PENITENZIARIO, SISTEMA (XXVI, p. 672)
Al momento della riforma del 1975 il s. p. italiano era sostanzialmente ancora quello configurato dal regolamento penitenziario del 1931, per quanto si fosse cercato in qualche modo di adattarlo, specie nella concreta attuazione, alle nuove esigenze legate allo sviluppo economico, sociale e politico del paese. Punti fondamentali del sistema in oggetto erano il reparto (ripartizione dei condannati, tenuto conto della recidiva, dell'indole del reato, del sesso, ecc.), l'isolamento notturno, l'osservazione, il trasferimento dei condannati più meritevoli negli stabilimenti di riadattamento sociale, ecc. Notevole importanza avevano anche le norme sull'obbligo del lavoro, della frequenza delle scuole, della partecipazione alle funzioni religiose. A questo si era aggiunto soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta un certo sforzo, anche finanziario, al fine di migliorare le condizioni ambientali degl'istituti di pena, rendendoli più moderni e razionali (così era sorto il più moderno istituto penitenziario italiano, quello di Rebibbia a Roma). Rimaneva a ogni modo ferma la concezione di fondo dell'ordinamento penitenziario del 1931, e cioè la prevalenza della visione che nella pena pone l'accento soprattutto sull'aspetto dell'espiazione, considerando la rieducazione un fine aggiuntivo, certo sempre importante, ma comunque non essenziale.
Disposizioni particolari e improntate a maggiore elasticità disciplinavano poi la materia dell'esecuzione delle pene inflitte ai minori degli anni 18.
Il mutamento delle condizioni sociali, economiche e politiche del paese non poteva, naturalmente, non investire anche il sistema descritto, la cui struttura, come si è detto, rimaneva ancorata, nonostante gli adattamenti, alle concezioni dell'epoca in cui era stata emanata la relativa disciplina.
In proposito si partiva dalla diffusa consapevolezza che qualsiasi riforma del s. p. dovesse necessariamente muoversi nella prospettiva indicata dall'art. 27 Cost., secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Da ciò derivava anzitutto il problema della necessità di mirare a una più effettiva e reale umanizzazione della pena, legato in modo essenziale a un serio discorso sul rispetto della dignità e personalità dei reclusi (con il che sorgeva la questione del meccanismo con cui garantire il recluso nella tutela dei propri diritti). Un secondo punto riguardava la stessa concezione dello scopo della pena, da considerarsi non più ancorata a mere finalità repressive e afflittive, ma diretta a favorire, attraverso appositi trattamenti, l'emenda del condannato. In questo senso aprivano nuove strade l'esperienza realizzata all'estero e le moderne teorie criminologiche concordi sulla necessità di evitare un completo isolamento dalla vita esterna, non solo familiare, ma anche sociale. Di qui lo spazio dato in molti ordinamenti positivi ai regimi di trattamento in semilibertà (fino alla condanna scontata con limitazione della libertà nelle sole ore notturne) e gli sforzi per la realizzazione dei cosiddetti istituti aperti (utilizzati soprattutto in campo minorile), inseriti nel tessuto delle comunità locali, nei quali si tende ad assicurare agli ospiti un'ampia libertà di contatti (e a volte di lavorare) all'esterno. Il terzo punto, diretta conseguenza delle tendenze sopra esposte, riguardava l'affermarsi di un indirizzo mirante a limitare nel massimo grado possibile la durata delle pene, sostituendo a esse diversi strumenti di controllo sociale (si pensi alla probation e agl'istituti a essa più o meno affini adottati in molti paesi). Un ultimo aspetto atteneva infine alla riorganizzazione della disciplina interna degl'istituti sotto il duplice profilo di un'effettiva separazione dei detenuti a seconda delle cause di detenzione e della realizzazione di un nuovo rapporto tra detenuto e istituzione (in specie approfondimento in tutta la loro reale portata dei problemi della disciplina carceraria, della circolazione all'interno degli stabilimenti, dei reclami, del vitto e dell'alloggio, del lavoro, dei rapporti familiari e affettivi, in quanto momenti essenziali della convivenza dei detenuti nell'ambito degl'istituti di pena e quindi del trattamento rieducativo).
