NERVOSO, SISTEMA
NERVOSO, SISTEMA (lat. scient. Systema nervorum).
Sommario. - Generalità: Anatomia comparata, p. 609; Il sistema nervoso nell'uomo, p. 611. - Sistema nervoso centrale, p. 612; Fisiologia generale, p. 612; Fisiologia del midollo spinale, p. 614; Fisiologia del midollo allungato, p. 618; Fisiologia dell'istmo encefalico, p. 619; Fisiologia del cervelletto, p. 619; Fisiologia del cervello anteriore, p. 620; Fisiopatologia e patologia, p. 622; Fisiopatologia dell'encefalo, p. 623; Fisiopatologia del midollo spinale, p. 627; Semeiotica, p. 628; Radiologia, p. 629. - Sistema nervoso periferico: Anatomia, p. 631; Fisiologia, p. 637; Fisiopatologia, p. 642; Anatomia patologica, p. 643; Chirurgia dei nervi periferici, p. 644. - Sistema nervoso simpatico o vegetativo: Anatomia, p. 645; Fisiologia, p. 649; Fisiopatologia, p. 650; Anatomia patologica, p. 652; Chirurgia del sistema nervoso vegetativo, p. 653. - Patologia veterinaria: Encefalo, p. 655; Midollo spinale, p. 656; Sistema nervoso periferico, p. 657.
Il sistema nervoso comprende una serie di organi collegati tra loro e con le varie parti dell'organismo, riunisce queste in un tutto, regola e coordina le loro attività, e così sopraintende alla loro vita particolare e alla vita dell'organismo nel suo insieme.
Anatomia comparata. - Il sistema nervoso è rappresentato nei Metazoi (v.) da quel complesso di elementi specializzati nelle funzioni di ricezione e di conduzione degli stimoli, funzioni che negli esseri unicellulari sono esplicate per intero dal protoplasma apparentemente indifferenziato. In alcuni Protozoi (v.) tuttavia, e particolarmente nei Ciliati (v. infusorî), sono stati descritti speciali differenziamenti del citoplasma, dall'aspetto di reticoli colorabili in nero con il nitrato d'argento, i quali, secondo varî autori, sarebbero destinati in parte a ricevere (ricettori) e a trasmettere i varî stimoli (conduttori), in parte a funzionare come effettori. Nel loro insieme tali differenziamenti rappresenterebbero un sistema nervoso intracellulare che fu indicato col nome di apparato neuromotore.
Nei Poriferi (v. spugne) non è stato finora descritto un vero sistema nervoso e la presenza di elementi specializzati ricettori e conduttori degli stimoli è tuttora dubbia. Privi di sistema nervoso si considerano anche i Mesozoi (v.). Nei Metazoi di meno elevata organizzazione (Cnidarî e altri) la ricezione degli stimoli e la loro trasmissione è affidata a speciali elementi, le cellule nervose, in intima relazione con gli elementi effettori (cellule muscolari, ghiandolari, ecc.), nei quali l'eccitazione produce una determinata reazione. Si stabilisce così il più semplice sistema nervoso del tipo ricettore-effettore, che nelle idre, ad es., è rappresentato da cellule di senso (ectodermiche) prolungantisi alla loro base in ramificazioni, le quali sono in rapporto con gli elementi contrattili mio-epiteliali o con gli cnidoblasti. Talora, per es. nelle Attinie, il sistema può complicarsi per l'interposizione di un nuovo elemento nervoso intercalare (cellula ganglionare) fra l'elemento ricettore e quello effettore. Ne deriva una rete nervosa diffusa - situata fra i tessuti della parete del corpo di questi animali - risultante dall'associazione di cellule sensorie, di cellule nervose conduttrici situate sia nell'ectoderma, sia nell'endoderma, sia fra l'uno e l'altro foglietto, e i cui prolungamenti ampiamente si connettono gli uni con gli altri. Questa rete appare più particolarmente localizzata nella regione prossima alla bocca e ai tentacoli.
Tali condizioni si complicano negli stessi Cnidarî: così nelle forme medusoidi degl'Idrozoi (v.) dove al margine dell'ombrella un concentramento di elementi nervosi costituisce un anello marginale doppio, il superiore con fibre sottili in relazione con gli organi di senso, l'altro, inferiore, con fibre più grosse che innervano la muscolatura del velo; e anche nelle stesse Scifomeduse (v. acalefe) nelle quali un plesso di fibre nervose, situato superiormente alla superficie subombrellare, presenta lìicalizzazioni radiali, con aggruppamenti di cellule nervose in relazione con gli organi marginali (ropalî), e inoltre un sottile cordone nervoso decorre lungo l'orlo dell'ombrella seguendo il canale marginale.
Negli Ctenofori (v.) il sistema nervoso è rappresentato, in una condizione non molto dissimile da quella che caratterizza gli Cnidarî, da una rete diffusa in forma di plesso di cellule e fibre nervose decorrenti nella parete epiteliale del corpo e nella mesoglea, né sembra fino a oggi confermata l'esistenza di certi accentramenti di cellule nervose descritti da alcuni autori in corrispondenza dell'organo di senso statico aborale e delle coste meridiane vibratili.
Negli altri Invertebrati il sistema nervoso assume strutture assai più complesse e specializzate; alla rete diffusa si associa un sistema nervoso centrale consistente in cellule nervose o neuroni riunite in gruppi (ganglî) e i cui prolungamenti (fibre) associati in fascetti (nervi), si portano ai varî organi o ad altri ganglî. Nei ganglî, ove i singoli neuroni sono rivestiti da guaine di origine connettivale, le cellule nervose sono in rapporto di continuità fisiologica le une con le altre attraverso sinapsi, ma ciascun neurone è strutturalmente distinto.
Così nei Platelminti (v.) il sistema nervoso consta di ganglî sopraintestinali, in cui sono localizzate le cellule nervose, collegati da fibre (commissure) e dai quali si partono nervi periferici che vanno alle statocisti, agli ocelli, ecc., e alla muscolatura.
Negli Anellidi (v.) e negli Artropodi (v.) il sistema nervoso è fatto tipicamente di una catena ganglionare ventrale sottointestinale. In ogni metamero, si trova un paio di ganglî riuniti fra loro da una commissura trasversale e ai ganglî adiacenti da connettivi, così che la catena ganglionare prende l'aspetto di una scala di corda i cui nodi corrispondono ai gangli, gli scalini alle commissure, gli staggi ai connettivi. A costituire i ganglî della catena stanno cellule nervose motrici e cellule nervose sensorie; commissure e connettivi sono formati da fibre derivate dalle cellule nervose. Nel capo un gruppo di ganglî (due negli Anellidi, più paia fuse insieme negli Artropodi), detti cerebroidi o sopraesofagei, per la loro posizione, si mettono in relazione attraverso due connettivi che circondano a destra e a sinistra il primo tratto del tubo digerente (cingolo o anello periesofageo), con il primo paio di ganglî della catena ventrale (ganglî sottoesofagei). L'insieme dei ganglî sopraesofagei, che negli Anellidi ha sede nel prostomio, costituisce il "cervello"; questa concentrazione di elementi ricettori e sensorî, è in rapporto con il processo di cefalizzazione: dai ganglî cerebroidi si originano infatti i nervi che vanno agli organi di senso cefalico, mentre dai ganglî della catena sottointestinale hanno origine i nervi motori e sensorî che si distribuiscono alle varie parti del corpo.
Le due serie parallele dei ganglî della catena, di dimensioni sempre minori nei segmenti successivi, possono per riduzione delle commissure avvicinarsi e fondersi a formare un midollo ventrale, come pure i ganglî di segmenti successivi (come avviene per i ganglî sopraesofagei) possono riunirsi e fondersi in seguito alla coalescenza di varî segmenti del corpo riuniti a formare regioni (Artropodi).
Dai ganglî cerebroidi e dai connettivi del cingolo trae origine poi un sistema di fibre nervose cui si associano piccolì ganglî, i quali si mettono in relazione con i muscoli del faringe (negli Anellidi), con il tratto anteriore dell'intestino o con altre parti del corpo, e rappresentano nel loro complesso un sistema nervoso autonomo viscerale o stomatogastrico che si può paragonare al sistema dei ganglî autonomi nei Vertebrati (v. sotto: Sistema nervoso simpatico).
Nei Nematelminti si riscontra, a somiglianza degli Anellidi, un anello nervoso attorno al faringe costituito di fibre e di cellule nervose, dal quale si partono nervi diretti in avanti e in dietro, riuniti da commissure trasversali; dei cordoni nervosi posteriori, due principali, di maggiore spessore, decorrono lungo la linea mediana dorsale e quella mediana ventrale. Piccoli ganglî isolati si trovano in corrispondenza degli organi riproduttori, talora si ha un ganglio anale; in altri casi (Acantocefali), alla base della proboscide, vi è un solo ganglio dal quale si dipartono nervi che giungono alle diverse parti del corpo, e che rappresentano, da soli, il sistema nervoso di questi animali.
Un cingolo nervoso attorno al tratto anteriore del tubo digerente si ritrova ancora nei Chetognati (v.), nei Nemertini (v.) intorno allo sbocco della proboscide, nei Brachiopodi (v.) e, sebbene alquanto modificato, anche negli Echinodermi (v.). In questi, un anello nervoso, privo di ispessimenti gangliari, gira intorno alla bocca, e da esso si dipartono nervi radiali situati fra i vasi ambulacrali e la parete del corpo. Un plesso di fibre e di rare cellule nervose si estende nell'epidermide, laddove, in alcune forme, in rapporto coi muscoli si trovano ganglî sparsi (sistema nervoso celomatico) rappresentanti un sistema nervoso autonomo o viscerale.
Nei Molluschi (v.) si hanno ganglî sopraesofagei o cerebrali che innervano gli organi di senso della regione anteriore e sono paragonabili, fino a un certo punto, al cervello dei Vertebrati. Essi sono riuniti mediante connettivi ad altre coppie di ganglî che innervano il piede (sottoesofagei o pedali) e che stanno in rapporto con i visceri (ganglî viscerali e pleurali). Da queste varie coppie di ganglî derivano nervi destinati alle diverse regioni del corpo (muscoli, organi di senso, ecc.). Due piccoli ganglî boccali (simpatici?) si trovano in prossimità del faringe, in relazione con i ganglî pedali.
L'insieme dei ganglî pleurali e di quelli viscerali che sono in genere associati a due ganglî parietali o palleali che innervano il mantello, costituisce l'ansa viscerale. Questa, per riduzione dei connettivi e delle commissure intergangliari, può apparire molto concentrata, condizione che si ritrova ad es. nei Cefalopodi (v.) e nei Gasteropodi (v.). Nei primi, in corrispondenza del mantello, si trovano due caratteristici ganglî, i ganglî stellati; nei Gasteropodi, in relazione con la torsione ad elica subita dal corpo e la conseguente asimmetria dei visceri, anche il sistema nervoso si modifica per l'incrociamento dei connettivi che uniscono i ganglî viscerali con i parietali (chiastoneuria) e per la scomparsa dei ganglî dell'uno o dell'altro lato. Manca nei Molluschi un sistema nervoso autonomo, paragonabile al simpatico degli altri animali e le cui funzioni sono esplicate dall'insieme di ganglî cerebro-pedȧli.
Nei Cordati (v.) il sistema nervoso è assile, dorsale, rappresentato da un canale (midollare) longitudinale che nei Cefalocordati [v.), permanendo in una condizione primitiva, presenta l'estremità anteriore appena dilatata, laddove nei Vertebrati assume il tipo di sistema nervoso cerebrospinale, differenziandosi assai precocemente nel tratto anteriore nell'encefalo (v. Cervello). Si origina dall'ectoderma della superficie dorsale dell'embrione, che s'ispessisce a formare la piastra midollare, quindi si solleva sui lati a costituire prima la doccia, il tubo midollare poi, che separatosi quindi dall'ectoderma, si differenzierà nel sistema nervoso centrale risultante di encefalo e midollo spinale.
Questo sistema nervoso centrale si continua col sistema nervoso periferico rappresentato dai nervi cranici coi ganglî relativi, dai nervi spinali e dai loro ganglî e dal sistema simpatico. Attraverso i nervi cranici e i nervi spinali, il sistema nervoso centrale, che è separato dal resto del corpo e protetto da un rivestimento scheletrico cartilagineo o osseo (cranio e archi neurali delle vertebre), contrae intime relazioni con le diverse parti del corpo. Rispetto alle funzioni che essi compiono, i nervi possono essere sensorî, motori o misti: i primi in relazione con la superficie del corpo, o, come alcuni nervi cranici, con gli organi di senso cefalici, gli altri motori cioè conduttori di impulsi nervosi dal cervello ai muscoli, ghiandole, ecc., i misti associati sempre a ganglî, composti di elementi, le fibre, motorie e sensorie.
I nervi spinali, metamerici, hanno origine nel midollo: come i nervi misti, constano di una radice dorsale (sensoria) e di una ventrale (motoria), la prima risultante dall'associazione dei prolungamenti delle cellule sensorie del relativo ganglio (spinale). I nervi cranici - per il loro sviluppo - debbono considerarsi come nervi spinali modificati nei quali, delle due radici, una sola si è conservata.
Il sistema nervoso autonomo o simpatico deriva dal sistema periferico, e risulta formato dall'associazione di ganglî e di nervi che regolano le funzioni di certi organi (tubo digerente, vasi sanguiferi); nei Vertebrati è rappresentato essenzialmente da due cordoni nervosi decorrenti nel celoma, ventralmente alla colonna vertebrale, uniti mediante nervi alle radici dorsali dei nervi spinali, e ad alcuni dei nervi cranici.
Il sistema nervoso nell'uomo (fig. 3). - Risulta di organi centrali (sistema nervoso centrale) e di organi periferici (sistema nervoso periferico).
Il sistema nervoso centrale è rappresentato dal midollo spinaí contenuto nel canale vertebrale e dall'encefalo contenuto nella cavità cranica. L'encefalo è una cospicua massa di sostanza nervosa composta di un gran numero di parti fra loro in continuità. Principalmente vi si distinguono: il rombencefalo, risultante del midollo allungato, del ponte e del cervelletto; il mesencefalo con i peduncoli cerebrali e i tubercoli quadrigemelli; il diencefalo con le regioni del talamo e dell'ipotalamo, con l'ipofisi (v.) o corpo pituitario; e con l'epifisi (v.) o corpo pineale; il telencefalo, costituito dagli emisferi cerebrali, che dell'encefalo sono le parti più voluminose. Alla loro base si trova il corpo striato; in avanti si prolungano nel lobo olfattivo, nell'uomo assai piccolo. Sono tra loro congiunti da organi commissurali, tra i quali il principale è il corpo calloso. Mesencefalo, diencefalo e telencefalo compongono il cervello (v.).
Il sistema nervoso periferico comprende i nervi, fasci di fibre nervose, che congiungono i centri nervosi con i vari organi del corpo. Si classificano in encefalici, o cranici, e in spinali, secondo che stanno in rapporto con l'encefalo o col midollo spinale. Per le connessioni e per la funzione i nervi si distinguono in efferenti e afferenti. I nervi efferenti, di moto e secretorî, nascono nei centri nervosi, terminano diramandosi nei muscoli volontarî e nelle ghiandole, e ne determinano le attività. I nervi afferenti, o di senso, che adducono ai centri eccitamenti provenienti dalla periferia, risultano di fibre che prendono origine in corpicciattoli, ganglî, posti in un determinato punto sul loro decorso Tali fibre si dividono nel ganglio in due tronchi: di questi uno si espande in un organo periferico del corpo, l'altro termina in un centro nervoso. Si dicono nervi misti quelli che contengono fibre efferenti e afferenti.
Del sistema nervoso periferico fa anche parte il sistema nervoso simpatico (detto anche sistema nervoso autonomo o vegetativo). Sta in connessione con l'encefalo e con il midollo spinale e fondamentalmente è rappresentato da due catene longitudinali di ganglî collegatì da cordoni nervosi, le quali decorrono, una per lato, ventralmente su tutta la lunghezza della colonna vertebrale. Da queste catene emanano nervi, che si distribuiscono principalmente ai visceri e ai vasi, per l'innervazione della muscolatura involontaria e delle ghiandole.
