SOLARE, SISTEMA
È l'insieme del Sole e dei corpi celesti (Terra, pianeti e loro satelliti, comete) che gravitano e si muovono intorno a esso, cioè l'insieme delle stelle erranti degli antichi (oltre la Terra), contrapposte alle stelle fisse, che sono le nostre stelle, senza aggettivo. L'accettazione dell'ipotesi eliocentrica (moto intorno al Sole dei pianeti) avvenne con difficoltà e con ritardo dopo Copernico e Galileo e trovò la sua giustificazione teorica col Newton. Gli antichi si sforzarono di spiegare il mistero dei corpi celesti sospesi ed equilibrati nello spazio e il segreto dei complicati moti apparenti dei pianeti, come dei più semplici moti del Sole e della Luna.
1. a) La scuola di Pitagora di Samo, che ha il suo interprete in Filolao (sec. V a. C.), immaginava la Terra, come gli altri pianeti e come il Sole e la Luna, sferica e rotante intorno a sé stessa e intorno a un fuoco centrale (Vesta), centro dell'universo; la teoria, ispirata da pregiudizî di carattere numerico, era complicata da un'ipotetica Antiterra fra la Terra e il fuoco centrale. Pitagora stesso coi toni musicali mise in relazione le distanze planetarie dalla Terra relativamente al fuoco centrale, immaginando l'armonia dell'universo, suscitata dal moto dei pianeti; fantasia che si adattò alla concezione delle sfere omocentriche (armonia delle sfere) e sopravvisse nei secoli, esaltando l'estro dei poeti (Dante, Shakespeare, Goethe).
b) Aristotele, preceduto da alcuni filosofi della scuola platonica, escogitò il congegno delle sfere omocentriche, con centro nella Terra, sulle quali si muovevano rispettivamente: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno; su di un'ottava sfera esterna a tutte queste si muovevano di conserva le stelle. E poiché a risolvere soddisfacentemente il problema proposto da Platone "in qual modo ridurre a moti circolari ed uniformi (come voleva la perfezione delle cose celesti) i moti dei pianeti, che appaiono così irregolari" le otto sfere non bastavano, Eudosso di Cnido (408-355 a. C.) attribuì a ciascun pianeta più sfere omocentriche (sempre con centro nella Terra) rotanti uniformemente intorno ad altrettanti assi passanti tutti per il centro della Terra. Assi e velocità angolari dei corrispondenti moti erano scelti in guisa che il moto risultante riproducesse nel miglior modo le apparenze osservate: così Sole e Luna erano portati da tre sfere ciascuno, i cintlue pianeti da quattro sfere ciascuno; esterna a queste 26 sfere la sfera delle fisse o primo mobile. Callippo di Cizico (sec. IV a. C.) portò le 26 sfere a 33; a esse Aristotele attribuì una vera entità fisica, complicò il modello introducendo oltre le prime (deferenti), le sfere reagenti, destinate a trasmettere alle sfere del contiguo pianeta interno il moto del primo mobile, sicché il numero totale delle sfere salì a 55, e infine a 79 con l'ultimo tardo superstite dei partigiani della teoria, Girolamo Fracastoro (1479-1553).
c) Più notevole di tutti, ma meno seguito e presto abbandonato, il sistema di Eraclide Pontico (sec. IV a. C.): anch'egli, come Pitagora, spiegò l'apparente moto diurno del cielo con la rotazione equatoriale terrestre: i pianeti erano per lui globi sospesi nell'etere, circondati da atmosfere: Mercurio e Venere rotavano intorno al Sole, il quale a sua volta rotava intorno alla Terra (primo esempio di moto epiciclico, che si ritrova nel sistema tolemaico). Lo stesso schema fu esteso dalla scuola di Eraclide a Marte, Giove e Saturno, così da dar luogo sin d'allora a quello che fu poi il sistema di Tycho Brahe (1546-1601) o sistema ticonico. Di più Eraclide, sia pure da un punto di vista soltanto teorico, rilevò che, se anche la Terra avesse girato intorno al Sole, centro comune delle altre rivoluzioni planetarie, non avrebbero mutato le apparenze presentate a noi da tali moti: era con ciò ammessa la possibilità teorica del moto eliocentrico di tutti i pianeti e cioè del sistema copernicano, lontano nel futuro di due millennî. Aristarco di Samo (sec. III a. C.) espose e sostenne le idee di Eraclide, adombrando sicuramente il sistema copernicano e intuendo la distanza enorme delle stelle.
