OSSEO, SISTEMA.
Sommario: Anatomia p. 695; Fisiologia p. 703; Fisiopatologia p. 705; Anatomia patologica p. 707; Chirurgia p. 710; Radiologia p. 711.
Anatomia.
Generalità. - Il sistema osseo è studiato in uno speciale capitolo dell'anatomia normale, cioè nel capitolo dell'osteologia (dal gr. ὀστέον "osso" e λογός "discorso"), ed è formato da un grande numero di organi detti ossa, il cui ufficio è quello di servire da sostegno alle parti molli e anche di coprire e proteggere organi molto delicati e importanti, quali sono l'asse cerebrospinale, il cuore, i polmoni, ecc. Per meglio servire al loro scopo, le ossa sono costituite in massima parte da una speciale varietà di tessuto connettivo, cioè dal tessuto osseo (v. connettivo, tessuto), il quale deve la sua speciale durezza e solidità al fatto che la sua sostanza intercellulare ha assunto una notevole quantità di sali calcarei, tra i quali predomina il fosfato di calcio nella proporzione di circa l'85%. Gli altri sali, che formano il resto della parte minerale, sono rappresentati dal carbonato di calcio, dal fluoruro di calcio e dal fosfato di magnesio. La proporzione con la quale i sali minerali e le sostanze organiche entrano nella costituzione di un osso varia secondo le ossa e secondo l'età del soggetto. Così, in base alle ricerche di E. F. Bibra, il femore di un bambino verso la fine del primo anno contiene il 56,43% di sali calcarei; col crescere degli anni aumenta la proporzione di questi sali, la quale in un vecchio di 70 anni raggiunge il 69,82%. Non bisogna credere che quest' aumento sia assoluto; infatti con il progredire della vecchiaia diminuisce il peso di tutte le ossa, ma la diminuzione è maggiore per i componenti organici; ne risulta che le ossa abbassano il loro coefficiente di elasticità e di resistenza, a ciò si deve la maggiore disposizione alle fratture presentata dai vecchi.
Oltre al tessuto osseo, entrano nella costituzione di un osso il tessuto cartilagineo, il quale ne riveste i capi articolari, il tessuto periosteo, che riveste tutta la superficie dell'osso, meno quella coperta dalla cartilagine, il tessuto midollare, che riempie il canale centrale delle ossa lunghe e le areole delle ossa spugnose, e finalmente i vasi e i nervi, che provvedono al suo trofismo.
Il complesso delle ossa forma lo scheletro (dal gr. σκελετός) e le ossa insieme con le articolazioni costituiscono gli organi passivi del movimento; infatti le ossa si possono considerare come leve, le quali nella maggiore parte dei casi hanno per fulcro le articolazioni e si spostano sotto l'azione dei muscoli, che sono gli organi attivi del movimento. Ne consegue che sulla forma delle ossa hanno influenza la direzione e la potenza dei muscoli che vi si attaccano.
Per lo studio dello scheletro, che è fondamentale e il primo che si deve fare, quando si vuole acquistare la conoscenza anatomica di un animale, servono generalmente le ossa, le quali, essendo state sottoposte a un lungo processo di macerazione, hanno perduto le sostanze organiche in esse contenute. L'osso ridotto così ai soli componenti minerali diventa più leggiero, ma conserva perfettamente la sua forma e acquista un colore bianco avorio.
Lo scheletro ha una grande influenza sulla forma generale del corpo e soprattutto sulla statura dell'individuo: siccome le singole ossa hanno uno sviluppo in lunghezza proporzionale all'altezza del soggetto, dalla misura di un solo osso lungo noi possiamo dedurre con una certa approssimazione quale era durante la vita l'altezza dell'individuo, al quale l'osso apparteneva. A tale scopo L. Manouvrier ha formato, in seguito a una grandissima serie di misurazioni, delle tabelle, nelle quali sono indicate le corrispondenze delle lunghezze del femore, della tibia, della fibula, dell'omero, dell'ulna, del radio e della statura di un individuo; queste tabelle si prestano per importantissime applicazioni, specialmente in medicina legale e in antropologia. A questo punto è bene rammentare che la massima altezza nell'uomo è raggiunta al 35° anno. Dopo quest'età la statura va gradualmente diminuendo per una maggiore accentuazione delle normali curve della colonna vertebrale, per una diminuzione dello spessore dei dischi intervertebrali e degli stessi corpi delle vertebre. In Europa la statura media va aumentando a mano a mano che si procede verso il nord. Sembra però che le temperature eccessivamente basse determinino una forte diminuzione della statura, come avviene nei Lapponi e nei Groenlandesi.
Cenni di embriologia e di anatomia comparata. - Il primo abbozzo dello scheletro assiale è rappresentato dalla notocorda o corda dorsale, la quale si presenta sotto la forma di una bacchetta cilindrica estesa per quasi tutta la lunghezza del corpo; questa bacchetta è formata da grosse cellule di aspetto vescicolare, separate da scarsa sostanza intercellulare e tenute insieme da una membrana omogenea, detta astuccio della notocorda. Nell'Amphioxus la notocorda rappresenta l'unica formazione dello scheletro assiale, rimanendo tale per tutta la vita ed estendendosi dall'estremità cefalica fino alla caudale del corpo; sotto l'azione dei muscoli questa notocorda si flette, ma poi per la sua elasticità riprende la forma primitiva. La notocorda si rinviene in tutti gli embrioni dei Vertebrati propriamente detti, però non raggiunge in questi l'estremità cefalica arrestandosi immediatamente all'indietro della formazione ipofisaria e si presenta tanto più sviluppata quanto meno elevato è l'animale nella scala zoologica; nei Vertebrati più bassi si conserva bene sviluppata per tutta la vita, sebbene alla funzione di sostegno provvedano altri organi a disposizione segmentale, cioè le vertebre, che costituiscono il carattere fondamentale del tipo vertebrato; infatti durante lo sviluppo si forma attorno alla notocorda uno strato continuo di mesenchima addensato, lo strato scheletrogeno; questo strato in porzioni, che hanno una disposizione segmentale, ma alternata con quella dei miotomi, si trasforma in cartilagine e ogni tratto condrificato costituisce l'abbozzo cartilagineo d'un corpo vertebrale. Nei Selaci le vertebre, come pure le altre parti dello scheletro, rimangono cartilaginee per tutta la vita; invece nei Pesci Teleostei si ossificano. Nei Mammiferi, nei quali già allo stato embrionale la notocorda è relativamente poco sviluppata, quando si forma una colonna vertebrale cartilaginea e quando successivamente questa diviene ossea, la notocorda s'atrofizza quasi completamente; infatti allo stato adulto se ne trovano solo dei residui, ma profondamente modificati e rappresentati dal nucleo gelatinoso posto nel centro di ogni disco intervertebrale. Quanto si è detto per la colonna vertebrale vale per la maggior parte delle ossa, le quali durante lo sviluppo passano per tre fasi successive, cioè mesenchimale, cartilaginea e ossea. Tutte le ossa che attraversano queste tre fasi sono dette primarie in contrapposto alle altre, che dallo stato mesenchimale passano direttamente a quello osseo e che si dicono secondarie: tali sono, per esempio, le ossa della vòlta del cranio.
Numero delle ossa. - Le ossa che formano lo scheletro umano adulto sono 208, non comprendendovi le ossa soprannumerarie del cranio e le ossa sesamoidee, il cui numero è molto variabile a seconda degl'individui; questo numero però è maggiore nel bambino, perché in questo ancora non è avvenuta la fusione dei varî pezzi che entrano nella formazione di un solo osso; è minore nel vecchio, nel quale alcune ossa prima separate finiscono col saldarsi tra loro, come si verifica per una parte delle ossa del cranio. Le ossa sono così distribuite: 26 formano la colonna vertebrale, 31 la testa, 24 le costole, 1 lo sterno, 64 si trovano negli arti superiori, 62 negli arti inferiori.
Forma delle ossa. - Ogni osso del nostro corpo presenta una forma caratteristica, che per lo più difficilmente si può comparare con una forma geometrica e che ce lo fa riconoscere facilmente, sebbene possa variare entro certi limiti con la razza, col sesso e con l'età; vi sono poi variazioni individuali sia congenite sia acquisite. La forma delle ossa non è accidentale, ma dovuta a un complesso di cause meccaniche, della maggior parte delle quali possiamo apprezzare il giusto valore. Il primo fattore della forma di un osso è costituito dalla forma del suo abbozzo, la quale è dovuta a influenze ereditarie. La forma generale di un osso allo stato definitivo è dovuta alla grandezza e alla direzione delle azioni meccaniche, le quali sono esercitate sopra di esso sia nello stato di riposo sia in quello di movimento, donde risulta la compenetrazione di due forme: forma per influenze statiche e forma per influenze dinamiche. Queste cause influiscono non solo sulla forma esterna, ma anche sulla struttura intima dell'osso, modificando la grandezza, il numero e la direzione dei sistemi di Havers se si tratta di osso compatto, delle trabecole se si tratta di osso spugnoso. Vi sono poi cause che influiscono sulla forma delle singole porzioni di un osso: così i tratti, per i quali due ossa contigue si mettono in rapporto, esercitano tra loro una reciproca influenza, determinando caratteristiche modificazioni delle superficie di contatto, cioè dei capi articolari, che si modellano uno sull'altro assumendo quelle forme che sono più convenienti alle varie specie e alle diverse ampiezze dei movimenti che debbono prodursi in ogni articolazione. Altre particolarità della forma delle ossa sono dovute all'azione dei legamenti e dei muscoli che vi s'inseriscono sulla superficie dell'osso, corrispondentemente a tali attacchi, si producono modificazioni, mediante le quali s'ottengono principalmente questi due effetti: 1. aumento della superficie d'impianto del muscolo, senza che cresca notevolmente il volume dell'osso, 2. sollevamento del punto d'impianto dei muscoli, che decorrono lungo la superficie dell'osso, in modo che essi, durante la loro contrazione, incontrino minore attrito scorrendo sull'osso stesso. Perciò si formano sulla superficie ossea delle sporgenze e delle depressioni, le quali hanno avuto varî nomi a seconda della loro forma e della loro grandezza. Tra le sporgenze ricordiamo le apofisi, le eminenze, le spine, le creste, le linee aspre, i tubercoli, le tuberosità. Tra le depressioni vanno rammentate le impronte, le fossette, le fosse, le docce, le incisure. Inoltre, sulla superficie dell'osso si possono riscontrare impronte dovute alla continua pressione che parti molli vicine pressoché immobili vi hanno esercitato, il che dimostra come l'osso, malgrado la sua durezza, sia eminentemente plastico; così molte arterie strisciando sopra un osso vi lasciano l'impronta della loro ramificazione, come fa l'arteria meningea media sul tavolato interno delle ossa del cranio. Lo stesso cervello, sebbene formato da una sostanza molto molle, lascia l'impronta delle sue circonvoluzioni sulla faccia interna della scatola cerebrale del cranio; e questa durante l'accrescimento si modella sulla forma del mantello cerebrale. Finalmente l'azione energica di certi gruppi muscolari esercitata per un lungo periodo di tempo sopra un osso ne determina speciali incurvamenti, che finiscono col diventare vere malformazioni; così sono caratteristiche le curvature delle ossa lunghe dell'arto inferiore nei fantini.
In complesso, quando si studia accuratamente la forma esterna e la struttura intima di un osso, si vede che nella natura è risolto in modo mirabile uno dei problemi più importanti della meccanica moderna: ottenere la massima resistenza ai varî sforzi col minimo impiego di materiali.
Costituzione generale delle ossa. - Le ossa risultano formate principalmente da tessuto osseo, il quale può essere compatto o spugnoso; a seconda del modo col quale queste due varietà di tessuto osseo si dispongono in un osso e della forma generale che questo presenta, si hanno tre specie di ossa: lunghe, corte e piatte. Le ossa lunghe sono quelle nelle quali la lunghezza di un asse predomina notevolmente sopra quella degli altri due e che inoltre risultano formate di tre parti bene distinte finché dura lo sviluppo dell'individuo, cioè di una parte centrale detta corpo o diafisi e di due parti terminali dette epifisi. La diafisi è formata di osso compatto e presenta nella sua parte assiale un ampio canale riempito dal midollo e detto perciò canale midollare. Le epifisi sono formate di osso spugnoso, ma nella loro superficie libera sono rivestite da un sottile strato di osso compatto. Finché dura lo sviluppo dell'osso le tre parti sono separabili, perché sono tenute riunite per mezzo di due dischi di cartilagine ialina detta cartilagine epifisaria o di coniugazione. Ogni cartilagine epifisaria provvede all'allungamento dell'osso, perché ha la proprietà di produrre in ciascuna delle sue due facce nuovo tessuto osseo, che da una parte s'aggiunge alla diafisi, dall'altra all'epifisi corrispondente. Quando l'osso lungo ha raggiunto la sua lunghezza definitiva, cessa questa formazione ossea e la cartilagine epifisaria si riduce fino a scomparire completamente per essere sostituita da tessuto osseo, che unisce direttamente le due epifisi alla diafisi. Tuttavia in una sezione longitudinale di un osso lungo adulto la speciale disposizione del trabecolato ci fa riconoscere il piano, nel quale prima era situata la cartilagine epifisaria. Esempî di ossa lunghe si hanno nell'omero, nel cubito, nel radio, nel femore, ecc. Le ossa corte sono quelle nelle quali non si rileva una notevole differenza nella lunghezza dei varî assi; esse sono formate di tessuto osseo spugnoso e alla loro superficie presentano un sottile rivestimento di tessuto osseo compatto. Sono ossa corte quelle che formano il carpo e il tarso. Le ossa piatte presentano una notevole prevalenza di due dei loro assi sopra il terzo, perciò assumono una forma laminare; risultano formate di due lamine di tessuto osseo compatto, tra le quali è interposto uno strato di tessuto osseo spugnoso. Tali sono le ossa della vòlta del cranio, nelle quali le due lamine compatte prendono il nome di tavolati, uno interno e l'altro esterno, mentre la parte spugnosa interposta si dice diploe; nelle ossa così foggiate la solidità è associata all'elasticità.
Fori delle ossa. - Sulla superficie delle ossa si osservano numerosi fori, alcuni dei quali ne attraversano tutto lo spessore sboccando nel lato opposto e si dicono fori di trasmissione; altri, invece, rappresentano l'inizio di canali che s'approfondano nello spessore dell'osso, perdendosi nella sua compagine, e si dicono fori nutritizî. I fori di trasmissione servono al passaggio di organi importanti, che per lo più sono vasi o nervi: così nella base del cranio abbiamo il foro condiloideo anteriore per il passaggio del nervo ipoglosso, il canale carotideo per la carotide interna, il foro ovale per la terza branca del nervo trigemino, ecc. I fori nutritizî servono a permettere l'ingresso di arterie e l'uscita di vene che debbono provvedere alla nutrizione dell'osso; a seconda della loro grandezza e del loro comportamento sono stati distribuiti in tre ordini. I fori di prim'ordine, che sono i più grandi, si osservano specialmente nella diafisi delle ossa lunghe, ove di regola sono unici e penetrano molto obliquamente in modo da presentare un'apertura a becco di flauto; essi servono al passaggio di un'arteria relativamente cospicua, detta arteria nutritizia dell'osso. Mentre nelle ossa del braccio e dell'avambraccio questi fori sono diretti verso l'articolazione del gomito, nelle ossa della coscia e della gamba vanno divergendo dall'articolazione del ginocchio. I fori di second'ordine sono più piccoli, ma più numerosi, e servono generalmente al passaggio di vene; essi si trovano nelle epifisi delle ossa lunghe, sulla superficie delle ossa corte e nei margini delle ossa piatte. I fori di terz'ordine sono microscopici, ma numerosissimi, e dànno passaggio a esilissimi vasi d'origine periostea.
Divisione dello scheletro. - Schematizzando la costituzione dello scheletro di un vertebrato, noi possiamo considerarlo come formato di una parte assiale, che occupa il tronco e la testa dell'animale, e di una parte appendicolare destinata a sostenere gli arti toracici e quelli pelvici. Applicando questo schema allo scheletro umano, lo possiamo dividere in una parte assiale, che comprende lo scheletro del tronco, cioè la colonna vertebrale con le costole e lo sterno, e lo scheletro della testa, cioè il cranio, e in una porzione appendicolare, la quale risulta formata dallo scheletro degli arti superiori e inferiori.
Colonna vertebrale. - La colonna vertebrale è costituita originariamente da 33 o 34 ossa, dette vertebre. Ogni vertebra risulta formata di un corpo, corpus vertebrae, che rappresenta la prima formazione ossea comparsa intorno alla corda dorsale e che ha la forma di un disco di spessore e grandezza variabile, proporzionata allo sforzo che deve sopportare: dai lati della faccia dorsale del corpo partono le due lamine vertebrali, che, convergendo verso l'indietro, finiscono per riunirsi e delimitano così insieme col corpo un canale, il quale contiene la parte corrispondente del midollo spinale e si dice canale neurale. Dal punto di confluenza delle due lamine si solleva un processo diretto dorsalmente, il quale è detto apofisi spinosa (processus spinosus) e serve per l'attacco di legamenti e di muscoli. Dalla parte iniziale di ogni lamina si stacca un processo diretto lateralmente e chiamato apofisi trasversa (processus transversus); le apofisi trasverse dànno anch'esse attacco a legamenti e a muscoli e contribuiscono a formare le articolazioni con le costole. Dal margine superiore delle lamine parte da ciascun lato un'apofisi diretta verso l'alto e provvista di una superficie articolare; questa è l'apofisi articolare superiore (processus articularis superior). Così pure dal margine inferiore delle lamine parte da ciascun lato un'apofisi della stessa specie, detta apofisi articolare inferiore (processus articularis inferior); le apofisi articolari superiori si articolano con le apofisi articolari inferiori della vertebra sovrastante. Le vertebre, pur essendo tutte costruite sullo stesso piano fondamentale, presentano particolari modificazioni a seconda del posto che occupano nella colonna vertebrale; perciò sono state divise in gruppi: cervicali (v. cervicales); toraciche (v. thoracales); lombari (v. lumbales); sacrali (v. sacrales); coccigee (v. coccygeae). Le vertebre cervicali sono 7 e questo numero è costante in tutti i Mammiferi, salvo rarissime eccezioni; presentano come carattere fondamentale un foro scavato attraverso le apofisi trasverse, detto perciò foro trasversario (foramen transversarium), il quale serve al passaggio dei vasi vertebrali; inoltre le loro apofisi spinose sono bifide. La prima vertebra cervicale, detta atlante (atlas), s'articola col cranio; la seconda è chiamata asse o epistrofeo (epistropheus); queste due vertebre presentano caratteristiche modificazioni destinate a favorire la mobilità della testa. La 7ª vertebra cervicale per la notevole sporgenza della sua apofisi spinosa è detta prominente. Le vertebre toraciche sono 12, più grandi delle cervicali ma più piccole delle lombari, e crescono di volume dall'alto al basso; queste vertebre, dovendo dare attacco alle costole, presentano come carattere fondamentale su ciascun lato del loro corpo una faccetta articolare, che s'articola con buona parte della testa della corrispondente costola (fovea costalis superior); siccome ogni costola, fatta eccezione della prima e delle ultime due, si articola contemporaneamente con due corpi vertebrali, le singole faccette non sono complete, ma vengono integrate da una faccetta aggiuntiva (fovea costalis inferior), appartenente al corpo della vertebra soprastante; altro carattere fondamentale delle vertebre toraciche è quello delle loro apofisi trasverse: queste sono tozze e presentano una faccetta articolare (fovea costalis transversalis), che s'articola con la tuberosità costale, formando una seconda articolazione detta costotrasversaria: tale carattere manca nelle ultime due vertebre toraciche. Le vertebre lombari, le più voluminose, sono in numero di cinque e presentano come carattere fondamentale due processi laterali molto sviluppati, che vengono per lo più considerati come costole rudimentali e chiamati processi costiformi (pr. costotransversarius). Le vertebre sacrali sono 5 e vanno rapidamente decrescendo di volume dall'alto al basso: fino all'ottavo anno si possono ancora separare, ma dopo questa età s'inizia in esse un processo di saldamento, che termina poco prima del ventesimo anno e dà origine a un osso unico, detto sacro (os sacrum); in questo si possono tuttavia riconoscere le tracce della primitiva separazione dei corpi vertebrali, delle apofisi spinose, delle articolari e delle trasverse. Con il saldamento delle prime tre vertebre sacrali s'ottiene una maggiore solidità dell'appoggio che sopra di esse prendono le ossa iliache formando l'articolazione sacroiliaca: il saldamento delle ultime vertebre sacrali invece è avvenuto perché la loro mobilità s'era resa inutile in seguito alla notevole riduzione della parte caudale della colonna vertebrale. Le vertebre coccigee, molto piccole, sono in numero di 4 o 5 e, salvo la prima, nella quale si osservano ancora le apofisi articolari superiori e i processi laterali, sono ridotte al solo corpo: queste vertebre si saldano tra loro cominciando dal basso e verso il venticinquesimo anno generalmente formano un osso unico, il coccige (os coccygis).
La colonna vertebrale, a causa delle articolazioni intervertebrali, si presenta abbastanza flessibile ed elastica; essa non è diritta, ma presenta nel senso dorsoventrale parecchie curve, che si alternano tra di loro e quindi si compensano e che in parte sono caratteristiche della specie umana; così la regione cervicale è convessa verso l'innanzi, la dorsale convessa verso l'indietro, la lombare convessa verso l'innanzi; l'ultima vertebra lombare forma con la prima sacrale un angolo sporgente in avanti, detto promontorio: la regione sacrococcigea si presenta concava verso l'innanzi.
