare ultravioletta dissociano le molecole di azoto e metano, che raggiungono il limite della mesosfera a circa 500 km di quota. Dalla dissociazione si formano diversi idrocarburi, dall'etano al benzene, e nitriti, come l'acido cianidrico, che è un precursore della formazione degli amminoacidi. Sono proprio questi composti organici a generare nella stratosfera, a circa 300 km di altezza, il fitto strato di nebbia che avvolge Titano e gli conferisce la tipica colorazione arancione. Sotto i 50 km le condizioni di temperatura e pressione della troposfera fanno sì che il metano e l'etano possano condensare in nubi e poi ricadere sulla superficie sotto forma di pioggia, trascinando parte dei composti organici sospesi nell'aria. Al suolo, la temperatura di ≃ −180 °C e la pressione di 1,5105 Pa consentono la formazione di fiumi, laghi e mari di metano e di etano liquidi, che, evaporando, instaurano un ciclo idrogeologico in cui il metano, più volatile dell'etano, sostituisce l'acqua. A causa della dissociazione negli strati alti, il metano si esaurirebbe nel giro di qualche milione di anni. Per questo si pensa che esso sia prodotto nelle profondità del satellite e venga continuamente reimmesso nell'atmosfera attraverso processi geofisici come l'attività vulcanica a basse temperature (criovulcanismo). Queste teorie sviluppate in seguito ai dati raccolti dai due Voyager durante i loro passaggi ravvicinati (flybys) con Saturno del dicembre 1980 e nell'agosto 1981, hanno trovato una prima conferma indiretta con le osservazioni ottiche e radio condotte da terra pochi anni prima dell'arrivo di Huygens su Titano. Tali osservazioni hanno provato l'esistenza di nubi in rapida evoluzione nella regione del Polo sud e di vaste zone piatte, assimilabili a mari, con dimensioni di qualche centinaio di chilometri.
Non potendo prevedere le caratteristiche del punto d'impatto di Huygens con la superficie di Titano, il lander è stato dotato di una strumentazione adatta a funzionare anche nel caso di ammaraggio. Alla fine, Huygens si è posato in una zona asciutta. Qui la presenza di metano liquido era ridotta alle tracce di umidità intrappolata nel suolo a pochi centimetri dalla superficie, come se non fosse trascorso molto tempo dall'ultima pioggia. Dal momento dell'ingresso in atmosfera all'istante dell'impatto sono trascorse circa 2,5 ore. Durante la discesa Huygens ha misurato le proprietà fisiche e la composizione chimica dell'atmosfera, mentre la sua velocità veniva ridotta da 6 km/s iniziali a 5 m/s finali grazie all'uso in sequenza di tre paracaduti (pilota, principale e stabilizzatore). È stato così possibile stabilire che lo strato di nebbia ha uno spessore di almeno 200 km e che le nubi di metano si formano a una quota di circa 20 km. Infatti a partire da questa altezza il lander ha inviato le prime immagini nitide della superficie di Titano, rivelando una topografia complessa e certamente modellata dalle piogge di metano ed etano: si riconosce una rete intricata di canali di drenaggio, che si estendono da altopiani di colore chiaro fino a sfociare in vaste pianure di colore più scuro. Il diverso colore dei terreni viene attributo all'azione delle piogge, che hanno lavato dalla superficie lo strato scuro dei composti organici precipitati al suolo mettendo in luce il ghiaccio e l'ammoniaca sottostanti. I composti organici sono stati convogliati attraverso i canali fino alle pianure dove finiscono per accumularsi. L'intensità dei fenomeni criovulcanici è testimoniata dalla presenza di colate di ghiaccio d'acqua che fuoriescono dalla superficie di Titano e di sorgenti di metano situate ai piedi delle colline. Dopo l'atterraggio Huygens è rimasto in contatto con Cassini per oltre un'ora, un intervallo di tempo insufficiente per trarre conclusioni generali sulla frequenza delle piogge e quindi sulla quantità di metano ed etano liquidi presenti sulla superficie di Titano, per le quali dovremo attendere l'analisi dei dati che Cassini potrà raccogliere durante i 45 flybys programmati attorno a Titano.