Anche sul decorso dei rami del simpatico sono contenuti ganglî, alcuni microscopici. l ganglî simpatici rappresentano stazioni intermedie sul decorso di vie nervose efferenti, cioè vi terminano fibre a decorso centrifugo, le quali con le loro espansioni contraggono rapporto con l'origine di altre fibre, che sono funzionalmente come la continuazione delle precedenti. Alcuni nervi encefalici e spinali contengono fibre di natura simpatica.
Per l'istologia normale e patalogica del sistema nervoso v. nervoso, tessuto.
Sistema nervoso centrale.
Per l'anatomia, l'anatomia patologica, la chirurgia, v. cervello; epifisi; ipofisi; midollo allungato; midollo spinale; cranio-cerebrale, chirurgia.
Fisiologia generale. - Dottrina e morfologia del neurone. - Il metodo dell'impregnazione con i sali di argento, scoperto da C. Golgi nel 1873, permise di riconoscere la diretta dipendenza delle fibre nervose (v. nervoso, tessuto) dalle cellule nervose. Ogni cellula nervosa con i suoi prolungamenti forma un'unità anatomica e funzionale, alla quale H. W. G. Waldeyer diede il nome di neurone; tutta la conoscenza moderna della fisiologia del sistema nervoso è basata sulla conoscenza delle funzioni del neurone. Tra i prolungamenti di una cellula nervosa ve n'è sempre uno che non cambia di spessore a varia distanza dalla cellula stessa e non si ramifica, tanto da poterne seguire il decorso, talvolta molto lungo: esso si chiama prolungamento nervoso o neurite o assone o cilindrasse; mentre tutti gli altri portano il nome di prolungamenti protoplasmatici o dendriti, perché, come i rami di un albero, ramificandosi si assottigliano e si disperdono. Anche il neurite, però, può dare rami collaterali, che si distaccano ad angolo retto.
Le cellule nervose provengono da speciali cellule germinali (neuroblasti), di origine ectodermica, interposte tra le cellule epiteliali che compongono le pareti del primitivo tubo neurale; dapprima sono apolari, poi si allungano ed emettono un prolungamento (per cui diventano unipolari), indi tutti gli altri prolungamenti. Durante il loro sviluppo i neuroblasti si allontanano dal tubo neurale per fermarsi nella sostanza grigia centrale, o più esternamente nei ganglî cerebro-spinali, del simpatico, ecc. Oltre che unipolari, le cellule nervose possono essere anche bipolari, quando i dendriti si riuniscono in un prolungamento unico; ma nello sviluppo embrionale neurite e dendrite possono accollarsi e decorrere insieme per un certo tratto, per poi separarsi (cellule a T dei ganglî spinali), onde la cellula diventa apparentemente unipolare. Si hanno infine cellule multipolari, che costituiscono il tipo più comune. Dal punto di vista della sua costituzione interna, la cellula nervosa, esaminata all'ultramicroscopio allo stato fresco, appare come un gel colloidale, normalmente senza movimenti browniani; possiede un grosso nucleo di forma sferica, più raramente due; il citoplasma è ricco di condriosomi, a forma di bastoncini o di granulazioni, e presenta anche granuli o gocce di lipoidi, e tre specie di pigmenti (un carotinoide giallo, un cromolipoide giallo e talvolta nero, e una melanina); detti pigmenti mancano nelle cellule giovani e abbondano nell'estrema vecchiaia. Si ammette, inoltre, che nel citoplasma della cellula nervosa esistano due strutture particolari, in stretto rapporto con la sua attività funzionale: a) i corpi o granuli o zolle dî Nissl o tigroidi, che secondo alcuni sarebbero nucleoproteidi, costituenti una specie di riserva alimentare del neurone; a essi G. Marinesco assegna anche la funzione di generatori delle forze di tensione nervosa, e il nome di cinetoplasma; si discute però sulla realtà dell'esistenza dei corpi di Nissl, che secondo alcuni sono dovuti all'azione dei reattivi, usati per metterli in evidenza, e secondo altri si formerebbero dopo la morte della cellula; b) le neurofibrille, che S. Apáthy dimostrò col suo metodo al cloruro d'oro, e che furono osservate anche da A. Bethe, A. Donaggio, S. Ramón y Cajal; secondo questi autori le cellule nervose risultano costituite da un reticolo formato dalle neurofibrille (immerse nel neuroplasma), le quali avvolgono il nucleo e fuoriescono dal corpo cellulare, continuandosi nei prolungamenti. Le neurofibrille deriverebbero dai condriosomi del neuroblasta, oppure sarebbero di origine nucleare. Alcuni negano l'esistenza delle neurofibrille, considerandole un prodotto artificiale delle tecniche adoperate per metterle in evidenza; per altri non solo esse esistono realmente (secondo G. Marinesco sarebbero costituite da granuli amicronici, riuniti tra loro da una sostanza viscosa; secondo G. Levi corrisponderebbero a un colloide specifico della cellula nervosa), ma hanno il significato di elementi conduttori dell'eccitamento nerveo; altri assegnano loro il più modesto ufficio di elementi di sostegno. Oggi però si tende a non considerare le neurofibrille come entità istologiche, e a non differenziarle fisiologicamente dal neuroplasma.
Neurite e dendriti fanno parte delle fibre nervose, cioè dei prolungamenti per cui la cellula nervosa comunica con altre cellule nervose o con gli organi sensoriali o con gli organi motori; le fibre, riunite in fasci, si trovano nel neurasse e nei nervi. Solo nella sostanza grigia e, in certi casi, nelle loro estremità periferiche le fibre nervose sono nude, cioè formate soltanto dal cilindrasse. Esso è di origine ectodermica e risulta costituito da un fascio di neurofibrille decorrenti parallele e immerse nel neuroplasma del prolungamento cellulare; ma già nella sostanza bianca le fibre si ricoprono di una guaina di mielina, interrotta da incisure oblique; al di fuori del sistema nervoso centrale, le fibre acquistano un nuovo rivestimento, la guaina di Schwann, sulla cui faccia interna si osservano dei nuclei. La guaina mielinica, di origine mesodermica, ha una composizione lipo-proteica, ed è formata principalmente di fosfatidi e di colesterina, legati a composti proteici; ha funzione protettiva, nutritiva e isolante della conduzione del cilindrasse; infatti, le fibre amieliniche si distinguono da quelle con mielina per una minore velocità di conduzione; inoltre, durante lo sviluppo, le fibre del sistema nervoso centrale acquistano la loro funzione solo dopo la loro mielinizzazione (mielogenesi). La guaina di Schwann, di origine mesodermica, ha probabilmente la funzione di proteggere la fibra contro gli urti meccanici e forse anche d'isolare la conduzione dell'eccitamento. Nei nervi del sistema simpatico la guaina mielinica è assente; tuttavia oggi si sostiene anche per questi nervi l'esistenza di un abbozzo di una guaina mielinica risultante dalla condensazione di lipoidi disposti alla periferia del cilindrasse.
Nel tessuto nervoso, accanto agli elementi propriamente nervosi, esistono cellule e fibre speciali, anch'esse di origine ectodermica, che compongono la nevroglia; oggi si ammettono pure altri elementi di origine mesodermica, che costituiscono la microglia (o mesoglia), e si considera la guaina di Schwann come una espansione periferica della neuroglia: quest'ultima avrebbe funzione di sostegno, o agirebbe da intermediaria tra la cellula nervosa e l'endotelio dei capillari sanguigni (a funzione nutritiva, quindi), o avrebbe funzione antitossica, o di relazione fra cellula e cellula nervosa, o di protezione degli elementi nervosi contro gli agenti meccanici esterni, o infine di fagocitosi per le cellule nervose morte.
Circa i rapporti morfologici tra cellula e cellula, alcuni hanno sostenuto una dottrina unitaria, secondo la quale il sistema nervoso non va considerato come formato da cellule e prolungamenti indipendenti fra loro, ma come un vero sistema unitario, in cui l'elemento funzionalmente più importante è rappresentato dalle neurofibrille, costituenti una rete continua.
Vi sono però molti argomenti per ammettere la dottrina neuronica, la quale considera il neurone come un'individualità embriologica, anatomica e funzionale: le neurofibrille formano un plesso, non già una rete; i rapporti dei neuroni tra loro si stabiliscono per mezzo di terminazioni libere; le terminazioni del cilindrasse di una cellula entrano in rapporto di contiguità con i dendriti di altre cellule, e non si anastomizzano con questi. Per spiegare la trasmissione dell'eccitamento da un neurone all'altro alcuni fisiologi ammettono l'esistenza di speciali organi di congiunzione (simili alle placche motrici, o organi di congiunzione tra nervo e muscolo), che da M. Foster furono indicati col nome di sinapsi. Tuttavia non si sa ancora in che cosa consistano istologicamente e chimicamente queste sinapsi: S. Ramon y Cajal ha supposto l'esistenza di un cemento intercellulare; altri hanno pensato a speciali sostanze chimiche ancora ignote; altri, infine, hanno sostenuto che la continuità interneuronica è determinata dai piccolissimi movimenti ameboidi delle espansioni terminali delle fibre nervee, che in tal modo entrerebbero in contatto tra loro. Alcuni fisiologi attribuiscono alle sinapsi molte funzioni finora devolute ai corpi cellulari nervosi: esse sarebbero la sede della fatica nervosa, reagirebbero elettivamente a molte sostanze ad azione farmacodinamica, trasformerebbero il ritmo degli stimoli, da cui sono colpite, in un ritmo loro proprio e caratteristico degl'impulsi nervosi, sarebbero sensibili alla mancanza di ossigeno, avrebbero la capacità di addizionare gli stimoli, si comporterebbero infine come una valvola che lascia passare l'eccitamento nervoso solo in una direzione, e cioè in senso cellulifugo nel cilindrasse, in senso cellulipeto nei dendriti (legge della conduzione polare di S. Ramón y Cajal). Qualunque sia il reale significato di queste sinapsi, oggi è da tutti ammessa la dottrina del neurone, specialmente dopo le ultime conferme date dall'istogenesi della cellula nervosa, e dallo sviluppo e dal comportamento delle colture in vitro del tessuto nervoso (R. G. Harrison, A. Carrel, G. Levi, O. M. Olivo).
Fisiologia del neurone. - Per potere studiare tutte le proprietà fisiologiche del neurone è necessario separarlo dal resto dell'organismo e conservarlo in vita: a ciò si è pervenuti o coltivando in vitro il tessuto nervoso, o isolando il neurasse di animali e mettendolo in opportune condizioni di sopravvivenza. La tecnica fisiologica possiede nel preparato centrale, ideato ed eseguito per primo da S. Baglioni, il mezzo migliore per lo studio della fisiologia generale del neurone. Il preparato centrale Baglioni consiste dell'asse cerebro-spinale di Bufo vulgaris, isolato e sopravvivente, e mantenuto in connessione con i due nervi sciatici e gli arti posteriori dell'animale, in parte ricoperti dalla cute (fig. 4).
L'attività del preparato si manifesta con movimenti riflessi (vedi sotto) dei due arti posteriori in seguito all'applicazione di stimoli sulla cute delle zampe. Poiché durante la preparazione è indispensabile (nell'isolare il neurasse dallo speco vertebrale) evitare la minima compressione o qualsiasi urto meccanico della sostanza centrale, perché questa sopravviva, si deduce che i neuroni sono estremamente sensibili agli stimoli meccanici diretti; questa proprietà fisiologica è connessa con la speciale labilità del protoplasma neuronico e delle sinapsi. Ma le cellule nervose sono sensibili anche a stimoli elettrici, termici, chimici, ormonici, ecc.: vi sono sostanze chimiche che deprimono l'eccitabilità del neurone sino a farla scomparire (narcotici, anestetici), e altre che esplicano azione eccitante (veleni convulsivanti, sostanze voluttuarie, ecc.). Per mantenere la sopravvivenza del tessuto nervoso centrale è necessario che il neurasse del preparato centrale sia a contatto con una delle cosiddette soluzioni saline fisiologiche, le quali, oltre a porre i neuroni in condizioni fisico- chimiche d' isotonia, offrono loro gli ioni salini indispensabili alla loro vita. Con una recente serie di studî è stato chiarito il metabolismo del neurone sopravvivente: già era noto (M. Verworn, S. Baglioni) l'estremo bisogno di ossigeno della cellula nervosa (scambio gassoso respiratorio); ulteriori ricerche (H. Winterstein, M. Mitolo) hanno dimostrato che il neurone sopravvivente consuma glicidi, lipidi, protidi e sostanze saline, e produce, come effetto del suo metabolismo, acido lattico, carbonico, fosforico, ammoniaca. Probabilmente a processi del ricambio si deve la scomparsa dei corpi di Nissl (cromatolisi) dalla cellula nervosa funzionante. In relazione al consumo di sostanze, operato dal neurone sopravvivente, sono stati osservati fatti concomitanti, i quali consistono in fenomeni termici ed elettrici (S. Baglioni), rilevabili con apparecchi molto sensibili.
I processi regressivi del neurone, provocati da agenti vulneranti (chimici, termici, elettrici, meccanici, batterici, ecc.) sono raramente seguiti dal ripristino della sua integrità (a meno che l'azione lesiva sia stata assai leggiera e fugace); i fenomeni istologici che si osservano sono dapprima la turgescenza del corpo cellulare, poi la cromatolisi dei corpi di Nissl, la disgregazione delle neurofibrille e l'atrofia progressiva del corpo cellulare. Se la cellula nervosa è incapace di rigenerarsi (e anche di moltiplicarsi), essa è tuttavia in grado di rigenerare la sua fibra quando è stata sezionata. A. Waller osservò che la recisione di un tronco nervoso è seguita da alterazioni istologiche del moncone periferico (non connesso più con la cellula nervosa), dapprima a carico del cilindrasse (frammentazione e scomparsa delle neurofibrille e del neuroplasma), poi a carico delle guaine mielinica e di Schwann; in un'ultima fase il moncone periferico è sostituito da tessuto cicatriziale. Invece il moncone centrale (rimasto in connessione con la cellula), a eccezione della porzione immediatamente vicina alla recisione che subisce alterazioni degenerative), si conserva integro: il che dimostra l'azione trofica esercitata continuamente dalla cellula nervosa sui suoi prolungamenti, i quali non sono più in grado di sopravvivere quando cessano di essere in rapporto di continuità col corpo cellulare donde provengono. Dopo un certo periodo di tempo si ha la rigenerazione della fibra degenerata, operata anche questa dalla cellula nervosa, poiché dal moncone centrale del cilindrasse, rimasto in connessione col centro trofico, si avanzano molteplici formazioni neurofibrillari verso gli organi rimasti privi d'innervazione; i quali sembrano a loro volta esercitare un'azione direttiva (neurotassi) sulle neurofibrille neoformate, probabilmente perché essi liberano speciali sostanze chimiche attrattive (chimiotassi).
La durata normale della vita del neurone è quella stessa dell'organismo al quale appartiene; tuttavia esso nell'estrema vecchiaia subisce una fase d'involuzione, consistente in diminuzione del volume della cellula e dei corpi di Nissl e in aumento dei granuli di pigmento nel citoplasma; nello stesso tempo intorno al corpo cellulare aumenta il numero di elementi di natura nevroglica, che da ultimo fagocitano il neurone morto (neuronofagia).