Costole (costae). - Sono in numero di 12 paia, si presentano come ossa nastriformi, cioè appiattite dall'interno all'esterno, molto incurvate in modo da formare un arco la cui concavità guarda verso l'asse mediano del corpo, e sono torte intorno al loro asse longitudinale in modo che la loro estremità ventrale tende verso il basso. La loro estremità dorsale s'articola con le vertebre toraciche per mezzo di due articolazioni, una fatta col corpo e detta costovertebrale (articulatio capituli), l'altra con l'apofisi trasversa, detta costotrasversaria (ar. costotransversaria); l'estremità ventrale si continua con una bacchetta cartilaginea, detta cartilagine costale. Nelle prime 7 paia di costole, che si dicono vere (c. verae), la cartilagine viene ad articolarsi con lo sterno; nelle tre paia successive, dette false (costae spuriae), la cartilagine s'unisce alla cartilagine della costola sovrastante: nelle ultime due paia di costole, dette fluttuanti (c. fluctuantes) per la loro notevole mobilità, le estremità ventrali terminano liberamente.
Sterno (sternum). - Quando le costole sono in via di sviluppo e formate ancora interamente da tessuto cartilagineo, le estremità ventrali di quelle dello stesso lato si saldano tra loro, dando origine a due nastri longitudinali, uno destro e uno sinistro, detti benderelle sternali; le due benderelle slargandosi raggiungono la linea mediana, s'incontrano e si saldano formando uno sterno cartilagineo; in questo compaiono successivamente numerosi centri di ossificazione, che, confluendo tra loro, formano lo sterno osseo. Lo sterno è un osso piatto, molto leggiero, che fu paragonato a una spada romana e corrispondentemente vi furono distinte tre parti, una superiore più larga, ma breve, detta manubrio (manubrium sterni), una intermedia più lunga, ma più stretta, detta corpo (corpus sterni), una inferiore molto più piccola detta appendice ensiforme (processus xiphoideus). Lo sterno, oltre che alle costole, presta appoggio al cinto toracico; infatti in ciascuno dei due angoli superiori del manubrio si trova un' ampia cavità articolare, che accoglie l'estremità mediale della clavicola, formando così l'articolazione sternoclavicolare.
Dalla riunione delle 12 vertebre toraciche, delle 12 paia di costole e dello sterno risulta la cassa toracica (thorax), destinata a proteggere gli organi in essa contenuti. Nel suo insieme la cassa toracica è stata paragonata a un cono tronco appiattito dall'innanzi all'indietro (non così nel bambino e negli animali); ma bisogna rilevare che il suo massimo perimetro non corrisponde alla base, ma a un piano che passa per le parti laterali della 7ª od 8ª costola.
Cranio. - Lo scheletro della testa, il cranio (cranium), è una formazione molto complessa e difficilmente comparabile col resto dello scheletro assiale, cioè con la colonna vertebrale. Questa grande complicazione è dovuta a parecchi fattori: l'estremità rostrale del sistema nervoso centrale si è enormemente sviluppata, dando origine all'encefalo, e corrispondentemente il canale neurale ha dovuto dilatarsi enormemente per continuare ad avvolgerlo; in prossimità dell'encefalo si trovano gli organi di senso specifico, attorno ai quali si sono formati speciali involucri ossei, cioè capsule destinate a proteggerli; queste capsule non sono rimaste indipendenti, ma si sono annesse all'involucro encefalico; al di sotto di queste formazioni si trova la parte iniziale del tubo digerente, circondata e sostenuta da pezzi scheletrici, detti archi viscerali. Questi nei pesci servono principalmente da sostegno alle formazioni branchiali; invece negli animali a respirazione aerea si sono profondamente modificati e, perdendo la primitiva funzione, ne hanno assunte due altre completamente diverse: infatti questi archi per una parte si sono messi al servizio dell'apertura boccale per facilitare la prensione, il frazionamento e la deglutizione dei cibi, per l'altra si sono annessi all'apparecchio uditivo per contribuire al rinforzo delle onde sonore. Perciò lo scheletro della testa si presenta costituito di tre parti, che hanno un significato molto differente. Una parte è costituita da una vasta scatola, che nei Mammiferi e specialmente nell'uomo ha una forma ovoide; questa scatola è destinata ad accogliere l'encefalo e si dice perciò scatola cerebrale del cranio; essa presenta un grande foro, attraverso il quale l'encefalo si continua col midollo spinale, e moltissimi fori più piccoli, alcuni dei quali servono al passaggio dei vasi che provvedono alla nutrizione dell'encefalo, altri all'uscita dei nervi craniali. Alla parte anteriore della faccia inferiore di questa scatola si sono aggiunte altre ossa, il cui ufficio principale è quello di contenere l'apparecchio della vista e quello dell'olfatto, sostenendo nello stesso tempo la vòlta boccale: queste ossa formano un'altra parte del cranio, la parte facciale; finalmente la terza parte, detta porzione viscerale del cranio, è formata dalle ossa d'origine viscerale ed è rappresentata dalla mandibola, dall'osso ioide, dall'apofisi stiloide e dagli ossicini dell'udito.
Un tempo si volle considerare il cranio come una modificazione della parte anteriore della colonna vertebrale; sorse così la teoria vertebrale del cranio abbozzata da W. Goethe nel 1790 e sviluppata in seguito da L. Oken nel 1807: questi si sforzò di trovare nelle singole ossa della base del cranio le varie parti di una vertebra. La teoria vertebrale decadde in seguito alle critiche di T. Huxley (1864), il quale sostenne che tale teoria così com'era posta ai suoi tempi non poteva essere sostenuta, perché il cranio si presenta come una formazione altamente differenziata, nella quale intervengono, oltre alle ossa appartenenti all'asse del corpo, anche altre ossa d'origine differente, cioè derivate da ossificazione del sottocutaneo, che alterano e mascherano la disposizione primitiva. Più tardi, cioè nel 1872, K. Gegenbaur, servendosi dell'anatomia comparata, cercò di determinare il valore segmentale del cranio, tenendo conto non delle sole ossa, ma di tutti gli elementi che entrano nella sua costituzione, e specialmente dei nervi craniali, che ritenne omodinami ai nervi spinali: in tal caso ogni segmento craniale interposto tra due nervi encefalici successivi si potrebbe considerare come equivalente a una formazione vertebrale: sorse così la teoria segmentale del cranio. F. M. Balfour nel 1876 scoprì che negli embrioni dei pescicani le lamine mesodermali s'estendono anche nella regione cefalica: per la considerazione che nel tronco il mesoderma è quello che primo si segmenta ed esercita con la sua segmentazione una grande influenza sopra gli altri costituenti, si volle risolvere l'annosa questione col metodo embriologico, studiando il comportamento del mesoderma cefalico. I risultati ai quali sono giunti i numerosissimi osservatori non sono sempre conciliabili tra loro; tuttavia per la considerazione che i segmenti mesodermali posti caudalmente alla vescicola auditiva (segmenti postauditivi) presentano un comportamento alquanto simile a quelli del tronco, si può ammettere che in origine appartenessero a questo, ma che in seguito siano andati a far parte della testa dando luogo alla formazione del neocranio. Invece i segmenti preauditivi, che hanno un comportamento alquanto diverso, tanto che vengono indicati col nome di cavità cefaliche, sarebbero stati sempre di pertinenza della testa e sarebbero entrati subito nella costituzione del cranio primitivo, paleocranio.
Lo studio del cranio (v.) può essere fatto con due metodi diversi, cioè con il metodo della disarticolazione e con il metodo della separazione della vòlta dalla base. Il metodo della disarticolazione consiste nel separare con acconce manovre tutte le ossa che formano il cranio; naturalmente questo metodo può essere usato finché le suture non si sono chiuse, cioè finché le ossa non si sono unite per sinostosi in seguito all'ossificazione del connettivo interposto. I soggetti più adatti per queste manovre sono quelli sui 18 anni; dopo quest'età comincia la sinostosi tra il corpo dello sfenoide e il basioccipite, tra i 45 e i 65 anni comincia il saldamento delle ossa della vòlta del cranio, il quale interessa prima il tavolato interno e poi l'esterno: il saldamento continua fino alla più tarda età, finché tutta la vòlta craniale risulta formata di un solo pezzo; alla chiusura delle suture s'associa un notevole assottigliamento delle ossa. Con la disarticolazione si ottengono tutte le ossa del cranio separate e se ne possono studiare bene la forma e i rapporti. Generalmente queste ossa sono divise in tre gruppi: il primo gruppo comprende le ossa che formano la scatola cerebrale del cranio e che sono alcune impari, cioè l'occipite, lo sfenoide, il frontale, altre pari, cioè i temporali e i parietali; il secondo gruppo comprende le ossa della faccia, che a loro volta si dividono in due sottogruppi: un sottogruppo, che sta essenzialmente in rapporto con la regione nasale, è formato da due ossa impari, cioè l'etmoide e il vomere e da tre ossa pari, cioè il turbinato inferiore, le ossa lacrimali e le ossa nasali; l'altro sottogruppo, che è di pertinenza della regione mascellare, risulta di tre ossa pari, cioè dei mascellari superiori, dei palatini e dei malari. Il terzo gruppo comprende le ossa d'origine viscerale, cioè la mandibola, l'osso ioide e gli ossicini dell'udito.
Il metodo della separazione della vòlta dalla base consiste nel fare nel cranio, per mezzo della sega o dello scalpello, un taglio corrispondente a un piano che passi anteriormente un dito trasverso sopra le arcate orbitarie, posteriormente un dito trasverso sopra la protuberanza occipitale esterna; con questo metodo si divide il cranio in una parte superiore, detta vòlta, e in una inferiore, detta base, e si può studiare agevolmente la conformazione della faccia interna della scatola cerebrale del cranio.
Generalità sopra lo scheletro degli arti. - Lo scheletro degli arti del tipo vertebrato presenta una notevole omogeneità a cominciare dagli Anfibî, nei quali si stabilisce il tipo pentadattilo. Lo scheletro di ogni arto risulta formato da una prima porzione, la più prossimale, che per la sua forma arcuata abbracciante l'asse del corpo ebbe il nome di cinto. Il cinto è relativamente fisso, perché collegato più o meno intimamente con lo scheletro assiale e presta attacco per mezzo di un'articolazione di solito molto mobile (enartrosi) alla parte libera dell'arto. Questa parte libera risulta formata di tre segmenti successivi: un primo segmento, il più prossimale, consta di un solo osso molto robusto (femore, omero); il secondo segmento è sostenuto da due ossa, il terzo segmento presenta numerose ossa disposte in più serie e quelle delle ultime serie formano cinque raggi, che sono le dita. Gli arti si dividono in toracici e pelvici; i primi sono detti anteriori negli animali, superiori nell'uomo, i secondi posteriori, inferiori.
Lo scheletro degli arti toracici e quello degli arti pelvici, pur essendo costruiti secondo lo stesso piano fondamentale, presentano molteplici differenze, le quali si accentuano in seguito a particolari modificazioni che possono verificarsi nella loro funzione. La funzione fondamentale degli arti è quella della locomozione, ma, mentre nei Vertebrati inferiori, fatta eccezione per gli Anuri, a questa funzione partecipa in modo notevole lo scheletro assiale, dagli Uccelli in su gli arti divengono i soli organi locomotori. Negli Uccelli gli arti pelvici servono per la locomozione terrestre, i toracici per quella aerea, donde risultano notevoli differenze tra lo scheletro dei primi e quello dei secondi. Nei Mammiferi i quattro arti servono per la locomozione terrestre, fatta eccezione per gli arti toracici dei Chirotteri (locomozione aerea) e dei Cetacei (locomozione acquatica); però, malgrado questa uniformità della funzione, si può già rilevare che in molti gruppi gli arti pelvici hanno una maggiore efficienza locomotrice e presentano un maggiore sviluppo della loro muscolatura e del loro scheletro; invece l'arto toracico in alcune forme di Mammiferi, pur continuando a servire per la locomozione, assume in modo più o meno evidente anche la funzione della prensione e corrispondentemente acquista una maggiore motilità, pur perdendo una parte della sua robustezza: questa differenza funzionale si manifesta con la massima evidenza nell'uomo, nel quale l'arto inferiore serve esclusivamente alla locomozione, il superiore è adibito solo alla prensione; a tal uopo l'arto toracico umano presenta una grandissima estensione di movimenti, quale non si ha in nessun'altra specie e che raggiunge la sua massima espressione nel segmento terminale, cioè nella mano. Infatti l'opponibilità del pollice e la completa emancipazione dei suoi muscoli da quelli delle altre dita hanno reso la mano uno strumento così perfetto, da far pensare che il grande sviluppo cerebrale e quello della mano siano stati due fattori importantissimi per mettere l'uomo in quel posto così eminente che occupa nella natura.
Scheletro dell'arto superiore. - Lo scheletro della spalla è formato da due ossa per lato, cioè la scapola (scapula), e la clavicola (clavicula), le quali con la loro unione formano il cinto toracico; mentre la scapola è costante in tutti i Vertebrati, la clavicola ha sostituito il coracoide, che si è enormemente ridotto, e il procoracoide, che è scomparso. La scapola è unita allo scheletro assiale per mezzo di muscoli, perciò è molto mobile: è un osso piatto di forma triangolare, il quale nel suo angolo laterale porta una faccetta articolare, la cavità glenoidea (cavitas glenoidalis), destinata ad accogliere la testa dell'omero. La scapola nell'uomo raggiunge un grande sviluppo specialmente nel senso della lunghezza a causa dei muscoli rotatori dell'omero, ai quali presta attacco, perciò il suo sviluppo è proporzionale all'ampiezza della rotazione del braccio. Nella sua faccia dorsale s'osserva un rilievo trasversale, spina scapulae, il quale lateralmente si prolunga in un robusto processo, l'acromio (acromion); questo s'articola con l'estremità laterale della clavicola. Nel margine superiore della scapola vi è il processo coracoideo (processus coracoideus), ricurvo verso l'innanzi, che rappresenta il residuo dell'osso omonimo e serve all'attacco di muscoli. La clavicola ha un'ossificazione precocissima, presenta la forma di una S disposta trasversalmente; con la sua estremità laterale s'articola con l'acromio con l'estremità mediale s'articola con lo sterno e nello stesso tempo si collega con la prima costola per mezzo di un robusto legamento, che rappresenta il perno sul quale si compiono i movimenti del cinto. Nei Mammiferi, nei quali l'arto toracico serve solo da sostegno, la clavicola è assai ridotta e può anche mancare (Ungulati); nell'uomo, invece, raggiunge un notevole sviluppo ed è un importante fattore dell'ampiezza dei movimenti dell'arto.
L'omero (humerus) costituisce lo scheletro del braccio ed è un osso lungo di forma cilindroide con le due estremità ingrossate; l'estremità superiore o prossimale presenta medialmente un rigonfiamento emisferico, la testa (caput humeri), che si articola con la cavità glenoidea della scapola, lateralmente la grossa tuberosità (tuberculum maius) per l'impianto dei muscoli rotatori esterni, anteriormente la piccola tuberosità (tuberculum minus) per l'impianto dei muscoli rotatori interni. La sua estremità inferiore presenta due superficie articolari, cioè medialmente la troclea (troclea), lateralmente il condilo (capitulum), la prima per l'articolazione con l'ulna, il secondo per l'articolazione col radio. Sopra la troclea vi è un grosso processo, l'epitroclea (epicondylus medialis), sopra il condilo un processo più piccolo, l'epicondilo (epicondylus lateralis); ambedue questi processi servono per dare attacco a muscoli.
Lo scheletro dell'avambraccio è formato da due ossa, l'ulna e il radio. L'ulna (ulna), situata medialmente, presenta un corpo a sezione triangolare; delle due estremità, la superiore o prossimale è più grande e risulta formata da due processi, uno superiore, l'olecrano (olecranon), un altro anteriore, il coronoideo (processus coronoideus); questi due processi delimitano una cavità semicircolare detta grande cavità sigmoidea (incisura semilunaris), la quale si articola con la troclea omerale; sotto e lateralmente a questa cavità ve n'è un'altra più piccola detta piccola cavità sigmoidea (incisura radialis), che si articola con la testa del radio. L'estremità inferiore dell'ulna presenta un piccolo rigonfiamento detto testa dell'ulna (capitulum ulnae), posteromedialmente al quale sorge l'apofisi stiloide dell'ulna (processus styloideus ulnae). Il radio (radius), presenta un corpo a sezione triangolare e due estremità rigonfiate: l'estremità superiore più piccola ha la forma di un corto cilindro e si dice testa, (capitulum radii); la testa col suo contorno si articola con l'incisura radiale dell'ulna, mentre con la sua faccia superiore si articola col condilo omerale; sotto la testa vi è un restringimento, collum radii, e sotto questo una tuberosità, tuberositas radii, per l'impianto del muscolo bicipite. L'estremità inferiore o distale del radio, più grande della superiore, ha la forma di una piramide a base triangolare; la base di questa piramide presenta una superficie triangolare (facies articularis carpea), che si articola con lo scafoide e con il semilunare; la faccia mediale presenta una piccola superficie articolare (incisura ulnaris), che accoglie la testa dell'ulna; la faccia dorsale mostra dei solchi per i tendini degli estensori; lateralmente questa faccia si prolunga verso il basso in un'apofisi (processus styloideus radii). Nei movimenti di rotazione della mano l'estremità superiore del radio ruota intorno a sé stessa, l'inferiore gira attorno alla testa dell'ulna.
Lo scheletro della mano risulta formato di tre parti, carpo, metacarpo e falangi. Il carpo occupa meno di un quinto della lunghezza della mano ed è formato da 8 ossa disposte in due serie, una prossimale e una distale: la serie prossimale è costituita da 4 ossa, che andando dal lato radiale verso il cubitale, sono: lo scafoide (os naviculare manus), il semilunare (os lunatum), il piramidale (os triquetrum), il pisiforme (os pisiforme); quest' ultimo però si deve considerare come un osso sesamoideo sviluppatosi nello spessore del tendine del muscolo cubitale anteriore; la seconda serie o distale, cominciando dal lato radiale, è formata dal trapezio (os multangulum maius), trapezoide (os multangulum minus), capitato (os capitatum), uncinato (os hamatum): ciascuno di questi quattro si articola con un metacarpale, meno l'uncinato, che si articola contemporaneamente col 4° e col 5° metacarpale e che perciò si può considerare come risultante dalla fusione di due ossa prima separate. Le ossa del metacarpo sono cinque e indicate col nome di 1°, 2°, ecc. metacarpale cominciando da quello del pollice; ogni metacarpale, che si considera come un osso lungo, è formato di un corpo, di una base, che si articola col carpo, e di una testa, che si articola con la prima falange del dito corrispondente. Lo scheletro delle dita, che rappresenta circa la metà della lunghezza di tutto lo scheletro della mano, è formato in ogni dito da tre falangi (phalanges), meno il pollice, che ne ha due. Le falangi si distinguono in prima, che è la più vicina al metacarpo, seconda e terza o ungueale. Ogni falange possiede un corpo, un'estremità prossimale detta base, un'estremità distale detta troclea: nelle ultime cinque falangi al posto della troclea vi è la tuberositas unguicularis. A livello dell'articolazione metacarpofalangea del pollice si hanno quasi sempre nella faccia palmare una o due ossa sesamoidee: consimili formazioni si possono trovare anche nel mignolo e nell'indice.
Scheletro dell'arto inferiore. - Il cinto è formato da ciascun lato da tre ossa, uno superiore, l'ileo (os ilium), uno ventrale, il pube (os pubis), uno dorsale, l'ischio (os ischii); queste tre ossa, prima distinte, all'epoca della pubertà si saldano tra loro e formano un osso unico, l'osso innominato (os coxae). Nel punto di confluenza delle tre ossa si ha un'ampia fossa emisferica detta acetabolo (acetabulum), che accoglie la testa del femore, formando l'articolazione coxofemorale. Il pube e l'ischio, inoltre, con la loro unione delimitano un ampio foro detto foramen obturatum. Le due ossa innominate ventralmente si uniscono tra loro per mezzo di un'articolazione assai serrata, detta sinfisi pubica, dorsalmente si uniscono ai margini laterali del sacro per mezzo delle articolazioni sacroiliache, anch'esse pochissimo mobili; risulta così che il cinto pelvico è quasi immobile sullo scheletro assiale, ma in compenso gli aderisce solidamente per meglio adattarsi al compito di sostenere il peso del corpo. Dall'unione delle ossa innominate, del sacro e del coccige risulta il bacino (pelvis), che ha la forma di un imbuto ed è formato da una parte superiore molto più larga detta grande bacino e da una inferiore più stretta, piccolo bacino. Nel piccolo bacino si distingue un'apertura superiore, stretto superiore (apertura pelvis superior), e uno stretto inferiore (apertura pelvis inferior). Importante è la conoscenza dei varî diametri di questi stretti, che debbono raggiungere determinate lunghezze affinché possa espletarsi il parto Il bacino della donna è più largo, ma più basso di quello dell'uomo.
Il femore (femur) forma lo scheletro della coscia ed è l'osso più voluminoso del corpo umano; presenta un corpo cilindroide e due estremità ingrossate. L'estremità superiore o prossimale porta medialmente una formazione sferica detta testa (caput femoris), riunita al resto per una parte più ristretta detta collo (collum femoris): la testa s'articola con l'acetabolo: lateralmente vi è un robusto processo, detto grande trocantere (trocanter maior), posteriormente un processo più piccolo, chiamato piccolo trocantere (trocanter minor). L'estremità distale mostra due robuste formazioni discoidali articolari dette condili (condylus medialis, condylus lateralis), che innanzi confluiscono formando un piccolo segmento di puleggia, la troclea (facies patellaris). I condili si articolano con le cavità glenoidee della tibia, la troclea con la faccia dorsale della rotula.
Le ossa della gamba sono due: uno mediale, la tibia (tibia), l'altro laterale, il perone (fibula). La tibia, che è l'osso principale, è molto più voluminosa e presenta un corpo a sezione triangolare e due estremità ingrossate. L'estremità superiore, più grande, mostra tre tuberosità, una mediale (condylus medialis), una laterale (condylus lateralis), una anteriore o patellare (tuberositas tibiae); quest'ultima serve per l'inserzione del legamento rotuleo, che rappresenta la parte terminale del tendine del quadricipite, nel cui spessore s'è sviluppata la rotula. Nella faccia superiore di questa estremità si trovano due superficie articolari, le cavità glenoidee, costituenti la facies articularis superior, che con l'interposizione dei menischi si articolano coi condili del femore; tra le due cavità vi è un rilievo, la spina della tibia (eminentia intercondyloidea). L' estremità inferiore o distale è più piccola, porta la superficie articolare che accoglie la troclea astragalica (facies articularis inferior) e medialmente a questa il malleolo interno (malleolus medialis). La fibula è un osso lungo e sottile, che termina con due rigonfiamenti; il rigonfiamento superiore (capitulum fibulae) si articola con la tuberosità esterna della tibia, quello inferiore forma il malleolo laterale. L'estremità distale, articolandosi con la corrispondente della tibia, forma il mortaio tibioperoneo, entro il quale è accolta la troclea astragalica.