Asteroidi
Anche i corpi minori del S. s. sono diventati finalmente oggetto di missioni spaziali. Dallo studio della composizione chimica degli asteroidi è possibile ricostruire la storia della formazione dei corpi del S. s., iniziata circa 4,5 miliardi di anni fa quando i grani di polvere della nube protoplanetaria cominciarono a condensare e collidere per formare i primi corpi rocciosi, i planetesimi. Come i pianeti, anche gli asteroidi sono il prodotto della fusione dei planetesimi, oltre che della cattura di gas e polveri. La maggior parte degli asteroidi è confinata nella fascia compresa tra le orbite di Marte e Giove, ma ve ne sono alcuni, i NEA (Near Earth Asteroids), la cui orbita si avvicina e a volte interseca quella della Terra. Di quasi 300.000 asteroidi di cui è stata calcolata l'orbita, solo 12.000 sono quelli a cui l'IAU ha attributo un nome oltre alla sigla alfanumerica di designazione. A dispetto della quantità, la massa totale di questi corpi è lo 0,1% della massa della Terra. Infatti le loro dimensioni non superano 1000 km di diametro a causa degli effetti gravitazionali indotti da Giove, che hanno impedito la formazione non solo di corpi più grossi ma anche di un pianeta vero e proprio. Le osservazioni da terra e dallo spazio indicano che gli asteroidi più grandi hanno subito una differenziazione analoga a quella dei pianeti interni, che ha generato un nucleo metallico e una crosta di silicati. Al contrario, alcuni degli asteroidi più piccoli potrebbero aver conservato una composizione più simile a quella primordiale. Dopo il successo dei flybys di Galileo con 951 Gaspra (ott. 1991) e 243 Ida (ag. 1993), la NASA ha costruito e lanciato nel 1997 la sonda interamente dedicata allo studio degli asteroidi NEAR (Near Earth Asteroids Rendezvous). Nel giugno 1997 la sonda è passata a meno di 1200 km da 253 Mathilde, un asteroide della fascia principale, ha fotografato il 60% della sua superficie e ne ha misurato le caratteristiche fisiche e la composizione. A differenza delle superfici di Gaspra e Ida, che sono ricche di silicati di ferro e magnesio mescolati a ferro e nickel metallico (tipo S), quella di Mathilde è composta soprattutto di carbonio (tipo C). I tipi S e C caratterizzano rispettivamente il 15% e 75% degli asteroidi noti. La densità di Mathilde è circa la metà di quella dei meteoriti più simili, le condriti carbonacee, pertanto Mathilde deve essere un corpo molto poroso, risultato dell'aggregazione di più parti. L'asteroide è pertanto in grado di assorbire e dissipare molta energia dovuta a un impatto; ciò spiega perché sia sopravvissuto a colpi tanto violenti da aprire crateri che hanno un diametro addirittura maggiore del suo raggio medio (30 km).
NEAR ha poi proseguito verso il NEA 433 Eros, attorno a cui ha orbitato durante tutto il 2000. Eros è un conglomerato di tipo S di 13 km di diametro e 33 km di lunghezza. La sua forma vagamente cilindrica ha richiesto numerosi aggiustamenti dell'orbita di NEAR prima di tentare l'atterraggio nel febbraio 2001. A dispetto della bassa gravità, Eros è ricoperto da uno strato di regolite. I dati ottenuti segnano l'inizio di una nuova fase per la geologia planetaria e hanno contribuito ad abbandonare l'idea che gli asteroidi più piccoli fossero tutti oggetti primordiali o frammenti di asteroidi più grandi. NEAR, ribattezzata NEAR-Shoemaker in onore del planetologo statunitense E.M. Shoemaker (1928-1997), è stata la prima delle missioni Discovery, che si contraddistinguono per la rapida realizzazione (in meno di 3 anni) a costi contenuti (inferiori a 300 milioni di dollari).
Nel luglio 1999, mentre NEAR si dirigeva verso Eros, Deep Space 1 si è avvicinata a circa 26 km dall'asteroide NEA 9969 Braille. Lanciata nell'ottobre 1998, Deep Space 1 ha segnato l'avvio del programma New Millennium, che è stato concepito dalla NASA per mettere alla prova nello spazio nuove tecnologie utili per future e più complesse missioni. Le immagini ottenute durante il flyby hanno mostrato che Braille è un piccolo asteroide di forma allungata di circa 2 km di lunghezza e 1 km di larghezza. Le sue caratteristiche sono simili a quelle di 4 Vesta, che, con un diametro di 525 km, è l'unico dei grandi asteroidi a essere ricoperto di basalto vulcanico. Ciò dimostra che Vesta ha avuto processi geologici in qualche misura simili a quelli terrestri. A differenza di Eros, Braille è monolitico e potrebbe essere un frammento staccatosi da Vesta, o da un altro asteroide simile a Vesta che oramai è completamente disgregato; su Vesta è infatti stato fotografato dal telescopio spaziale Hubble un vasto cratere da impatto di 430 km di diametro. Dopo il flyby con Braille la missione scientifica di Deep Space 1 è stata estesa e la sua traiettoria indirizzata verso due comete, la 107P/Wilson-Harrington e la 19P/Borrelly. A causa di un problema del sistema di guida è stato possibile effettuare solamente il secondo flyby.