d) Sistema tolemaico. - Per rispettare il dogma trionfante dell'immobilità della Terra nello spazio, si preferisce far muovere piuttosto Sole e pianeti intorno a punti senza consistenza fisica. Con Ipparco (sec. Il a. C.) e poi con Tolomeo (sec. II a. C.), della scuola alessandrina, si ammette che Luna e Sole ruotino uniformemente intorno alla Terra e, fra le orbite loro, su due circoli concentrici (deferenti), si muovano uniformemente dei punti immaginarî, intorno ai quali rispettivamente e pure uniformemente Mercurio e Venere ruotano, descrivendo piccoli cerchi detti epicicli; in modo analogo, esternamente al cerchio deferente percorso dal Sole, si facevano muovere Marte, Giove e Saturno (fig.1). S'intravede, senza dimostrazione, come scegliendo opportunamente i raggi dei deferenti e degli epicicli e le velocità angolari (costanti) sul deferente e sull'epiciclo, si potesse riprodurre con qualche approssimazione il moto apparente dei pianeti, quale cioè è visto dalla Terra. Ma per raggiungere una migliore rappresentazione, non essendo uniforme il moto del Sole sull'eclittica, si dovette spostare dal centro della Terra il centro del circolo percorso dal Sole, cioè ricorrere per il Sole a un eccentrico e complicare anche per i pianeti lo schema ora descritto, aggiungendo ulteriori epicicli, facendo cioè muovere i pianeti su epicicli col centro mobile su un primo epiciclo.
2. Nicolò Copernico - che studiò in Italia - proclamò prima e sostenne poi nel 1543 con ampia dimostrazione nel De revolutionibus orbium coelestium il suo sistema, secondo il quale solo la Luna girava intorno alla Terra, mentre questa e tutti gli altri pianeti giravano, in piani poco diversi, intorno al Sole; la rotazione terrestre poi intorno all'asse polare dava ragione dell'apparente moto diurno del firmamento; il quale asse polare, mantenendosi quasi perfettamente parallelo a sé stesso nello spazio durante la rivoluzione annua intorno al Sole, dava ragione del succedersi delle stagioni. S'è detto "quasi perfettamente" perché Copernico, ammettendo la lentissima rotazione conica (sappiamo che il suo periodo è di circa 26.000 anni) di quell'asse intorno all'asse perpendicolare all'eclittica, spiegava così il fenomeno della precessione (v. equinozî), scoperta da Ipparco. Siccome però egli credeva ancora circolari le orbite ed errava sulla stima delle velocità planetarie, così gli epicicli non erano per anco ripudiati dal suo schema, nel quale tuttavia già le stelle erano collocate a distanza immensa, senza di che l'ampio moto orbitale della Terra avrebbe dovuto periodicamente e sensibilmente alterare la visione prospettica delle costellazioni.
Le idee di Copernico sollevarono grande interesse e lunghe dispute, come ognun sa; Galileo vi portò poi il suffragio del suo genio con l'argomentazione teorica e con le prove sperimentali del suo cannocchiale, col quale mostrò le fasi di Venere e le macchie solari.