Attività generali fisiologiche del sistema nervoso centrale. - Le attività del sistema nervoso centrale sono di elevata importanza fisiologica. È il sistema nervoso che a tempo debito eccita e inibisce le universali funzioni dell'organismo, le modera, le coordina, ne dirige il ritmo. Esso influisce così contemporaneamente sui muscoli che compiono un dato movimento e sui loro antagonisti e li coordina in una azione associata; influisce sul tono muscolare e su quello di tutti gli altri tessuti; sulla temperatura del corpo e sul metabolismo e trofismo delle cellule dell'organismo; sull'atto genesico e in genere su tutte le funzioni della vita vegetativa, ecc. Oltre a queste funzioni, che per sé stesse sono elaborate da organi e cellule periferiche ma che però sono eccitate, depresse, equilibrate e armonizzate dal sistema nervoso centrale, ve ne sono altre importantissime che sono elaborate direttamente dalle stesse cellule nervose centrali, come la funzione sensitivo-sensoriale e, la più elevata di tutte, quella psicointellettiva (coscienza, memoria, ideazione, volontà, ecc.) per la quale rimandiamo alle singole voci relative. Finalmente il sistema nervoso centrale possiede uno sterminato numero di fibre nervose destinate alla funzione di conduzione e associazione nervosa delle varie sue funzioni, sopra enumerate. Quanto all'attività motrice, essa avviene in tre forme fondamentali: la riflessa (sensitivo-motrice) la volontaria (psico-motrice) e l'automatica.
L'attività riflessa però non si estende solo a provocare atti motorî riflessi, ma altresì atti secretivi presso le ghiandole periferiche. L'attività riflessa o atto riflesso è determinata da uno stimolo esterno che viene a colpire le terminazioni sensitive periferiche del corpo determinandovi un turbamento, il quale percorrendo le fibre sensitive centripete, con le quali dette terminazioni si continuano, si dirige verso i centri nervosi, terminando nel corpo cellulare delle cellule nerveo-sensitive centrali dalle quali prendono appunto origine le suddette fibre con le loro terminazioni periferiche. Nel corpo cellulare si elabora la "sensazione" con un processo assai oscuro. Il turbamento avvenuto non si arresta però a questa prima stazione centrale sensitiva, ma prosegue a trasmettersi, nei centri stessi, a corpi cellulari di altra natura, i quali, per un processo complesso come tutti i meccanismi cellulari, elaborano uno stimolo eccitatore del movimento muscolare (cellule eccitomotrici centrali), o anche eccitatore delle secrezioni ghiandolari (cellule eccito-secretrici). Sia in un caso che nell'altro l'eccitazione si diparte allora dal corpo cellulare in cui è stata elaborata e, percorrendo le fibre nervose che prendono origine da esso, si dirige centrifugamente dai centri nervosi verso la periferia raggiungendo i muscoli e provocandone il movimento oppure raggiungendo le ghiandole e provocandone le secrezioni. L'esperimento e l'osservazione clinica hanno dimostrato che quando è lesa l'integrità anatomica o funzionale di un punto qualsiasi del tragitto dell'arco riflesso (periferico afferente, centro nervoso, periferico efferente), l'atto riflesso non si produce più. Ma perché si produca l'atto riflesso è necessario che lo stimolo periferico abbia speciali caratteri (adeguatezza, qualità, intensità, ecc.) e sia applicato su una zona riflessogena (come p. es. la cute, nel caso di riflessi cutanei, la superficie delle mucose dell'apparato digerente, respiratorio, ecc., per i riflessi che hanno punto di partenza dalle superficie mucose, ecc.). Altre nozioni di fisiologia e di fisiopatologia relative ai riflessi sono date appresso, e nella voce riflessi.
Il concetto di centro nervoso è puramente fisiologico e non anatomico o topografico; esso non ha limiti netti, pur essendo il prodotto di ben determinate unità collettive di neuroni esistenti nella sostanza grigia del sistema nervoso. S'intende pertanto per centro la sede fisiologica di neuroni che provvedono con la loro attività a un riflesso determinato. Col termine di eccitabilità riflessa s'indica la capacità dei centri nervosi di produrre in via riflessa i movimenti (o le secrezioni), come reazione agli stimoli periferici.
I movimenti riflessi hanno il carattere di essere regolari e coordinati, nel senso che risultano di una serie di contrazioni (tetaniche) di alcuni muscoli e di una serie di concomitanti rilasciamenti dei muscoli antagonisti; in altre parole, dai centri eccitati in via riflessa partono impulsi motori per alcuni gruppi muscolari e impulsi inibitori per altri muscoli antagonisti ai primi. Il rilasciamento attivo di questi è perfettamente commisurato, per intensità e durata, alla contrazione dei muscoli opposti. Altro carattere fondamentale dei movimenti è che essi tendono a raggiungere nel modo migliore lo scopo di difesa o di protezione dell'animale dall'azione nociva o molesta degli stimoli che li provocano; oppure tendono a facilitare e conseguire gli effetti utili, quando gli stimoli rappresentano condizioni o cause favorevoli allo svolgimento normale delle funzioni dell'organismo, sia per la conservazione individuale, sia per la conservazione della specie. Ogni movimento riflesso è preceduto da un periodo latente, ossia da un tempuscolo che intercede fra l'applicazione dello stimolo e l'inizio del movimento.
Un atto riflesso comporta l'attività di almeno due neuroni; già nei riflessi del midollo spinale, però, intervengono tre specie diverse di neuroni: 1. neuroni sensitivi o afferenti, aventi sede centrale nei ganglî spinali (cellule nervose a T), il prolungamento dendritico (afferente) nel nervo spinale, proveniente dalla periferia (ove raccoglie l'eccitamento sensitivo dei varî organi di senso); e il prolungamento neuritico nelle radici posteriori del midollo spinale, nel cui interno si ramificano. Le ramificazioni si pongono in rapporto di rete diffusa (sinapsi) con i: 2. neuroni coordinatori, aventi sede centrale nella sostanza grigia delle corna posteriori del midollo spinale; detti neuroni con i loro dendriti entrano in rapporto di rete diffusa (sinapsi) con le terminazioni dei neuriti dei precedenti neuroni, mentre con i loro neuriti costituiscono le vie nervose intercentrali, che si mettono in rapporto con i: 3. neuroni motori. Questi hanno sede centrale nella sostanza grigia delle corna anteriori del midollo spinale, e inviano i loro prolungamenti neuritici ai muscoli o alle ghiandole per mezzo delle radici anteriori e dei nervi spinali. I tre neuroni formano il cosiddetto arco riflesso spinale (fig. 5).
La diversa natura di questi neuroni è dimostrata dalla differente forma dei corpi cellulari, dal diverso numero e dalla varia lunghezza dei prolungamenti, nonché dal diverso modo di reagire all'azione elettiva di veleni. S. Baglioni, servendosi del suo preparato centrale, ha osservato che la stricnina agisce elettivamente sui neuroni coordinatori del midollo spinale, di cui eleva abnormemente l'eccitabilità, provocando violente contrazioni tetaniche riflesse di tutti i muscoli degli arti posteriori del preparato; l'applicazione del veleno sui neuroni motori non provoca invece alcuna modificazione dei riflessi, il che dimostra i caratteri funzionali diversi dei neuroni del midollo spinale. L'acido fenico, invece, eleva abnormemente l'eccitabilità dei neuroni motori (provocando movimenti riflessi continuamente interrotti da scosse cloniche), mentre riesce inattivo qualora venga applicato sui neuroni coordinatori del midollo.
Se il riflesso spinale più semplice è essenzialmente trineuronico, quelli più complessi sono polineuronici; inoltre ogni atto o movimento complesso risulta di una catena o concatenazione di riflessi semplici o elementari. Per tutti i movimenti riflessi si hanno casi d'inibizione (operata da eccitamenti afferenti inibitori che pervengono contemporaneamente ai centri, o da eccitamenti centrali superiori inibitori, specialmente corticali) e casi di agevolazione (per effetto di contemporanei eccitamenti riflessi che facilitano il movimento riflesso, o per effetto di analoghi eccitamenti centrali superiori). Un'altra importante categoria è quella dei cosiddetti riflessi condizionati o condizionali (I. P. Pavlov), i quali si verificano solo in condizioni specialissime, essendo dipendenti strettamente da diverse circostanze che normalmente non condizionano il comune atto riflesso; questi riflessi condizionati hanno il carattere di essere piuttosto fugaci e transitorî.
L'attività riflessa presenta anche un periodo refrattario, per il fatto che i centri nervosi hanno la proprietà di rispondere agli stimoli secondo un ritmo che è loro proprio, indipendente perciò dal ritmo e dalla frequenza degli stimoli periferici. Inoltre è dimostrabile per i centri il fenomeno della fatica, che interverrebbe a livello delle sinapsi e non dei corpi cellulari. Il fenomeno della fatica centrale contrasto con l'infaticabilità relativa dei tronchi nervosi e dimostra che il metabolismo dei centri nervosi aumenta più o meno sensibilmente per effetto del loro funzionamento. Secondo recenti indagini, durante l'attività riflessa si avrebbe, da parte del sistema nervoso centrale, un maggior consumo di glicidi (diminuzione delle riserve locali di glicogeno) e di lipoidi (specialmente fosfatidi e solfatidi).
Altra forma di attività motrice del sistema nervoso centrale è quella automatica; essa si manifesta con un insieme di movimenti regolari e coordinati di muscoli striati o lisci, che si svolgono sotto l'azione dei centri nervosi, ma che sono (almeno apparentemente) indipendenti dall'azione dí stimoli esteriori. Esistono diverse specie di automatismo: quello dovuto a eccitamenti autoctoni che insorgono nell'interno del sistema cellulare e sono probabilmente connessi con le due fasi del metabolismo delle cellule (attività automatica del cuore, dei centri bulbari respiratorî); oppure quello dovuto a eccitamenti dei centri prodotti da stimoli periferici ai centri stessi, ma che insorgono nell'interno dell'organismo (nel sistema propriocettivo o enterocettivo di C. S. Sherrington); oppure l'automatismo dovuto a un lungo esercizio, per cui centri inferiori sostituiscono con la loro attività regolare e subcosciente l'attività volitiva cosciente del periodo dell'allenamento o dell'esercizio preparatorio.
Finalmente, esiste un'attività motrice volontaria o cosciente, la forma più elevata delle funzioni centrali, specifica dei centri della corteccia cerebrale, i quali raggiungono il maggiore sviluppo nell'uomo. Nei paragrafi seguenti diremo più in particolare della fisiologia delle diverse sezioni del sistema nervoso.
Bibl.: S. Baglioni, La fisiologia del midollo spinale isolato, in Zeitschr. f. allg. Physiol., IV-IX-X, Jena 1904-09; id., Zur Analyse der Reflexfunction, Wiesbaden 1907; C. S. Sherrington, The integrative action of the nervous system, Londra 1911; S. Baglioni, I processi termici dei centri nervosi, in Rend. R. Acc. Lincei, XXV, Roma 1916; L. Luciani, Fisiologia dell'uomo, III, Milano 1923; G. Levi, Trattato di istologia, Torino 1927; I. P. Pavlov, Les réflexes conditionnels, Parigi 1927; A. Bethe, G. v. Bergmann, ecc., Handbuch d. norm. u. pathol. Physiologie, IX e X, Berlino 1927 e 1929; S. Baglioni, Elementi di fisiologia umana, I, Roma 1929; G.-H. Roger, Traité de physiologie norm. et pathol., IX, Parigi 1933; M. Mitolo, Études sur le métabolisme du système nerveux central, in Arch. ital. de biol., LXXXV-LXXXVII-LXXXIX, Pisa 1931-32-33.
Fisiologia del midollo spinale. - Le funzioni del midollo spinale si distinguono secondo che si considera questo organo indipendentemente dagli altri centri superiori, con cui è normalmente connesso, oppure lo si considera sotto il dominio di essi (fig. 6).
Nel primo caso sono dimostrate le funzioni autonome del midollo spinale, mediante la separazione dei centri spinali dai centri superiori, col metodo cruento di operazione chirurgica negli animali vertebrati, ossia per recisione fatta a diverse altezze del midollo spinale, che è compatibile con la vita, dopo un periodo più o meno lungo di paralisi temporanea (dovuta allo shock traumatico), nei vertebrati inferiori (Anfibî) a qualunque altezza, nei superiori (Mammiferi, Uccelli) se la recisione ha luogo sotto la fuoriuscita dalla colonna vertebrale dei nervi che provvedono alla respirazione. In questi animali, cosiddetti "spinali", si compiono le funzioni del midollo spinale indipendentemente da quelle dei centri sovrastanti, i quali pure continuano a sopravvivere, sebbene anche le loro funzioni offrano importanti modificazioni, dovute alla mancanza di connessione con i centri spinali.
Altro metodo, meno esatto perché non implica un'assoluta separazione dei centri spinali dai centri superiori, consiste nello studiare i fenomeni dell'attività spinale in condizioni tali che sospendono o inibiscono fisiologicamente le funzioni dei centri soprastanti, per es., lo stato fisiologico del sonno normale o patologico (provocato dagl'ipnotici, farmaci, o da suggestione), nelle quali condizioni si ha la sospensione dell'attività cosciente, che è l'attività principale dei centri superiori.
A. - Le funzioni del midollo spinale autonome sono costituite dai riflessi (v. sopra, Sistema nervoso centrale: Fisiologia generale), i quali si manifestano come reazioni agli stimoli, naturali o artificiali, che producono negli organi periferici afferenti o sensitivi, particolari eccitamenti; questi sono trasmessi ai centri spinali mediante le fibre nervose afferenti, che provocano nel midollo spinale eccitamenti che si manifestano con particolari movimenti dei muscoli, striati o lisci, o anche con secrezioni delle diverse ghiandole dell'organismo. L'analisi di questi atti riflessi concerne la natura e la sede degli eccitamenti periferici provocati dagli stimoli; le vie afferenti percorse da questi eccitamenti; gli elementi morfologici del midollo spinale che provocano la reazione; le vie nervose efferenti che conducono gli eccitamenti così provocati agli organi periferici, i muscoli e le ghiandole, organi efferenti periferici, che sotto tali impulsi nervosi compiono i movimenti o le secrezioni. Si tratta inoltre di conoscere i caratteri generali delle reazioni riflesse in rapporto al loro significato biologico, le condizioni o le cause aventi sede o origine nei centri, che li agevolano o li inibiscono, la partecipazione dei diversi elementi e il loro modo di agire nell'attuazione dei riflessi e, finalmente, il loro modo di insorgere o di modificarsi sotto il dominio dei centri nervosi superiori.
Qui ci limitiamo al ricordo delle nozioni, riferentisi a queste diverse questioni, dal punto di vista del midollo spinale.
Legge di Bell-Magendie. - Le radici posteriori del midollo spinale servono alla funzione di trasmettere gli eccitamenti sensitivi o afferenti; le radici anteriori (o ventrali) servono a trasmettere gli eccitamenti motori o efferenti. La dimostrazione sperimentale è data dall'applicazione di stimoli artificiali (elettrici o meccanici) sul decorso delle radici, dopo averle recise e osservato i fatti che seguono alla recisione: fenomeni di eccitamento nel primo caso, fenomeni di paralisi nel secondo. Questi consistono nella scomparsa di ogni reazione motoria da parte dei muscoli provvisti dalle fibre nervose provenienti dalle radici anteriori recise mentre si mantiene inalterata la capacità di reagire agli stimoli dolorosi applicati sulla superficie del corpo: paralisi motoria con conservata sensibilità. La reazione dimostrante la sensibilità è data dai movimenti dei muscoli, che hanno conservata integra la loro connessione coi centri nervosi. Se d'altro canto si stimola il moncone periferico della radice recisa, si osservano movimenti dei muscoli innervati dalla radice stessa: se si stimola invece il moncone centrale, non si osserva alcuna reazione. Alla recisione delle radici posteriori segue invece paralisi sensitiva delle regioni cutanee, a cui si distribuiscono le fibre nervose provenienti dalle radici recise, mentre si conservano integri i movimenti dei muscoli (paralisi sensitiva o anestesia con attività motoria integra). Se si stimola il moncone centrale della radice posteriore recisa, si osservano reazioni dolorose da parte dell'animale, mentre non si ha alcuna reazione stimolando il moncone periferico. La validità della legge di Bell-Magendie fu in seguito dimostrata anche morfologicamente: le fibre nervose delle radici posteriori degenerano (secondo la dottrina di Waller) in via ascendente o centripeta, ossia nel loro moncone centrale, dopo la recisione di dette fibre, che cade tra i gangli spinali o intervertebrali e il midollo spinale, i quali contengono i corpi cellulari (centri trofici) dei neuroni da cui emanano i prolungamenti nervosi costituenti i cilindrassi di ciascuna fibra nervosa. La degenerazione delle radici ventrali ha luogo in via discendente, ossia nel moncone periferico, dopo la loro recisione, poiché esse provengono dai neuroni, costituenti le grosse cellule delle corna anteriori del midollo spinale. Le ricerche embriologiche (istogenetiche) hanno confermato questa dipendenza delle radici dorsali e ventrali. Le poche eccezioni segnalate alla legge di Bell-Magendie riguardano fatti di secondaria importanza. Per la differenziazione dei varî elementi centrali del midollo spinale v. sopra.