Con la l. 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative della libertà) dovevano trovare finalmente concreta realizzazione le istanze di riforma. Questa legge, integrata dal successivo regolamento di esecuzione (d.P.R. 29 apr. 1976, n. 431), s'incentra infatti sul principio dell'individualizzazione del trattamento del condannato, per il quale va elaborato uno specifico programma di rieducazione, approvato dal magistrato di sorveglianza - organo quest'ultimo cui è affidata, in base alla stessa legge, la vigilanza sull'organizzazione degl'istituti di prevenzione e pena e il compito di provvedere su tutta la materia dell'esecuzione delle pene.
All'individualizzazione del trattamento si ricollega una strutturazione del s. p. coerente al raggiungimento appunto del fine in questione, il quale, come specifica l'art. 1 del sopracitato Regolamento di esecuzione, consiste nell'offerta d'interventi diretti a sostenere gl'interessi umani, culturali e professionali degl'imputati sottoposti a misure privative della libertà, e nello sforzo contemporaneo di promuovere un processo di modificazione degli atteggiamenti che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale. Cosa tutto ciò significhi lo evidenziano chiaramente alcune disposizioni della l. n. 354: così l'ultimo comma dell'art. 13, secondo cui dev'essere favorita la collaborazione dei condannati e degl'internati alle attività di osservazione e di trattamento; così l'art. 36, il quale dispone che il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo e che dev'essere adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti; così, per citare ancora una norma significativa, l'art. 17, che disciplina la partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa. Ne risulta la necessità di una serie d'interventi per tutta la durata del periodo di esecuzione della pena e che vanno adattati al variare delle esigenze. Di qui la fondamentale importanza che nel nuovo sistema viene attribuita all'osservazione scientifica della personalità e ai centri cui tale osservazione è affidata (centri di osservazione). In questa prospettiva si colloca d'altronde il dettato dell'art. 64 del nuovo ordinamento penitenziario, il quale prevede che i singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziali in relazione non solo alla posizione giuridica dei detenuti e degl'internati, ma, come espressamente afferma la citata disposizione, anche "alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi". Altrettanto rivelatrice dello sforzo di adattare le strutture carcerarie ai bisogni dell'individualizzazione del trattamento è la disposizione dell'art. 14 del citato ordinamento che impone la separazione dei giovani al di sotto dei 25 anni dagli adulti. Con ciò accogliendosi i suggerimenti della moderna criminologia in relazione alle tecniche di recupero dei cosiddetti delinquenti giovani-adulti, che costituiscono la più delicata tra le categorie dei delinquenti, soprattutto per la notevole predisposizione alla recidiva da essi, per intuibili ragioni, presentata e di contro per le ampie possibilità di recupero sociale che, data l'età, ancora consentono. Sempre con riferimento all'età va ancora ricordato che le norme del nuovo ordinamento penitenziario sono state provvisoriamente estese ai minori degli anni 18 sottoposti a misure penali, in attesa che intervenga anche la riforma di questo settore.
Passando ora più specificamente all'esame degl'istituti in cui si articola il nuovo s. p., si può osservare che essi si distinguono in istituti di custodia preventiva, istituti per l'esecuzione delle pene, istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza.
Gl'istituti di custodia preventiva si distinguono in case mandamentali e circondariali.
Le case mandamentali sono istituite nei capoluoghi di mandamento che non sono sede di case circondariali e assicurano la custodia degl'imputati a disposizione del pretore. Le case circondariali assicurano la custodia degl'imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite nei capoluoghi di circondario. Le case mandamentali e circondariali assicurano altresì la custodia delle persone fermate o arrestate dall'autorità di pubblica sicurezza o dagli organi di polizia giudiziaria e quella dei detenuti e degl'internati in transito.
Gl'istituti per l'esecuzione delle pene si distinguono in: 1) case di arresto, per l'esecuzione della pena dell'arresto. Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o circondariali; 2) case di reclusione, per l'esecuzione della pena della reclusione. Sezioni di case di reclusione possono essere istituite presso le case di custodia circondariali.
Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati alla pena dell'arresto o della reclusione possono essere assegnati alle case di custodia preventiva. I condannati alla pena della reclusione possono essere altresì assegnati alle case di arresto.
Gl'istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive si distinguono in: colonie agricole; case di lavoro; case di cura e custodia; ospedali psichiatrici giudiziari.
Possono essere istituite: sezioni per l'esecuzione della misura di sicurezza della colonia agricola presso una casa di lavoro e viceversa; sezioni per l'esecuzione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia presso un ospedale psichiatrico giudiziario; sezioni per l'esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro presso le case di reclusione.
Già questa sommaria descrizione fa intravvedere la complessità dell'articolazione del nuovo s. penitenziario.
Si aggiungano le esigenze sopra indicate che si ricollegano all'individualizzazione del trattamento e da cui derivano intuibili effetti sulla strutturazione degl'istituti e sugli stessi standards edilizi (si pensi agli artt. 5 e 6 della l. n. 354, che dettano precise norme in materia, avendo per obiettivo la realizzazione di ambienti sani e dignitosi con tutte le attrezzature richieste per la vita in comune). Si comprende allora il grosso impegno, umano e finanziario, che la riforma chiede per la sua attuazione. Impegno di cui è stato testimone l'ampio dibattito che ha avuto per oggetto l'opportunità o meno del mantenimento di alcune disposizioni profondamente innovative introdotte dalla riforma, le quali peraltro discendono dal principio dell'individualizzazione del trattamento e del recupero sociale.
Si allude da una parte a quelle forme di facilitazione dei rapporti col mondo esterno quali la corrispondenza telefonica e l'uso di apparecchi radio e le licenze agl'internati per gravi esigenze familiari o per favorirne il riadattamento, e dall'altra a tutto il complesso di misure che tende a sostituire alla detenzione un regime di libertà controllata.
Queste ultime, che richiedono naturalmente un'oculata applicazione al fine di ridurre al minimo i pericoli di abusi o di cattiva utilizzazione, consistono nell'affidamento in prova al servizio sociale, nell'ammissione al regime di semilibertà e nella liberazione anticipata. Esse sono disposte dalla magistratura di sorveglianza (sezione di sorveglianza).
L'affidamento in prova al servizio sociale per un periodo eguale a quello della pena da scontare può essere concesso allorché alla pena detentiva inflitta non segua una misura di sicurezza detentiva e la pena non superi un tempo di due anni e sei mesi ovvero di tre anni nei casi di persona di età inferiore agli anni 21 o di persona di età superiore agli anni 70. L'affidamento è escluso per i delitti di rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati dell'osservazione della personalità.
All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla sua dimora, alla sua libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali e al lavoro. Nel verbale può anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in favore della vittima del suo delitto e adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.
Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza, fornendo dettagliate notizie sul comportamento del soggetto e proponendo, se del caso, la modifica delle prescrizioni. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alla prescrizioni dettate, sia incompatibile con la prosecuzione della prova. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale.
Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. I condannati e gl'internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome d'istituti ordinari e indossano abiti civili. La concessione della semilibertà non è ammessa negli stessi casi in cui è escluso l'affidamento in prova al servizio sociale. Sono espiate in regime di semilibertà le pene detentive derivanti dalla conversione di pene pecuniarie, sempreché il condannato non sia affidato in prova al servizio sociale o non sia ammesso al lavoro alle dipendenze di enti pubblici. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, sempreché il condannato non sia affidato in prova al servizio sociale.
Fuori di tali casi, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena. L'internato può esservi ammesso in ogni tempo. L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento e al fine di favorire il graduale reinserimento del soggetto nella società. Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento.
Al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione può essere concessa, ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una riduzione di pena di venti giorni per ciascun semestre di pena detentiva scontata.
La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca.
Bibl.: G. Leone, Elementi di diritto e procedura penale, Napoli 1975; G. Bettiol, Diritto penale, Padova 1976; F. Gianniti, Prospettive criminologiche e processo penale, Milano 1977.