Lo scheletro del piede risulta formato di tre parti, tarso, metatarso e falangi e nel suo insieme costituisce una vòlta, la quale poggia sui tre pilastri, uno posteriore, la tuberosità calcaneale, due anteriori, le teste del primo e del quinto metatarso. Il tarso è molto sviluppato corrispondentemente allo sforzo che deve compiere sostenendo il peso del corpo, e occupa circa la med. della lunghezza del piede; risulta di sette ossa disposte in due serie: la prima serie o prossimale è formata dall'astragalo (talus), che serve ad articolare il piede con la gamba, dal calcagno (calcaneus) e dallo scafoide (naviculare). La seconda serie o distale è formata da quattro ossa, che, andando dal lato tibiale verso il fibulare, sono il 1°, 2° e 3° cuneiforme (ossa cuneiformia), e il cuboide (os cuboideum); queste quattro ossa sono omologhe a quelle della seconda serie del carpo e il cuboide, come l'uncinato, si articola con i due ultimi metatarsi. I cinque metatarsi hanno una forma simile a quella dei metacarpi. Anche le falangi somigliano a quelle della mano, però sono molto ridotte, specie le seconde, per modo che lo scheletro delle dita rappresenta meno di un quinto della lunghezza totale del piede.
Bibl.: K. Bardeleben, Handbuch der Anatomie des Menschen, Jena 1896; P. Poirier e A. Charpy, Traité d'anatomie humaine, Parigi 1931; D. Bertelli, ecc., Trattato di anatomia umana, Milano 1932.
Fisiologia.
Le ossa costituiscono il principale apparecchio di sostegno del corpo; infatti molti organi si applicano o s'inseriscono su di esse o sono contenuti in cavità da esse formate. Le ossa, inoltre, costituiscono gli organi passivi del movimento, perché funzionano come leve, sulle quali agiscono sia la potenza, rappresentata dalla contrazione dei muscoli che s' inseriscono su di esse, sia la resistenza, rappresentata dal carico, cioè il peso della parte del corpo che si muove o quello degli oggetti da questa portati. Di solito nelle leve ossee il punto di applicazione della potenza (punto d'inserzione del muscolo) è più vicino al fulcro (articolazione) che il punto di applicazione della resistenza (carico del muscolo). Ne consegue che lo spostamento, che il carico subisce, è molto maggiore dell'ampiezza della contrazione muscolare che lo determina. Inoltre il braccio di leva della potenza (compreso tra il fulcro e il punto di applicazione della potenza) aumenta di lunghezza col procedere della contrazione del muscolo e compensa perciò in parte la diminuzione progressiva della forza, che il muscolo subisce durante la sua contrazione. Nell'interno delle ossa infine si trova un tessuto, il midollo osseo (v.), che ha funzione ematopoietica. Le ossa sono formate alla loro superficie da uno strato di tessuto osseo compatto, mentre nella loro parte interna sono costituite da tessuto osseo spugnoso. Nelle ossa lunghe lo strato di tessuto compatto, che ha un certo spessore nel corpo dell'osso o diafisi, diventa sottilissimo alle due estremità o epifisi; il tessuto spugnoso si trova solo nelle epifisi, manca invece nella diafisi, dove in suo luogo esiste una cavità cilindrica, detta cavità midollare. Questa costituzione delle ossa non nuoce alla loro solidità, soddisfa anzi pienamente alle esigenze della meccanica, per quanto riguarda i sistemi in cui con una massa minima si ottiene il massimo di solidità. Infatti in un corpo rigido la trazione e la pressione si esercitano in grado maggiore in corrispondenza alla superficie esterna, cosicché un cilindro cavo presenta alla trazione e alla pressione quasi la stessa resistenza che un cilindro pieno, dello stesso diametro e dell'identico materiale. E appunto a questo principio si conforma la costituzione della diafisi delle ossa lunghe. Per quanto riguarda poi le epifisi di dette ossa, la meccanica dimostra che alle estremità di un lungo cilindro il massimo di trazione e di pressione non si esercita solo in corrispondenza alla superficie esterna, ma anche secondo curve determinate, che decorrono nell'interno della sua massa. Ora G. H. Meyer dimostrò che le lamine ossee, che costituiscono il tessuto spugnoso delle epifisi, sono orientate col loro asse longitudinale nella direzione delle curve suddette, impartendo così all'osso la massima resistenza. La fig. 20 riproduce schematicamente la direzione delle lamelle ossee del tessuto spugnoso delle epifisi di alcune ossa dell'uomo.
È interessante il fatto che se, per cause patologiche o per condizioni speciali di lavoro dell'individuo, si modifica la distribuzione del peso del corpo su un determinato osso o comunque variano le esigenze meccaniche a cui l'osso deve soddisfare, così che viene a cambiare la direzione delle curve a cui sopra si è accennato, anche le lamelle del tessuto osseo spugnoso mutano la loro orientazione secondo la nuova direzione. Se si considera poi il tessuto osseo compatto, vi si trova una costituzione che lo rende molto resistente alla flessione e alle azioni meccaniche in genere. Infatti esso è costituito da sistemi di lamelle, che posseggono una struttura fibrillare e sono sovrapposte le une alle altre. Le singole lamelle sono tenute insieme da una sostanza interlamellare calcificata e da fibrille, che passano da una lamella all'altra. Tale struttura ricorda quella di una costruzione in cemento armato; le fibrille sono paragonabili all'armatura di aste di ferro e, come queste, sono incluse in una sostanza di consistenza lapidea. Il tessuto osseo compatto è pertanto, come il cemento armato, atto a resistere ad azioni meccaniche assai intense.
L'osso compatto ha un modulo di elasticità uguale a 2000 kg./mmq., presenta una resistenza alla trazione di 10 kg./mmq. e una resistenza alla pressione di 20 kg./mmq., se la pressione è esercitata nella direzione dell'asse longitudinale, e di 15 kg./mmq., se essa è esercitata perpendicolarmente a tale direzione.
Le ossa normalmente non vengono deformate dalla contrazione dei muscoli, che s'inseriscono su di esse; fanno eccezione le coste, che durante l'inspirazione subiscono un leggiero grado di flessione e di torsione attorno al loro asse longitudinale. È degno di nota il fatto che le costole, quando siano sottoposte a quelle stesse azioni meccaniche alle quali soggiaciono normalmente, presentano fenomeni elettrici, in quanto che la porzione di costola che subisce l'azione meccanica, diventa negativa rispetto a quella che rimane in riposo.
Il tessuto osseo presenta una birifrangenza positiva uniasse, in cui l'asse ottico corrisponde alla direzione delle fibrille.
Le ossa hanno un ricambio gassoso più ridotto che tutti gli altri organi; esso è però più attivo negli animali giovani che nei vecchi, cioè è più intenso appunto quando il midollo osseo si trova ancora nello stato di maggiore attività ematopoietica e il processo di ossificazione è ancora nel suo svolgimento. Le ossa di animali vecchi utilizzano, nei processi del ricambio, essenzialmente i grassi, nentre quelle di animali giovani consumano anche le sostanze proteiche e gl'idrati di carbonio.
Chimica fisiologica. - Il tessuto osseo (v. connettivo, tessuto) è costituito da cellule e da sostanza intercellulare: questa predomina per quantità su quelle, cosicché rappresenta il componente che imprime al tessuto osseo le sue caratteristiche. La sostanza intercellulare consta a sua volta di sostanze organiche e sostanze inorganiche depositate o legate con le prime. Trattando l'osso con acido cloridrico diluito, le sostanze inorganiche si sciolgono e rimangono quelle organiche, sotto forma di una massa elastica che conserva la forma dell'osso. La quantità di sostanze organiche del tessuto osseo oscilla entro limiti molto ampî, cioè fra il 30 e il 52%. Tali sostanze sono costituite da osseina (una sostanza proteica identica al collageno del tessuto connettivo), da osseomucoide (simile al condromucoide della cartilagine e al tendomucoide del tessuto connettivo) e da osseoalbuminoide (analogo al condroalbuminoide della cartilagine). Le sostanze inorganiche del tessuto osseo, che si possono ottenere per combustione completa dell'osso, sotto forma di una massa bianca, sono costituite soprattutto da calcio, da acido fosforico e da acido carbonico e in piccola parte anche da sodio, potassio, magnesio, cloro e fluoro. La proporzione fra calcio, acido fosforico e acido carbonico è costante non solo nell'osso normale dei diversi animali, ma anche in quello rachitico; essa inoltre è tale da far pensare che queste sostanze siano legate fra di loro a formare un sale complesso, il carbonato di fosfatocalcio.
La quantità di acqua contenuta nell'osso fresco oscilla fra il 14% e il 44%. Col crescere dell'età le ossa diventano più povere di acqua e più ricche di sostanze inorganiche. Alimentando animali giovani, ancora in via di accrescimento, con un vitto in cui sia deficiente il calcio, le ossa diventano più povere di calcio e presentano alterazioni simili a quelle dell'osso rachitico. La quantità di sostanze inorganiche dell'osso diminuisce anche nell'alimentazione con vitto le cui ceneri diano reazione acida (cereali) o a cui si aggiunga acido solforico diluito o fosfato monosodico. Il meccanismo per il quale le sostanze inorganiche si depositano nel tessuto osseo, è completamente ignoto. Non è da escludersi che nel tessuto osseo esistano delle condizioni che determinano la precipitazione del carbonato di fosfatocalcio, ma può anche darsi che l'acido fosforico o il calcio siano legati da una parte col substrato organico del tessuto osseo, mentre dall'altra si leghino rispettivamente col calcio o con l'acido fosforico portati dal sangue, cosicché si abbia la precipitazione del fosfato di calcio, che viene trattenuto da tale substrato. È degno di nota il fatto che nelle ossa esiste un fermento, la fosfatasi, che stacca l'acido fosforico legato a composti organici contenuti nel sangue, aumentando così nelle ossa la concentrazione dell'acido fosforico e provocando la precipitazione del calcio in forma di fosfato.
L'ossificazione dipende in parte dalla funzione di alcune ghiandole a secrezione interna, quali il timo, la tiroide, le paratiroidi, l'ipofisi, gli organi genitali. Ciò risulta dagli esperimenti seguenti. In seguito all'estirpazione del timo in un animale giovane, le ossa diventano meno dure e si piegano facilmente sotto il peso del corpo; il tessuto osseo compatto è più sottile e povero di calcio, quello spugnoso è più abbondante; anche i denti presentano un arresto di sviluppo; le fratture ossee riparano con difficoltà e più lentamente. Tutti questi disturbi sono dovuti al fatto che l'acido fosforico non è più utilizzato come normalmente dal timo e sottrae il calcio dalle ossa, eliminandosi poi come fosfato di calcio. L'estirpazione del lobo anteriore dell'ipofisi negli animali giovani determina un arresto dello sviluppo dello scheletro, un ritardo dell'ossificazione, per cui le ossa s'incurvano facilmente e vanno facilmente soggette a fratture spontanee; si ha permanenza dei denti di latte; gli animali rimangono nani. L'iperfunzione del lobo anteriore determina il gigantismo, se si manifesta nell'età infantile, l'acromegalia, se ha luogo nell'età adulta. L'estirpazione della tiroide negli animali giovani produce arresto di sviluppo delle ossa, specialmente di quelle lunghe, per una diminuita attività delle cartilagini epifisarie; perciò gli arti restano corti ed esili, determinando una sproporzione nell'euritmia della forma dell'animale. Anche negli animali adulti la tiroide ha influenza sulle ossa: infatti negli animali stiroidati il callo osseo susseguente a una frattura si sviluppa più lentamente e non si calcifica. Per contro la somministrazione di estratti tiroidei ad animali giovani accelera lo sviluppo del tessuto osseo e dei denti. L'asportazione delle paratiroidi negli animali in via di sviluppo determina alterazioni delle ossa e dei denti, che ricordano quelle che si osservano nel rachitismo, mentre la somministrazione di estratti paratiroidei (paratormone o ormone paratiroideo) a tali animali favorisce la deposizione di calcio nelle ossa. Dopo la castrazione l'accrescimento delle ossa è maggiore, per un ritardo dell'ossificazione delle cartilagini epifisarie. Questo fatto si verifica specialmente nelle ossa lunghe e perciò gli arti appaiono sproporzionatamente lunghi in confronto col tronco. L'ossificazione sta in stretto rapporto con la maturazione delle ghiandole sessuali, giacché le ossa cessano di crescere non appena si verifica tale maturazione. La minore statura della donna è dovuta appunto al fatto che in essa la maturazione sessuale è più precoce che nell'uomo. Per la stessa ragione i popoli meridionali hanno una statura più bassa che quelli settentrionali. Che infine l'ossificazione dipenda dalla funzione delle ghiandole sessuali è dimostrato dal fatto che l'osteomalacia delle donne spesso presenta un miglioramento dopo l'estirpazione delle ovaie.
L'ossificazione dipende inoltre da alcune vitamine, soprattutto da quella D, che si trova nell'olio di fegato di merluzzo, nel latte, nel burro, nel tuorlo d'uovo. Infatti una dieta priva di tale vitamina determina sperimentalmente negli animali alterazioni delle ossa simili a quelle che si riscontrano nel rachitismo e d'altra parte la somministrazione di vitamina D (ergosterolo irradiato) protegge contro il rachitismo.
Sviluppo del sistema osseo. - La biologia del sistema osseo in condizioni normali e patologiche costituisce un argomento di grandissimo interesse scientifico attuale: i numerosi problemi inerenti allo sviluppo, alla vita, alla rigenerazione, alle malattie del tessuto osseo non sono ancora tutti completamente chiariti, ed essi hanno formato in tempi antichi e recenti oggetto di studî istologici, fisicochimici, radiologici, di ricerche sperimentali, che hanno servito di base a dottrine classiche, delle quali alcune appaiono ormai universalmente accettate, altre sono state recentemente discusse sulla scorta di nuove concezioni.
Per quel che riguarda lo sviluppo del tessuto osseo è in primo luogo da tener presente che - come dimostrò K. B. Reichert sino dalla metà del secolo XIX - questo tessuto appartiene, insieme con il tessuto cartilagineo e il tessuto connettivo propriamente detto nelle sue diverse varietà strutturali, al gruppo delle sostanze connettive, che hanno origine comune dal mesenchima o tessuto connettivo embrionario, derivato prevalentemente dal mesoderma o foglietto medio dell'embrione nei primissimi stadî di sviluppo.
Ogni tessuto di questo gruppo è costituito da una sostanza fondamentale contenente fini fibrille, e da cellule. La sostanza fondamentale è collagena, cioè per ebullizione o per idrolisi dà colla (gelatina). Il tessuto connettivo embrionario sotto l'influenza di adattamenti funzionali della sua sostanza fondamentale si differenzia nel corso dello sviluppo in diversi tipi strutturali: e cioè in tessuto connettivo lasso, organo di riempimento o di scivolamento (tessuto adiposo, connettivo interstiziale), o in tessuto connettivo fibroso, organo di resistenza e di trazione (aponeurosi, tendini, ecc.); esso dà del pari origine per metaplasia al tessuto cartilagineo nelle sue varietà ialina, fibrosa ed elastica; e finalmente, mediante impregnazione di sali calcarei, può acquistare un massimo grado di durezza e di rigidità e trasformarsi così in tessuto osseo. Nel corso dello sviluppo umano la trasformazione del tessuto connettivo in tessuto osseo avviene direttamente soltanto in poche ossa (segnatamente nelle ossa piatte del cranio); mentre nel maggior numero dei pezzi scheletrici (ossa della base del cranio, vertebre, coste, ossa degli arti) il tessuto osseo è preceduto in una prima fase dello sviluppo da tessuto cartilagineo.
Esiste cioè sino dai primi mesi dello sviluppo fetale un modello cartilagineo della più gran parte delle ossa (scheletro cartilagineo primitivo), al quale si sostituisce, a partire dagli ultimi mesi della vita intrauterina, lo scheletro osseo. Questa sostituzione od ossificazione condrale non avviene, come si credeva un tempo, per semplice trasformazione (metaplasia), ossia per calcificazione della sostanza fondamentale cartilaginea, ma avviene invece per neoplasia: la cartilagine scompare per progressivo riassorbimento e viene sostituita da tessuto connettivo embrionario che si ossifica. L'ossificazione condrale si distingue in pericondrale ed endocondrale a seconda che si verifica alla superficie o in seno alla cartilagine. L'ossificazione pericondrale, che avviene nella diafisi delle ossa lunghe, si svolge, secondo la dottrina classica, per attività osteogenica del pericondrio. Si costituisce per questa un primo straterello di sostanza ossea (lamina fondamentale), il pericondrio è ora diventato periostio; questo dà origine successivamente a nuovo tessuto osseo, che assume grado a grado la disposizione in varî sistemi di lamelle, caratteristica del tessuto compatto. L'ossificazione endocondrale ha luogo nelle parti centrali delle diafisi, nelle epifisi delle ossa lunghe e nelle ossa corte, iniziandosi in uno o più punti determinati (nuclei di ossificazione), che per ogni osso sono in numero costante e si susseguono in un ordine stabilito: ciascuno di tali nuclei provvede all'ossificazione di un dato territorio e finisce col raggiungere i nuclei vicini e fondersi con essi.
A spiegare l'intimo meccanismo con cui l'ossificazione si svolge, esiste una dottrina istologica classica che vi attribuisce la parte essenziale a elementi germinativi, gli osteoblasti, che sono cellule connettive modificate per aumento di volume e moltiplicate per divisione cariocinetica. Queste cellule, che risiederebbero soprattutto nello strato profondo del pericondrio e del periostio e che arriverebbero nelle zone di ossificazione endocondrale con i vasi sanguigni penetrati in esse dal periostio o dalle cavità midollari, adempirebbero al compito di costituire - per degenerazione e fusione dei loro protoplasmi, secondo W. Waldeyer; per secrezione endocellulare, secondo K. Gegenbaur - le trabecole di quella sostanza fondamentale a struttura fibrillare, che sostituisce gradatamente la cartilagine in via di riassorbimento e che da principio acalcare (osteoide) si va poi calcificando, con l'assumere un deposito di fosfati e carbonati di calcio e di magnesio. Soltanto un piccolo numero di osteoblasti rimarrebbe incluso nelle cavità delle trabecole a formare le cellule ossee.
A questa teoria cellulare è stata in tempi recenti contrapposta una teoria umorale, sostenuta da J. Nageotte fra gli altri e ultimamente da R. Lériche e A. Policard. Questi autori negano che gli osteoblasti abbiano parte attiva nella formazione della sostanza fondamentale osteoide o preossea, che sarebbe un fenomeno esclusivamente interstiziale: moltiplicazione delle fibrille e aumento della viscosità della sostanza intefibrillare, in seguito a una modificazione circolatoria (edema preosseo). Le cellule connettive non farebbero che reagire contro questo ispessimento del mezzo ambiente, seguendo in ciò una legge biologica generale del tessuto connettivo, con l'assumere un'attività ipertrofica che porterebbe alla morte per degenerazione del maggior numero di esse. Il fenomeno del successivo indurimento calcareo rimane un problema complesso, non ancora risolto per quel che riguarda le basi fisico-chimiche e le condizioni istofisiologiche che lo deteminano; ma sarebbe certamente dovuto a influenze umorali anziché ad attività cellulare; e vi avrebbe importanza essenziale il sovraccarico locale di calcio. Studî recenti hanno servito a mettere in luce aspetti particolari del problema, ossia l'influenza esercitata sul fenomeno della fissazione del calcio da diversi fattori: quali la presenza in seno ai tessuti di sostanze proteiche anormali per il rallentamento degli scambî fisiologici dovuto alla stasi di linfa interstiziale, il rapporto fra calcio e fosforo nel regime alimentare, la presenza negli alimenti di vitamina liposolubile, l'ufficio della luce, quello delle secrezioni interne di certe ghiandole dell'organismo, l'influenza delle azioni meccaniche.
Sino dal principio del loro sviluppo le ossa presentano una forma che nei tratti fondamentali ricorda quella che avranno nell'individuo adulto. L'aumento nelle loro dimensioni, che accompagna l'accrescimento dell'intiero organismo, si compie per successiva aggiunta o apposizione di nuova sostanza ossea, con un meccanismo ormai noto nei particolari istologici, in base soprattutto a ricerche sperimentali.
Nelle ossa cilindriche l'accrescimento in lunghezza si effettua essenzialmente per opera della cartilagine epifisaria, cioè di quella striscia di cartilagine che rimane per tutto il periodo dello sviluppo a separare la diafisi ossea dal nucleo di ossificazione endocondrale di ciascuna delle due epifisi. L'osso di origine endocondrale della diafisi si accresce a ognuna delle due estremità a spese appunto della cartilagine epifisaria, la quale nello stesso tempo che si distrugge per creare nuovo osso continua a proliferare al di sopra della linea di ossificazione; in modo da trovarsi sospinta a distanza sempre maggiore dal punto medio dell'osso. Quando si approssima la fine del periodo di sviluppo, la rigenerazione della cartilagine epifisaria avviene in proporzione minore della sua distruzione, finché la cartilagine stessa finisce con lo sparire, mettendosi il tessuto osseo della diafisi a contatto con quello della epifisi; allora ha termine l'accrescimento in lunghezza. Analoga invasione della cartilagine epifisaria da parte del tessuto osseo si verifica pure nella superficie di essa che è a contatto col nucleo dell'epifisi, ma in proporzioni molto minori; sicché l'accrescimento in lunghezza dipende nella massima parte dall'allungamento della diafisi. Mentre avviene così l'allungamento dell'osso endocondrale anche l'osso pericondrale o periostale della diafisi aumenta per apposizione da parte del periostio di nuovi strati di sostanza ossea, determinandosi così l'accrescimento in spessore della diafisi; e i nuovi strati di osso periostale sono via via di maggiore lunghezza, come sono progressivamente più estesi in superficie i nuovi strati di osso endocondrale, e così il cilindro diafisario viene a essere costituito da due coni di osso endocondrale e da altri due coni di osso periostale, i quali tutti si guardano per il loro apice al centro dell'osso.