L'agenzia spaziale giapponese JAXA (Japan Aerospace Eexploration Agency) ha spedito la sonda Hayabusa (già nota come Muses-C) verso l'asteroide NEA 25143 Itokawa per raccogliere campioni di materiale da riportare sulla Terra. Partita nel settembre 2003, Hayabusa ha incontrato Itokawa nell'ottobre 2005 e nel novembre successivo è atterrata sull'asteroide raccogliendo alcuni campioni di materiale. La missione si concluderà nel 2010 con il rientro controllato via paracadute della capsula che contiene i campioni da analizzare. Vesta e Cerere, quest'ultimo il più grande degli asteroidi (950 km di diametro), saranno raggiunti rispettivamente nel 2011 e nel 2015 dalla missione Dawn, il cui lancio è programmato per l'estate 2007. Cerere mostra ghiaccio e vapore d'acqua in superficie e forse possiede acqua liquida nelle sue profondità. Quantificare la massa d'acqua di Cerere può aiutare a confermare la teoria secondo cui gli oceani terrestri siano in parte il risultato dello scioglimento dei ghiacci di comete e asteroidi che hanno colpito la Terra in epoche remote.
Comete
Come gli asteroidi, anche le comete conservano informazioni sulla composizione primordiale del S. s., poiché provengono dalle sue regioni più esterne e trascorrono la maggior parte della loro vita in un ambiente che non è stato alterato dai processi di formazione planetaria. Le missioni spaziali sono state indirizzate verso comete a breve periodo. Queste comete hanno orbite note e si muovono vicino al piano dell'eclittica, completando il loro viaggio attorno al Sole in meno di 200 anni. Esse provengono dalla regione toroidale, nota come fascia di Kuiper, che si estende dall'orbita di Nettuno fino a circa 100 UA dal Sole e in cui sono stati identificati a partire dal 1992 circa 900 oggetti definiti transnettuniani. Le orbite delle comete a lungo periodo sono meno conosciute. Esse impiegano anche milioni di anni per completare una rivoluzione attorno al Sole e arrivano direttamente dalla nube di Oort, situata a una distanza dal Sole compresa tra 3000 e 100.000 UA. Si ipotizza che le comete a lungo periodo si siano formate da planetesimi condensati sul piano dell'eclittica nella regione di Urano e Nettuno e siano state scagliate verso l'esterno a causa delle interazioni gravitazionali con i pianeti giganti. La distribuzione casuale delle orbite, che possono avere anche una forte inclinazione rispetto all'eclittica, viene attribuita alle interazioni con stelle e nubi di gas che si trovano a grande distanza dal Sole.
Stardust è la quarta missione del programma Discovery, dopo NEAR, Mars Pathfinder e Lunar Prospector; è partita nel febbraio 1999 alla volta della cometa 81P/Wild-2. Questa cometa ha un periodo di 6,4 anni ed è stata scelta perché originariamente si muoveva su un'orbita esterna rispetto a quella di Giove. Solo nel 1974, a causa dell'attrazione gravitazionale del pianeta gigante, essa si è spostata su una nuova orbita più vicina al Sole. Nel novembre 2002 Stardust ha compiuto un flyby a 3300 km dall'asteroide 5535 Annefrank, allo scopo di verificare il funzionamento delle apparecchiature prima dell'incontro con la cometa. Le immagini mostrano un asteroide dalla forma irregolare di circa 8 km di diametro e dalla superficie craterizzata. Nel gennaio 2004 Stardust ha attraversato la chioma di 81P/Wild-2 a circa 240 km dal nucleo, che è apparso piccolo (circa 5 km di diametro) e ricco di crateri. Sulla base dell'esperienza acquisita con Giotto, i danni e l'effetto destabilizzante prodotti dagli urti con le particelle della cometa sono stati minimizzati rivestendo la sonda di materiale ceramico e riducendo la velocità di flyby (circa 6 km/s contro 68 km/s di Giotto). Durante il flyby una griglia ricoperta di aerogel, una schiuma di vetro vuota al 99%, ha raccolto particelle di polvere e molecole di gas sublimate dal nucleo. Il materiale cometario, insieme alle altre particelle di polvere interstellare catturate durante il volo di crociera, è stato stivato in una capsula ermetica ed è stato riportato sulla Terra il 15 gennaio 2006. Questa strategia ha offerto vantaggi dal punto di vista sia economico sia scientifico: non è stato necessario progettare e imbarcare strumenti molto sofisticati perché l'analisi dei campioni sarà compiuta in laboratorio.