Proprietà dei movimenti riflessi spinali. - I movimenti riflessi osservati negli animali spinali presentano caratteri di costanza o regolarità, che sono stati assunti per formulare diverse leggi. Essi sono in una particolare dipendenza con la natura, con la sede e con l'intensità degli stimoli periferici che li provocano. Lasciano riconoscere un certo grado teleologico di adattamento, mirando a raggiungere uno scopo utile all'animale. Si possono distinguere in due grandi categorie: nell'una entrano i riflessi provocati da stimoli dannosi (molesti o dolorosi), nell'altra i riflessi provocati da stimoli biologici (gradevoli). Nella prima classe i movimenti riflessi sono in speciale rapporto con l'intensità e con la durata degli stimoli: se questi sono deboli o di breve durata, il riflesso tende ad allontanare il punto del corpo colpito dallo stimolo abnorme; se sono forti e di lunga durata, ai detti movimenti seguono più complicati riflessi che tendono ad allontanare l'agente stimolante. I riflessi della seconda classe non sono tanto in rapporto con l'intensità o con la durata, quanto con la natura dello stimolo, che non rappresenta per l'organismo una causa di molestia a cui l'animale deve sfuggire, ma una condizione favorevole allo svolgimento normale di funzioni utili. I riflessi di questa seconda categoria non s'irradiano per lo più a muscoli diversi, come fanno i riflessi della prima classe, quando gli stimoli aumentano d'intensità o di durata: presentano invece un comportamento analogo alla legge del tutto o niente. Per essi, inoltre, è necessario che gli stimoli adeguati agiscano sugli organi di senso periferici normali e non sui tronchi nervosi isolati, come invece è il caso per i riflessi della prima categoria.
Tono muscolare riflesso. - L'innervazione spinale si manifesta inoltre come un'attività continua sugli organi muscolari (o ghiandolari) anche quando questi non compiono movimenti, ma si trovano in stato di apparente riposo, che costituisce il loro tono. È stato dimostrato che la recisione o la soppressione, comunque prodotta, della funzione delle radici posteriori dorsali, produce, oltre che l'anestesia delle regioni cutanee, anche la scomparsa del tono muscolare (atonia flaccida), che si mette in rilievo sia sollevando l'animale in aria, sia osservando che gli arti corrispondenti alla privazione dell'innervazione afferente pendono più flaccidi e più distesi degli arti del lato integro, sia osservando che i primi oppongono resistenza minore ai movimenti passivi di quella opposta da parte dei muscoli del lato sano.
Connessa con questa funzione d'innervazione continua sul tono muscolare, che è mantenuta dalla continua corrente di eccitamenti centripeti in via riflessa verso i centri spinali, è l'altra funzione che regola il rilasciamento attivo o allungamento muscolare che ha luogo nei muscoli antagonistici, quando si compie un movimento complesso risultante dalla regolare successione e compartecipazione di diversi muscoli, quale ha luogo in ogni specie di movimenti riflessi che indistintamente presentano il carattere della coordinazione e regolarità: innervazione reciproca degli antagonistici (dismetria dei movimenti degli arti privi dell'innervazione afferente).
Agevolazione e inibizione. - I diversi atti riflessi possono variare per il loro carattere di prontezza, rapidità, intensità o validità, anche indipendentemente dalle variazioni d'intensità, di durata o di natura degli stimoli o degli eccitamenti afferenti, come pure indipendentemente dallo stato funzionale degli organi periferici, per opera dei quali avviene la reazione. Le variazioni nel grado degli atti riflessi dipendono allora dallo stato o condizioni funzionali dei centri nervosi. Queste variazioni possono produrre aumento o diminuzione dell'attività riflessa e avere per causa l'azione di sostanze chimiche, velenose, abnormemente presenti, quali la stricnina, l'acido fenico, ecc., oppure derivanti dal metabolismo dei centri stessi, in seguito a eccessivo lavoro o stanchezza (i cosiddetti prodotti tossici della fatica); oppure possono derivare da azioni puramente fisiologiche di attività nervose intercorrenti. È in quest'ultimo caso che si parla più strettamente di fenomeni di inibizione, quando eccitamenti nervosi intervengono diminuendo o sospendendo gli atti riflessi (questo è il caso dell'azione dei centri nervosi superiori, bulbari o corticali, che agiscono inibendo o regolando i sottoposti centri spinali), o di agevolazione, quando l'azione nervosa proveniente da altri centri (siano essi di altre regioni spinali, o di altri centri superiori) intervengono facilitando o aumentando il decorso e l'intensità degli atti riflessi. Sono stati così dimostrati riflessi e relative vie e centri nervosi che, eccitati contemporaneamente, possono avere un'azione facilitante (riflessi e centri sinergici o alleati), oppure possono ritardare o inibire (riflessi e centri antagonistici) lo svolgersi normale di dati riflessi.
Distribuzione metamerica dei territorī d'innervazione radicolare. - Le radici posteriori o dorsali del midollo spinale provvedono all'innervazione afferente (o sensitiva) della superficie cutanea e degli organi profondi del corpo, distribuendosi alle diverse regioni secondo la legge metamerica; secondo la stessa legge provvedono le radici anteriori o motorie all'innervazione dei diversi muscoli del corpo. Questa legge nell'uomo e nei Vertebrati superiori si manifesta chiaramente solo in alcune regioni del corpo, ossia nella regione toracica e addominale e nella regione cervicale, nel tronco e nel collo, mentre meno evidente è negli arti e nel capo, come conseguenza della complicazione avvenuta durante la differenziazione particolare di queste ultime regioni in rapporto ai caratteri evolutivi dell'uomo (fig. 7).
La distribuzione metamerica dell'innervazione afferente, specialmente nelle regioni cutanee (dermatomeria) fa riconoscere l'esistenza di zone cutanee, la cui sensibilità è provveduta da costanti e regolari radici posteriori; la forma di tali zone (topografia radicolare) si può paragonare a strisce che in forma di vere zone anulari sono disposte successivamente l'una dietro l'altra nelle regioni del tronco e del collo, mentre per le regioni cutanee del capo, degli arti anteriori e degli arti posteriori simile conformazione è dimostrabile fissando gli arti nella particolare posizione che essi hanno nei Vertebrati inferiori (quadrupedi). Le diverse zone cutanee innervate dalle singole radici non presentano una netta linea d'interruzione tra l'una e l'altra; anzi si sovrappongono, a modo di embrice, in modo che le zone intermedie sembrano dotate di più intensa innervazione afferente, perché ivi si vengono a trovare gli organi afferenti delle due limitrofe radici. A queste zone corrispondono, in condizioni patologiche, regioni dotate di maggiore sensibilità dolorifica (zone iperalgesiche).
Alcune forme di riflessi: riflessi tendinei (riflesso rotuleo o fenomeno del ginocchio). - Una particolare importanza per saggiare lo stato funzionale dell'attività dei centri spinali hanno in medicina alcuni movimenti riflessi, che si possono provocare con una tecnica relativamente facile, e dei quali sono ben noti gli elementi costitutivi dell'atto riflesso; ossia la zona periferica riflessogena, le vie afferenti, i centri, le vie efferenti e i muscoli reattivi. Il primo maggiormente noto riflesso di questo genere è il cosiddetto riflesso rotuleo di Westphal, o fenomeno del ginocchio. Esso si ottiene percuotendo lievemente con un oggetto ottuso (un martellino o il margine esterno della palma della mano) la superficie cutanea sovrastante il margine inferiore della rotula del ginocchio di una gamba tenuta a cavalcioni sull'altra: si ha una reazione motoria da parte dei muscoli estensori della gamba, accompagnata dal rilasciamento attivo degli antagonisti (flessori) che produce sollevamento del piede. La scomparsa o la deficienza di questo riflesso indica grave lesione delle vie afferenti o dei relativi centri, situati in corrispondenza del secondo, terzo, quarto segmento lombare, o anche delle vie nervose efferenti.
Riflessi analoghi, cosiddetti tendinei, poiché la zona riflessogena è situata nei tendini dei muscoli, sono stati dimostrati in altre regioni del corpo (fig. 8).
Azione trofica del midollo spinale. - Oltre le attività surricordate, è stata attribuita ai centri spinali anche una particolare funzione trofica sugli organi periferici (cutanei, muscolari e ghiandolari) provvisti dalla loro innervazione. Questa azione consisterebbe nel fatto di determinare e regolare lo sviluppo di essi organi durante l'età dell'accrescimento, il mantenimento allo stato di nutrizione normale durante le successive età dell'equilibrio metabolico, eventualmente di determinare o regolare i fatti di rigenerazione degli stessi organi che per lesioni traumatiche o di altra causa patologica abbiano subito l'atrofia o la degenerazione.
Che i centri spinali posseggano tale importante funzione trofica sulle fibre nervose delle rȧdici e dei nervi dipendenti dai neuroni siti nella compagine del midollo, è innegabile sulla base delle ricerche morfologiche, sia della degenerazione sia della rigenerazione delle fibre nervee. Che però un'azione simile esercitino direttamente i centri spinali sugli organi periferici morfologicamente indipendenti, non è ammesso da tutti i fisiologi. Alcuni credono di poter spiegare i fatti delle atrofie muscolari (o ghiandolari) o gli altri fenomeni distrofici delle regioni cutanee, rimaste prive d'innervazione spinale, ammettendo un'azione indiretta dei centri: ossia le degenerazioni dei muscoli come conseguenza della loro inattività, dovuta alla mancanza degl'impulsi nervosi, i fenomeni distrofici cutanei come conseguenza dell'anestesia o insensibilità, che implica la scomparsa di ogni sorta di riflessi difensivi, contro i traumi o le invasioni batteriche. Comunque è innegabile che l'eccitamento prodotto dagl'impulsi nervei provoca modificazioni funzionali degli organi periferici, in quanto ne modifica il metabolismo.
Localizzazione dei centri spinali. - I diversi centri la cui attività autonoma si è potuta dimostrare negli animali spinali e in parte anche nell'uomo, si trovano distribuiti senza limiti netti, e nel senso tanto anatomico che fisiologico, in quanto quasi costantemente in condizioni normali dell'organismo integro, la loro entrata in attività non avviene mai singolarmente, ma tutti provocano un'azione sinergica o associata (carattere d'altro canto indispensabile per la solidarietà individuale di difesa e di collaborazione armonica), sia tra loro reciprocamente, sia in rapporto ai centri superiori (fig. 8).
In due grandi gruppi si possono riunire i diversi centri dei riflessi spinali: quelli aventi sede nel tratto lombo-sacrale, la maggior parte dei quali sono localizzati nel rigonfiamento lombare o intumescentia posterior, e quelli aventi sede nel tratto cervico-dorsale, di cui la maggior parte si trova nel rigonfiamento anteriore o superiore.
Al primo gruppo appartengono, salendo dal basso verso l'alto: 1. I centri che provvedono alle diverse funzioni motorie dell'espulsione delle feci (defecazione, il cosiddetto, impropriamente, centro ano-spinale, poiché non sono soltanto i movimenti dello sfintere anale che sono regolati da questi centri, ma tutta la complessa serie della ritenzione e dell'espulsione delle feci, della loro progressione intestinale, ecc.). 2. I centri analoghi che provvedono alla ritenzione e all'emissione urinaria (centro vescico-spinale). 3. I centri che provvedono ai movimenti degli organi sessuali maschili (dell'erezione del pene, dell'eiaculazione del seme, ecc.), femminili (tra cui il centro utero-spinale, o centro ecbolico, che provvede ai movimenti uterini e del torchio addominale per il parto). 4. I complessi centri dei movimenti degli arti posteriori, tra cui quelli che fanno parte della deambulazione e della stazione eretta, nell'uomo, che però sono sotto il dominio di particolari centri superiori (bulbari, corticali).
Al secondo gruppo appartengono: 1. I centri dei movimenti degli arti superiori, che si manifestano in forma di riflessi e di cui i più importanti fanno parte dei complessi movimenti deambulatorî o di altre attività d'indole superiore, come l'arrampicarsi, l'afferrare gli oggetti, ecc., i quali però sono sotto il dominio di altri centri superiori (bulbari, corticali). 2. I centri per i movimenti respiratorî, che parimenti però nella maggioranza degli animali superiori e nell'uomo non sono indipendenti o autonomi, ma sotto il dominio di centri respiratorî superiori (bulbari, corticali). 3. I centri che provvedono ai movimenti e alle secrezioni di tutti gli organi della vita vegetativa, che pel tramite del sistema simpatico eccitano i movimenti del cuore (centri spinali acceleratori), provocano la costrizione dei vasi sanguigni, inibiscono i movimenti delle pareti del tubo gastro-enterico e degli organi annessi, regolano la secrezione ghiandolare. Un centro particolarmente dimostrato di questa complessa serie è il centro cilio-spinale, il cui eccitamento provoca la dilatazione della pupilla dell'occhio, eccitando la contrazione del muscolo dilatatore irideo. Anche questa attività centrale spinale è in parte regolata dai centri bulbari superiori e trova inoltre un'azione antagonistica nel sistema autonomo sacrale e bulbare che agisce separatamente sugli stessi organi periferici, promovendone effetti opposti a quelli dell'innervazione simpatica.
B. - Le funzioni del midollo spinale considerato sotto la dipendenza e quindi come strumento dei centri superiori consistono di due serie di fatti: a) in quanto le diverse attività centrali autonome, sopra ricordate, sono messe in funzione o promosse o regolate, secondo il giuoco d'inibizione e di agevolazione, da parte dei centri superiori, i quali se ne servono opportunamente secondo i bisogni generali e più elevati del complessivo organismo; b) in quanto gli eccitamenti nervosi che hanno luogo nelle diverse regioni del midollo spinale, trasmettendosi ai centri superiori, servono a questi come particolari forme o materiali di sensazioni e percezioni, da essi avvertite ed elaborate.
Per adempiere all'una e all'altra specie di funzione, che potremmo dire in senso generale di connessione o associazione intercentrale, esistono i diversi fasci dei cordoni anteriori, laterali e posteriori costituenti la sostanza bianca del midollo spinale. Per la loro funzione conduttiva questi fasci, costituiti da un grande numero di fibre nervee, si suddividono in fasci di vie brevi, che conducono gli ecLitamenti tra centri e centri vicini o nello stesso livello orizzontale (per es. delle corna posteriori alle corna anteriori dello stesso tratto spinale), o tra centri di livello differente, ma poco distante (come tra i centri più bassi del cono midollare e quelli soprastanti dell'intumescentia posterior); in fasci di vie lunghe, che servono a connettere centri che si trovano a livello molto distante del midollo spinale (vie lunghe spino-spinali, per es., le vie che congiungono centri situati nel tratto lombo-sacrale con i centri del tratto cervico-dorsale) e vie lunghe che riuniscono i centri spinali, sensitivì o motori, con i centri superiori, bulbari, cerebellari, corticali.