Secondo le vedute di R. Lériche e A. Policard le proprietà osteoformatrici attribuite dagli autori classici e soprattutto da L. Ollier agli osteoblasti dello strato interno del periostio dovrebbero venir negate; il periostio prenderebbe parte all'ossificazione col suo strato interno, solo per la capacità di fornire vasi sanguigni e di trasformarsi, per modificazioni della sua struttura determinate da aumento della circolazione, in tessuto connettivo embrionale, cioè in mezzo ossificabile; mentre il suo strato esterno non avrebbe che l'ufficio di limitatore dell'accrescimento dell'osso.
Con la produzione di nuova sostanza ossea si accompagna, in proporzione naturalmente minore per la durata del periodo di sviluppo, il riassorbimento dell'osso già formato: in tal modo si viene a costituire nelle ossa lunghe la cavità midollare, la quale successivamente si allunga e si allarga col crescere delle dimensioni della diafisi; così si formano e si ingrandiscono le areole del tessuto spugnoso. Anche nell'interno del tessuto compatto si formano per riassorbimento di osso degli spazî che vengono colmati con la formazione di nuovi sistemi haversiani di lamelle.
Il riassorbimento dell'osso avviene ordinariamente col meccanismo dell'erosione lacunare od osteoclasia: consistente in un'azione fagocitaria su tutti gli elementi del tessuto osseo esercitata da speciali cellule di notevole volume e provviste di un numero più o meno rilevante di nuclei, chiamate osteoclasti.
Viene ammessa da varî autori un'altra modalità di riassorbimento per semplice osteolisi (alisteresi di R. Volkmann), fenomeno umorale che si esercita soltanto sulla osseina e sui materiali calcarei, e che porta, non alla scomparsa totale del tessuto osseo come l'osteoclasia, ma al ritorno di esso allo stato di tessuto connettivo.
Questo accoppiarsi di fenomeni di neoformazione e di riassorbimento di sostanza ossea non si limita al periodo dello sviluppo, ma si prolunga per tutta la vita; in modo da determinare una lenta continua ricostruzione dell'osso. Questo fatto, la cui conoscenza si deve ad A. Pommer (1885), sta alla base di tutta la biologia normale e patologica del sistema osseo.
Fisiopatologia.
Nonostante i suoi caratteri esteriori di rigidità e di solidità l'osso, biologicamente considerato, è in realtà il tessuto più instabile del corpo umano; è un tessuto senza alcuna fissità morfologica, in perpetua evoluzione, in continua reazione a ogni sorta d'influenze. Siffatte influenze entrano in giuoco tanto in condizioni normali quanto in contingenze patologiche: le reazioni che esse determinano nel tessuto osseo si svolgono costantemente sotto forma degli stessi processi ben determinati, di apposizione e di riassorbimento di sostanza ossea, tanto nell'osso sano come in quello malato, tanto nel tessuto osseo adulto come in quello in via di accrescimento normale o in via di rigenerazione occasionata da traumi o da malattie.
Le influenze suaccennate agirebbero secondo le vedute classiche stimolando od ostacolando l'attività funzionale degli elememti cellulari agenti della ossificazione; secondo la più moderna teoria umorale modificando l'equilibrio fisico-chimico in seno ai colloidi costituenti il plasma interstiziale, in modo da determinare volta a volta la deposizione o riassorbimento di sostanza ossea.
Di tali influenze sono state sino a oggi riconosciute e studiate le seguenti: le azioni meccaniche in primo luogo, le condizioni circolatorie, la funzione di secrezione interna di certe ghiandole dell'organismo.
L'influenza delle azioni meccaniche sulla formazione, il mantenimento e l'adattamento del tessuto osseo costituisce la questione più anticamente studiata: a essa si riconnettono i lavori classici di G. Roux e di J. Wolff. Roux ha stabilito la legge dell'adattamento funzionale, ossia la legge fondamentale che le ossa - al pari di qualunque altro tessuto od organo - hanno una conformazione e una struttura determinate dalla funzione; e siccome la funzione dello scheletro è essenzialmente quella di offrire resistenza ad azioni meccaniche (influenze statiche del carico, azioni di pressione da parte degli organi adiacenti, azioni dinamiche esercitate dalla tensione e dalle contrazioni della muscolatura), così tali stimoli funzionali di ordine meccanico determinano tanto la configurazione esteriore quanto l'architettura interna delle singole ossa.
Agli studî del Wolff nello stesso campo si deve la legge di trasformazione, secondo la quale in seguito a primitivi mutamenti nella forma e nella funzione o semplicemente nella funzione dell'osso si verificano mutamenti nella struttura, determinati secondo regole matematiche, e quindi mutamenti nella conformazione esteriore, seguenti le stesse regole matematiche.
Il punto di partenza per la legge di Wolff era stato fornito dalla struttura trabecolare dell'estremo superiore del femore, che in sezione sagittale riproduce in modo sorprendente - come dimostrò per il primo il fisico Cullmann - le linee di forza di una costruzione di gru.
Su questa base il Wolff discute nella sua classica monografia i cambiamenti di forma e di architettura che avvengono quando le ossa funzionano in condizioni anormali; distinguendo: 1. alterazioni di architettura e forma che si verificano nelle modificazioni patologiche della forma delle ossa determinate da alterazioni nella loro funzione; 2. alterazioni che sono prodotte da modificazioni della sola funzione.
Osservazioni più recenti nel campo delle deformità hanno valso a fissare dei limiti a questa azione morfogenetica della funzione: così in contrapposto alla teoria di Roux, che riportava la forma e la struttura delle ossa unicamente ad alcune azioni esterne esercitate nel corso dello sviluppo, è stato incontestabilmente dimostrato (H. Braus, ecc.) che esiste per le singole ossa una forma d'insieme fissata dallo sviluppo dell'abbozzo embrionario, mentre di realmente acquisito per le influenze funzionali non rimarrebbero che i particolari della configurazione (F. Weidenreich).
Così non è più incontestabilmente ammesso che la formazione iniziale del tessuto osseo sia da attribuirsi alle influenze meccaniche; le vedute più moderne tendono a sostenere che l'apparizione prima del tessuto osseo sia dovuta a influenze umorali, mentre le influenze meccaniche non avrebbero altro ufficio che quello di determinare l'orientamento delle fibrille connettive nella sostanza fondamentale destinata a impregnarsi di sali calcarei. Rimane invece incontestabile l'influenza delle azioni meccaniche sul mantenimento e l'ispessimento delle trabecole ossee: lo scheletro è mantenuto dall'esercizio della sua funzione di sostenere il carico.
Gli effetti delle azioni meccaniche sul tessuto osseo sono stati oggetto di infinite discussioni e di numerosissime esperienze.
L'antica teoria di Hüter e Volkmann che la pressione, oltre una certa intensità, impedisca la formazione di osso e ne determini il riassorbimento fu combattuta dal Wolff, che sostenne l'aumento dell'osso sotto l'influenza della pressione. In tempi più moderni si è rilevato che, nel caso di un osso lungo, la pressione esercitata con l'intermezzo della cartilagine articolare può, anche se forte, venir tollerata senza modificazioni del tessuto osseo; mentre l'osso compresso attraverso una superficie non rivestita di cartilagine va soggetto facilmente a riassorbimento. Dalle esperienze di L. Jores è risultato che la pressione discontinua con intervalli di riposo sufficientemente lunghi costituirebbe l'optimum per la formazione dell'osso.
Mentre è bene stabilita l'influenza dei fattori meccanici sulla morfologia generale del tessuto osseo, è tutt'altro che chiarito il meccanismo intimo col quale detta influenza si esercita. La teoria del Roux, che faceva intervenire un'azione trofica delle influenze meccaniche sulle cellule agenti dell'ossificazione, è battuta in breccia dalle modernissime concezioni che alla funzione cellulare vogliono sostituire le influenze umorali, le quali si eserciterebbero con un meccanismo di ordine fisico-chimico.
Oltre alla funzione meccanica, che è la funzione dominante dal punto di vista dell'individuo, il sistema osseo assolve l'altra funzione, meno appariscente ma importantissima nei riguardi della fisiologia generale dei tessuti, di riserva del calcio per l'organismo.
Il sangue, conformemente alla regola biologica del mantenimento della costanza della sua composizione, deve contenere una quantità fissa di materiali calcarei. Quando il suo contenuto in calcio tende a diminuire, esso prende del calcio nelle sue riserve, cioè nelle ossa; e lo deposita in esse quando ne contiene in eccesso.
Così si spiega verosimilmente il meccanismo delle influenze alimentari sul sistema osseo, che sono state oggetto di osservazioni cliniche e di ricerche sperimentali molto numerose dalle quali è risultato che un'alimentazione insufficiente per quantità (malattia da fame, studiata in Germania durante l'ultima guerra) o per qualità (mancanza di determinate sostanze nutritive, vitamine, ecc.), o un'imperfetta utilizzazione degli alimenti per gravi turbe digestive o per alterazioni del ricambio organico (acidosi), ovvero uno stato di cachessia generale dell'organismo, determinano nel sistema osseo alterazioni caratteristiche a base di atrofia, di osteoporosi o rarefazione dell'osso per aumentato riassorbimento e sottrazione di calcio e di fosforo.
Sull'influenza delle condizioni circolatorie le ricerche sperimentali e le osservazioni di patologia chirurgica non hanno ancora condotto a un orientamemo definitivo. Sembra tuttavia accertato che l'aumento della circolazione sanguigna in un territorio osseo vi favorisca il riassorbimento, e che viceversa, sotto certe condizioni, il rallentamento della circolazione sotto forma di stasi sanguigna o linfatica sia favorevole alla deposizione di sostanza ossea.
Sarebbe pure accertato che per alterazioni circolatorie bisogna intendere non quelle dei grossi vasi, ma quelle risiedenti nella rete dei vasi capillari. Per siffatte modificazioni del regime circolatorio capillare, ossia mediante la funzione vasomotoria, si eserciterebbe l'azione del sistema nervoso sulle ossa (alterazioni scheletriche osservate in malattie o lesioni nervose di diverso tipo), ritenuta sinora impropriamente come un'azione trofica esercitantesi a mezzo di ipotetici filetti nervosi speciali.
Esperimenti su animali e osservazioni cliniche hanno pure dimostrato che il sistema osseo è sensibile in modo particolare all'influenza delle secrezioni delle ghiandole endocrine: timo, tiroide, paratiroidi, ipofisi, testicolo, ovaio, ghiandole surrenali. Sono stati particolarmente studiati in via sperimentale gli effetti degli ormoni prodotti da queste diverse ghiandole sull'accrescimento dello scheletro e sul processo di riparazione delle fratture. Sono noti inoltre speciali quadri patologici determinati da alterazioni delle ghiandole a secrezione interna, come l'acromegalia dipendente da affezione del lobo anteriore dell'ipofisi; il nanismo di origine ipofisaria e quello di origine tiroidea (mixedema); l'eunucoidismo, ecc.
Quello delle secrezioni interne è un argomento scientifico di grande attualità, e specialmente nel campo delle alterazioni ossee si ricorre fin troppo spesso per spiegazione di reperti patologici a ipotetici disturbi di tali secrezioni. È indispensabile una critica molto cauta, non solo nel campo della patologia umana, ma anche nella valutazione dei risultati sperimentali, resa difficile soprattutto per la correlazione funzionale esistente tra le singole ghiandole endocrine, per modo che per es. la soppressione di una di esse ha per immediata conseguenza l'alterata funzione di altre. È infine tuttora completamente ignorato il meccanismo col quale si esercita l'influenza delle secrezioni interne sul sistema osseo.
Oltre che allo sviluppo e alla ricostruzione fisiologica, il sistema osseo provvede con tessuto di nuova formazione anche a riparare perdite di sostanza o soluzioni di continuo (fratture). La capacità di rigenerazione del tessuto osseo è straordinaria: esso è l'unico tessuto capace di guarire senza una cicatrice visibile.
Sul modo di svolgersi della rigenerazione ossea, in occasione soprattutto della riparazione delle fratture, sui fattori biologici che vi partecipano e sul come si estrinseca la loro azione, esistono numerose ricerche, antiche e recenti, cliniche e soprattutto sperimentali. Secondo la dottrina classica che fa capo a L. Ollier, la neoformazione ossea rigenerativa avrebbe origine in primo luogo dagli osteoblasti dello strato profondo del periostio (cambio), considerato come membrana germinale dell'osso, nonché dagli osteoblasti addossati alle lamelle ossee limitanti la cavità midollare delle ossa lunghe o gli spazî midollari delle ossa spugnose, e finalmente dagli osteoblasti esistenti entro i canali di Havers.
All'intorno della linea di frattura il periostio lacerato, contuso, infiltrato in primo tempo dal sangue stravasato e successivamente anche da edema reattivo, si mostra già dopo 48 ore ispessito a formare una massa di tessuto molle, giallastro, aderente all'estremità dei monconi e insinuantesi fra i medesimi, massa che sarebbe costituita da una ricchissima proliferazione delle cellule germinali del cambio, in grembo alla quale già nella 4ª o 5ª giornata si cominciano a differenziare trabecole osteoidi neoformate, riccamente irrorate da vasi sanguigni. Così si forma il callo esterno o periostale destinato a unire le estremità dei monconi fra loro. Contemporaneamente il midollo osseo subirebbe una metamorfosi regressiva, con scomparsa dei suoi elementi linfoidi e del grasso, mentre la moltiplicazione degli osteoblasti accollati alle lamelle limitanti il canale midollare, accompagnata da neoformazione vasale, darebbe origine a trabecole osteoidi costituenti il callo interno o midollare. La vecchia sostanza ossea delle estremità dei monconi cadrebbe in necrosi per interruzione della circolazione dovuta principalmente al distacco del periostio, mentre da parte degli osteoblasti situati nei canali di Havers avrebbe origine una scarsa produzione di trabecole osteoidi costituenti il callo intermediario.
Secondo le vedute più moderne (R. Lériche e A. Policard), che negano agli osteoblasti ogni partecipazione attiva nel processo di ossificazione, i fenomeni biologici che prendono parte alla riparazione delle fratture non sarebbero che la conseguenza logica, fatale, del traumatismo. Agli effetti immediati di quest'ultimo - emorragia nelle parti molli, rottura ossea, vasodilatazione paralitica - seguirebbero modificazioni elementari nei tessuti evolventi ciascuno per conto proprio e influenzantisi ben presto reciprocamente. L'emorragia è seguita da una coagulazione, il coagulo si organizza in tessuto di granulazione o tessuto connettivo embrionale, che rappresenta la matrice dell'osso; la vasodilatazione trae seco la congestione, la quale agendo sulle parti molli vi produce l'edema e vi crea così le condizioni adatte a trasformare il tessuto connettivo adulto periosteo e intramuscolare in connettivo embrionale, mentre agendo sull'osso fratturato vi determina il riassorbimento con liberazione di sali calcarei. Si creano automaticamente le condizioni essenziali per la neoproduzione di osso: matrice connettivale ossificabile e sovraccarico locale di calcio.
Il callo provvisorio, comunque formatosi, continua ad aumentare di volume fino verso la 5ª settimana (nell'uomo) e quando ha raggiunto il suo massimo accrescimento si consolida con l'impregnarsi di sali calcarei (in capo a otto o nove settimane). A quest'epoca esso ha ancora caratteri di tessuto osseo del tipo embrionale, poroso e ricco di vasellini sanguigni; in seguito, nel corso di mesi e di anni, subisce la cosiddetta involuzione, cioè si riduce nel volume e nella vascolarizzazione e acquista la definitiva struttura di osso adulto a opera delle influenze meccaniche, seguendo le norme dell'adattamento funzionale.
Quando in una frattura è avvenuta notevole dislocazione dei frammenti, la riparazione avviene a mezzo di un callo osseo deforme e più o meno esuberante, che in progresso di tempo non si riduce che parzialmente. Può infine accadere, sia per condizioni generali dell'organismo sfavorevoli a una normale rigenerazione - quali l'età avanzata e lo stato marasmatico -, più spesso ancora per circostanze locali, che la riunione dei monconi di un osso fratturato si compia a mezzo di un callo in parte osseo e in parte fibroso, insufficiente a dare alla leva ossea la solidità necessaria per la sua funzione: si parla allora di pseudoartrosi. Le condizioni locali capaci di determinare la pseudoartrosi possono essere principalmente le seguenti: dislocazione dei frammenti troppo notevole o insufficientemente ridotta, per cui le due masse di callo. formatesi attorno a ciascuno rimangono indipendenti l'una dall'altra; interposizione di tendini, di muscoli o di aponeurosi, che costituisce impedimento alla saldatura della neoproduzione callosa; scarsità di emorragia e mancanza o inattività di periostio (fratture del collo femorale e delle ossa del cranio), così da non costituirsi un mezzo ossificabile sufficiente; processi infettivi oltre un certo grado di intensità e di durata, che inducono necrosi di tessuti, suppurazione prolungata, alterazioni vascolari consecutive, creando un ambiente addirittura sfavorevole all'ossificazione riparativa.
Passando a considerare più propriamente il campo della patologia del sistema osseo nel complesso delle affezioni di tale sistema (a parte le fratture cui abbiamo già accennato), si può stabilire una classificazione in varie categorie. Una prima categoria comprende le alterazioni dello sviluppo, che possono essere congenite, originatesi cioè durante la vita fetale, oppure acquisite, cioè con inizio e svolgimento durante la vita extrauterina, nel periodo di accrescimento dello scheletro che giunge sino verso il 20° anno.
Le alterazioni congenite dello sviluppo possono essere dovute a errore di prima plasmazione degli elementi germinativi da cui origina lo scheletro primitivo, oppure essere la conseguenza di processi morbosi, che colpiscano lo scheletro durante la vita fetale, o di influenze meccaniche, che disturbino i processi di ossificazione.
Siffatte alterazioni della prima formazione o dello sviluppo embrionale si verificano più frequentemente nel senso di una mancanza di plasmazione (agenesia o aplasia) o di un più o meno spiccato rallentamento (microsomia), più raramente nel senso di un eccesso di formazione e di sviluppo (macrosomia). Si possono avere delle agenesie o delle microsomie o rispettivamente delle macrosomie parziali, e delle micro- o macrosomie generali oppure sistematizzate.
Le agenesie o microsomie parziali possono colpire il cranio, determinando un arresto dell'ossificazione membranosa più o meno estesa nella vòlta (craniotabe) o una diminuzione nello sviluppo totale (microcefalia) o di alcune delle ossa craniche (plagiocefalia, platicefalia, clinocefalia, ecc.); possono colpire le ossa della faccia impedendo la saldatura delle ossa palatine (palatoschisi); possono interessare la colonna vertebrale sotto forma di difetto di saldatura dei corpi o, più spesso, degli archi posteriori delle vertebre (rachischisi o spina bifida), sotto forma di sviluppo incompleto di singole vertebre (scoliosi congenite) ovvero di riduzione del numero delle vertebre soprattutto nelle regioni terminali, cioè al collo e nel segmento sacro-coccigeo. Agli arti le agenesie o microsomie interessanti i varî segmenti (coscia, gamba, piede; braccio, avambraccio, mano) prendono il nome generico di ectromelie; esistono inoltre deformità congenite osteo-articolari di più comune osservazione (piedi torti, mani torte, lussazioni, anchilosi congenite, ecc.) le quali talvolta riconoscono come causa un vizio di prima formazione embrionaria, altre volte hanno origine meccanica per atteggiamento coatto del feto nell'utero a differenti periodi della gravidanza. Le agenesie o microsomie congenite sistematizzate dello scheletro possono consistere in alterazione sia dell'ossificazione endocondrale (nanismo acondroplasico), sia dell'ossificazione periostea (fragilità congenita delle ossa od osteopsatirosi), sia dell'ossificazione membranosa (disostosi cleido-cranica). Può infine verificarsi una microsomia generale congenita (nanismo essenziale) per scarsa plasmazione dell'intero sistema scheletrico a cui tien dietro una limitata attività di accrescimento nella vita extrauterina. Le rare macrosomie congenite si presentano sotto forma di gigantismo parziale consistente in ingrossamenti circoscritti, tumoriformi, di uno o più segmenti scheletrici.
Nel campo delle alterazioni acquisite dello sviluppo dello scheletro sono da considerare in un primo gruppo quelle che sono originate da disfunzione delle varie ghiandole a secrezione interna (tiroide, ipofisi, ghiandole surrenali, ghiandole sessuali) e che possono presentarsi tanto sotto forma di diminuzione nell'attività dell'accrescimento (nanismo tiroideo o mixedematoso, nanismo ipofisario) quanto di esagerazione di tale attività (gigantismo coincidente con ritardo nello sviluppo delle ghiandole sessuali). A quest'ultima categoria deve venire assegnata l'acromegalia, che è una forma di gigantismo parziale, interessante la mandibola e le estremità degli arti, originato da affezioni del lobo anteriore dell'ipofisi, ma che esordisce dopo il termine dell'accrescimento.
Un secondo gruppo di alterazioni acquisite dello sviluppo scheletrico è rappresentato dalle alterazioni in eccesso o in difetto determinate da cause irritative asettiche, da processi infiammatorî delle ossa o delle articolazioni, o da lesioni costituzionali (osteocondrite eredosifilitica).
A un terzo gruppo appartengono le alterazioni dello sviluppo, che riconoscono come causa modificazioni del ricambio materiale, e che sono rappresentate in primo luogo dalla rachitide, generalmente infantile, più di rado tardiva o dell'adolescenza, col suo quadro clinico ben noto di alterazioni dell'ossificazione soprattutto endocondrale e di deformità consecutive; nonché dal meno comune morbo di Möller-Barlow o scorbuto infantile. E, finalmente, in un quarto gruppo debbono annoverarsi le deformità acquisite da cause statiche o meccaniche, note sotto la denominazione di deformità essenziali dell'adolescenza, che interessano soprattutto la colonna vertebrale (cifosi, scoliosi) e gli arti inferiori (coxa vara, ginocchio valgo o varo, piede piatto).