Ma trascorsero tre quarti di secolo dal De revolutionibus prima che il segreto e l'armonia del sistema solare fossero, con Giovanni Keplero, del tutto svelati. Nel 1618 infatti egli pubblicava le sue famose tre leggi (1. Le orbite dei pianeti sono ellissi, aventi un fuoco comune in cui si trova il Sole; 2. Per ciascun pianeta le aree descritte dal raggio vettore Sole-pianeta sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle; 3. I quadrati delle durate delle rivoluzioni dei varî pianeti sono proporzionali ai cubi dei semigrandi-assi delle orbite), dedotte dalla ventennale elaborazione del vasto materiale di osservazione del suo maestro Tycho Brahe, il quale, col suo sistema (ticonico) addietro citato, aveva segnato un passo indietro rispetto a Copernico. Con Copernico s'era infranta la sfera cristallina delle stelle fisse; con Keplero sottentravano agli eccentrici ed agli epicicli le ellissi orbitali con uno dei fuochi occupato dal Sole; alla magia dei numeri, alla tirannia delle forme geometriche perfette, all'armonia delle sfere dei sistemi antichi si sostituiva l'armoniosa proporzione della sua terza legge; con entrambi, detronizzatane la Terra, centro del mondo planetario diveniva il Sole.
Ma le leggi di Keplero erano leggi empiriche: alla causa che le rendeva necessarie giunse - dopo che Galileo aveva dimostrato l'eguaglianza della gravità per tutti i corpi terrestri e l'indipendenza dei movimenti - il genio di Isacco Newton con la sua legge della gravitazione universale (due corpi qualunque si attraggono in ragione diretta delle masse e in ragione inversa del quadrato delle distanze).
L'opera di Keplero e del Newton resta e resterà fondamentale seppure le leggi del primo facciano astrazione dalle perturbazioni e in particolare la 3ª sia inesatta - per quanto molto approssimata -, e seppure le teorie dell'Einstein abbiano portato a quella del Newton modificazioni concettuali notevoli, ma praticamente quasi insensibili, nel mondo solare almeno. La conoscenza del quale, invece, con l'introduzione e il progresso enorme dei mezzi visuali e fotografici e con la feconda applicazione della teoria newtoniana (meccanica celeste) è andata via via facendosi più vasta e più profonda.
3. Ai cinque pianeti noti sino dall'antichità solo nel 1781 si aggiunse Urano, nel 1801 il primo dei piccoli pianeti, i quali divennero presto famiglia numerosa e poi, con la fotografia, numerosissima; nel 1846 fu scoperto Nettuno, nel 1930 Plutone (v. pianeta; pianetini). Vediamo prima meglio quanto riguarda le orbite planetarie e la loro determinazione, per poi dire delle particolarità dei moti planetarî quali sono visti dalla Terra e infine riassumere in qualche quadro numerico le caratteristiche principali dei membri del sistema solare.
Il problema del moto dei pianeti non è così semplice come la semplicissima legge newtoniana e quelle pur semplici di Keplero potrebbero forse far supporre. L'attrazione si esercita mutuamente fra tutti i corpi del sistema solare, sicché tenere in conto solo quella mutua fra Sole e un dato pianeta, per quanto essa sia di gran lunga preponderante, se conduce in generale a risultati bene approssimati, non conduce a risultati rigorosi; d'altra parte, già volendo trattare nella sua generalità il moto di un sistema di tre corpi - Sole e due pianeti - a sé, s'incontrano, nella maggior parte dei casi, difficoltà insormontabili (v. tre corpi, problema dei). Le difficoltà si girano calcolando l'effetto, sugli elementi dell'orbita dedotta per il semplice sistema dei due corpi (Sole e pianeta), dell'azione attrattiva di quegli altri pianeti che, per la loro massa e per il loro avvicinamento, possono esercitare influenze, o, come si dice, perturbazioni apprezzabili (v. perturbazioni).
Trattando dunque il problema dei due corpi, da tre posizioni teoricamente, praticamente da una serie di posizioni di un pianeta, osservate lungo un discreto arco della sua orbita, è possibile determinare l'orbita stessa e la posizione del pianeta su quella a ogni istante (salvo l'effetto delle perturbazioni): a tale scopo occorre e basta determinare: il piano dell'orbita (passante per il Sole) mediante la sua intersezione e la sua inclinazione con quello dell'eclittica; la forma e le dimensioni dell'orbita (ellittica per i pianeti e per la grande maggioranza delle comete) mediante la lunghezza del semiasse maggiore e l'eccentricità (cioè la misura dell'allungamento dell'ellisse); l'orientamento dell'asse stesso nel piano orbitale e infine la posizione del pianeta sull'orbita a un dato istante, o l'istante del passaggio del pianeta per un punto caratteristico dell'orbita; la 2ª legge di Keplero ci farà ritrovare il pianeta in qualunque tempo sull'orbita così fissata.