Di queste diverse vie, alcune conducono gli eccitamenti in senso discendente, e di esse le meglio note e) e più importanti sono quelle che servono a condurre gli eccitamenti dai centri corticali dei movimenti volontarî ai diversi centri motori delle corna anteriori del midollo spinale, rappresentate dalle vie piramidali, che nel midollo spinale si trovano raggruppate nei fasci piramidali diretti e piramidali incrociati; le vie cerebello-spinali, che provvedono a condurre gli eccitamenti provenienti dal cervelletto ai diversi centri motori spinali (fascio cerebello-spinale o del Marchi). Altri fasci conducono gli eccitamenti in senso ascendente, e di essi i più importanti sono quelli che provvedono alla conduzione dei diversi eccitamenti sensitivi (tattili, termici: del caldo e del freddo, dolorifici, del complesso senso muscolare e articolare) che salgono ai centri superiori bulbari e corticali, nei quali provocano le reazioni sensoriali e coscienti, che si accompagnano alla percezione di queste diverse sensazioni cutanee o delle regioni profonde del corpo. Questi sono i fasci spino-bulbari e spino-corticali, che si trovano raggruppati nei cordoni posteriori e in parte anche nei cordoni laterali. Un altro sistema di fibre parimenti ascendenti è quello che congiunge gli elementi spinali col cervelletto (fascio spino-cerebellare o di Flechsig).
Fisiologia del midollo allungato. - Il bulbo o midollo allungato è la continuazione diretta anatomica e fisiologica del midollo spinale verso l'alto e del tronco encefalico verso il basso: i suoi limiti non rappresentano nessuna netta separazione tra gli organi centrali superiori e inferiori: tuttavia per l'importanza speciale che hanno le sue funzioni centrali, è ben giustificata la sua separazione funzionale dagli altri centri. Come anatomicamente il bulbo è una modificazione della struttura dei varî costituenti che si trovano nel midollo spinale, così pure fisiologicamente le sue funzioni possono essere suddivise nelle stesse due grandi classi, in cui si distinguono le funzioni spinali, considerando cioè quest'organo dotato di funzioni autonome e di funzioni dipendenti dagli altri centri nervosi.
A. - Come organo di funzioni autonome il bulbo rappresenta la sede di speciali centri, la cui integrità e attività funzionale è indispensabile al mantenimento della vita del complessivo organismo.
Centri respiratorî. - Situati in corrispondenza della punta del calamo scrittorio, immediatamente al di sotto della superficie dorsale, morfologicamente rappresentati da un cumulo di sostanza grigia, senza limiti netti, formata da piccole cellule nervose in mezzo a un reticolo ricco di neurofibrille (formatio reticularis), che si estende tanto a destra quanto a sinistra del rafe, reagiscono agli stimoli interni prodotti dalle variazioni chimiche dei gas respiratorî, che si trovano disciolti nel plasma sanguigno, eccitando i movimenti respiratorî, con un ritmo alterno regolare delle due fasi inspiratoria ed espiratoria. I centri respiratori bulbari risultano costituiti da due coppie pari, di cui l'una a destra e l'altra a sinistra che provvedono all'eccitamento dei centri respiratorî spinali dell'una e dell'altra metà del corpo. L'azione è, in condizioni normali, perfettamente sinergica, in modo cioè che contemporaneamente le due metà del torace e dell'addome compiono in perfetto sincronismo gli stessi movimenti di espansione e di compressione, producendo l'inspirazione o l'espirazione. L'attività di questì centri è anche regolata nella successione, in modo che all'inspirazione segue l'espirazione e viceversa: ciò è conseguenza del fatto che, mentre i muscoli inspiratorî si accorciano, quelli espiratorî si allungano e viceversa. Si distinguono quindi nel bulbo centri inspiratorî dell'un lato e dell'altro e centri espiratorî parimenti dei due lati, la cui attività è alterna, ma sincrona per le due metà del corpo. La natura dell'eccitamento dei centri respiratorî è ben diversa da quella dell'eccitamento degli altri centri nervosi, essendo esso l'effetto della reazione ai particolari stimoli chimici respiratorî, ossia alle variazioni prodotte dallo scambio gassoso respiratorio dell'intero organismo. Per questo si ammette la natura automatica dell'eccitamento dei centri respiratorî. Essi però, come gli altri centrì nervosi, hanno la capacità di reagire anche agli eccitamenti trasmessi per via riflessa dagli altri organi nervosi. La regolazione della loro attività è infatti prodotta dagli eccitamenti provenienti dalle vie nervose afferenti o sensitive che provvedono l'albero respiratorio (nervi vaghi), come pure dalle vie afferenti o sensitive dei muscoli respiratorî e delle loro articolazioni. Reagiscono pure, con particolari modificazioni delle loro attività, agli eccitamenti afferenti o sensitivi di varia natura, che eventualmente si svolgono o insorgono nelle altre parti dell'organismo. Essi subiscono inoltre, modificazioni della loro attività sia nel senso inibitorio sia nel senso di agevolazione, da parte delle attività centrali dei centri superiori, che si manifestano con l'apnea volontaria (sospensione dei movimenti respiratorî) o con le varie forme di dispnea volontaria. Una particolare modificazione essi subiscono da parte dei centri corticali della fonazione o del linguaggio parlato.
L'eccitamento abnorme di questi centri provenienti dalle diverse condizioni asfittiche si manifesta dapprima con un aumento dell'intensità, che può essere accompagnato da aumento della frequenza del ritmo (dispnea d'intensità e di frequenza), in cui non è alterata la coordinazione. Col crescere dell'asfissia, questi eccitamenti abnormi divenendo sempre più intensi, si diffondono ai centri dei movimenti respiratorî secondarî, e in un'ulteriore fase a tutti i centri spinali dei movimenti del corpo, provocando accessi di convulsioni generali, che più non hanno i caratteri della coordinazione, divenendo simili alle generali convulsioni tetaniche prodotte da avvelenamento di alcaloidi che agiscono sui centri (come la stricnina e altri).
Centri dei movimenti della stazione eretta e della deambulazione. - Sono intimamente connessi con i centri sensitivi degli organi di senso dei canali semicircolari (labirinto non acustico), che si trovano nella sostanza grigia laterale del bulbo e della parte inferiore del tronco encefalico, con la funzione cerebellare e con l'innervazione afferente dei muscoli e delle articolazioni del corpo, i cui centri intermedî si trovano nella sostanza grigia dei nuclei dorso-laterali del bulbo. Nell'uomo e negli animali superiori sono sotto il dominio dei corrispondenti centri corticali dei movimenti volontarî. Essi coordinano e promuovono l'attività sinergica alterna e regolare dei sottostanti centri spinali per i movimenti degli arti anteriori e posteriori. Formano loro parte integrale i riflessi di posizione e di atteggiamento del corpo, che servono alla correzione delle posizioni incongrue, e quando sono abnormemente eccitati possono essere origine di movimenti e atteggiamenti coatti.
Centri che regolano attività degli organi della vita vegetativa. - Molteplici attività riflesse degli organi della porzione cefalica e media del tubo gastroenterico hanno i loro centri nel bulbo e nel tronco encefalico, dove terminano o prendono origine i nervi vago, accessorio, ipoglosso, glossofaringeo, faciale e trigemino. Vi si trovano i centri della secrezione salivare, dei movimenti della deglutizione, della masticazione, dei movimenti dello stomaco, del vomito, della secrezione gastrica e intestinale, della secrezione pancreatica ed epatica (specialmente nota è l'azione dei centri bulbari sulla funzione epatica amilo- e glicogenetica), ecc. Su queste attività non agiscono però soltanto i centri bulbari, ma anche i centri del sistema simpatico e i centri proprî e intrinseci degli organi stessi.
Appartengono a questa categoria i centri bulbari che regolano l'attività cardiaca, che per mezzo del vago è rallentata o inibita, e quelli che agiscono sulla muscolatura vasale per il tramite dei centri vasomotori spinali.
Centri dei movimenti oculari. - I tre nervi oculomotori hanno i loro nuclei di origine nella sostanza grigia centrale laterale del tronco encefalico; il loro eccitamento per via riflessa è prodotto dai diversi centri sensitivi situati nel tronco stesso e da altri centri superiori, che però, comunque, trasmettono gl'impulsi ai detti centri oculomotori. Tra questi centri sensitivi situati nella sostanza grigia bulbare e del tronco che per riflesso provocano i movimenti coniugati, ossia coordinati, dei due bulbi oculari, debbono essere ricordati i centri sensitivi del labirinto non acustico, che, quando sono abnormemente eccitati, provocano i diversi nistagmi; i centri visivi superiori dei nuclei della base e della corteccia, al cui eccitamento è dovuto il riflesso del restringimento pupillare per effetto della contrazione dello sfintere irideo, determinata dall'eccitamento dei centri dei nervi oculomotori comuni.
B. - Come organo dipendente dagli altri centri del sistema cerebro-spinale, il bulbo rappresenta da un lato il complesso delle numerose vie di conduzione cerebro-spinale e spino-cerebrali, che formano parti cospicue dei fasci della sostanza bianca, sia delle regioni ventrali, sia di quelle dorsolaterali del bulbo e del tronco encefalico, dall'altro il complesso delle vie di conduzione afferente formanti i fasci cerebellari. Esso rappresenta inoltre, nello stesso modo dei centri spinali, altrettante stazioni centrali sotto il dominio dei centri superiori e in parte anche inferiori. I movimenti della stazione eretta e della deambulazione, nell'uomo, sono, nella prima fase dell'infanzia, prodotti dall'attività corticale e solo più tardi, quando col lungo esercizio sono divenuti più facili, decorrono senza il controllo corticale, per opera forse della sola attività bulbare, divenuta automatica, ma sempre sotto la possibilità di essere agevolati, inibiti e corretti dai centri superiori.
Fisiologia dell'istmo encefalico. - L'istmo encefalico è l'immediata continuazione del bulbo; esso contiene i centri sensitivi o motori dei nervi cranici superiori, la cui attività abbiamo sopra ricordata in connessione con le funzioni bulbari. Lo stesso vale per le funzioni degl'importanti fasci nervosi.
Ordinariamente la fisiologia dell'istmo si suddivide nelle funzioni del cervello medio o mesencefalo, e intermedio o talamencefalo.
Per la difficoltà che queste parti oppongono alla sperimentazione, essendo situate nella profondità dell'asse cerebrale, non si conoscono con sicurezza le loro particolari funzioni. Se negli animali superiori sperimentalmente si seziona l'encefalo dinnanzi ai corpi quadrigemini, si provoca una contrazione tonica di tutti i muscoli del corpo (rigidità da scerebrazione), che è unilaterale se la sezione fu limitata a un lato, provocando atteggiamenti e movimenti coatti. In difetto dei dati sperimentali è importante lo studio clinico delle lesioni di queste parti dell'encefalo; v. sotto: Fisiopatologia.
Fisiologia del cervelletto. - Per comprendere le funzioni del cervelletto è necessario riassumere i dati anatomici. Il cervelletto è la parte dorsale del cervello posteriore o metencefalo, situata nella fossa posteriore del cranio al di sopra del quarto ventricolo, di cui con la sua parte media costituisce il tetto. La sua struttura anatomica varia da specie a specie, ma nei Mammiferi si distinguono in essa un lobo medio e due lobi laterali, detti anche rispettivamente verme e emisferi. Dopo gli studî di L. Bolk (Das Cerebellum der Säugetiere, Haarlem e Jena 1906) s'è adottato uno schema di divisione trasversale, secondo cui il cervelletto si considera costituito di un lobus anterior (organo unico, dispari, mediano) e un lobus posterior il quale può essere diviso alla sua volta in due lobuli mediani, lobulus simplex e lobulus medianus posterior e due lobuli laterali o lobuli complicati. Il sistema di Bolk, basato sullo studio filogenetico e comparato di quest'organo, permette di riconoscere l'unità del piano strutturale in tutte le specie animali e permise all'autore di trarre anche delle conclusioni riguardo alla funzione cerebellare. La struttura istologica del cervelletto si può dire uguale in tutte le specie animali, fatta eccezione per i più primitivi (Ciclostomi). Vi si distinguono tre strati i quali costituiscono la corteccia cerebellare:1. lo strato molecolare o esterno; 2. lo strato delle cellule di Purkinje; 3. lo strato granuloso o interno. Interiormente, separata dalla corteccia da uno strato di sostanza bianca, si trova la sostanza grigia che nei Mammiferi viene a formare i nuclei, tranne che nei Chirotteri e negl'Insettivori, dove essa è riunita in una massa unica. Nei Pesci non si trovano i nuclei cerebellari, ma gruppi cellulari situati, p. es., all'angolo fra cervelletto e oblongata, che si possono considerare omologhi dei nuclei i quali cominciano ad apparire chiaramente sviluppati negli Uccelli. Nei Mammiferi si distinguono sempre almeno due nuclei (nucl. tecti e nucl. dentatus) e spesso tre, essendovi fra i due precedenti il nucleus interpositus (embolus e nucl. globosus). La sostanza bianca è composta di fibre midollate che, continuandosi nei peduncoli cerebellari, costituiscono le vie di collegamento afferenti ed efferenti col tronco cerebrale. I peduncoli superiori, crura ad cerebrum, collegano il cervelletto col mesencefalo dove, sotto le eminenze quadrigemine posteriori, si decussano quasi totalmente per terminare, dopo una stazione nei nuclei rossi, ai talami ottici. Oltre queste fibre efferenti i peduncoli superiori contengono anche, secondo alcuni, scarse fibre afferenti dai talami (G. Mingazzini). I peduncoli medi, crura ad pontem, sono composti per la massima parte da fibre provenienti da nuclei del ponte. I peduncoli inferiori, crura ad medullam, sono composti di fibre afferenti provenienti per la massima parte dai corpi restiformi; un altro fascio di fibre che occuperebbe il segmento interno del peduncolo inferiore, proviene dal nucleo principale dell'acustico e dai nuclei di Deiters e di Bechterew, costituendo quella che L. Edinger ha chiamata la via sensoriale cerebellare diretta (figg. 9-10).
Lo studio sperimentale della fisiologia cerebellare si può considerare iniziato dalle ricerche di M. Foderà (1823) e di P.-J.-M. Flourens (1824-42), ma, nonostante le interessanti ricerche compiute da questi e da parecchi altri sperimentatori, fra cui ricordiamo F. Lussana (1872) e D. Ferrier (1878), solo con l'opera di L. Luciani (1884-91) si arriva alla costruzione di una solida dottrina. Osservando in Mammiferi superiori, sopravvissuti all'ablazione parziale o totale del cervelletto, gli effetti di tale atto operatorio, egli distinse acutamente i fenomeni legati allo stato di transitoria irritazione dovuta al traumatismo operatorio (fenomeni dinamici) da quelli dovuti essenzialmente alla mancanza del cervelletto (fenomeni da deficienza). Le demolizioni parziali del cervelletto dànno luogo in un primo periodo a fenomeni (movimenti coatti) la cui espressione più completa è data dalla rotazione dell'animale sul suo asse longitudinale e che derivano essenzialmente dalla prevalenza delle attività funzionali della parte superstite dei centri encefalici. In questi movimenti coatti entra come causa diretta un fatto sensoriale e cioè la vertigine, della quale si ha una prova diretta in molti casi clinici di malattie cerebellari. Con il dileguarsi di questi fenomeni dinamici si stabiliscono i fenomeni di deficienza che si usano indicare con una espressione globale come atassia cerebellare. L'analisi minuta di tali fenomeni atassici ha permesso al Luciani di riconoscere che essi derivano da una mancanza di forza (astenia), da una depressione del tono normale (atonia) e da un complesso di fatti quali il tremito, una certa titubazione e oscillazioni ritmiche o pendolari per cui egli propose la denominazione di astasia.
In periodi più tardivi, dopo l'asportazione della metà o di tutto il cervelletto, gli effetti della lesione si affievoliscono notevolmente e l'animale, compiendo atti compensatorî opportuni riesce a riacquistare in modo quasi completo le sue funzioni locomotorie; in questa restituzione però non entrano o solo in minima parte fatti di compensazione organica, la quale invece si manifesta col tempo dopo mutilazioni parziali più o meno estese del cervelletto, alle quali è più facile paragonare gli effetti di lesioni patologiche nell'uomo.