A una seconda categoria di affezioni del sistema osseo appartengono le metamorfosi regressive, consistenti in una rottura dell'equilibrio fisiologico fra processi di apposizione e processi di assorbimento di sostanza ossea che, come è noto, continuano a svolgersi nello scheletro anche dopo che esso ha raggiunto il suo completo sviluppo. La più conosciuta fra le affezioni di questa categoria è l'osteomalacia, processo morboso sistematizzato, identico dal punto di vista delle alterazioni istologiche alla rachitide dalla quale si differenzia essenzialmente per il fatto che esordisce non nell'infanzia ma dopo il termine dell'accrescimento; più comunemente in donne nell'epoca del puerperio, talora in adulti o vecchi.
Una terza, importante e vasta categoria di affezioni scheletriche è rappresentata dai processi infiammatorî, i quali si distinguono a seconda della localizzazione nei varî costituenti dell'osso in periostiti, osteoperiostiti, osteiti e osteomieliti; a seconda dell'origine in ematogeni, traumatici e diffusivi per contiguità; a seconda del decorso in acuti, subacuti e cronici. V. sotto: Anatomia patologica.
Bibl.: A. Bonome, Apparato locomotore, in P. Foà, Trattato di anatomia patol., Torino 1921; W. Müller, Die normale und patholog. Physiologie des Knochens, Lipsia 1924; R. Lériche e A. Policard, Physiologie normale et pathol. de l'os, Parigi 1926; N. Pende, Trattato di patologia e clinica medica, Messina 1927; A. Chiarugi, Istit. di anatomia dell'uomo, Milano 1931.
Anatomia patologica.
Il sistema osseo, dalla prima fase dello sviluppo endouterino o endovulare, a seconda delle specie, sino all'estremo limite della vita autonoma, risente gli effetti dannosi che un'anormale evoluzione o cause morbigene estranee inducono nella tessitura e nella forma esteriore delle parti corporee. Che ciò possa avvenire quand'esso è nel suo primo abbozzo, è concepibile anche ai profani della biologia, dacché lo scheletro embrionale, acalcare, elastico, è cedevole nei suoi varî segmenti, sino a subire le più strane deformazioni per circostanze ambientali, quando non ne soffra per difetti primigenî di sviluppo della matrice da cui esso deriva. Più singolare è invero il contegno delle ossa che, raggiunto lo stato definitivo della loro struttura, si alterano a causa di veleni disciolti od organizzati che il corpo immagazzina, come effetto di un turbamento del suo ricambio materiale (tossici endogeni), o introduce accidentalmente dall'esterno (tossici esogeni) attraverso la cute, con gli alimenti o con l'aria di respirazione. Non è da credere che le anomalie plastiche, derivate da una mancanza (agenesie) o da un pervertimento più o meno precoce nell'evoluzione embrionale dello scheletro (disgenesie), costituiscano deformità più gravi e più impressionanti delle altre, che colpiscono le ossa nel periodo della loro crescita autonoma, cioè indipendente dall'influsso materno, o dopo che è già avvenuta la stabilizzazione della loro forma. Deviazioni profonde di quest'ultima e vere mutilazioni sono espressione di condizioni morbose maturatesi indifferentemente nell'una o nell'altra fase della vita dello scheletro; e soltanto l'esperienza medica sa definire il tempo e il modo del disordine somatico di cui esse sono l'esponente obiettivo.
Una mole ingentissima di osservazioni ha da tempo dimostrato come individui della nostra specie, alla pari di esseri filogeneticamente inferiori, possano presentare sin dalla nascita strane deficienze scheletriche, con una singolare costanza di tipo che allude a un disordine che fatalmente si ripete di soggetto in soggetto, tradendo l'esistenza di un movente causale rievocato di frequente nel corso dell'evoluzione. Sono di tal genere le anomalie per mancanza di intere ossa o di aggregati di ossa, come per es. il difetto di tutta la vòlta cranica, combinato con la mancanza della massa cerebrale; l'impicciolimento della porzione mentoniera della mandibola, con l'esito di un mento sfuggente verso la faccia anteriore del collo; la mancata saldatura dei due mascellari superiori e il conseguente labbro leporino o la gola lupina; l'incompleto sviluppo di un arto, con abolizione di uno dei suoi segmenti (femore, omero) e riduzione notevole in lunghezza dello stesso; il nanismo classico, che comprende l'assottigliamento e l'accorciamento di tutte le ossa in forma armonica, o il nanismo deforme per accorciamento delle sole estremità corporee, mentre capo e tronco hanno raggiunto lo sviluppo medio.
Di contro non mancano manifestazioni d'ordine opposto, cioè eccedenze di numero e di volume di determinate provincie dello scheletro; vertebre e dita in soprannumero; ossa craniche enormemente spesse sulla convessità, o più numerose che di norma, alla vòlta cranica; duplicità di interi territorî, come quattro braccia o due teste sopra un unico tronco, cioè mostruosità vere e proprie, che accennano a un imperfetto geminismo, e nelle quali il tessuto scheletrico di sostegno ha la sua parte.
Codeste anomalie dell'accrescimento delle ossa possono, in misura più modesta, verificarsi anche indipendentemente da disordini primigenî dello sviluppo, quale conseguenza di turbamenti nutritivi da inettitudine funzionale di ghiandole, la cui secrezione è indispensabile all'integrità morfologica dello scheletro. Fra queste ghiandole occupano il primo posto la tiroide, le paratiroidi e l'ipofisi cerebrale. Caratteristiche sono specialmente le alterazioni indotte nelle ossa da un'iperfunzione paratiroidea e ipofisaria. Studî recenti hanno dimostrato infatti che nel primo caso si vanno preparando grado a grado nello scheletro modificazioni complesse, che si compendiano in un riassorbimento dei sali alcalino-terrosi con trasformazione fibrosa dell'osso eburneo e perciò in una pieghevolezza anormale con tendenza alle fratture (malattia di Recklinghausen), mentre nel secondo caso le ossa si allungano esageratamente negli adolescenti (gigantismo), e si ingrossano alla faccia, alle mani e ai piedi negli adulti, generandosi, nella fattispecie, una malattia a lento decorso nota col nome di acromegalia (morbo di Marie). La stessa osteomalacia (rammollimento dell'osso), che colpisce gli adulti e in specie le donne nella fase della maternità (v.), cagiona deformazione del bacino, delle costole e della colonna vertebrale, che si stabilizzano dopo la guarigione, lasciando postumi indelebili. Anche per la genesi dell'osteomalacia v'è chi parla di insufficenza ghiandolare (iposurrenalismo), mentre i più la considerano ancora una malattia d'origine oscura. Di consimili anomalie di forma e di sostanza lo scheletro può essere vittima particolarmente nei primi anni di vita, in seguito ad un alterato ricambio materiale che ha forse radice in un'alimentazione inadeguata e che può condurre ai più profondi pervertimenti plastici, specie di quelle ossa sulle quali agisce il peso del corpo o la trazione muscolare. A fondamento di questo disturbo di crescenza, noto sotto il nome di rachitide (v. rachitismo), sta una deficiente impregnazione calcarea del tessuto osseo di nuova formazione, che per le esigenze dell'accrescimento corporeo dovrebbe aggiungersi all'antico, nonché un esagerato riassorbimento del vecchio osso perfettamente consolidato prima che la malattia esordisse. Con l'affacciarsi del morbo viene perciò a determinarsi uno stato di più o meno rapida e progressiva elasticità e fragilità anche delle ossa più robuste, come quelle della coscia e della gamba, e meglio ancora delle più delicate, come le costole e le clavicole, accanto a una serie di malformazioni inerenti alla statica e al movimento, con incurvature fisiologiche accentuate; tumefazioni articolari ai ginocchi, ai gomiti, ai polsi e alle caviglie, e deviazioni angolari delle ossa a livello; dorso fortemente inarcato e gibbo anteriore; fratture multiple, guarite con nodosità tumoriformi; ossa craniche svasate per imperfetta saldatura, in quanto la malattia le sorprende quando la loro fusione non è ancora avvenuta e le riduce molli (craniotabe) e cedevoli sotto la pressione del liquido encefalico, patologicamente aumentato. Cosicché da gradi più moderati di questa forma (rachitide lieve), che ne permettono l'identificazione soltanto a un esperto, e che non lasciano nello scheletro un'impronta permanente, giacché nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza la natura provvede a cancellarne ogni traccia, si giunge ai gradi estremi (rachitide mostruosa) attraverso a una serie indefinita di passaggi, nei quali non l'essenza, ma l'entità e la sede delle più profonde lesioni mutano di individuo in individuo. Salvo le note fondamentali e l'intima natura delle alterazioni delle ossa, il pleomorfismo della rachitide consiste per l'appunto nella prevalenza delle deformità nell'uno piuttosto che nell'altro territorio corporeo, e nella gravezza mutevole delle lesioni statiche e delle dinamiche. Ne consegue che la sovrapposizione della multiforme rachitide ad altri tipi di osteopatia precorrente e congenita, sia pure parziale, può talora rendere ardua l'orientazione diagnostica anche a un occhio esercitato.
A prescindere da queste turbe generali di nutrizione a movente spesso oscuro, che nelle prime età della vita imprimono nell'intelaiatura di tutte o quasi le ossa così radicali trasformazioni di struttura intima e di forma, vi sono, non di rado, processi patologici che interessano dello scheletro solo alcuni segmenti e che sono espressione di cause esclusivamente agenti sul sito. Fra tali cause vanno ricordate le variazioni nella compagine del tessuto osseo dell'afflusso e del corso del sangue, come elemento apportatore delle sostanze nutritive indispensabili alla conservazione integrale e al rinnovamento di alcuni dei suoi componenti; le violenze materiali esteriori, che conducono a discontinuità per la rottura repentina dei rapporti topografici tra le singole porzioni di uno stesso osso, o tra più ossa vicine; la penetrazione e colonizzazione di microrganismi capaci di promuovere una reazione infiammatoria e dell'osso compatto e delle parti molli che lo avvolgono (cartilagine, periostio) e ne riempiono le interne lacune (midollo); infine, le dislocazioni congenite di abbozzi a carattere embrionale nello spessore del tessuto osseo adulto e ben conformato, quale fondamento presunto di accrescimenti autonomi, indefiniti, aggressivi oltre che privi di ogni obiettivo funzionale, che vanno sotto la designazione di tumori in senso stretto. Un semplice sguardo a questo elenco di possibili danni cui il sistema osseo può soggiacere nel corso della vita, quando lo stato di apparente pietrificazione dello scheletro, sembrerebbe preservarlo dai molti malanni che colgono visceri e sistemi a tessitura più delicata, e quando, come organo di sostegno, si direbbe quasi estraneo, per il suo stesso compito di second'ordine, ai mutamenti anormali del ricambio vitale del resto del soma, spiega la mole ingentissima di studî di cui fu fatto argomento, e il posto eminente ch'esso occupa nelle malattie dei vertebrati, dell'uomo in specie.
Le variazioni in più o in meno della massa circolante nei canali sanguiferi delle ossa, decidono dell'attitudine di queste ultime a svilupparsi rigogliosamente o in modo deficiente. Se, come nella vecchiaia, le arterie divengono rigide e impiccioliscono il loro lume per ispessimento della parete, il consumo dell'osso prevarrà sulla neoproduzione riparatrice, e lo scheletro acquisterà in leggerezza e fragilità, al contrario che nell'apporto esagerato di sangue per dilatazione dei canali preesistenti e per formazione di nuovi, com'è il caso nell'irritazione iniziale del margine alveolare della mandibola nei lavoratori di fosforo, prima che intervengano manifesti fatti di flogosi. Di fatto ogni infiammazione dell'osso è contraddistinta da un maggior afflusso di sangue comunque volga il suo destino. In questa rubrica delle alterazioni circolatorie del sistema vanno ricordate anche le emorragie, di cui la più comune, e quasi fisiologica, si è quella del cosiddetto tumore da parto, che si constata sulla vòlta cranica dei neonati, tra osso e parti molli pericraniche, e che consiste in un'emorragia laminare o a bozza (cefalo-ematoma) per rottura dei vasellini sanguigni periostei, da schiacciamento della testa fetale contro le ossa del bacino materno durante la fase espulsiva del parto. Emorragie patologiche sono invece le altre che accompagnano le fratture traumatiche e le spontanee (da osteopatia primitiva) e in cui il sangue effuso colma la breccia esistente tra i monconi e ne infiltra i margini, insinuandosi nei loro spazî midollari. Della stessa origine è il versamento sanguigno nelle cavità articolari (emartro) colpite da distorsioni, da lussazioni, o da semplici contusioni, mentre è di origine diversa lo stravaso subperiosteo delle ossa lunghe degli arti (femore, tibia, omero, radio) nel cosiddetto scorbuto delle membra (malattia di Moeller-Barlow), tipica forma morbosa da carenza alimentare, che colpisce i bambini nella prima e seconda infanzia, e ne provoca il decesso con una sindrome acuta simile a quella di un processo infettivo delle ossa, mentre si tratta in realtà di una tossicosi pura, da scarsezza di vitamine (v.) nell'alimento. Il criterio ex iuvantibus (somministrazione di succo di agrumi freschi) ha messo in chiaro, solo al principio del sec. XX, la genuina causa di tale morbo, del quale soffrivano in passato anche i marinai per soppressione forzata delle vitamine dal vitto di bordo.
Largo campo di osservazione offrono le fratture delle ossa, che dànno materia fondamentale a un capitolo speciale di scienza, la traumatologia, il cui orizzonte si è ampliato assai al principio del sec. XX per l'incremento d'ogni genere di sport e per la frequenza degl'infortunî tra coloro che vi si dedicano. L'incremento degli esercizî sportivi e dei mezzi di rapida locomozione ha contribuito in questi ultimi anni a spostare le cifre statistiche della frequenza delle fratture dal quarto al terzo triennio della vita. Senza ripetere quanto è detto nella voce frattura, sia qui soltanto accennato alla difficoltà con cui guariscono le fratture quando tra i monconi s'intromettano tessuti eterologhi (muscoli, lamine aponeurotiche) e quando l'età del colpito sia molto avanzata. In non pochi di questi casi persiste un' anormale mobilità dell'osso nella sede della lesione (per es. tra collo e testa femorale o tra i monconi della canna femorale), e si viene organizzando un'articolazione falsa per levigatura da slittamento delle due facce contrapposte dei monconi ancora liberi, come se fossero superficie articolari vere, e per addensamento cicatriceo, a mo' di capsula, dei tessuti molli che li circondano (pseudoartrosi). Possono mutarsi anche i rapporti di topografia di ossa vicine in forma permanente nelle lussazioni (v.) o in quei traumatismi più lievi e sempre indiretti, che portano alla lacerazione delle lamine o delle lacinie fibrose interposte tra ossa a contatto, con esito in una transitoria dislocazione delle superficie giustapposte. Simili lesioni stanno a base della cosiddetta distorsione (v.), che nei sintomi ricorda molto dappresso, per il vivo dolore spontaneo e alla pressione, per l'incapacità funzionale immediata, e per la rapida tumefazione della parte, la frattura delle ossa articolate, con cui viene talora confusa. I progressi moderni dell'ispezione dello scheletro, mediante i raggi X, chiariscono ogni dubbio al riguardo.
Se i traumatismi dello scheletro apportano discontinuità anche dei tessuti muscolo-cutanei che circondano ossa e articolazioni, in guisa che i monconi di frattura si rendano esposti, e le cavità articolari divengano aperte, il malanno che ne può conseguire è di gran lunga maggiore che a monconi mascherati del tutto e a cavità chiuse. È infatti in tal frangente quasi inevitabile il pericolo dell'infezione per l'inquinamento della ferita con i microbî depositati, insieme col pulviscolo atmosferico, sulle vestimenta e di cui è costantemente spalmata la nostra pelle, anche nelle persone più scrupolosamente pulite. Ma all'infuori di una simile possibilità, che apre la serie delle infiammazioni patogeneticamente più semplici del sistema osseo, giacché il loro meccanismo di produzione è dei più elementari, ci s'imbatte non di rado in reperti di infiammazione osteo-articolare per i quali la genesi è più complessa, derivando lo stimolo o da parti vicine traumaticamente non disintegrate, o da immigrazione sua per il tramite, sia della corrente sanguigna, sia della linfatica. Vanno perciò distinte le infiammazioni osteoarticolari in diffusive da continuità, in ematogene e in linfogene, in rapporto al tragitto che il momento causale segue per giungere alle ossa. E poiché ogni segmento, per quanto minuscolo dello scheletro, consta di un rivestimento superficiale, il periostio o la cartilagine, di un tessuto duro fondamentale, l'osso propriamente detto, e di un contenuto molle, carnoso, che ne riempie le lacune, il midollo, sono nella pratica comune distinte le infiammazioni in periostiti, pericondriti, osteo-periostiti e osteomieliti, a seconda della reale sede di compromissione del tessuto, e della profondità ed estensione del processo. Sarà esposto a suo luogo il nosografismo proprio ad ognuno di questi termini, sul significato elementare dei quali non è qui il caso d'insistere. Soltanto per incidenza va ricordato che la gravità dell'infiammazione non è solo direttamente proporzionale all'estensione in superficie e in profondità del morbo, talché la periostite è di gran lunga clinicamente meno temibile dell'osteomielite, ma lo è anche in ragione del movente causale, che può consistere in un microrganismo banale, capace di determinare la suppurazione acuta e la morte rapida dell'osso con una sindrome che ricorda la febbre tifoide maligna, onde il nome di tifo delle ossa, o in un germe ad azione patogena lenta, che ne cagiona l'usura o carie e che suscita una serie di reazioni soggettive ed obiettive a fisionomia speciale e apparentemente meno grave.
Dopo quanto si è detto, è naturale l'illazione che quando l'infiammazione colpisce le ossa in vicinanza delle loro superficie articolari, i costituenti delle articolazioni ne soffrono al punto da subire la stessa sorte delle ossa, onde ne derivano artriti in senso lato, di vario tipo in rapporto alla natura dell'osteomielite o dell'osteocondrite.
Al gruppo delle infiammazioni del sistema osseo si ascrivono, forse erroneamente, anche oggi alcuni tipi di distrofia, che non si limitano a interessare l'una o l'altra provincia del sistema, ma lo comprendono tutto, com'è nella rachitide e nell'osteomalacia, cagionando un turbamento, a dir così universale, delle ossa e dei loro legamenti (osteopatie sistematizzate). La patologia non ha detto ancora l'ultima parola su taluna di queste forme, che, pur estrinsecandosi in soggetti di media età, e senza una causa ben definita, hanno in comune con la rachitide infantile alcune parvenze esteriori, tanto che vi è chi parla di rachitide tardiva, e sono così affini all'osteomalacia, che se ne distinguono esclusivamente per alcuni particolari di fine struttura del tessuto osseo malato. L'analisi critica di queste osteopatie, che vanno sotto nomi diversi (osteite fibrosa cistica di von Recklinghausen; osteite deformante o iperostotica di Paget-Stilling; osteo-distrofia cistica di Mikulicz) dimostra all'evidenza che, quando manca il criterio etiologico, cioè difetta la nozione della causa, il soggettivismo degli studiosi domina sovrano nella classificazione e nomenclatura dei quadri morbosi, sicché è lecito dubitare che sotto nomi diversi si comprendano forme tra loro differenti soltanto nel grado o in attributi di così scarso valore discriminativo, da rientrare nell'orbita delle variazioni individuali. Come fu ricordato più sopra, per la genesi di uno di questi tipi morbosi, l'osteite fibrosa, è stato chiamato in causa un eccesso di funzione delle paratiroidi, essendosi rilevata coincidenza di adenoma paratiroidea con l'osteite; da ciò il concetto di osteodistrofia o di osteosi paratiroidea. Onde ne venne l'indicazione curativa, tutt'affatto recente, di sopprimere con l'ablazione l'eccesso di tessuto funzionante (asportazione dell'adenoma) riconducendo le paratiroidi al loro rendimento medio. Di una tale direttiva, che sembra coronata da successo, dirà l'avvenire la portata terapeutica e il destino.
Largo e sempre crescente tributo al capitolo dell'oncologia (dottrina dei tumori) offre il sistema osseo in ogni periodo della vita; e può affermarsi, senza tema di errore, ch'esso segue da vicino, se non precede, ogni altro sistema nella linea ascendente della parabola che le statistiche ascrivono ai tumori in generale: In nessuna età il sistema osseo è immune da tumori, sia a decorso lento e benigno, sia a sviluppo tumultuario e invadente. S'intende qui alludere ai tumori primitivi, cioè a quelli che colpiscono le ossa, in quanto derivano dai loro costituenti fondamentali (periostio, cartilagine, osso, midollo) per impulso neoformativo dei medesimi sotto l'azione di uno stimolo tuttora sconosciuto; ché lo scheletro può anche ospitare tumori sorti primitivamente in altri sistemi organici e immigrati nel suo tessuto per effetto di un trapianto a distanza, com'è spesso il caso dei cancri della mammella e della prostata, che per quanto generatisi da tessuto ghiandolare, prediligono poi le ossa nella loro tardiva disseminazione (metastasi).
Le dimensioni che i tumori delle ossa, siano essi benigni o maligni, possono raggiungere, sono veramente eccezionali, essendo la loro crescita molto spesso compatibile con una lunga sopravvivenza dell'individuo che ne è affetto, a motivo della frequente loro sede periferica (gambe, braccia) e della rispettata integrità di visceri d'importanza decisiva per la vita.