4. Si parla sin qui del moto planetario intorno al Sole, moto del quale si avrebbe nel miglior modo sensazione immediata e non alterata ponendosi a conveniente distanza sulla direzione perpendicolare al piano orbitale e passante per il centro dell'orbita; ma all'osservazione comune più interessa, perché è quello che realmente ci appare, l'aspetto del moto stesso quale è visto dalla Terra, cioè, come si dice, il moto geocentrico del pianeta. Tale aspetto è naturalmente più complicato del semplice moto orbitale, che ne è una componente, perché l'altra componente è (preso in verso opposto secondo il principio dei moti relativi) il contemporaneo moto orbitale della Terra, sulla quale noi ci troviamo a osservare, donde le difficoltà incontrate dagli antichi a spiegare questo moto geocentrico. Mentre si chiama periodo di rivoluzione il tempo necessario al pianeta per percorrere tutta la sua orbita ellittica intorno al Sole, si chiama periodo sinodico l'intervallo fra due congiunzioni successive (omonime se si tratta di pianeti inferiori), fenomeno che tosto definiremo.
Se si semplifica il problema, ammettendo circolari tanto l'orbita planetaria quanto quella terrestre e ambedue nello stesso piano (inclinazione della prima sulla seconda nulla), la semplicissima formula - approssimata però, per le ipotesi fatte - che permette di calcolare l'un periodo quando sia noto l'altro, ove s' indichino con P e P′ i periodi di rivoluzione del pianeta e della Terra (P′ è quindi la durata dell'anno) e con S il periodo sinodico del pianeta, sarà:
per i pianeti inferiori (Mercurio e Venere) e
per i pianeti superiori (tutti gli altri); grazie, alla 3ª legge di Keplero, si possono introdurre in queste eguaglianze, al posto dei periodi P e P′ di rivoluzione, i corrispondenti semiassi maggiori a e a′ col giusto esponente.
5. Si distinguono durante il periodo sinodico posizioni e disposizioni caratteristiche. Si ha congiunzione (fig. 2) quando il pianeta è dalla stessa banda del Sole e sullo stesso piano perpendicolare all'eclittica e perciò invisibile, il che si verificherà una sola volta durante il periodo sinodico per i pianeti superiori, due volte per gl'inferiori (Mercurio e Venere); e si chiamerà allora congiunzione superiore quella in cui il pianeta è al di là del Sole, inferiore quella in cui il pianeta è al di qua del Sole; si ha opposizione quando il pianeta, trovandosi ancora sullo stesso piano perpendicolare all'eclittica col Sole, è invece dalla banda opposta del Sole rispetto alla Terra e passerà quindi in meridiano verso mezzanotte, nelle migliori condizioni di visibilità; i pianeti inferiori non possono quindi passare in opposizione, anzi non possono - sempre visti dalla Terra - scostarsi da una banda o dall'altra oltre un certo angolo dal Sole, e precisamente oltre 28° por Mercurio oltre 48° por Venere: tali massimi scostamenti, che non raggiungono sempre questi valori estremi, si chiamano massime elongazioni. Mercurio e Venere, più spiccatamente il primo, sono perciò stelle mattutine o vespertine, non mai propriamente notturne. Questi due pianeti non possono quindi nemmeno presentare l'aspetto della quadratura, cioè raggiungere una distanza angolare di 90° dal Sole verso est o verso ovest, come invece si verifica per gli altri pianeti (superiori).