Uno dei fatti più importanti posti in luce dal Luciani è che i fenomeni di deficienza consecutivi alle mutilazioni cerebellari interessano esclusivamente la sfera motoria e non invadono in maniera distinta e rilevabile la sfera dei sensi. Tale constatazione assume un'importanza particolare nella dottrina fisiologica del cervelletto, perché c'induce a eliminare la teoria proposta da F. Lussana, il quale - perfezionando e completando l'opinione di Flourens che il cervelletto sia la sede esclusiva del principio che coordina i movimenti di locomozione - aveva precisato che questo principio è il senso muscolare. Se il senso muscolare, che non manifesta alterazione alcuna negli animali operati al cervelletto, né nei casi patologici presentati dall'uomo, non può essere considerato funzione del cervelletto, cadono anche quelle teorie più recenti che traggono le loro origini dalle idee di Flourens e di Lussana, come quelle di H. Munk o di M. Lewandowski. La funzione del cervelletto, quale risulta dagli effetti della sua asportazione parziale o totale, è una funzione totale di rinforzo del sistema cerebro-spinale e cioè, per esprimersi con le parole del Luciani, un'azione tonica (che aumenta la tensione dei muscoli anche durante il riposo), stenica (che aumenta l'energia delle loro contrazioni) e statica (che contribuisce alla fusione delle scosse elementari). È anche evidente però che queste tre proprietà funzionali dei muscoli sono così strettamente connesse fra loro, che pur essendo vantaggioso dal punto di vista descrittivo servirsi del triplice attributo (trinomio di Luciani) per definire la funzione cerebellare, dal punto di vista deterministico possiamo considerare che il tono cerebellare è il carattere fisiologico essenziale di quest'organo.
C. Sherrington riassume i risultati delle ricerche sperimentali antecedenti in una dottrina secondo cui il cervelletto si deve considerare come il ganglio cefalico e più importante del sistema propriocettivo, funzionante come un centro a cui arrivano impulsi dal midollo, dal quinto paio e specialmente dal labirinto. Esso influenza la corteccia cerebrale (attraverso i peduncoli cerebrali) regolando in modo subcosciente i movimenti volontarî e influenza lo stato tonico di tutti i muscoli attraverso i nuclei bulbari. Nella sua qualità di centro a cui convergono impressioni dai muscoli tutti e dal labirinto, il cervelletto coordina i vari riflessi metamerici allo scopo ultimo dell'equilibrio del corpo. Tra le caratteristiche anatomiche del cervelletto si è già ricordato la grande uniformità della sua struttura istologica che si presenta uguale in tutte le parti dell'organo, per cui si era ingenerata l'opinione che di una localizzazione cerebellare analoga alla localizzazione cerebrale non si potesse parlare. Le ricerche anatomiche del Bolk hanno però rimesso allo studio questo problema, perché, avendo egli stabilito mediante ricerche di anatomia comparata del cervelletto una certa correlazione tra lo sviluppo morfologico di determinate sue parti e lo sviluppo funzionale di determinati gruppi muscolari, fu indotto ad attribuire alle singole regioni del cervelletto un influsso diretto su certi gruppi muscolari. Così i muscoli della testa e del collo sarebbero dominati dalla parte mediana e dispari dell'organo, mentre i muscoli degli arti anteriori e posteriori avrebbero i centri per i loro movimenti dissociati (vale a dire per quelli che si possono compiere di maniera indipendente dai due lati) nei lobi ansiformi e paramediani.
Da questa dottrina venne la spinta a condurre nuove indagini fisiologiche sperimentali sull'oscuro problema delle localizzazioni cerebellari. A rischiarare i dubbî sollevati dalle antiche esperienze di D. Ferrier (1879) e di altri autori, eseguite con tecnica poco opportuna, valsero le più recenti ricerche eseguite in gran parte in Italia (G. Pagano, G. v. Rjmberk, M. Magnini, G. Rossi, ecc.) seguendo metodi diversi. Tanto il Pagano (iniezioni interstiziali di piccole quantità di curaro) quanto G. v. Rymberk (estirpazioni circoscritte) ottennero risultati che in parte si accordano con l'ipotesi di Bolk e che dimostrano una correlazione funzionale fra: 1. il lobulus simplex e i muscoli del collo; 2. il crus primum lobuli ansiformis e l'arto anteriore omolaterale; 3. il crus secundum lobuli ansiformis e l'arto posteriore omolaterale; 4. il lobulus paramedianus e i muscoli del dorso.
Queste ricerche e altre eseguite anche più recentemente (G. Rossi) ci devono ormai far accettare il concetto, che i singoli lobuli del cervelletto hanno un rapporto più intimo o diretto con speciali gruppi muscolari senza però farci abbandonare l'idea sostenuta dal Luciani che dal punto di vista qualitativo il cervelletto è una unità funzionale, le cui varie porzioni esercitano sopra i muscoli un'azione della medesima natura.
Ancora poco esplorato è il problema della natura degl'impulsi afferenti al cervelletto e delle vie da essi seguite. Le sue connessioni anatomiche suggeriscono in maniera abbastanza chiara quali possono essere queste vie. L'anatomia comparata e l'embriologia mostrano il cervelletto come un importantissimo centro di correlazione di numerose impressioni somatiche quasi tutte, se non tutte, di natura propriocettiva (C. U. Ariëns Kappers), che si sviluppa dall'area somato-sensibile della piastra dorso-laterale dell'oblongata in connessione coi centri ottavo-laterali.
Lo studio dell'ottavo paio di nervi cranici ha infatti offerto molti punti di contatto con lo studio di questo aspetto della fisiologia cerebellare. Mentre però si deve considerare come verità ormai sicuramente accertata il fatto che in condizioni normali le impressioni di origine labirintica arrivano al cervelletto, indagini recenti hanno dimostrato che quest'ultimo non é un centro indispensabile per i riflessi labirintici.
Fisiologia del cervello anteriore. - Dei due sistemi anatomici costituenti il cervello anteriore, meno note sono le funzioni dei nuclei della base, meglio note sono quelle della sostanza grigia corticale, perché più accessibile alla sperimentazione e all'osservazione diretta. La sostanza bianca costituente il centro ovale dei due emisferi e la grande commessura interemisferica (corpo calloso), rappresenta i fasci delle diverse vie nervose che conducono gli eccitamenti intercorrenti tra i diversi centri, sia in senso afferente (fasci sensitivi), sia in senso efferente (fasci motori), congiungendo i centri sottostanti con i centri superiori corticali (in parte dopo essere entrati in rapporto coi centri della sostanza grigia dei nuclei della base), oppure i centri superiori corticali con i centri sottostanti (spinali, bulbari, cerebellari, fasci motori, di cui la parte meglio nota è rappresentata dalle cosiddette vie piramidali, che conducono gl'impulsi dei movimenti volontarî); oppure in parte servono a collegare i centri dei due emisferi tra loro, e i centri diversi dello stesso emisfero (vie associative inter- e intracentrali, inter- e intraemisferiche). I varî fasci costitutivi della sostanza bianca maturano, ossia assumono la funzionalità conduttiva, in epoca diversa, durante la vita intra- ed extra-uterina, in rapporto allo sviluppo funzionale dei centri da cui essi dipendono, secondo che l'infante o l'adolescente va acquistando sempre più le diverse capacità intellettuali e i movimenti volontarî. È stato possibile seguire morfologicamente questo graduale sviluppo dei varî fasci nervosi sulla base dell'osservazione del tempo, nel quale le fibre nervose di essi fasci assumono la guaina mielinica. Secondo l'epoca di mielinizzazione delle fibre dei varî fasci, sono stati distinti varî sistemi che corrispondono ai diversi centri corticali dotati di funzioni distinte, e precisamente mentre i fasci derivanti dai centri corticali sensoriali primitivi sono già maturi alla nascita, i fasci corrispondenti ai centri di funzioni più elevate (di associazione) vanno maturando nelle successive epoche dell'infanzia (Flechsig).
Dottrina della localizzazione funzionale. - Centri motori. - La moderna fisiologia della corteccia è basata sulla dottrina della localizzazione dei centri per le diverse attività elementari, in cui si può scindere la complessa attività. La dottrina della localizzazione ha origine dalla frenologia (v.) di F. Gall, che rappresentò una teoria in gran parte fantastica, se non nei suoi fondamenti, che furono osservazioni di particolari doti psichiche in persone che presentavano determinati segni esteriori nelle regioni della fronte e del cranio (un particolare caso di fisionomia), certamente nelle deduzioni finali, che pretendevano di riconoscere le diverse qualità psichiche e morali delle varie persone, secondo la presenza di bozze o rilievi del cranio. La frenologia cadde per opera specialmente di Flourens, che mise in rilievo, sperimentando negli animali, che le funzioni superiori del cervello e degli emisferi non possono essere seriamente suddivise in capacità o proprietà elementari, indipendenti l'una dall'altra. Ogni lesione, comunque o dovunque prodotta a carico degli emisferi, produrrebbe un indebolimento o deficienza generale più o meno completa, secondo l'entità globale delle parti lese o asportate delle molteplici attività nervose superiori (sensoriali, associative, istinti, movimenti volontarî).
Le osservazioni anatomopatologiche nell'uomo di J.-B. Bouillaud o più specialmente di P. Broca (v.) dimostrarono che nell'uomo la lesione parziale della regione corticale del piede della terza circonvoluzione frontale sinistra (nei destrimani) ha per effetto una particolare e costante deficienza di un'attività cerebrale, ossia l'incapacità di pronunziare le parole del linguaggio articolato (la cosiddetta afasia motoria), mentre tutte le altre attività motorie e sensitive, e le altre capacità di grado ancora più elevato, possono essere conservate integre.
Ciò dimostra che effettivamente la regione corticale indicata possiede un centro nervoso, che è indispensabile per i movimenti volontarî coordinati della loquela; che inoltre non esiste altro centro che possegga normalmente questa capacità funzionale (a meno che con un lungo esercizio il centro omologo dell'altro emisfero destro non acquisti tale funzione). Posta così su basi anatomopatologiche la dottrina della localizzazione, essa fu sempre meglio dimostrata esatta dalla scoperta di E. Hitzig e G. Fritsch, che negli animali superiori (specialmente cani) riuscirono a ottenere effetti positivi e costanti dalla stimolazione artificiale elettrica di una particolare regione della corteccia, che fu detta pertanto zona corticale eccitabile o motoria (poiché specialmente particolari movimenti si possono provocare con la stimolazione), identica alla regione anatomica detta rolandica, che nel cervello del cane si aggruppa nel giro sigmoideo e nel cervello dell'uomo costituisce la circonvoluzione o giro prerolandico o parietale anteriore, irradiandosi in parte alle limitrofe regioni del piede delle tre circonvoluzioni frontali (figura 11).
I movinnenti che si ottengono dalla stimolazione puntiforme di queste regioni corticali (sia mediante l'applicazione della corrente elettrica, sia mediante stimoli meccanici, sia, ancora meglio, mediante l'applicazione di piccolissime quantità di particolari veleni, come la stricnina in conveniente diluizione) presentano una perfetta costanza nei caratteri e nella località. I caratteri sono di movimenti perfettamente coordinati che lasciano sempre riconoscere uno scopo, simili quindi ai movimenti che l'animale compie spontaneamente e volontariamente, nella vita ordinaria. Molti di essi implicano anche un certo grado di abilità, specialmente quando si sperimenta sulle scimmie, provocando movimenti delle dita e della faccia. La costanza di località (topografia corticale) consiste nel fatto che a ogni punto (inteso nel senso ampio della parola) della corteccia, comunque eccitato, segue sempre lo stesso movimento periferico.
Un altro carattere costante consiste nel fatto che per tutti i Mammiferi superiori e inferiori, sinora indagati, che posseggono una struttura omologa (ossia lo stesso tipo di organizzazione) della corteccia degli emisferi, vale lo stesso ordinamento topografico di detti centri eccitabili. Nell'ambito della sostanza grigia delle circonvoluzioni del lobo centrale e parietale (regio rolandica nell'uomo e nelle scimmie antropomorfe), i centri motori per gli arti posteriori si trovano nelle regioni più vicine, verso l'alto, alla grande scissura interemisferica; quelli del tronco e del torace nella regione sottostante; quelli per gli arti anteriori, ancora più in basso; quelli per il collo e il capo, bocca e occhi (palpebre), si trovano in immediata vicinanza della scissura di Silvio. Inoltre, i centri motori del lato del corpo destro si trovano distribuiti nella regione corticale sinistra, quelli del lato di sinistra nella regione corticale destra, come effetto dell'incrociamento bulbo-spinale delle vie piramidali.
Nell'uomo è stato possibile, in occasione di operazioni chirurgiche, saggiare mediante stimolazioni artificiali l'eccitabilità delle corrispondenti regioni, confermando i risultati ottenuti negli animali, in senso generale, con la notevole variazione, che tutti i centri motori si trovano localizzati nel giro prerolandico o circonvoluzione centrale anteriore, e che è possibile, in armonia col maggiore sviluppo delle diverse attività di movimenti volontarî più fini e di maggiore destrezza e abilità dell'uomo, in confronto con gli animali, provocare movimenti molto più numerosi e complessi. Una importante conferma della dottrina di Broca si ha nel fatto che la stimolazione artificiale delle regioni corrispondenti al piede della terza circonvoluzione frontale provoca appunto, come la detta dottrina aveva fatto supporre, movimenti localizzati alle labbra, alla lingua, alla bocca.
Che effettivamente questi siano i centri che elaborano e inviano gl'impulsi per i movimenti cosiddetti volontarî, si deduce, oltre che dal carattere esteriore di detti movimenti (che, come si è detto, sono del tutto simili a quelli che l'animale compie spontaneamente, e sembrano sempre coordinati a uno scopo), anche dall'osservazione anatomopatologica che nell'uomo qualsiasi lesione distruttiva di essi centri corticali ha per immancabile effetto la scomparsa della capacità di eseguire i corrispondenti movimenti volontarî (paralisi motoria di origine corticale).
Epilessia corticale. - Un altro fatto importante della fisiologia della corteccia cerebrale motoria è stato dimostrato dagli effetti della stimolazione artificiale di abnorme intensità di detti centri, che consistono in un accesso di convulsioni generale di tutti i muscoli del corpo, in tutto simili all'epilessia (v.). Tale accesso epilettico s'inizia dal centro immediatamente stimolato, ma poi rapidamente si estende a tutti i centri dello stesso lato dell'eccitamento e poi dell'altro, anche se nel frattempo fu interrotta la stimolazione. Questo risultato ha dato la base per la dottrina della genesi corticale dell'epilessia. Non è infatti necessario, per ottenere l'accesso epilettico, l'applicazione della stimolazione di forti correnti elettriche; anche l'applicazione di particolari sostanze tossiche, che hanno il potere di eccitare i centri (come la stricnina e affini), se fatta in dose conveniente e su animali particolarmente predisposti, provoca accessi epilettici di origine corticale. Non è improbabile che nell'epilessia idiopatica umana avvenga lo stesso processo da parte di speciali sostanze tossiche che si producono nell'interno del corpo per abnormi processi del metabolismo interno.
Centri della sensibilità e delle funzioni sensoriali. - Il metodo della stimolazione artificiale non può fornire risultati convincenti o dimostrativi nello studio di questioni di questo genere, non essendo possibile ottenere, negli animali, evidenti segni di sensazioni o percezioni abnormemente provocate. Molto più proficuo è l'altro metodo che utilizza gli effetti negativi della distruzione dei centri, in quanto dalla deficienza di particolari capacità sensoriali si deduce la località, se non il meccanismo di azione, dei corrispondenti centri. Ancora più utile è questo metodo, anatomopatologico, quando è applicato alla fisiologia del cervello umano. I risultati sinora ottenuti in questo vasto campo di ricerche hanno confermato la giustezza della dottrina generale della localizzazione anche dei centri sensitivi o sensoriali. Tutti i sensi hanno i loro centri corticali, anzi per opera di questi centri le diverse sensazioni assumono carattere di percezioni chiare e coscienti, non solo singolarmente considerate, ma soprattutto nella loro reciproca associazione o sintesi superiore, quale si rivela in ogni atto anche più elementare di processo psichico. Né è soltanto il carattere dell'immediata percezione, evocata nei centri dall'azione dei varî stimoli che agiscono sui diversi punti periferici, ma anche la memoria di percezioni pregresse che è opera dei centri corticali.