I più comuni tumori benigni sono l'osteoma e il condroma, il primo composto di tessuto osseo compatto (osteoma eburneo) o spugnoso (osteoma midollare), il secondo di tessuto cartilagineo. In ambedue i casi si tratta di tumori di consistenza assai dura, identica a quella dell'osso e della cartilagine normali, a lento sviluppo, sferoidali o a segmento di sfera, talora moriformi, a confine netto verso il tessuto ospite, non recidivanti se rimossi e perciò di danno all'organismo soltanto quando spostano e schiacciano, nella loro lentissima ma progressiva evoluzione, organi e tessuti indispensabili alla vita vegetativa e di relazione. Dov'è osso o cartilagine, quivi può sorgere un osteoma o un condroma; ciò non esclude che alcune regioni dello scheletro, per es. il cranio e le sue cavità accessorie per l'osteoma, le dita delle mani e le estremità delle ossa lunghe per il condroma, figurino tra le colpite di preferenza. Non è raro il caso di tumori misti, di cartilagine e d'osso insieme (osteo-condromi), o di tumori esclusivamente cartilaginei, che presentino in qualche punto degl'indurimenti lapidei da impregnazioni calcaree amorfe, piuttosto che da una speciale organizzazione in tessuto osseo. Quando i tumori con matrice nell'osso o nella cartilagine acquistano caratteri di malignità, cioè crescono rapidamente, invadono le regioni prossime per infiltrazione dei loro elementi tra quelli dei tessuti di confine, recidivano, se asportati e si trapiantano in sedi diverse da quella d'origine, creandovi altrettante filiazioni della stessa natura, in guisa da menomare il compito funzionale di apparati e sistemi necessarî al mantenimento della vita, traendo l'organismo verso uno stato di generale deperimento delle forze e della nutrizione, si parla di osteosarcomi o di condrosarcomi, a seconda della natura del tessuto madre. Specie per questi ultimi, vale l'affermazione che pochi tumori, tra i maligni d'altri sistemi, raggiungono valori di massa così imponenti come i sarcomi delle ossa: il qual reperto è invero subordinato alla constatazione che alcuni tra essi sono strettamente localistici, cioè legati al sistema scheletrico, e non si trapiantano altrove che di rado, risparmiando l'organismo da quella rapida debilitazione, che gli deriva dalla generalizzazione della malattia. Le sofferenze che da questi tumori maligni derivano sono variabilissime in rapporto alla sede: in tutte domina il dolore locale, in tutte la progressiva denutrizione generale, in molte di esse la febbre di tipo preferibilmente ricorrente e vespertino; e accanto a ciò, disordini di funzionalità inerenti alla parte che il tumore distrugge o comprime, talché un osteo-sarcoma delle vertebre potrà cagionare paralisi di senso e di moto più o meno estese, da compressione o invasione del midollo spinale; uno delle ossa del piede, tumefazione progressiva e incapacità ai movimenti attivi e passivi; uno cresciuto in più ossa contemporaneamente (osteosarcomatosi), fratture multiple spontanee, cioè prodottesi senza l'intervento di un trauma locale per il semplice movimento volontario del malato, e con le fratture, che non guariscono, perché persiste e si aggrava anzi col tempo la causa irrefrenabile che le promuove, le alterazioni conseguenti alla compromissione dei visceri collegati alle ossa lese per rapporti di vicinanza.
È tuttora misteriosa la causa che provoca i tumori benigni e maligni del sistema osseo, come lo è per i tumori di altri sistemi. I traumi materiali e le infiammazioni possono darvi alimento occasionalmente, dacché talora si vede sorgere un tumore là dove hanno agito questi due momenti: ma si tratta però sempre di cause occasionali e incostanti, perché i più dei traumi e delle infiammazioni delle ossa non aprono la via ai tumori. La dottrina in merito è un riflesso dell'oncologia generale; v. tumore.
Il sistema osseo può anche ospitare vermi parassiti nello stadio larvale, quali l'echinococco e le tenie. Entrambe le specie vi si annidano in forma cistica, con predilezione nelle ossa spugnose (vertebre) o nelle parti estreme delle ossa compatte (femore, omero), provocandone una lenta distruzione, che è limitatissima se si tratti di cisti di tenia che non prolifera in sito (cisticercus cellulosae), e grave assai se di cisti di echinococco, che cresce per moltiplicazione endogena (una grande cisti ripiena di cistoline) o esogena (un grappolo di cisti libere), raggiungendo un volume ragguardevole. Simile parassitismo viene dall'ingestione di carni suine o bovine infestate di tenia o di alimenti inquinati di uova emesse con le feci del cane infestato d'echinococco.
Bibl.: L. Aschoff, Pathologische Anatomie, II, Jena 1909; E. Kaufmann, Lehrbuch der spec. patholog. Anatomie, II, Berlino 1911; A. Gilbert, Malattie delle ossa, in Trattato di medicina e terapia, Torino 1913; P. Foà, Trattato di anatomia patologica, fasc. IV, Torino 1921.
Chirurgia.
Assai vasto è il campo della chirurgia delle ossa: comprende infatti la cura di tutte le lesioni traumatiche dell'apparato scheletrico, che sono frequentissime, come di tutte le malattie del tessuto osseo, anch'esse frequentissime, e inoltre di molte deformità congenite o acquisite, cioè buona parte della chirurgia ortopedica.
La sua storia è antichissima: spesso menzionata negli scritti ippocratici, la si trova trattata abbastanza ampiamente nell'ottavo libro di A. Claudio Celso; ma era certamente praticata dagli Egizî dell'epoca faraonica e dagl'Indiani qualche millennio prima di Cristo, e se ne rinviene traccia in epoche anche più remote, poiché in ossa umane contenute in tombe preistoriche sono state più volte osservate sezioni fatte ad arte.
Il tessuto osseo leso da violenze esterne, o comunque scontinuato, tende alla guarigione mediante processi di riparazione e di rigenerazione analoghi a quelli che si avverano nelle lesioni delle parti molli. Il giovane tessuto, derivante in massima parte dalla attività dello strato profondo del periostio, si organizza in connettivo, nel quale però si svolgono processi di ossificazione: si forma così il callo (v. callo: Callo osseo), che rappresenta appunto la cicatrice delle fratture. Questo, dapprima voluminoso e a struttura osteoide, a mano a mano si va riducendo e addensando e finalmente raggiunge la struttura compatta.
Numerosissimi e svariati sono gl'interventi chirurgici, incruenti o cruenti, che si praticano sulle ossa.
1. Per lesioni di continuo traumatiche: riduzione e contenzione delle fratture (v.).
2. Per deformità congenite o acquisite, nel rachitismo o per postumi di fratture (callo deforme, pseudoartrosi).
Allo scopo di correggere le deformità rachitiche, specialmente l'incurvamento e la torsione delle ossa lunghe degli arti inferiori, oltre che ricorrere all'azione lenta e graduale delle cure ortopediche e degli apparecchi ortopedici correttori, si può praticare, specialmente nei piccoli bambini, il raddrizzamento rapido manuale e forzato, seguito da opportuno apparecchio immobilizzante gessato, o anche la frattura incruenta ottenuta con speciali apparecchi a vite o a leva, il che costituisce l'osteoclasia (v.). Questo intervento incruento assai in uso per il passato è in verità ora quasi del tutto disusato e gli vien preferita la sezione cruenta delle ossa ottenuta con lo scalpello, la cosiddetta osteotomia (v.), che può essere semplice, se consistente in un semplice taglio dell'osso, o cuneiforme, se implica una resezione cuneiforme dell'osso. Quest'ultima appunto è la più indicata per la correzione di calli deformi.
Per la cura delle pseudoartrosi o dei difetti di consolidazione delle fratture si può ricorrere al metodo incruento della confricazione dei frammenti, o alla resezione degli estremi di questi e alla sintesi ossea, ottenuta con sutura metallica o con inchiodamento o incavigliamento. Talora, invece, il chirurgo si propone di ottenere ad arte una pseudoartrosi per ristabilire la mobilità di un osso fissato da un'anchilosi altrimenti invincibile, come nel caso di anchilosi ossea dell'anca, o in quella dell'articolazione temporomascellare. Si può ricorrere in tali casi all'osteotomia sottotrocanterica e a quella della branca montante della mandibola, e si impedisce il saldamento dei frammenti mediante l'interposizione di un lembo di aponeurosi o di un fascio muscolare.
3. Per aprire cavità ossee, o per svuotare raccolte in queste contenute o per procurare la via di accesso ad organi interni, si praticano molteplici e svariati interventi, che qui si possono solo enumerare, rimandando il lettore alle relative voci.
La cavità cranica può essere aperta mediante la trapanazione, che asporta un dischetto di vòlta ossea cranica circoscritto dalla corona del trapano, o mediante la craniectomia, consistente nell'asportazione di un tratto più vasto di vòlta cranica con lo scalpello o con la sega di Gigli a filo metallico. La craniectomia può essere anche temporanea, quando si ciircoscrive, segandolo con appropriati istrumenti eventualmente mossi elettricamente, un largo lembo della vòlta che si solleva a guisa di sportello e poi si riabbassa quando l'operazione intracranica è compiuta (v. cranio-cerebrale, chirurgia).
I seni frontali e i seni mascellari vengono aperti con la perforazione o con la trapanazione o con lo scalpellamento. La cavità mastoidea viene aperta con la trapanazione dell'apofisi mastoidea, ma più ordinariamente con lo scalpello (v. mastoide). Il canale vertebrale mediante la resezione delle apofisi spinose e degli archi delle vertebre, la cosiddetta laminectomia (v.). La cavità toracica, per svuotare raccolte pleuriche, o per dar accesso agli organi endotoracici, si apre con la resezione di una o più costole. Il mediastino e la cavità pericardica, con la resezione parziale dello sterno, la sezione di coste o di cartilagini costali, ecc.
4. Per malattie infiammatorie acute suppurative delle ossa (osteomieliti acute) gl'interventi possono essere diversi.
Nel primo periodo si incideranno largamente e profondamente tutti i tessuti, fino all'osso, per dare esito alle raccolte sottoperiostee, e, se con ciò non si riesce a dominare il processo e a modificare le condizioni generali gravi, si dovrà incidere l'osso con la trapanazione o con lo scalpello, e aprire e fognare la cavità midollare, o si potrà anche scontinuare l'osso sezionandolo con una o più osteotomie. Nel periodo tardivo, quando la necrosi è già avvenuta e la neoformazione ossea periostale già avanzata, si dovrà intervenire nuovamente ed eseguire la sequestrotomia o la resezione della diafisi necrotizzata, aprendo largamente con lo scalpello la teca ossea periostale, cosiddetta "cassa da morto", ed estraendo il sequestro centrale. Così nelle forme di osteomielite circoscritta epifisaria e negli ascessi dell'osso, con o senza fistole ossee, l'intervento consisterà nell'aprire con lo scalpello una larga via di uscita al pus, allargando magari la fistola, e nell'eventuale estrazione del piccolo sequestro. Nelle forme di osteomielite cronica, che ordinariamente sono di natura tubercolare e interessano le epifisi e le ossa spongiose, se la lesione è ancora chiusa, occorre solo aspirare e iniettare liquidi modificatori contenenti iodoformio, guaiacolo, creosoto, canfora, ma, se è già aperta, conviene ingrandire l'apertura fistolosa e raschiare il focolaio di carie fungosa a mezzo del cucchiaio tagliente, o anche procedere a piccole resezioni parziali e atipiche, o, quando è interessata anche la vicina articolazione, procedere a una completa e tipica resezione di questa e dei capi articolari.
5. Nei casi di neoplasmi delle ossa, se si tratta di forme benigne, come osteomi, osteocondromi, si pratica la semplice asportazione del tumore, se di forme maligne, come sarcomi, osteo-sarcomi, endoteliomi delle ossa, si dovrà essere molto più larghi nell'asportazione e resecare tutto il tratto osseo sul quale è sviluppato il tumore e, quando sia possibile, come nel caso di tumore del mascellare o dell'omoplata o della clavicola, asportare l'intero osso procedendo alla sua totale ablazione.
6. Quando si è costretti a demolire un arto per estesa e grave lesione e malattia dello scheletro, si dovrà eseguire l'amputazione (v.).
7. Finalmente nei casi di perdita di sostanza delle ossa si può ricorrere ai trapianti ossei, come si possono eseguire operazioni di plastica ossea per correggere o riparare deformità scheletriche varie.
I trapianti ossei possono essere peduncolati, se ancora aderenti per il periostio e i tessuti molli alla loro primitiva sede, e in tal caso il loro spostamento non può essere che limitato, ma possono essere anche liberi e prelevati da punti lontani dello scheletro. Si può infatti asportare un tratto più o meno esteso di cresta tibiale e trapiantarlo nel braccio o nella coscia, per sopperire a un difetto osseo dell'omero o del femore, o inserirlo sulle apofisi spinose delle vertebre opportunamente recentate, per correggere un incurvamento cifotico della colonna vetebrale (metodo di Albee), come si può asportare un tratto di costola e trapiantarlo sullo scheletro della mano o sulle ossa della faccia o per riparare un difetto nelle ossa della vòlta cranica. Il tessuto osseo così trapiantato attecchisce, però si ritiene oggi dai più che non sopravviva durevolmente, ma vada lentamente incontro a fasi involutive e finisca per scomparire; però la sua funzione riesce egualmente utile, perché la sua presenza funge da stimolo alla proliferazione del tessuto osseo circostante, e rappresenta quasi una trama sulla quale la nuova produzione ossea si spinge attivamente, e vale perciò a favorire la riparazione del difetto osseo, ciò che rappresenta appunto lo scopo dell'intervento.
Radiologia.
L'esplorazione radiologica del sistema scheletrico s'è iniziata subito dopo la scoperta dei raggi X: l'osso ricco di sali di calcio (fosfato di calcio) si lascia in minor misura (rispetto per es. alle parti molli) attraversare dai raggi (fig. 21).
Perciò nel radiogramma di una mano le ossa appaiono sulla pellicola sensibile in bianco (perché ivi lo strato sensibile non è rimasto impressionato dai raggi che l'osso non ha lasciato passare); mentre le parti molli appariranno con una tinta più o meno grigia e le zone della pellicola, libere da qualunque sovrapposizione di parti, appariranno in nero.
È il radiogramma l'elemento base per lo studio delle ossa; poco utile è la semplice radioscopia, mentre la stereoradiografia rappresenta un mezzo complementare prezioso d'indagine. A seconda della regione da esaminare, esistono delle "proiezioni tipiche" (fig. 22), le quali rappresentano l'incidenza migliore per lo studio di un dato segmento scheletrico e che (se è il caso) possono essere integrate con altre proiezioni. Dobbiamo tener presente che in un osso le varie parti sono diversamente visibili a seconda della loro costituzione; la cartilagine è trasparente, quindi le ossa ad abbozzo cartilagineo si rendono visibili solo quando i sali di calcio impregnano la loro trabecolatura. Per la stessa ragione la cartilagine epifisaria non si vede, a meno che non si calcifichi (come avviene a un certo periodo della vita per le cartilagini costali, laringee, ecc.). Anche il periostio radiologicamente è invisibile, a meno che non si ossifichi o s'impregni di sali calcarei; la corteccia ossea appare invece bene distinta sul radiogramma (strato corticale) così come nelle ossa lunghe è bene evidente il canale midollare (in realtà esso appare come un'immagine negativa perché si vedono i contorni della sua cavità, ma non il suo contenuto). Nelle ossa piatte, lo strato spugnoso è compreso fra due strati compatti e appare sul radiogramma come un fine trabecolato, così come con una trabecolatura a maglie appare il capo epifisario delle ossa lunghe (epifisi). Nelle ossa corte lo strato corticale è sottile e l'osso presenta una struttura spugnosa con un rivestimento cartilagineo, totale per es. sulle ossa del carpo, parziale come sul calcagno.
Nelle articolazioni distinguiamo i due capi articolari con il rivestimento cartilagineo (invisibile) e lo spazio interarticolare: radiologicamente le due ossa - che sono a contatto - appaiono come divise da una linea trasparente, la quale misura lo spessore delle cartilagini articolari. Perciò se lo spazio - come nel ginocchio - è largo circa 6 millimetri, vuol dire che le due cartilagini sono alte 3 millimetri l'una. La sinoviale, la capsula fibrosa, i legamenti sono, in condizioni normali, invisibili.
Se noi introduciamo in una articolazione del gas (trasparente ai raggi X) noi veniamo a creare entro l'articolazione delle condizioni speciali di contrasto (pneumoartro) per cui è possibile perfino identificare le cartilagini articolari, e nel ginocchio, per es., quelle cartilagini che passano sotto il nome di menischi. La rottura di un menisco non sarebbe in altro modo diagnosticabile, giacché in un radiogramma comune la cartilagine resta invisibile perché trasparente. Il pneumoartro ci permette non solo di riconoscere le cartilagini articolari, ma anche di esplorare tutta la sinoviale articolare con i suoi recessi; creando un contrasto fra le varie parti, ci permette inoltre di sorprendere le più fini alterazioni delle varie parti costituenti l'articolazione. L'introduzione in un'articolazione di una sostanza di contrasto positiva (opaca, per es. uroselectan) può in determinate circostanze avere certi vantaggi sul pneumoartro, e perciò la scelta del mezzo di contrasto va vagliato caso per caso.
Ogni osso e ogni articolazione dovrebbero essere radiologicamente esplorati nelle tre posizioni dello spazio; praticamente basta l'esame nelle due proiezioni fondamentali: sagittale e laterale. Ma molte volte per constatare una rima di frattura, per es. di una rotula, è necessaria l'esplorazione, non solo sagittale e laterale, ma anche assiale (spessore, larghezza e altezza). Ogni osso ha la sua architettura che segue certe determinate leggi (di pressione, trazione. ecc.), e la radiologia ne ha permesso lo studio dettagliato. Così p. es. il calcagno presenta 5 sistemi di trabecolatura: il sistema talamico o posteriore; il sistema della faccia anteriore o del seno; il sistema della faccia articolare col cuboide; il sistema plantare e il sistema achilleo. È necessaria la conoscenza di tutti questi sistemi di trabecolatura perché lo scompaginamento dell'architettura ossea può essere un segno precoce di molte malattie. Nell'immagine tipica (eseguita con una tecnica esatta) l'osso ha una sua certa "densità". Una modificazione della densità ossea (sia nel senso di un addensamento, sia nel senso di una rarefazione) può essere a sua volta un segno prezioso e precoce per la diagnosi di malattia.
La struttura ossea è apparentemente stabile; l'osso si modifica durante tutta la vita per un processo contemporaneo di assorbimento e di apposizione ossea (concetto della plasticità biologica dell'osso); nella vecchiaia gli osteoblasti si esauriscono, mentre continua il riassorbimento lacunare da parte degli osteoclasti. Perciò l'osso nei vecchi appare osteoporotico (osteoporosi senile); la corticale delle ossa lunghe appare assottigliata, la trama slargata nelle ossa spugnose; il canale midollare slargato; l'osso ha un aspetto grigio. Specialmente colpite sono le ossa lunghe e il mascellare inferiore. Anche nell'età giovane e nell'età virile può verificarsi un'osteoporosi e una delle forme più note è quella che passa sotto il nome di atrofia acuta di Sudeck (1900) o atrofia acuta riflessa di Kienböck.
Essa consiste in un rischiaramento rapido dell'osso, il quale pertanto prende un aspetto grigio, trasparente con trabecole assottigliate, con corticale sottile: specialmente colpite sono le mani e i piedi e le epifisi distali degli avambracci e delle gambe; con tendenza manifesta all'estensione nel senso distale. Tale alterazione si verifica in genere per una lesione propria dell'osso o nelle vicinanze dell'osso; così, per es., può verificarsi nelle fratture, nelle forme tubercolari, nelle osteomieliti; come pure nelle ustioni, nei flemmoni della mano, nei paterecci, ecc. È dunque una risposta dell'osso a lesioni diverse di natura e di sede, così come avviene per es. nei flemmoni della mano a proposito della pelle che si fa cianotica, edematosa e a proposito delle unghie che divengono fragilissime. Naturalmente ci vuole un certo tempo perché l'alterazione si riveli: non meno di 2-3 settimane, ma qualche volta anche prima (come per es. nel patereccio). L'osso così può apparire velato e trasparente e divenire una spia del processo infiammatorio; qualche volta accanto all'aspetto velato si può avere un aspetto maculato (specialmente nelle ossa spugnose e nelle epifisi), oppure l'osso si presenta con un aspetto caratteristico "vitreo" e tale può mantenersi perfino per anni, tanto da riconoscere con difficoltà i contorni dell'osso, segnato appena da un orletto sottile di corticale e da qualche trabecola residua.
Accanto a queste atrofie ossee acute, esistono atrofie ossee a tipo cronico cioè che si stabiliscono in modo lento e subdolo: così per es. (a parte l'atrofia senile diciamo così fisiologica) appartengono a questo gruppo le atrofie alimentari (per es. da fame), le atrofie (in genere sistematiche) che si possono riscontrare nello scorbuto infantile (o malattia di Barlow), nello scorbuto degli adulti, nel rachitismo, nell'osteomalacia, nel morbo di Recklinghausen e nel morbo di Paget (in queste ultime malattie l'immagine radiologica - come vedremo - è complessa), ecc. Nella cosiddetta osteopsatirosi idiopatica l'alterazione ossea è congenita: tutte le ossa sono trasparentissime, con corticale sottile, facili sono le fratture spontanee anche per cause occasionali minime.
In ogni modo un'alterazione della struttura ossea, sia nel senso di rarefazione sia nel senso di addensamento, si riscontra come base di un gran numero di processi; nelle forme infiammatorie e nelle forme neoplastiche la distruzione è una delle caratteristiche della malattia.
L'addensamento osseo appare come il fatto opposto dell'osteoporosi: si tratta di un addensamento riparativo per es. nel callo di frattura ove si riformerà un sistema di trabecolatura grossolano e riconoscibile anche a distanza di anni; si tratta di un processo di addensamento reattivo, che può arrivare fino all'eburneizzazione dell'osso nelle forme infiammatorie (osteomieliti), ecc. Addensamento osseo si può riscontrare in alcune malattie da alterazione endocrina (acromegalia, ecc.), in alcune malattie tossinfettive (ipertrofia pneumica di Pierre Marie), in alcune malattie di origine ignota (osteopetrosi o malattia di Albers-Schoenberg).