Nel settembre 2001 Deep Space 1 ha attraversato la chioma di 19P/Borrelly a una velocità relativa di 16 km/s e ne ha analizzato il nucleo con immagini e spettri mostrando che è diverso da quello di Wild-2, avendo una forma cilindrica di 8 km di lunghezza e 4 km di diametro e non molti crateri. La superficie è piuttosto scura; si tratta di una miscela ricca di carbonio e molecole organiche che si accumulano a mano a mano che i ghiacci e le polveri più leggere si disperdono nello spazio. La longevità della cometa dipende dallo spessore di questa coltre scura, che isola il ghiaccio sottostante e ne rallenta la sublimazione durante i frequenti passaggi al perielio, poiché la cometa ha un periodo relativamente breve (6,9 anni).
Nel luglio 2005 la sonda Deep Impact ha sganciato un modulo impattatore di 372 kg davanti al nucleo della cometa 9P/Tempel-1 che lo ha investito a una velocità relativa di 10 km/s. L'impattatore era dotato di un sistema autonomo di navigazione e di un piccolo propulsore a idrazina per ottimizzare la traiettoria di impatto. Esso è stato costruito soprattutto con rame (49%) e alluminio (24%) al fine di minimizzare gli effetti di contaminazione. Questi elementi non si trovano sulle comete e quindi sono immediatamente identificabili come estranei quando per l'impatto si vaporizzano e si mescolano con il materiale eiettato dal nucleo (tra cui acqua, idrocarburi e anidride carbonica). Le immagini più ravvicinate di Tempel-1 sono state riprese dalla sonda a circa 500 km e dal modulo impattatore a meno di 30 km di distanza: esse mostrano marcate analogie con il nucleo di Borrelly. Tempel-1 ha un nucleo relativamente tondeggiante con un diametro di 6 km. Su di esso l'attività cometaria e il vento solare hanno lasciato una coltre di polvere pesante e scura distribuita in maniera disomogenea. La polvere forma i coni dei crateri di impatto ma lascia intravedere in alcune zone concentrazioni di materiale brillante che potrebbe essere ghiaccio.
Dopo Giotto, Deep Space 1 e infine Stardust, che hanno raccolto informazioni dettagliate sulla struttura e sulla composizione superficiale delle comete, la missione Deep Impact è stata concepita per indagare la composizione del materiale cometario al di sotto della superficie. L'energia cinetica liberata durante l'impatto ha vaporizzato e sollevato grandi quantità di materiale creando sulla superficie un cratere largo circa 200 m e profondo 50 m. Questo ha permesso di capire che la cometa, o almeno i suoi strati esterni, sono costituiti da materiale omogeneo, indifferenziato e poco coeso che è stato accresciuto nel corso del tempo senza subire grosse trasformazioni geologiche. Se la cometa fosse stata fatta di materiale rigido o al contrario molto poroso allora il cratere sarebbe stato più piccolo. Deep Impact rientra nel programma Discovery: la missione, lanciata nel gennaio 2005, è stata estesa e la sonda deviata per compiere un flyby con la cometa 85P/Boethin (periodo 11,2 anni) nel 2008.
Per avere immagini di un nucleo cometario migliori di quelle di Deep Impact dovremo aspettare l'arrivo della sonda Rosetta verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (periodo 6,6 anni), che avverrà nell'agosto 2014 con l'inserimento in orbita attorno al nucleo. Rosetta è programmata per seguire l'attività della cometa durante tutta la fase di massima attività. Saranno compiute diverse orbite intorno al nucleo prima di farvi atterrare il lander, analogamente a quanto già sperimentato da NEAR con Eros. Secondo i piani, Rosetta avrebbe dovuto raggiungere la cometa 46P/Wirtanen (periodo 5,5 anni), ma il ritardo del lancio, dovuto ad alcuni problemi con il razzo Ariane 5, ha reso Wirtanen irraggiungibile e ha imposto all'ESA la scelta di un'altra cometa.
Accanto a tanti successi va annoverato un unico fallimento, quello di CONTOUR (Comet Nucleus Tour), disintegratasi nell'agosto 2002 a pochi mesi dal lancio. La sonda si è distrutta a causa di un imprevisto surriscaldamento seguito all'accensione del motore di controllo nel corso della manovra di uscita dall'orbita terrestre. Tra il 2003 e il 2008 CONTOUR avrebbe dovuto eseguire dei flybys a meno di 100 km di distanza dalle comete 2P/Encke (periodo 3,3 anni), 73P/Schwassmann-Wachmann-3 (periodo 5,4 anni) e 6P/d'Arrest (periodo 6,5 anni) per studiarne l'attività in corrispondenza del passaggio al perielio.