Fra la congiunzione superiore e l'inferiore, Mercurio e Venere sono vespertini; fra. l'inferiore e la superiore, mattutini, salvo i tratti d'invisibilità presso le congiunzioni: nei pressi della congiunzione inferiore il movimento apparente loro è retrogrado, cioè nel senso del moto delle sfere dell'orologío: per il resto del periodo sinodico e quindi per una durata di tempo ben maggiore, il moto apparente è diretto, nei due momenti di cambiamento di verso del moto si hanno i punti stazionarî.
Anche i pianeti superiori presentano ora moto diretto, ora - per una minor durata - moto retrogrado, separati da due punti di stazionarietà: è facile vedere che la congiunzione, e quindi l'invisibilità loro, si ha durante il moto diretto, l'opposizione, e quindi le condizioni più favorevoli alla visibilità, durante il moto retrogrado. Se le orbite dei pianeti fossero nello stesso piano di quella terrestre (eclittica), quando cambiano il senso del loro moto apparente, essi ripasserebbero per le stesse posizioni, le quali giacerebbero tutte sull'eclittica stessa e si avrebbe passaggio dei pianeti inferiori sul disco del Sole a ogni congiunzione inferiore, fenomeno che invece si verifica raramente: ma poiché le orbite planetarie sono inclinate su quella terrestre, così al mutar di senso del loro moto apparente (geocentrico) essi descrivono sulla sfera celeste dei zig-zag o dei cappî.
6. Oltreché in pianeti inferiori e superiori, si sogliono anche distinguere i pianeti in interni: Mercurio, Venere, Terra e Marte, ed esterni: Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone (i pianeti sono ordinati secondo le distanze medie crescenti dal Sole). I due gruppi si differenziano, oltre che sotto quest'ultimo riguardo, per altre caratteristiche: il primo comprende pianeti piccoli di maggiore densità, con periodi di rotazione intorno a 24 ore (ignoto quello di Mercurio; 22h e 53m, ma ancor dubbio, quello di Venere); il 2° gruppo è costituito da pianeti di grandi dimensioni (eccettuato forse Plutone), con forte schiacciamento ai poli e con periodo di rotazione intorno a 10 ore (incerto quello di Nettuno, ignoto quello di Plutone).
Fra i due gruppi, fra le orbite cioè di Marte e di Giove, sta la zona dei piccoli pianeti (il loro diametro varia da qualche chilometro a qualche centinaio di km.), la quale li separa nettamente (per contrapposto tutti gli altri pianeti si chiamano pianeti maggiori).
7. Converrà qui far menzione di alcune leggi empiriche, le quali legano in modo evidente le distanze loro dal Sole o quelle dei satelliti dal loro pianeta: esse hanno il loro capostipite nella legge di Titius (nome latinizzato di J. G. Tietz), o di J. E. Bode, trovata dal primo nel 1767, pubblicata dal secondo nel 1772, la quale ebbe gran credito. Se si scrive la serie di numeri:
0, 3, 6, 12, 24, 48, 96, 192, 384
di cui, a partire dal terzo, la legge di formazione è evidente e si aggiunge a ciascun termine il numero 4, si ottiene la serie:
4, 7, 10, 16, 28, 52, 100, 196, 388
la quale rappresenterebbe con discreta approssimazione il decuplo delle distanze dal Sole dei successivi pianeti (assunta eguale ad uno quella della Terra), salvo per Vettuno (distanza dal Sole: 30; decuplo 300) e salvo la mancanza di un pianeta in corrispondenza al termine 28, cioè alla distanza dal Sole 2,8 volte quella della Terra. Ma ai tempi del Titius Urano e Nettuno non si conoscevano: la scoperta di Urano aggiunse credito alla regola e l'accrebbe ancora la scoperta del primo pianetino Cerere, creduto il pianeta corrispondente al termine 28 (2,8 è infatti la sua distanza dal Sole). U. Leverrier nel 1846 dedusse dalle perturbazioni di Urano l'esistenza, l'orbita e la posízione di Nettuno (presso la quale fu infatti trovato subito da J. G. Galle); ma appunto per la fiducia che egli duede alla legge di Titius, partendo dalla distanza 388, errò in un primo tempo a calcolarne la massa.