Riassumendo, rarefazione e addensamento osseo possono essere considerati come i processi fondamentali elementari delle modificazioni radiologiche: i due processi qualche volta si presentano isolati, altre volte associati, si possono riscontrare in malattie diverse, ma il modo come il processo inizia e si svolge, il modo con cui l'alterazione si presenta per i suoi caratteri di limitazione o di estensione, nei suoi caratteri morfologici, ecc. costituiscono delle caratteristiche tali per cui il radiologo può avanzare delle ipotesi diagnostiche in altro modo non possibili. Non si deve tuttavia ritenere che la radiodiagnostica delle malattie ossee costituisca un capitolo semplice e facile: anzi, fra i varî capitoli della radiodiagnostica, questo presenta delle difficoltà spesso insormontabili, ed è possibile arrivare alla diagnosi solo con osservazioni spaziate nel tempo e ripetendo più volte l'esame. Le malattie delle ossa più importanti e nelle quali l'indagine radiologica rappresenta un sussidio oggi indispensabile possono essere raggruppate schematicamente così: affezioni traumatiche, infiammazioni acute e croniche, tumori, distrofie ossee, malattie articolari.
Affezioni traumatiche delle ossa. - Sono di diagnosi abbastanza facile, purché si tenga presente che è sempre necessario un esame spaziale del punto fratturato (due radiogrammi almeno perpendicolari uno all'altro) e che il radiogramma rappresenta l'immagine di una sezione perpendicolare alla direzione dei raggi attraverso l'oggetto. Una semplice fissurazione dell'osso può non vedersi se i raggi non cadono parallelamente a essa (cioè i raggi devono averne la stessa direzione).
La frattura può essere incompleta e completa (con dislocazione o meno dei frammenti); se non esiste dislocazione e la frattura non è completa noi dobbiamo riconoscere sul radiogramma l'interruzione della normale architettura; nei giovani la frattura può assumere i caratteri di una frattura "a legno verde", cioè l'osso si è piegato senza rompersi del tutto e il periostio (succoso nei giovani) copre la frattura ma appare come "arricciato" e la corticale non si mostra regolare ma interrotta a "scalino". Se la frattura è completa, con dislocazione dei frammenti, non è difficile radiologicamente studiare sia il meccanismo della frattura sia i caratteri della dislocazione. La dislocazione può essere ad latus (cioè i due frammenti sono spostati uno accanto all'altro), ad longitudinem (cioè i due frammenti si sono spostati nel senso della lunghezza), ad axim: i due radiogrammi spaziali ci rendono facilmente conto di questi caratteri. Lo spostamento ad peripheriam non è in genere radiologicamente rilevabile: esso è segno essenzialmente clinico e rilevabile radiologicamente solo quando (come nel caso del femore) si possa apprezzare la rotazione del collo femorale per i rapporti che sulla pellicola mostrano i due trocanteri rispetto al collo e alla testa femorali. Il modo come si dispongono i frammenti, il modo come si presenta la frattura rendono abbastanza facile nel maggior numero dei casi di risalire al meccanismo di frattura: frattura per incurvamento o flessione (fessura trasversale sul lato convesso e frammento a cuneo sul lato della concavità): frattura per torsione o a spirale (aspetto caratteristico della frattura a becco di clarinetto con componente di frattura verticale); frattura per strappamento, frattura per pressione (assiale, longitudinale, trasversale), ecc. Le condizioni di struttura e di densità dei frammenti ci possono ammonire sulla possibilità che la frattura sia avvenuta su un osso malato (frattura patologica come nei tumori, nelle osteomieliti, ecc.): spesso in questi casi la frattura è il primo segno della presenza di un tumore che aveva presentato un decorso completamente subdolo. Mediante radiogrammi spaziati nel tempo noi possiamo documentare sulla pellicola sensibile il modo come la frattura si va riparando cioè il modo come procede il callo di frattura. Il callo si presenta come due ramponi sui lati per es. della diafisi fratturata di un osso lungo, ma in realtà questa è un'immagine di sezione perché il callo circonda a mantello tutto l'osso: ma per vedere il callo occorre aspettare almeno tre settimane, il tempo, cioè, necessario perché il callo da molle divenga calcifico. Va ricordato che in certe ossa (come il cranio, come i metacarpi) il callo è fibroso, e perciò una rima di frattura può essere riconosciuta anche a distanza di tempo ed essere presente anche a distanza di qualche anno.
Il radiogramma potrà darci pertanto utili indicazioni sul processo di guarigione e sulla possibilità, viceversa, di una pseudoartrosi (mancata formazione di callo, spazio chiaro tra i due frammenti).
Infiammazioni. - L'osteomielite acuta (osteomielite acuta purulenta) rappresenta nel gruppo delle infiammazioni ossee uno dei capitoli più importanti. Le ossa colpite sono specialmente le tubulari; la lesione inizia nel tratto metafisario tra cartilagine di coniugazione e canale midollare specialmente là dove l'epifisi è più fertile (regione prossimale dell'omero, regione distale del radio, del femore), ecc. Clinicamente, accanto a forme acutissime e acute, si hanno forme a inizio subdolo e cronico spesso recidivanti: specialmente in queste forme è preziosa l'indagine radiologica.
Cerchiamo di raffrontare il processo anatomopatologico con quanto ci è dato rilevare radiologicamente. Nella prima fase si tratta di una suppurazione del midollo, che si fa edematoso: i canali haversiani ne vengono infiltrati e il processo arriva al di sotto del periostio fino qualche volta ad aprirsi nei tessuti molli o nell'articolazione. È eccezionale un reperto radiologico precoce in questi casi; perché il reperto radiologico sia probativo dobbiamo aspettare per lo meno 2-3 settimane (qualche volta, come nel patereccio, anche prima: dopo 8-10 giorni). Infatti, anatomopatologicamente per l'infiltrazione dei canali haversiani, per la stasi infiammatoria comincia a verificarsi un'osteite rarefacente sia localmente sia a distanza. Il riconoscimento radiologico di questa osteoporosi localizzata e a distanza (atrofia acuta di Sudeck) ci permette di formulare la diagnosi. Accanto a questi processi di osteite rarefacente sono caratteristici dell'osteomielite i processi reattivi e riparativi sia per ossificazione del tratto usurato sia per reazione ossificante del periostio; questi processi reattivi, se pure cominciano già dopo qualche tempo, assumono sempre maggiore importanza con lo scemare dell'infezione e specialmente quando il processo non ha un decorso gravissimo. La contemporanea presenza di processi rarefacenti e condensanti è la caratteristica radiologica dell'osteomielite e spesso il processo reattivo è così abbondante ed esuberante da nascondere il tratto osteoporotico. Per l'azione delle tossine, per la trombosi dei vasi midollari e dei canali haversiani, si può arrivare alla morte dell'osso (necrosi) e al relativo "sequestro". L'osso vivo si distacca dall'osso morto: un'osteite rarefacente lo delimita, granulazioni osteogene in alto e in basso e sui lati lo sbarrano; si forma così una cavità (cassa da morto) entro cui sta l'osso morto. La delimitazione è però lunga e avviene con fatti di suppurazione cronica, la quale trova uno sbocco verso l'esterno (cloache). Se il sequestro era piccolo o superficiale può aversi anche l'eliminazione spontanea, ma più spesso interviene il chirurgo. Tutti questi fatti possono essere bene studiati radiologicamente; il riconoscimento dell'osso morto è però difficile; ci sì può pensare in quanto l'osso morto è eburneo (carattere questo differenziale con sequestri di altra natura, per es. tubercolare) e sta in una zona dove l'alterazione appare più grave; ma quando si è formata la cassa da morto il riconoscimento è in genere facile. Diciamo in genere, perché se il sequestro è piccolo e i processi condensanti sono esuberanti, il sequestro può rimanere completamente nascosto. Nelle forme di osteomielite cronica fin dall'inizio o a decorso prolungato (con recidive) la caratteristica radiologica è l'addensamento e l'eburneizzazione prevalente dell'osso. Com'è noto, nelle forme prolungate può aversi anche un ascesso dell'osso e allora radiologicamente si nota una zona di rarefazione rotondeggiante circondata da un osso addensato. Rientra in questa forma la cosiddetta "forma del Brodie" (o ascesso cronico dell'osso) con decorso caratteristico (dolori intensi accessuali spesso notturni che scompaiono per poi ricomparire a distanza di qualche tempo, ecc.). Si tratta di un'osteite cronica sin dall'inizio centrale, che dà luogo a una formazione di cavità a pareti più o meno dense, bene riconoscibile radiologicamente per l'aspetto regolare e rotondeggiante della rarefazione con limiti netti e contorni addensati.
Se da quanto siamo andati esponendo la diagnosi radiologica di osteomielite appare abbastanza caratteristica per questa associazione di processi rarefacenti e addensanti, quali mai si riscontrano in altre affezioni, è anche vero però che ciò si verifica essenzialmente nelle forme acute e subacute con decorso clinico caratteristico. Nelle forme ad andamento cronico e cronicissimo la diagnosi radiologica può essere difficile, e solo con esami successivi e con lo studio del modo come decorre l'affezione è possibile portare dati sufficienti per una diagnosi. Tutte le malattie delle ossa entrano allora radiologicamente in discussione; esistono infatti casi di osteomielite a tipo rarefacente (con scarsa reazione ossea e con decorso cronico) assai difficilmente differenziabili non solo da forme tubercolari ma specialmente dai tumori (sarcomi); così come esistono forme eburneizzanti le quali non arrivano alla suppurazione e che facilmente possono essere confuse con osteiti sifilitiche. Accanto all'osteomielite stafilococcica acuta ematogena va dato posto infatti all'osteite cronica sifilitica e tubercolare.
La tubercolosi dello scheletro è una tubercolosi secondaria a tubercolosi polmonare o ghiandolare (cioè di origine ematogena); solo di rado è una forma da propagazione per contiguità (dalla pleura, da vertebra a vertebra come nella spondilite, ecc.). Anatomopatologicamente si distingue da un lato la periostite tubercolare (più spesso secondaria e più raramente primitiva) e dall'altro l'osteite tubercolare (centrale e periferica). Com'è noto, si può distinguere una forma di osteite fungosa e una forma di osteite caseosa. La forma fungosa presenta il cosiddetto tessuto di granulazione tubercolare (tessuto connettivo fibrillare, tubercoli con cellule giganti e con caseificazione centrale) e con distruzione delle travate ossee; con la colliquazione del focolaio fungoso il focolaio diviene caseoso; qualche volta il processo si delimita e il tessuto connettivo forma una barriera al processo (focolaio fibroso). Quando il focolaio si è colliquato il pus tubercolare può vuotarsi all'esterno o scendere lungo le guaine e i vasi fino a portarsi dalla colonna vertebrale per es. all'inguine, al poplite, ecc. (ascesso ossifluente) o farsi strada verso un'articolazione.
La tubercolosi articolare, oltre che secondaria a un focolaio osseo, può essere primitiva per invasione di bacilli tubercolari direttamente nella sinoviale (forma fungosa, forma caseosa). Accanto all'osteite fungosa va posta l'osteite caseosa, che, se rappresenta l'esito della forma fungosa, può aversi anche per una necrosi primitiva dell'osso senza riassorbimento lacunare, per caseosi midollare dei canali haversiani. Ora radiologicamente il focolaio fungoso si riconosce facilmente per una zona di rarefazione a confini sfumati e con scomparsa delle travate; il focolaio caseoso si presenta invece come un addensamento (perché le travate sono necrotiche ma non distrutte e poco decalcificate); il focolaio fibroso si presenta come una rarefazione delimitata da un anello di addensamento. L'osso sede del focolaio tubercolare si presenta osteoporotico cioè decalcificato, con tutte le caratteristiche già descritte nella atrofia acuta di Sudeck. La raccolta di pus tubercolare (costituito di detriti caseosi e di sabbia ossea) può essere radiologicamente visibile, se le condizioni di contrasto sono favorevoli, specialmente poi se la raccolta si fa cretosa e ricca di calcio.
Così, per es., l'ascesso freddo ossifluente da una spondilite vertebrale dorsale si manifesta come un'ombra a fuso su uno o i due lati della colonna vertebrale; iniettando nell'ascesso ossifluente dell'aria o delle sostanze di contrasto opache, è possibile mettere in evidenza anche il punto di origine della lesione. Naturalmente, a seconda dell'osso colpito, il reperto radiologico si presenta con un certo determinato quadro, alla cui base sta la lesione elementare che abbiamo più sopra descritta. Così, per esempio nelle falangi, nei metacarpi, nei metatarsi si ha il quadro della cosiddetta spina ventosa la quale può presentarsi in due forme: periostale e centrale. Nella forma periostale - che è la più frequente - il tessuto di granulazione tubercolare si sviluppa lentamente e il periostio reagisee formando un guscio osseo; nella forma centrale il tessuto spugnoso (che nei bambini occupa anche la diafisi falangea e metacarpale) viene rapidamente distrutto dal tessuto di granulazione tubercolare; la corticale si assottiglia e la falange appare rigonfiata a fiasco con un sottile guscio osseo. Nel gomito il processo tubercolare ha i caratteri della forma caseosa con distruzione, formazione di ascessi e seni fistolosi; nell'anca il focolaio fungoso o caseoso ha in genere sede nel collo del femore. Va notato che esistono però anche forme di affezione dell'anca - coxite - a punto di partenza sinoviale e in genere a tipo caseoso. Il focolaio nel collo femorale (di rarefazione o di addensamento a seconda che si tratta di una forma fungosa o caseosa) si presenta rotondeggiante, ma più spesso cuneiforme con la base rivolta verso la cartilagine epifisaria.
Più spesso il focolaio è caseoso e quindi opaco.
Successivamente si assiste alla distruzione della testa femorale e del collo femorale; il cotile è eroso e frastagliato, la testa abbandona la cavità cotiloide e si lussa verso l'alto; la distruzione può essere tale che di tutta la parte prossimale del femore non resta che un moncone di collo spesso conformato quasi ad alabarda. Se il processo volge a guarigione, la decalcificazione a mano a mano s'attenua, la trabecolatura si fa più evidente; i contorni si fanno più regolari; si può notare una certa reazione ossea specialmente se esistono sequestri che nelle forme tubercolari sono in genere piccoli e costituiti di osso decalcificato ed eroso. Nella colonna vertebrale il processo colpisce con maggior frequenza il corpo della vertebra; se questa è distrutta, si schiaccia, e la colonna vertebrale s'incurva formando un gibbo ad angolo acuto o ad arco a seconda che una o più vertebre sono colpite; le coste sono ravvicinate e quasi disposte a raggiera. Naturalmente, in questo stadio, la diagnosi radiologica di spondilite tubercolare non è difficile: ma la diagnosi può essere fatta anche precocemente prima che si verifichi il gibbo perché la striscia trasparente sul radiogramma, che segna il disco intervertebrale, appare assottigliata (segno di Ménard), dentellata e ristretta in una delle sue metà. Lo studio delle alterazioni vertebrali non può essere completo se non eseguendo le due proiezioni spaziali, sagittale e laterale, di cui l'ultima è spesso quella che ci dà i migliori ragguagli. In realtà nessuno degli aspetti che abbiamo descritto a proposito del focolaio tubercolare è caratteristico e patognomonico per un fatto tubercolare. L'atrofia può riscontrarsi in molte altre malattie: l'ascesso ossifluente vertebrale può aversi anche in una forma osteomielitica; la reazione periostale diafisaria può verificarsi d'altra parte sia nella osteomielite sia nella tubercolosi delle diafisi, l'aspetto a tipo quasi cistico può verificarsi non solo nell'osteite fibrosa ma anche nelle forme tubercolari, ecc. Tuttavia, per quanto il radiologo debba essere prudente sul giudizio specialmente di natura, esistono dei caratteri della lesione che possono far nascere il sospetto della forma tubercolare, sospetto che potrà essere avvalorato con esami successivi.
La periostite, l'osteite, l'osteomielite sifilitica hanno un quadro radiologico abbastanza caratteristico.
La periostite semplice (nella lues acquisita) si manifesta con apposizione ossea spesso estesa a manicotto; tale disposizione permette anzi di sospettare la lues in queste periostiti che non si differenziano in fondo da quelle provocate da altri germi. La periostite gommosa (per es. nella faccia anterointerna della tibia) si presenta come una sporgenza arcuata del periostio, che agli estremi dell'arco appare ossificato; la corticale presenta a sua volta un difetto sfumato; tutt'attorno la reazione ossea è abbondante. L'osteite gommosa corticale si presenta anch'essa come un difetto dell'osso con reazione attorno a questo focolaio; analogamente se tutto l'osso è colpito, i focolai di distruzione sono distribuiti in tutto l'osso, e attorno a detti focolai abbondante è la reazione ossea, donde un aspetto marmorizzato abbastanza caratteristico. I caratteri radiologici della cosiddetta "tibia a lama di sciabola" (p. es. nella lues ereditaria tardiva) sono caratteristici anch'essi: iperostosi della faccia anteriore tibiale, aumento di lunghezza di questa superficie, incurvamento dell'osso (ancora in sviluppo nel bambino) donde un aspetto ricurvo della tibia, ingrossata, sclerotica. Nel neonato, accanto alla periostite sifilitica, è nota la cosiddetta osteocondrite sifilitica quasi sempre simmetrica, che si manifesta con una ipercalcificazione della zona di calcificazione provvisoria e con un'invasione al di sopra di detta linea, verso l'estrem0 osseo diafisario, del tessuto di granulazione sifilitica (zona chiara sul radiogramma per la rarefazione ossea). L'aspetto radiologico permette con abbastanza facilità di differenziare queste forme luetiche (col tipo della cosiddetta pseudoparalisi di Parrot) da forme rachitiche e dal morbo di Barlow. In certe ossa, come nel cranio (ad es. nel frontale, nella vòlta), il quadro radiologico è specialmente caratteristico; le gomme possono perfino perforare il frontale e sul radiogramma attorno a ogni zona di rarefazione è abbondante la reazione ossea reattiva.
Tumori. - Il gruppo dei tumori delle ossa costituisce un capitolo importantissimo nella radiologia del sistema osseo, e l'immagine radiologica costituisce un sussidio prezioso e ormai indispensabile.
La moderna classificazione dei tumori delle ossa ha fatto abbandonare molti concetti che vigevano per il passato: oggi il gruppo dei tumori primitivi delle ossa è formato: a) dai sarcomi osteogenici (o osteosarcomi dell'anatomia patologica classica); b) dal sarcoma di Ewing (separato di recente dal gruppo degli endoteliomi); c) dagli endoteliomi; d) dai mielomi; e) da tumori non classificati (fibrosarcoma periostale, ecc.). Questo è il gruppo dei tumori primitivi maligni; ai tumori primitivi benigni appartengono gli osteomi e i condromi. Accanto ai tumori primitivi dobbiamo far posto ai cosiddetti tumori secondarî (o metastatici). I sarcomi osteogenici od osteosarcomi sono stati distinti in sarcomi osteogenici centrali e periostali; i trattati ne distinguono anche la varietà osteoide, ma in realtà i sarcomi osteogenici presentano dei caratteri comuni per cui secondo gli autori americani è inutile mantenere questa varietà. Il sarcoma periferico predilige la diafisi verso il suo estremo (fra terzo medio e terzo inferiore); quello centrale la metafisi - o zona di accrescimento dell'osso - e più raramente l'epifisi.
Radiologicamente nel sarcoma periostale si nota un'irregolarità del contorno della corticale, un'erosione e una sfumatura di questo tratto. Il tumore tende a crescere più verso il largo che verso il lungo, e agli estremi (nel punto d'impianto sulla diafisi) il periostio forma come uno sperone. Nel tumore si ha formazione di trabecole ossee, fini, aghiformi, donde un aspetto raggiato (a scoppio di granata, a sole raggiante) abbastanza caratteristico. Il sarcoma centrale si manifesta come una zona di rarefazione centrale che, slargandosi, invade il canale midollare, si avanza verso l'interno e verso il periostio: raggiunto il periostio e invase le parti molli, anche in questo caso si ha formazione dello sperone e delle immagini aghiformi.
Il sarcoma di Ewing è essenzialmente diafisario e si manifesta con vasta distruzione che colpisce in breve tempo un largo tratto di osso; le reazioni periostali e ossee mancano o sono scarse, facilmente è colpita la tibia, il perone, l'ulna e poi (per ordine di frequenza) il cranio, la colonna vertebrale e le piccole ossa. Il decorso clinico è abbastanza caratteristico per quanto talvolta si confonda con quello acuto di una osteomielite: localmente rossore, tumefazione; stato generale anemico, febbre, faccia marmorea, ecc.
Il sarcoma a mieloplassi va meglio chiamato "tumore" a mieloplassi perché, secondo alcuni autori, esso è di origine infiammatoria, giacché l'accrescimento non è progressivo come per i sarcomi propriamente detti e, se è asportato in toto, non dà recidive. In ogni modo esso radiologicamente si presenta in modo abbastanza caratteristico, perché nelle forme centrali l'osso appare come soffiato: la spugnosa è distrutta e un guscio osseo (da neoformazione periostale) sembra limitare il tumore. Qualche volta il guscio, sottile com'è, neppure si vede e il tumore si confonde con le parti molli: talvolta esso sembra essere sepimentato (come un aspetto a bolla di sapone sperimentata): ma non si tratta di concamerazioni interne come nelle cisti, ma di creste e di trabecole nella superficie piana (come ci si può convincere eseguendo degli stereogrammi).
I mielomi sono tumori multipli che colpiscono specialmente le ossa larghe e brevi (sterno, colonna vertebrale, cranio, coste): com'è noto, nelle urine è caratteristica la presenza del corpo di Bence-Jones, albumina che si scioglie a 90° e precipita a 60°. Le ossa si presentano tempestate di piccole zone di rarefazione rotonde od ovali di grandezza variabile da una lenticchia a un uovo di piccione: all'inizio l'aspetto è quasi a tarlatura, successivamente le zone di rarefazione si ingrandiscono per fusione dei focolai. Fra i tumori benigni gli osteomi dànno, p. es. nel cranio, per il loro aspetto di osso compatto, delle immagini facilmente diagnosticabili; i condromi possono essere multipli o solitarî. Quelli multipli, che colpiscono specialmente le piccole ossa delle mani e dei piedi, dànno un aspetto caratteristico maculato (il condroma è trasparente) con rarefazioni multiple di aspetto lobulato.