Centri della sensibilità generale. - Sono localizzati nell'uomo nella sostanza grigia del giro postrolandico o circonvoluzione postcentrale o parietale posteriore, separati dai precedenti centri motori dalla scissura rolandica. Sono distribuiti secondo lo stesso ordine, ossia i punti più vicini alla scissura interemisferica contengono i centri della sensibilità generale dei piedi e degli arti posteriori, i punti immediatamente sottostanti contengono i centri della sensibilità delle regioni del tronco e del torace e così via di seguito sino ai centri della sensibilità generale della faccia e del capo che hanno i centri nella parte più bassa del giro postrolandico. Nei Mammiferi inferiori i centri della sensibilità corticale si trovano frammisti nella stessa regione corticale con i centri motori. Le diverse sensazioni costituenti la cosiddetta sensibilità generale sono le sensazioni tattili, termiche (del caldo e del freddo), dolorifiche, provenienti dall'intera superficie cutanea del corpo, inoltre le sensazioni muscolari e articolari, che costituiscono l'insieme dei cosiddetti sensi profondi e propriocettivi, che intervengono nella regolazione dei movimenti coordinati e volontarî, servono per la percezione della resistenza offerta dagli ostacoli ai movimenti stessi, ecc. Forse anche le sensazioni provenienti dalla superficie del tubo gastroenterico, quando superano la soglia della coscienza, hanno centri che li rappresentano nella stessa corteccia. Osservazioni anatomopatologiche, nell'uomo, confermano la dottrina della localizzazione di questi centri; la distruzione di zone limitate in questa regione produce costantemente fatti di anestesia o parestesia nelle regioni cutanee corrispondenti.
Centri visivi. - Sono localizzati nella corteccia del lobo occipitale. La demolizione dei due lobi occipitali produce negli animali cecità completa dei due occhi (cecità corticale); l'animale non vede più gli oggetti né gli ostacoli che si frappongono sul suo cammino. Sono conservati i riflessi iridei, che hanno i loro centri nelle regioni sottostanti (della midriasi, nel midollo spinale, della miosi, nella sostanza grigia del bulbo e del tronco encefalico), e i riflessi del capo a forti stimoli luminosi, che hanno i loro centri parimenti nelle regioni sottocorticali. Se la demolizione è limitata a un solo emisfero, si osserva emianopsia bilaterale omonima, ossia cecità della metà corrispondente, dello stesso lato della lesione, di ambedue i campi visivi, come conseguenza del fatto dell'incrociamento delle vie ottiche nel chiasma ottico, incrociamento parziale della metà interna delle fibre stesse. Se la lesione non produce completa distruzione dei lobi occipitali, ma fu solo parziale, allora gli effetti della cecità consistono in un indebolimento della visione. Una particolare forma di questa cecità corticale parziale è la cosiddetta cecità psichica, la quale consiste nel fatto che l'animale pure vedendo gli oggetti, non è in grado di riconoscerli, come quando il cane vede ma non riconosce più il padrone (col sussidio della sola vista), o la scimmia non è più capace con la sola vista di riconoscere pezzetti di sughero frammisti a pezzetti di fichi secchi, di cui questi animali sono ghiotti. Osservazioni patologiche nell'uomo hanno confermato che i centri della visione si trovano localizzati in date regioni della corteccia del lobo occipitale, e precisamente nella sostanza grigia adiacente alla scissura calcarina e del cuneo e precuneo. Lesioni distruttive di queste regioni producono cecità e ambliopia più o meno grave, in uno o nei due campi visivi, secondo l'entità e l'estensione mono- o bilaterale della lesione stessa. Un particolare caso di cecità psichica nell'uomo è data dalla cosiddetta cecità verbale, che consegue alla lesione del giro angolare, e che consiste nel fatto che l'individuo non è più capace di riconoscere il significato delle parole scritte o stampate, pure mantenendo integra la capacità di vedere e di pronunziare le parole e di riconoscerle quando le ode.
Centri uditivi. - Sono localizzati nella corteccia dei due lobi temporali; la loro demolizione negli animali produce la sordità corticale, per la quale l'animale perde la capacità di avvertire gli eccitamenti sonori; soltanto a rumori molto intensi si possono provocare riflessi di difesa (allontanamento del capo), i cui centri si trovano nelle regioni sottostanti. Se l'estirpazione è a carico di un solo lobo temporale, la sordità è incompleta pur manifestandosi nel campo uditivo di ambo i lati. Se la lesione non interessa la demolizione totale di uno o di ambedue i lobi temporali, la sordità corticale, che si manifesta in un primo periodo, si trasforma poi in sordità psichica, per la quale l'animale avverte i suoni e i rumori, ma non è in grado di riconoscerli; p. es., il cane non riconosce più la voce del padrone. Osservazioni patologiche nell'uomo hanno confermato che la sede dei centri uditivi è localizzata anche per l'uomo nella corteccia dei lobi temporali. Un particolare caso di sordità psichica nell'uomo è rappresentato dalla cosiddetta sordità verbale, prodotta dalla lesione della terza circonvoluzione temporale, per cui l'individuo, pure conservando la capacità di udire, non è più in grado di riconoscere il significato delle parole udite, sebbene possa ancora pronunziarle e sia capace di riconoscere il loro significato quando le vede scritte. I due casi di cecità verbale e di sordità verbale, riferendosi a processi del linguaggio, recano il nome collettivo di afasie sensoriali, in antitesi all'afasia motoria, che dipende dalla lesione del centro di Broca, e consiste nell'incapacità di compiere gli speciali movimenti articolatori della parola pronunziata, ossia del linguaggio fonetico.
Centri gustativi e olfattivi. - La sede di questi centri è meno nota, sia perché negli animali è più difficile stabilire le eventuali deficienze di detti sensi, sia perché sono con ogni probabilità situati nella corteccia di circonvoluzioni più difficili a essere aggredite sperimentalmente. I centri del gusto sembrano essere localizzati nella sostanza grigia della circonvoluzione del fornice; quelli olfattivi nella sostanza grigia della circonvoluzione dell'ippocampo e adiacenze.
Altre funzioni della corteccia cerebrale. - Con la topografia localizzatrice dei varî centri sensoriali non è esaurito lo studio delle funzioni corticali e degli emisferi. Da un lato esistono vaste zone della corteccia, specialmente umana, le quali restano da esplorare; dall'altro esistono varie funzioni, anzi forse le più importanti ed elevate, che dalle nozioni precedenti non sono considerate.
Delle vaste zone corticali che resterebbero senza funzione, sono specialmente due ampî territorî: la regione temporoparietooccipitale, ossia del lobo temporale le circonvoluzioni limitrofe al lobo parietale, di questo le circonvoluzioni posteriori, dell'occipitale le circonvoluzioni anteriori, ossia tutta quell'ampia zona della corteccia che costituisce la parte mediana posteriore del mantello, con le corrispondenti fibre nervose, le quali assumono la mielina in epoca molto più tarda delle restanti fibre, dimostrando di possedere una delle funzioni più elevate della corteccia cerebrale. L'altra vasta zona corticale che resta parimenti da considerare è la regione anteriore frontale, rappresentata dalle circonvoluzioni frontali nella loro porzione anteriore e superiore.
Fisiopatologia e patologia. - La fisiopatologia dei due grandi organi che, raggruppati, formano il sistema nervoso centrale, cioè l'encefalo e il midollo spinale, ha delle caratteristiche sue specialissime che la fanno distinguere nettamente dalla fisiopatologia degli altri organi. La principale fra tali caratteristiche è diretta conseguenza dell'altissimo grado di differenziazione raggiunto dal tessuto nervoso, sia dal punto di vista anatomico-strutturale sia da quello fisiologico. Tanto l'encefalo quanto il midollo hanno strutture diversissime a seconda delle varie regioni, le cui funzioni sono anch'esse molto differenti, indipendenti e talvolta contrastanti. Ne viene di conseguenza che la malattia, e perciò il cattivo funzionamento o addirittura la mancanza di funzionamento di una data regione, provoca sintomi completamente diversi da quelli causati dal difetto di funzionamento di una regione differente. Ciò premesso, chi si riporti alle nozioni precedentemente esposte di anatomia e di fisiologia del sistema nervoso centrale può rendersi agevolmente conto dell'enorme complessità della fisiopatologia di questo e può anche comprendere perché la neuropatologia sia oggi una disciplina relativamente giovane e perché molti problemi di essa rimangano ancora insoluti.
Bisogna ricordare che le affezioni neurologiche si estrinsecano con sintomi a carico della motilità, della sensibilità, dei sensi specifici, dell'innervazione degli organi della vita vegetativa (per questi ultimi, v. sotto: Sistema nervoso simpatico). Di fronte perciò a sintomi morbosi di moto e di senso, il ricercatore si deve porre molti quesiti: qual'è la causa? Su quale sistema (motorio, sensitivo, ecc.) questa causa agisce? L'azione morbosa si esercita su tutto il sistema, in modo diffuso, oppure in una data sezione? In questo caso quale sezione è lesa?
Cause delle malattie del sistema nervoso centrale. - L'eredità ha certamente una parte molto importante: essa si può manifestare sotto diverse forme: nella misura più completa è diretta e similare, cioè colpisce due o più generazioni successive, e la malattia trasmessa si manifesta con un quadro clinico invariato: le malattie di questa specie sono perciò famigliari, perché colpiscono nello stesso modo, per un dato numero di generazioni, la grande maggioranza degli appartenenti a un unico ceppo famigliare (malattie cerebello-midollari tipo Friedreich-Marie, alcune forme di corea cronica, alcune distrofie muscolari a substrato mielogeno, malattia di Werdnig Hoffmann; e a substrato mieloneurogeno, forme peroneali dell'atrofia muscolare progressiva, tipo Charcot-Marie; v. muscolari, distrofie). In altri casi, meno frequenti, l'eredità è similare ugualmente, poiché è ereditaria non la malattia, ma una speciale predisposizione morbosa che causa l'insorgenza della malattia stessa (p. es. l'emorragia cerebrale). Finalmente, e questa è di gran lunga la categoria più numerosa, l'eredità agisce solo come fattore predisponente alle malattie nervose: nei soggetti appartenenti a questa categoria, i diversi fattori causali delle malattie, soprattutto le infezioni e le intossicazioni, hanno una notevole tendenza ad agire sul sistema nervoso. Questo tipo di eredità è soprattutto ben apprezzabile nel grande gruppo delle nevrosi (isteria, neurastenia, psicastenia) e nell'epilessia. Aggravano poi l'azione dell'eredità nervosa alcune intossicazioni, prima fra tutte l'alcoolismo cronico, le cui conseguenze possono essere dannosissime per i discendenti, e infine alcune tossinfezioni croniche (sifilide, tubercolosi).
Le intossicazioni agiscono sul sistema nervoso sia come causa efficiente di malattie organiche, sia come causa predisponente ad altre neuropatie. Questo può avvenire tanto per le intossicazioni endogene (diabete, uricemia, uremia e qualunque insufficienza funzionale del fegato, del rene, delle ghiandole endocrine, ecc.), sia per quelle esogene (mercurio, ossido di carbonio, ecc.).
I traumatismi agiscono anch'essi sia come causa adiuvante per lo sviluppo di una neuropatia, sia come causa direttamente efficiente. Le infezioni hanno nel sistema nervoso centrale un territorio d'azione molto vasto. Si tratta d'infezioni che agiscono anche sugli altri organi (lue, tubercolosi, setticemia), oppure elettivamente soltanto sul sistema nervoso (poliomielite anteriore acuta). Le conseguenze sono perciò: encefaliti, mieliti, meningiti. Ogni agente infettivo noto o ignoto, si può fissare sul sistema nervoso centrale e dare luogo a queste forme morbose.
Come agiscono queste, che sono le principali cause delle malattie del sistema nervoso centrale, e le altre che per brevità qui non si sono nominate? Il meccanismo d'azione può schematicamente assumere due aspetti: azione estrinseca e azione intrinseca. Il tipo dell'affezione estrinseca è la compressione: i tumori, le iperplasie meningee, le malformazioni delle ossa del cranio e della colonna vertebrale comprimono il tessuto nervoso causando difetti o mancanza assoluta della normale funzionalità di questo. La lesione intrinseca degli elementi nervosi può essere causata da difetti d'irrorazione sanguigna (se un'arteria si trombizza, il territorio irrorato dai suoi rami viene privato della dotazione di sangue, s' ischemizza e non funziona; se vi è un'emorragia, la massa di sangue che improvvisamente si forma distrugge le formazioni circostanti); o da lesioni dirette degli elementi nervosi: fibre, cellule, nevroglia. La distruzione di una cellula porta per conseguenza la degenerazione e perciò la perdita di funzione delle fibre che ne derivano. Anche la nevroglia può ammalare e causare così la produzione di quadri clinici particolari. Riassumendo, le cause che abbiamo elencate agiscono sia come fattore adiuvante e predisponente, sia come fattore efficiente producendo lesioni e acute e croniche, in queste o quelle regioni del sistema nervoso centrale.
Si vede perciò che, se a causa della sua differenziazione strutturale e funzionale, il sistema nervoso leso può dare, come vedremo, sintomi clinici diversissimi, il meccanismo patogenetico per cui esso sistema può ammalare non esce, nel suo complesso, dal grande quadro della patologia generale.
Ogni regione dell'encefalo e del midollo ha, come s'è detto, una sua speciale fisiologia: quando questa regione sia ammalata, i segni clinici corrispondenti consisteranno perciò in sintomi, parziali o totali, di deficit del funzionamento della regione stessa. La diagnosi delle malattie nervose deve perciò considerare due aspetti: l'aspetto anatomico, per stabilire dove esiste il processo morboso; l'aspetto patologico, per cercare di stabilire di questo processo la natura. La risposta al primo punto è stabilita dallo studio della distribuzone e dei raggruppamenti dei varî sintomi in rapporto a determinati territorî nervosi; per il secondo è necessario basarsi sull'osservazione del modo con cui la sintomatologia si presenta e si evolve, dei sintomi secondarî che l'accompagnano. Questa divisione, se appare semplice a prima vista, pecca però di schematismo eccessivo. Intanto, di fronte a lesioni circoscritte di determinate zone dell'encefalo o del midollo esistono malattie diffuse di questi organi, nelle quali l'insieme dei segni morbosi non è raggruppato in un solo gruppo di sintomi focali: la sintomatologia di queste malattie è, come vedremo, più complessa a studiare. Esistono poi malattie nervose di cui non si conosce ancora con certezza il substrato anatomico. Soccorre qui l'ormai antica divisione fra malattie nervose organiche (a base anatomica nota) e malattie nervose funzionali. Questa seconda definizione, seppure comodissima e correntemente usata, non è però corretta: essa non è altro, in fondo, che la confessione dell'attuale insufficienza delle nostre conoscenze intorno a un certo gruppo di malattie (neurastenia, psicastenia, isteria, emicrania). Ciò è tanto vero che, p. es., negli ultimi anni gli studî di numerosi ricercatori tendono a dare una base organica a quella che fino a poco tempo fa era considerata come il prototipo delle malattie funzionali, cioè l'isteria. A ogni modo si comprende da quanto precede come forse in nessuna branca della medicina sia necessario, come nella neurologia, pensare anatomicamente e fisiologicamente; e ciò è provato dal fatto che l'anatomia clinica è la base indispensabile per l'esatta conoscenza delle malattie nervose in generale, delle malattie dell'encefalo e del midollo in particolare.