Alla legge del Titus seguirono parecchie altre, tendenti a migliorare la rappresentazione delle distanze medie dal Sole: basti cìtare quella di G. Armellini, simboleggiata dalla formola: a = 1,53n (dove a è la suddetta distanza media ed n varia da − 2 per Mercurio a 9 per Plutone; inoltre i valori 2 e 3 di n corrispondono al gruppo dei pianetini e vi ha una lacuna fra Saturno e Urano, corrispondente ad n = 6) e quella analoga di P. Burgatti per le distanze dei satelliti di Giove, Saturno e Urano dal proprio pianeta; e finalmente quella del Pierucci, che, nella sua parte essenziale è la seguente: "Le distanze dal Sole dei pianeti divisi in due gruppi (interni ed esterni) e dei satelliti (di Giove e di Saturno) dal relativo pianeta crescono approssimativamente e con qualche lacuna come i numeri interi (formola: an = n; serie delle n per i pianeti interni: 1, 2, 3, 4; a1 = distanza di Mercurio dal Sole; serie delle n per gli esterni: 1, 2, 4, 6; a1 = distanza di Giove dal Sole).
Un'altra legge, comprendente oltre le distanze dal Sole (a) anche le masse m del pianeta ed M del Sole, ha formulato il Pierucci, come segue: "Le energie totali dei varî pianeti si ottengono da quella di Giove, dividendola per potenze semplici dei fattori 2, 3, 5".
Il Pierucci chiama energia totale l'espressione:
v = costante della gravitazione), espressione analoga ad altra che compare nella teoria dei "quanti" e contenente le cariche dell'elettrone e del nucleo in luogo delle masse del pianeta e del Sole.
8. La teoria ha escogitato varie ipotesi per spiegare l'origine del sistema solare: prima ipotesi quella nebulare, proposta dapprima dal Kant nel 1755 e svolta da par suo dal Laplace nel 1796, secondo la quale dal caos, per condensazione, nasceva la nebulosa e dalla nebulosa il Sole, sinché, per eccesso di rotazione, questo proiettava dalle sue regioni equatoriali le masse dei pianeti: ipotesi applicabile, se mai, in scala miliardi e miliardi di volte maggiore alle nebulose extragalattiche, cioè agli altri universi siderali analoghi al nostro, non al piccolo Sole, il quale non presenta schiacciament0 tale da giustificare l'ipotesi della forte rotazione; né d'altra parte il suo piano equatoriale è piano di simmetria del sistema solare.
Non ebbe seguito l'ipotesi cosiddetta del secondo corpo (G.-L. Buffon 1750, R. A. Proctor 1870, Bickerton 1880), più volte elaborata, secondo la quale il sistema stesso sarebbe nato dalla collisione del Sole con altra stella (il Buffon diceva con una cometa) e dalla successiva condensazione dei resti nebulosi.
Terza ipotesi quella planetesimale degli americani J. Chamberlin e F. R. Moulton (1905): l'azione di marea dovuta a una stella passante vicina al Sole avrebbe prodotto alla sua superficie enormi protuberanze, le quali, per condensazione, avrebbero dato luogo ai planetesimali, piccoli elementi solidi formanti con le loro aggregazioni i pianeti.
Identica nella causa determinante ammessa, diversa nello svolgimento dei fatti, l'inglese J. H. Jeans svolse e giustificò matematicamente nel 1916 una sua teoria. L' azione di marea, variabile secondo la massa della stella avvicinatasi (sempre a ogni modo maggiore di quella del Sole), la sua distanza, la velocità sua di avvicinamento e poi di fuga, crea braccia o filamenti sporgenti dal Sole, nei quali, per il principio dell'instabilità gravitazionale, si formano condensazioni di varia massa, che dànno nascimento ai pianeti. Le orbite sono dapprincipio complicate e allungate, per effetto della duplice attrazione del Sole e della stella avvicinatasi; diminuiscono poi via via di eccentricità, tendendo a diventare circolari per la resistenza incontrata nella polvere e nei gas residui della grande trasformazione e si stabilizzano infine nella forma raggiunta allo scomparire quasi totale, per cattura da parte dei pianeti stessi, di quei residui. In modo analogo possono esser nati i satelliti dal proprio pianeta, per l'azione di marea del Sole, al quale il pianeta stesso molto si avvicinò nel suo corso orbitale durante l'epoca iniziale delle orbite allungatissime. Il Jeans rende conto con la sua teoria, che raccoglie molti consensi, di molte particolarità relative alle masse planetarie, al numero dei satelliti, ecc.