Facile è la diagnosi radiologica delle metastasi ossee: i sarcomi ossei raramente dànno metastasi nelle ossa giacché essi per via ematogena invadono più facilmente i polmoni. Specialmente i tumori di origine epiteliale (non dello scheletro) dànno metastasi ossee, le quali qualche volta sono solitarie (di diagnosi difficile se il tumore primitivo è silenzioso); più spesso multiple. Specialmente per alcuni tumori le sedi d'invasione hanno qualche predilezione; così i tumori della mammella (cancro), il cancro della prostata, quello della tiroide, gli ipernefromi dànno facilmente e prevalentemente metastasi nella colonna vertebrale, nelle coste, nel bacino, nella estremità prossimale del femore e dell'omero, nel cranio, ecc. Le metastasi hanno spesso il carattere rarefacente (osteoclastiche), altre volte il carattere addensante (osteoblastiche per stimolazione alla proliferazione sugli osteoblasti da parte delle cellule carcinomatose); altre volte dette metastasi sono miste (forme associate). Nelle forme osteoblastiche l'aspetto che ne risulta è caratteristicamente marmorizzato; qualche volta l'aspetto è eburneo (osteite condensante totale). Un tipico esempio è la cosiddetta vertebra d'avorio (bianca sul radiogramma, nera sul positivo - vertebra nera di Léri), la quale qualche volta rappresenta una metastasi solitaria, qualche volta una metastasi solo apparentemente solitaria, perché anche le altre ossa sono invase, sebbene con minore intensità. Le metastasi da ipernefroma sono state radiologicamente studiate in modo particolare: se esse con maggiore frequenza battono i polmoni, è anche vero che anche le ossa assai spesso ne sono colpite. Qualche volta la metastasi è solitaria e allora per ordine di frequenza radiologicamente troviamo colpito: l'omero, la vòlta del cranio, il terzo superiore del femore e la colonna vertebrale; altre volte la metastasi è apparentemente solitaria o l'invasione è chiaramente molteplice. In questo caso più facilmente è colpito il femore, la colonna vertebrale, l'omero e il bacino. Nei riguardi dei caratteri radiologici delle metastasi da ipernefroma dobbiamo far rilevare che, accanto a immagini atipiche (metastasi multiple; a grossa distruzione, ecc.), le quali naturalmente non hanno nulla di caratteristico e possono essere confuse con quelle di altri tumori, esistono delle immagini abbastanza caratteristiche e che possono indirizzare verso la diagnosi di ipernefroma. Si tratta di difetti centrali ovalari nelle ossa lunghe le quali spontaneamente possono fratturarsi; si tratta di aspetti a bolla di sapone nelle ossa piatte (p. es. bacino) quali mai si riscontrano in altri tumori. Le metastasi da ipernefroma sono in genere osteoclastiche. È certo tuttavia che la diagnosi differenziale, anche nelle immagini più caratteristiche, come quelle a bolla di sapone, può portare a qualche scambio, p. es. con le cisti dell'osso, con le cisti di echinococco, ecc.: a maggior ragione nelle altre forme di metastasi, la diagnosi differenziale è anche più ardua, e in particolare le metastasi craniche sono di difficile discriminazione specialmente con forme tubercolari e luetiche. È anche vero che le forme luetiche si differenziano per la osteosclerosi abbondante attorno alla perdita di sostanza, mentre in genere nella vòlta cranica (A. Busi) le metastasi sono del tipo osteoclastico.
A proposito del cranio dobbiamo ricordare che i tumori non ossei ma intra- ed extracerebrali dànno, per l'usura dell'osso, per le modificazioni che l'aumentata pressione intracerebrale porta sull'involucro osseo stesso, dei segni importantissimi e che ci possono guidare alla diagnosi di tumore intracranico. Da una parte sono segni locali e regionali (usure, calcificazioni, addensamenti: alterazioni della sella, delle ali dello sfenoide, dell'apice della piramide, ecc.); dall'altro sono segni riferibili all'aumento della pressione intracranica. Per la pressione delle circonvoluzioni sulle pareti si hanno escavazioni (impronte) che riproducono la forma delle circonvoluzioni (impressioni digitate); i seni venosi possono rendersi evidenti in modo caratteristico, le vene diploiche per lo slargamento dei loro canali fanno sì che i canali ossei si rendano evidenti come piccole perdite di sostanza a carattere varicoso e ad aspetto stellato; le suture appaiono slargate e deiscenti; la base può apparire modificata per avvallamento del piano sellare e per alterazioni del profilo sellare (come le alterazioni sull'aditus e sulla lamina quadrilatera), dovute in questo caso non a pressione locale del tumore ma come effetto a distanza dell'aumentata pressione. D'altra parte, a seconda della sede del tumore intracranico, noi abbiamo delle alterazioni locali e regionali (come sopra abbiamo accennato) che possono indirizzarci verso la diagnosi: i tumori della convessità hanno i caratteri di tumori perforanti, e la diagnosi differenziale con le forme tubercolari non è facile: secondo gli autori franeesi rientrerebbe in questo gruppo la calcificazione della falce (o, secondo alcuni autori, osteoma della falce): ma la calcificazione della falce spesso non è (M. Bertolotti) che la manifestazione di una reazione perisinusale, per infiammazione cioè dei seni profondi della faccia e del cranio. I tumori della fossa cranica anteriore (specialmente meningiomi) dànno erosioni per invasione dei canali haversiani e aumento dei fori vascolari e deformità varie a seconda della sede del meningioma (della convessità - temporofrontale - dei forami, ece.). I tumori della fossa cranica media si possono distinguere in tumori della loggia pituitaria, in tumori dello spazio ottico peduncolare e in tumori del pavimento petrosfenoidale. Caratteristici sono i segni radiologici dei tumori endosellari: la sella appare scavata specialmente posteriormente, la lamina quadrilatera è sottile e respinta all'indietro mentre è netto un affondamento del piano sellare: e mentre scarsi o assenti sono i segni di aumentata pressione, è caratteristica la presenza della sindrome oculare chiasmatica e la sindrome endocrina (segni di acromegalia, di gigantismo ipofisario, di distrofia adiposo genitale, ece.; v. ipofisi). I tumori della regione petrosfenoidale sono i tumori che invadono il pavimento petrosfenoidale (della fossa cranica media): e, o si tratta di tumori endocranici o si tratta di invasione intracranica dei tumori del rinofaringe. Questi sono stati distinti da M. Bertolotti in tumori del tetto faringeo (se invadono i seni sfenoidali); in tumori laterofaringei o peritubarici (se invadono il pavimento petrosfenoidale) e in tumori dei seni mascellari con invasione dello spazio maxillofaringeo. Per la diagnosi radiologica hanno importanza le aree di erosione trasparenti alla base e i segni di usura degli orifici della base. Tra i tumori della fossa cranica posteriore vanno specialmente ricordati i tumori dell'acustico: il segno di Schüller (usura e inclinazione in avanti della lamina quadrilatera); il segno di Henschen (dilatazione del porus acusticus); i segni a carico della rocca (erosioni e distruzione) sono i segni radiologici più noti che permettono di giungere alla diagnosi.
Distrofie ossee. - È uno dei capitoli più interessanti della radiologia del sistema osseo; le osteodistrofie possono essere distinte in quelle degli adulti e in quelle giovanili. Nelle osteodistrofie giovanili rientrano a) le osteodistrofie congenite (acondroplasia, discondroplasia, osteogenesis imperfecta, la pleonosteosi, la osteopetrosi, la meloreostosi); b) le osteodistrofie della prima infanzia (Barlow e rachitismo); c) le distrofie epifisarie giovanili propriamente dette; d) le osteodistrofie di origine endocrina. Fra le osteodistrofie degli adulti possiamo distinguere da un lato le malattie con addensamento osseo (leontiasi-emicraniosi); dall'altro le malattie malaciche che a loro volta possono essere distinte in calciprive (rachitismo tardivo, osteomalacia) e in metaplastiche (in cui accanto alla osteoporosi vera, di cui abbiamo già accennato, rientrano le osteodistrofie fibrose tipo Recklinghausen e Paget).
L'esame radiologico permette del resto a colpo d'occhio di controllare tutte le possibili anomalie ossee di numero e di forma (ossa soprannumerarie, ecc.): ma in ogni modo nella pleonosteosi il reperto radiologico mostra l'aumento in spessore delle ossa lunghe le quali appaiono brevi, tozze e spesse, mentre le braccia e le gambe assumono atteggiamenti speciali con rotazione interna del braccio ed esterna della coscia. Nella osteopetrosi o malattia di Albers-Schoenberg (ossa di marmo) esiste una osteosclerosi primitiva e le ossa appaiono dense, non trabecolate, senza più distinzione fra corticale e midollare; le ossa sono meno elastiche, e facili sono le fratture. Nella meloreostosi si ha un'iperostosi a colata distribuita longitudinalmente nello scheletro di un arto: con distribuzione quasi a striscia: nella osteopecilia (osteopatia condensante disseminata) l'addensamento è a chiazze o a strie; nella leontiasi ossea l'iperostosi è diffusa al cranio e alla faccia; nella emicraniosi l'iperostosi colpisce solo una metà della faccia (secondo alcuni autori la leontiasi e più specialmente la emicraniosi sarebbero da considerare come processi reattivi a un tumore). Un posto a parte ha l'osteoartropatia ipertrofizzante pneumica di Pierre Marie (osteoporosi più ispessimento diafisario delle falangi e della porzione distale delle ossa lunghe, ecc. in rapporto, probabilmente alla stimolazione da parte di prodotti tossici, ecc.).
Accanto a queste malattie caratterizzate da addensamento osseo possiamo contrapporre le malattie calciprive: nella osteopsatirosi o osteogenesis imperfecta si ha una vera idiopatica fragilità ossea con ipoplasia periostale e porosi, che facilita le fratture; nell'osteomalacia o rachitismo degli adulti il quadro radiologico è quello di una osteoporosi che si unisce con deformazione, ad es., del bacino a cuore di carta da giuoco, del torace per il rammollimento delle coste, ecc. Tra le forme malaciche metaplasiche va ricordato il quadro radiologico della osteodistrofia fibrosa cistica di Recklinghausen e del morbo di Paget. Il morbo di Paget è una distrofia atrofica-ipertrofica a carattere benigno in cui le manifestazioni distruttive vanno di pari passo con le formative; radiologicamente si distinguono forme fortemente porotiche, forme medie e forme sclerotiche totali. Nelle forme medie il quadro è caratteristico perché l'ispessimento osseo frammisto alle zone di rarefazione dà all'osso un aspetto quasi ovattato. Nel cranio l'iperostosi si presenta finemente porosa (come la pietra pomice) con aspetto maculato per aree trasparenti alternate ad aree opache. La base forma talvolta un vero massiccio osseo con forami ristretti e con le tre fosse cerebrali livellate. Nel Paget mentre le alterazioni possono colpire tutto lo scheletro, altre volte la forma è localizzata (cranio Paget, tibia Paget, ecc.). Nella osteodistrofia fibrosa cistica sono colpiti in genere (a differenza del Paget) individui giovani: la fibromatosi e la metaplasia fibrosa del midollo prendono il sopravvento sulla distruzione e neoformazione tanto che R. Kienböck parla anche di displasia atrofica più ematocisti. Infatti reperto caratteristico è quello della presenza di tumori multipli centrali fibromatosi, simili a sarcomi a cellule giganti, nonché di formazioni cistiche: cisti e tumori bruni (per il loro contenuto ematico) hanno origine affine per l'emorragia che si verificherebbe; onde da un lato organizzazione del focolaio emorragico e dall'altro cavità cistiche per la pressione esercitata sull'osso e per il riassorbimento del sangue.
L'aspetto dell'osso rigonfio, rarefatto, con sepimenti e struttura alveolare, con corticale sottile senza reazione periostale, non permette una diagnosi radiologica se non dopo un attento studio del malato che va seguito con successivi radiogrammi; infatti facilmente possono entrare in discussione altri aspetti radiologici già descritti quali quelli che possono verificarsi nelle cisti ossee parassitarie, nei tumori a cellule giganti, nei sarcomi, ecc. La patogenesi della osteodistrofia fibrosa cistica che oggi si riporta ad alterazioni delle paratiroidi dovrebbe permettere di separare nettamente la osteodistrofia dal morbo di Paget, malattie che alcuni autori, fondandosi sul reperto anatomopatologico, tendono a unificare; il decorso clinico nei due casi in ogni modo è bene differenziabile.
Nel gruppo delle osteodistrofie congenite va ricordata l'acondroplasia radiologicamente caratteristica per l'aspetto delle ossa tubulari che si presentano corte e tozze (si tratta di individui con nanismo proporzionato, con la testa grossa, arti brevi, con mano a tridente, ecc.). Sul radiogramma della mano è riconoscibile l'isodattilia, con divergenza a tridente delle dita: il perone è deformato in modo caratteristico e partecipa all'articolazione per il suo risalimento; l'omero è corto e deforme.
L'osteopsatirosi a cui già abbiamo accennato rappresenta quasi l'antitesi dell'acondroplasia: le ossa sono deficienti in spessore e osteoporotiche. Nella discondroplasia il quadro radiologico è caratteristico per un irregolare processo di ossificazione della cartilagine coniugale che continua a proliferare senza che le masse cartilaginee, situate e disseminate presso la linea epifisaria, sotto il periostio e dentro l'osso nel tratto metafisario, subiscano il normale processo di ossificazione. Onde radiologicamente grosse masse slargano la metafisi, spesso con esostosi e con isolotti trasparenti di cartilagine. Secondo E. Ollier è caratteristica l'unilateralità; ma in realtà esistono anche casi di lesioni bilaterali. L'associazione della discondroplasia con condromi e con le cosiddette esostosi multiple (escrescenze ossee situate nel tratto metafisario di forma e volume vario e spesso numerose) ha permesso ai radiologi di portare notevoli contributi sui rapporti fra le tre malattie spesso associate.
I raggi X permettono di studiare il comportamento abnorme che offrono alcuni nuclei epifisarî a ossificazione tardiva: alterazioni epifisarie che sono state tutte riunite, per le affinità sia cliniche sia radiologiche, nel gruppo delle cosiddette epifisiti giovanili o di crescenza: alcuni autori ripudiano la desinenza in "ite" che potrebbe far pensare a un fatto infiammatorio e parlano piuttosto di distrofie o di necrosi epifisarie asettiche. Alban Köhler per primo nel 1908 descrisse la cosiddetta scafoidite (scafoide del tarso): dopo la scafoidite sono state descritte numerose altre alterazioni: sull'epifisi superiore del femore o morbo di Calvé-Perthes; sulla testa del 2° metatarso o sindrome seconda di Köhler; sulla tuberosità anteriore della tibia o morbo di Schlatter; sul semilunare del carpo o morbo di Kienböck, sulla prima falange nell'alluce (M. Donati), ecc. Per la loro patogenesi forse una parte di queste alterazioni vanno riferite a necrosi subcondrali, ma in qualche caso non si tratta che di deformazioni da carico o di malacie post-traumatiche.
In ogni modo radiologicamente in tutte queste forme esiste alterazione del nucleo epifisario: così per es. nel femore esiste ritardo della comparsa del nucleo cefalico; questo non solo è piccolo ma granuloso per disordinata apposizione delle gocce calcaree; la testa si appiattisce, si frammenta; la linea epifisaria a sua volta si presenta irregolare e sfrangiata, disseminata di zolle opache e di tratti trasparenti; il collo si deforma, si incurva a becco di uccello. Il reperto radiologico così grave contrasta col reperto clinico; radiologicamente si può con esami successivi seguire l'evoluzione della malattia fino alla ricostruzione o fino agli esiti di una forma deformante dell'anca. La radiologia ha portato dei contributi importanti sullo studio della cifosi giovanile o malattia di Scheuermann, riferita a un disturbo dell'ossificazione encondrale epifisaria dei corpi vertebrali o meglio (secondo le recenti ricerche di G. G. Schmorl e della sua scuola) ad alterazione dei menischi vertebrali: sul radiogramma, spezzettamento della linea marginale, aspetto cupoliforme e irregolare dei margini per l'ernia del disco, cifosi dorsale, ecc. Radiologicamente le alterazioni che si possono riscontrare nelle osteodistrofie della prima infanzia, quali il morbo di Barlow e il rachitismo, sono abbastanza caratteristiche: nel morbo di Barlow o rachitismo acuto da avitaminosi, unito ad anemia ed emorragie, per le alterazioni dello strato condrocalcareo metafisario, si nota negli estremi diafisarî una stria opaca trasversale irregolare di spessore (segno di Fränkel che precede anche la precoce stomatite scorbutica); l'estremo diafisario è deformato a manicotto (ematoma sottoperiostale); i nuclei di ossificazione si mostrano bordati da una striscia irregolare (segno di Wimberger). Nel rachitismo l'esame radiologico specialmente di alcune regioni (pugno, caviglia, ginocchio) permette una diagnosi senza difficoltà: accanto alla decalcificazione ossea, si nota ritardo nella comparsa e nell'ossificazione dei nuclei, slargamento dell'estremo diafisario. incurvamento diafisario, deformazione a cupola o a calice dell'estremo diafisario stesso, aspetto dell'osso bordato (listerella opaca sull'estremo iuxtaepifisario), maggior ampiezza della cartilagine di coniugazione. La zona di calcificazione provvisoria della cartilagine di coniugazione presenta un limite irregolare, sfrangiato, dentellato sia verso la diafisi sia verso la cartilagine di coniugazione per mancata ossificazione del tessuto osteoide neoformato. Il quadro del rachitismo guarito si presenta radio logicamente con dei segni caratteristici perché, a parte le deformazioni ossee, per la ripresa di calcificazione dello strato condrocalcareo, residua una striscia densa opaca che rende bordato l'osso: spesso si notano linee alterne opache (ripresa di calcificazione) e trasparenti, espressione di tappe e riprese successive della malattia. Lo studio radiologico delle osteodistrofie endocrine rappresenta un capitolo del massimo interesse perché radiologicamente è dato facilmente riconoscere tutte quelle alterazioni legate a una iper- o ipofunzione di alcune ghiandole endocrine (ritardo dei nuclei di ossificazione, diafisi corte e tozze, persistenza delle cartilagini di ossificaziorie nel mixedema; alterazioni della sella, del cranio e della faccia, della gabbia toracica, degli arti nell'acromegalia, in cui sono caratteristici la dilatazione sellare, l'assottigliamento nella sella della lamina quadrilatera, la teca cranica massiccia e fortemente ispessita con abnorme sviluppo dei seni, l'aspetto delle ossa delle mani ispessite, slargate, ecc.). Il quadro radiologico della disostosi ipofisaria o sindrome di Schüller (diabete insipido, esoftalmo, distruzione ossea più o meno generalizzata specialmente localizzata al cranio) è di acquisizione recente, e l'esame radiologico ha potuto dimostrare anche il miglioramento che è possibile ottenere mediante la röntgenterapia su questo processo oggi riferito a un granuloma lipoideo (xantomatosi).
L'esame radiologico, infine, permette facilmente di renderci conto di tutte le anomalie e deformità ossee: dalla craniostenosi (con ossificazione precoce delle suture) alle deformità toraciche, a quelle degli arti e a quelle della colonna vertebrale: a) variazioni numeriche; b) variazioni morfologiche come per es. l'emispondilo; c) variazioni dovute a eteromorfismo regionale, di cui l'esempio più noto è la cosiddetta sacralizzazione della 5ª lombare con tutte le sue conseguenze dolorose, ecc.
Malattie articolari. - Nessun mezzo più di quello radiografico ci permette di studiare le malattie articolari dalle acute alle croniche. Nella forma cronica deformante i processi regressivi (usura delle cartilagini, riduzione di volume e deformazione dei capi articolari) si associano con processi ossei proliferativi (piccole spine ossee, irregolarità della forma e dell'ampiezza della rima articolare, ispessimento delle parti molli periarticolari). Nell'anca il quadro radiologico nelle forme conclamate è caratteristico: testa ossea deformata a fungo, scomparsa della rima articolare, proliferazioni attorno alla testa e al cotile. Nella colonna vertebrale le vertebre appaiono deformate a rocchetto, gli spazî articolari sono assottigliati, numerose le formazioni ossee marginali a sprone e a cosiddetto "becco di pappagallo". L'osteoartrosi deformante propriamente detta è in genere primitiva, ma qualche volta essa è secondaria a un trauma o a una flogosi: essa può occorrere anche nelle malattie nervose come la tabe e la siringomielia, e le deformazioni acquistano allora un carattere esuberante e capriccioso del tutto particolare. Le forme di artrite urica nei casi avanzati e conclamati sono facilmente diagnosticabili per la presenza di tofi: areole trasparenti nell'osso dovute alla deposizione di sali di acido urico. Un'altra malattia della colonna vertebrale si presenta con segni caratteristici ed è la spondiloartrite anchilopoietica di Fränkel. Le vertebre non deformate e senza osteofiti appaiono ravvolte da un reticolo grigiastro, dovuto all'ossificazione legamentosa (ossificazione del legamento longitudinale anteriore, accompagnata da ossificazione delle articolazioni apofisarie). Due colonne ossee, a destra e a sinistra della colonna vertebrale, segnano la fila dei processi articolari sinostosati, e nell'insieme la colonna vertebrale ha un aspetto tipico a canna di bambù. Spesso si associa anchilosi delle articolazioni della radice degli arti: spalla e anca (spondilosi rizomelica di Pierre Marie).
Bibl.: H. Assmann, Die klinische Röntgendiagnostik der inneren Erkrankungen, Lipsia 1921 (4ª ed., 1929); R. Grashey, Atlas und Grundriss der Verbandlehre, Monaco 1922; M. Bertolotti, Lezioni di craniologia Röntgen, Torino 1929; G. Haret, A. Dariaux e J. Quenu, Atlas d. radiog. osseuse, 2ª ed., Parigi 1932; A. Busi, Trattato di tecnica diagnostica delle malattie chirurgiche, Torino 1932; E. Sorrel e I. Sorrel Dejerine, Tuberculose osseuse et osteoartic., Parigi 1932; C. G., Die gesunde und kranke Wirbelsäule im Röntgenbild, in Fortschritte auf den Gebiete der Röntgenstrahlen, suppl. XLIII, Lipsia 1932.
V. tavv. CXV-CXVIII e tavv. a colori.