L'instabilità gravitazionale ha un limite nella piccolezza della massa, oltre il quale essa non ha più effetto, limite appunto rappresentato dai più piccoli satelliti; masse solide minori di questi non possono essere prodotti di condensazione, ma di frattura di masse maggiori già solide. Infatti tali frammenti solidi si trovano sempre riuniti in sciami o agglomerati: lo sciame dei piccoli pianeti, frammenti relativamente grossi; gli sciami di meteoriti, frammenti più minuti; infine le comete, aggregati assai radi di corpuscoli analoghi e membri anche esse del sistema solare. I frammenti costitutivi delle comete o degli sciami meteorici saranno prodotti dal cataclisma generatore dei pianeti (che si calcola a 2000 milioni di anni fa); i pianetini si pensano frammenti di un pianeta spezzato forse dall'azione di marea di Giove durante l'epoca delle orbite molto eccentriche; così l'anello di Saturno dovrebbe essere prodotto dal frantumamento di un satellite avvicinatosi troppo, al disotto della distanza limite, prevista dalla teoria del Roche, al proprio pianeta. La distanza dei satelliti più vicini al proprio pianeta supera infatti di poco questo limite: il raggio dell'anello di Saturno è invece al di sotto.
La nascita dei pianetini, la formazione dell'anello di Saturno, lo spezzamento delle comete per azioni di marea potrebbero far pensare a instabilità delle condizioni del sistema solare, come vi fanno pensare le transizioni ammesse dal Jeans dalle orbite molto allungate alle quasi circolari attuali. Queste tuttavia, anche secondo l'opinione del Laplace ed entro limiti enormi di tempo, sarebbero da considerarsi stabili: l'azione che potrebbe minacciare la loro stabilità è quella accennata delle perturbazioni, la quale tenderebbe alla distruzione dello stato presente delle cose, se agisse sempre nello stesso senso, o sempre aumentando o sempre diminuendo, per es., le dimensioni di alcune orbite. Il fatto che i periodi delle rivoluzioni planetarie intorno al Sole non sono fra loro in rapporti semplici fa sì che l'accumularsi dell'effetto delle perturbazioni nel senso detto sia da escludersi.
L'equilibrio del sistema solare potrebbe poi esser rotto dall'avvicinamento di una stella analogo a quello che gli ha dato nascimento, ma tale probabilità è infinitesima, come infinitamente raro dovrebbe essere il caso che dà origine a sistemi solari come il nostro.
9. Per la descrizione dei singoli membri del sistema solare e per le notizie particolari che a ciascuno di essi si riferiscono, si rimanda alle corrispondenti voci; e qui, a complemento di quanto precede, si accennerà soltanto a quelle poche caratteristiche e a quelle poche questioni che, pur riguardando singoli membri o aggruppamenti, abbiano un significato o un'importanza eccezionali.
Per il piccolo Mercurio che forse, come G. Schiaparelli pensava, mostra al Sole sempre la stessa faccia, nel qual caso questa sarebbe rovente, mentre l'opposta sarebbe sempre gelata, è da notarsi che la sua orbita - poco meno allungata di quella di Plutone e molto più allungata di quella degli altri pianeti maggiori - è dotata di una lievissima rotazione nel suo piano, l'ammontare della quale non era prima interamente spiegato dalla teoria: si cercò a lungo la spiegazione di questa misteriosa rotazione residua, fra l'altro nella presenza di un pianeta ancor più vicino al Sole, un ipotetico Vulcano, che non fu mai trovato. La spiegazione è fornita ora dalla teoria della relatività dell'Einstein (v. relatività).
Le questioni più interessanti intorno a Venere riguardano la durata della sua rotazione, questione assai difficile non ancora sicuramente risolta nel dato sopra riportato, e la sua abitabilità, che potrebbe essere resa possibile appunto dalla rapida sua rotazione, oltre che dall'analogia delle sue condizioni fisiche con quelle terrestri, fra cui l'umidità, accusata dalla sua fortissima nebulosità.
Di Marte, il rossastro pianeta dalle calotte glaciali distinte, e che presenta opposizioni favorevoli ogni 15 o 17 anni, sono celebri le osservazioni dello Schiaparelli e le polemiche sui pretesi canali e sulla loro geminazione, i quali fecero pensare all'opera colossale di esseri molto evoluti; ora è convinzione acquisita che quelle apparenze, del resto non percepibili da tutti gli osservatori, siano dovute al fenomeno fisiologico dell'integrazione e congiunzione incoscienti di particolari in realtà distinti.
Relativamente a Giove, il pianeta gigante, dalle macchie rossastre e dalle fasce caratteristiche, probabilmente non ancora solido, è a ricordare la scoperta fatta da Galileo dei quattro maggiori satelliti (satelliti medicei), che permisero a O. Rømer, dalle osservazioni delle loro eclissi, di determinare la velocità della luce.
Gli anelli di Saturno, il meno denso dei pianeti, ne costituiscono la più suggestiva caratteristica e nello stesso tempo il più attraente problema; abbiamo ricordato l'ipotesi probabile sulla loro origine; la causa delle soluzioni di continuità fra i tre successivi anelli è con altrettanta probabilità da ricercarsi nell'instabilità delle orbite dei corpuscoli che li compongono, sotto l'azione perturbatrice dei maggiori satelliti. A proposito di satelliti, 9 per Giove e per Saturno, 4 per Urano, 2 per Marte, uno per Nettuno e per la Terra, è da ricordare il moto retrogrado degli ultimi due di Giove, dell'ultimo di Saturno e di tutti e quattro quelli di Urano. Di questo si è ricordata la scoperta, fatta nel 1781 da W. Herschel che lo credette dapprima una cometa, come s'è ricordata la divinazione teoriea (1846) di Nettuno fatta da U.-J.-J. Leverrier, ma fatta pure - è giusto accennarlo - contemporaneamente dall'inglese J. C. Adams. Anche l'esistenza di Plutone fu prevista teoricamente dall'americano P. Lowell e scoperta fotograficamente (1930) nell'osservatorio di Flagstaff (Arizona, U. S. A.). È stata altresì ricordata la scoperta del primo dei pianetini (1801) per merito di G. Piazzi, scoperta che porse a C. F. Gauss l'argomento per la sua classica memoria sulla determinazione delle orbite Theoria motus corporum coelestium.... Tra essi vi sono gruppi e individui interessantissimi per le loro eccezionali caratteristiche: una diecina (il gruppo Gioviano o Troiano) percorre orbite non lontane da quella di Giove; qualcuno s'avvicina al Sole più di Marte, come Eros e Amor, un altro, recentemente scoperto, penetrò sino all'interno dell'orbita di Venere, mentre un altro ancora, Hidalgo, per la forte eccentricità della sua orbita, alla sua massima distanza dal Sole raggiunge quasi quella di Saturno. In particolare Eros, potendosi in condizioni favorevoli avvicinare molto alla Terra, si presta allora assai bene alla determinazione della distanza del Sole per mezzo della deduzione più sicura di una distanza minore, quella appunto di Eros dalla Terra.
10. Le figg. 3 e 4 presentano rispettivamente il quadro delle dimensioni relative dei pianeti maggiori e del Sole, e lo schema grafico delle orbite planetarie. Nelle tre tabelle I, II, III si raccolgono i dati numerici più notevoli relativi ai pianeti, rimandando per gli analoghi dati riguardanti i satelliti, alla corrispondente voce.
Bibl.: H. N. Russell, R. S. Dugan, J. Q. Stewart, Astronomy, voll. 2, Boston 1926-27.