Fisiopatologia dell'encefalo. - La conoscenza delle localizzazioni cerebrali è, come s'è detto, d'importanza fondamentale, perché ci fornisce nozioni esatte sull'ubicazione e sulle funzioni dei centri nervosi e dei fasci di fibre che ne provengono. Le odierne nozioni tenderebbero però a metterci in guardia contro un eccessivo e troppo comodo schematismo, secondo il quale ogni regione cerebrale andrebbe considerata come una casella ben delimitata, a funzione unica. Basterà qui ricordare le vedute in proposito di due grandi neurologi, C. v. Monakow e H. Head. Secondo il primo è necessario distinguere: le localizzazioni anatomiche; le localizzazioni dei sintomi e delle sindromi patologiche; le localizzazioni delle funzioni fisiologiche. Le prime sono quelle basate sulla conoscenza del tragitto delle fibre nervose e della struttura citoarchitettonica dei diversi strati della corteccia cerebrale. Le seconde sono quelle fondate sull'apprezzamento dei segni dipendenti dai processi patologici a focolaio dell'encefalo (sintomi d'irritazione o di deficit). Le ultime vanno distinte dalle prime, con le quali per troppo tempo sono state confuse: gli elementi di tutto un emisfero contribuiscono all'estrinsecarsi delle singole funzioni, le quali sono localizzate nel tempo (e non nello spazio), nel senso che, in caso di lesioni cerebrali, le funzioni più evolute e più differenziate sono quelle che scompaiono per prime e si ripristinano per ultime (teoria della localizzazione cronogena della funzione). Oltre a ciò, in ogni sindrome consecutiva a una lesione (generalmente acuta) di una zona cerebrale, bisogna distinguere i sintomi morbosi definitivi che sono conseguenza diretta di una data lesione in una data zona, dai sintomi provvisori, che sono dovuti all'interruzione delle vie di comunicazione fra il centro leso e gli altri centri cerebrali, nei quali provvisoriamente si viene a manifestare un'elevazione della soglia di eccitabilità (teoria della diaschisi). La nozione di eccitabilità delle cellule nervose s'identifica con quella molto suggestiva, introdotta in neurobiologia da H. Head, di vigilanza, termine col quale il neurologo inglese denomina il grado di integrazione e di adattamento finalista che ciascuna parte del sistema nervoso centrale presenta in ogni momento. Tali teorie sono tuttora in discussione: qui sono state ricordate per dimostrare che il problema delle localizzazioni cerebrali è probabilmente meno semplice di quello che potrebbe apparire dalla seguente trattazione, che per necessità di chiarezza sarà schematica e scevra da discussioni, riportandosi in essa i dati che la clinica fa considerare come più sicuri. Si può ritenere a ogni modo come certo che attualmente non è possibile dimostrare, nella corteccia cerebrale, una differenziazione funzionale corrispondente all'imponente differenziazione strutturale; che le localizzazioni concernono soprattutto le funzioni e sono tanto meno precise e delimitate quanto più le funzioni sono complesse; che invece quelle che comportano la necessità d'impiego d'organi definiti, sono le più delimitate (funzioni di senso e di moto); che oggi appare azzardato parlare di localizzazioni psichiche.
Sindromi corticali a focolaio. - Le localizzazioni motorie sono essenzialmente disposte nel modo che segue: arti inferiori nel segmento superiore del giro centrale anteriore e nella parte anteriore del lobulo pararolandico; arti superiori: segmento medio del giro centrale anteriore; faccia, lingua, faringe, laringe, mandibola: segmento inferiore del giro stesso. In una lesione corticale a focolaio (rammollimento da trombosi, neoplasmi, placche di meningite) si osserveranno perciò, dal lato opposto alla lesione (tenere presente la decussazione delle vie motorie nel midollo allungato), generalmente delle monoplegie brachiali o crurali. La monoplegia facciale pura è rara, e lo è anche l'emiplegia (v.) corticale, perché la lesione deve essere in questo caso di grande estensione. Caratteristica delle lesioni corticali è appunto l'esistenza di sintomi dissociati, cioè limitati a un solo arto o alla faccia. Se la zona interessata non è distrutta, ma irritata, si hanno fenomeni di spasmo o di contrattura; se l'irritazione è intensa, si assiste alla crisi di epilessia parziale o iacksoniana. Nella parte posteriore del I e II giro frontale si trova il centro per i movimenti coniugati degli occhi e del capo. La localizzazione sensitiva ha limiti assai meno netti di quella motoria: essa interessa una larga zona, in cui entrano sicuramente il giro parietale ascendente e i due giri parietali trasversi, almeno nella loro parte anteriore: nelle lesioni di questa zona si osservano perciò diminuzione delle varie forme di sensibilità, sia superficiale (tattile, termica, dolorifica) sia, e più frequentemente, profonda (bariestesica, batiestesica, stereognostica). In casi d'irritazione della zona sensitiva si possono avere dolori talvolta associati a deficit della sensibilità (anestesia dolorosa).
La zona corticale, comprendente la parte posteriore (opercolo e triangolo) del III giro frontale, dell'insula anteriore e in alcuni individui del piede del giro frontale ascendente è quella la cui lesione a sinistra provoca l'insorgenza di afasia motoria. La lesione dell'area di Wernicke (parte posteriore dei giri I e II temporali sino al giro sopramarginale di sinistra) provoca invece l'afasia sensoriale. Nella corteccia del lobo occipitale, e più esattamente nelle labbra e nel fondo della scissura calcarina, esiste la zona visiva: la distruzione di questa provoca cecità nelle metà omolaterali delle due retine. Le altre localizzazioni (tranne forse quella dell'olfatto nella formazione dell'ippocampo) sono poco certe, e perciò molto discusse. Soprattutto dibattuta è la questione della funzione della zona prefrontale, che alcuni autori vorrebbero di grandissima importanza per le attività intellettive, mentre altri negano recisamente queste vedute. Pare assodato che tra le funzioni, oggi mal definibili, della zona prefrontale, ci sia quella, ammessa dai più, di essere regolatrice dell'equilibrio somatico: si è visto infatti come lesioni di tale zona provochino un tipo particolare di atassia detta appunto atassia frontale.
Le sindromi sottocorticali motorie si differenziano da quelle corticali per il fatto che - poiché le fibre nervose sono nella corona rag. giata del centro ovale disposte a ventaglio fra la corteccia stessa, con zone d'espansione relativamente estese e la capsula interna, molto più limitata invece come estensione - più la sede della lesione è lontana dal campo dalle zone corticali, maggiore è il numero delle fibre interessate. Per conseguenza le monoplegie sono rare e sono molto più frequenti le emiplegie. Anche per i disturbi sensitivi avviene lo stesso fatto, per le stesse ragioni. Oltre a questi sintomi, raggruppati in tale modo, si possono osservare nelle lesioni del centro ovale segni d'incoordinazione motoria e di aprassia dovuti a interruzione dei fasci di fibre che riuniscono le diverse regioni corticali fra loro. Se la lesione è abbastanza vicina alla corteccia, si possono avere anche qui, sebbene non di frequente, fenomeni convulsivi a tipo iacksoniano. L'emiplegia tipica è provocata dalle lesioni situate nella capsula interna (ginocchio e due terzi anteriori del segmento posteriore). Se è leso anche il terzo posteriore, si rilevano inoltre disturbi sensitivi. L'emiplegia capsulare interessa anche il territorio del facciale inferiore (bocca); provoca ipertono negli arti lesi, aumento dei riflessi tendinei, presenza di particolari segni (riflessi di Babinski e di Oppenheim, clono del piede e della rotula) che rivelano la lesione organica della via motoria. Questi sintomi sono del resto frequenti nelle lesioni di tutto il primo tratto delle vie piramidali e motorie (dalla corteccia cerebrale fino alle corna anteriori del midollo spinale escluse); si ricordano qui, perché l'emiplegia capsulare è la forma più tipica e abituale.
Un'altra sindrome di localizzazione sottocorticale che riveste particolare importanza è la sindrome talamica, i cui sintomi principali sono: disturbi controlaterali della sensibilità superficiale e soprattutto profonda, atassia lieve, dolori spontanei violentissimi, semiparesi lieve, generalmente senza i segni caratteristici, sopra ricordati, dell'emiplegia vera, e movimenti a carattere coreo-atetosico. La fisiologia del talamo ottico non è nell'uomo ben conosciuta e l'interpretazione del gruppo di sintomi suddetti non è perciò, almeno per ora, molto chiara: parrebbe, per esempio, che i movimenti coreo-atetosici (che non sono costanti) siano dovuti a un'eventuale estensione della lesione verso il corpo striato (vedi sotto). La nozione più certa è quella che fa considerare il talamo ottico come una stazione d'arrivo delle vie destinate alla sensibilità termica e dolorifica e di passaggio per quelle destinate alle sensibilità profonde. Si attribuisce anche al talamo, sebbene non unanimemente, una notevole importanza per le funzioni mimicoemotiva, trofica e vasomotoria. Quanto ai disturbi visivi, essi non sono affatto frequenti nelle lesioni del talamo ottico, malgrado il nome di questo, ma sono dovuti a lesione contemporanea del corpo genicolato laterale.
In stretti rapporti di vicinanza e di connessione col talamo è un'altra importantissima formazione sottocorticale: il corpo striato. Per ora non consideriamo, delle sindromi legate a lesioni di quest'organo estremamente complesso, che quella dipendente da una lesione acuta (rammollimenti da trombosi di una delle arterie lenticolostriate) e relativamente delimitata. Si tratta della sindrome putaminale acuta descritta da G. Mingazzini: emiparesi ed emi-ipoestesia lievi, talvolta con amiotrofie, disartrie, movimenti atetosico-coreiformi. Le connessioni fra l'uno e l'altro emisfero cerebrale sono assicurate dal corpo calloso; il sintomo principale delle lesioni a focolaio di questa formazione è dato dai segni di una doppia emiparesi, più o meno grave a seconda dell'estensione della lesione. Si osservano anche frequentemente sintomi demenziali con particolari caratteristiche, e fenomeni di aprassia, sintomo questo non costante, ma importante.
Il mesencefalo ha funzioni diverse secondo le parti in cui si divide e la sintomatologia delle sue lesioni a focolaio è perciò varia. Una lesione della sua parte superiore, e dell'eminenza quadrigemina in specie, provoca sintomi di deficit funzionale relativi all'importanza di queste formazioni, per la vista (tubercoli anteriori: diminuzione della potenza visiva sino alla cecità, deformazioni pupillari, disturbi dei movimenti associati dei globi oculari: ricordiamo la sindrome di Parinaud: paralisi dei movimenti associati di elevazione dei globi oculari), e per l'udito (tubercoli posteriori: sordità). Una lesione della sua parte inferiore, cioè dei peduncoli cerebrali, provoca o la sindrome di Weber o la sindrome di Benedikt, per lesione situata dorsalmente a quella che provoca la sindrome di Weber, e interessante le fibre del III paio di nervi cranici (oculomotore comune) le vie sensiti e, le vie cerebello-mesencefaliche. Nel lato della lesione si avrà paralisi dell'oculomotore comune, nel lato opposto emianestesia del viso e degli arti, disturbi cerebellari con tremore spiccato.
Sono queste le sindromi più importanti di localizzazione a focolaio delle formazioni corticali, sottocorticali e mesencefaliche. Le completeremo fra poco. Ora vediamo quali sono i dati più salienti sulla fisiopatologia delle formazioni che mettono in rapporto la corteccia cerebrale e la zona sottocorticale col resto del sistema nervoso. Le vie motorie e sensitive si raggruppano nel cosiddetto tronco dell'encefalo costituito dai peduncoli cerebrali, dal ponte di Varolio e dal midollo allungato. Molto schematicamente, in questo sistema di formazioni, le vie motorie occupano il piano ventrale (piede), le vie sensitive il piano dorsale (tegmento). Come immersi nella trama di questi due grandi sistemi di comunicazione, troviamo i nuclei dei nervi cranici, tranne quelli delle due prime paia (olfattivo e ottico). Si comprende subito perciò come una lesione circoscritta che leda in un punto qualunque le vie motorie le vie sensitive, ben difficilmente potrà risparmiare i nuclei dei nervi cranici o le fibre che ne provengono: per conseguenza, caratteristica delle lesioni del tronco dell'encefalo è l'accomunarsi, ai sintomi dipendenti dall'offesa delle vie motorie o sensitive, dei segni caratteristici di lesione di questo o quel nervo cranico.
E poiché, come più volte s'è ripetuto, sia le vie motorie sia le sensitive s'incrociano, osservandosi così, quando esse siano lese, sintomi morbosi nel lato opposto a quello della lesione, si avrà il tipo caratteristico di sindrome morbosa da lesione circoscritta del tronco dell'encefalo, cioè la sindrome alterna. Si tenga inoltre presente che ponte e bulbo sono strettamente collegati col cervelletto. La Sindrome peduncolare anteriore (o di Weber) comporta una paralisi del nervo oculomotore comune nel lato della lesione, e una emiplegia completa nel lato opposto. La sindrome pontina motrice (tipo Millard-Gubler), per lesione delle vie motorie e delle fibre del facciale, è costituita da emiplegia controlaterale e paralisi del facciale omolaterale. Se il focolaio morboso interessa anche il nucleo del nervo abducente (VI paio), che da molti autori è considerato anche come destinato ai movimenti di lateralità associati dei bulbi oculari, si avrà anche paralisi dello sguardo verso il lato della lesione (sindrome di Foville). La sindrome pontina sensitiva è dovuta a lesione delle vie sensitive e delle fibre del nervo trigemino: si ha anestesia nella metà omolaterale del viso e controlaterale del tronco e degli arti. Quest'ultima talvolta è dissociata, potendo esser lese o le vie per la sensibilità tattile e profonda (parte mediale del fascio sensitivo) o quelle per la sensibilità termica e dolorifica (parte laterale). Frequentemente questa lesione interessa anche i prossimi nuclei dei nervi abducente e facciale, provocando così l'insorgenza dei disturbi relativi e già descritti. Un'altra, molto più complessa, è la sindrome pontina di Raymond e Cestan: essa si verifica quando la lesione è situata nella parte superiore del tegmento pontino, fra i nuclei dei nervi oculomotore comune (III) e oculomotore esterno o abducente (VI): si ha una paresi (non paralisi) controlaterale, essendo la via motoria poco interessata, un'emianestesia controlaterale per lesione grave delle vie sensitive, fenomeni cerebellari negli arti paretici per lesioni delle vie che uniscono il cervelletto al tronco dell'encefalo, paralisi dello sguardo per lesione inevitabile del VI paio. Come si vede, le emorragie e i rammollimenti del ponte, che sono le uniche lesioni ben delimitate di questa regione, possono provocare l'insorgenza delle sindromi più complesse, essendo possibile un gran numero di combinazioni fra vie motorie, vie sensitive, vie cerebellari, nuclei dei nervi cranici. Se la lesione è situata nel pavimento del IV ventricolo, ai confini cioè fra ponte e midollo allungato, possono essere interessate anche le fibre del nervo acustico (VIII), verificandosi così, dal punto di vista clinico, disturbi sia dell'audizione (nervo cocleare) sia dell'equilibrio (nervo vestibolare), nel lato omologo alla lesione. Ancora più complicato, per la piccolezza della regione e per la quantità di formazioni differenziate che questa contiene, è il quadro clinico provocato da lesioni circoscritte del midollo allungato. Anche qui la via motoria è situata nel piede e qui comincia a incrociarsi con quella del lato opposto. Nel tegmento, con la stessa disposizione ricordata per il ponte, passano le vie sensitive e si trovano i nuclei delle ultime paia di nervi cranici (IX glossofaringeo, X vago, XI spinale, XII poglosso).
Oltre a ciò sono situati nel midollo allungato in posizioni ancora non ben conosciute, i centri: respiratorio; di irresto del cuore; per i novimenti della laringe, per i movimenti di deglutizione, oltre a centri vaso-motorî e secretorî. La sindrome bulbare anteriore comporta: una lesione delle vie motorie e sensitive e delle fibre dell'ipoglosso, emiplegia ed emianestesia controlaterali, paralisi della metà omolaterale della lingua. Quando la lesione ha sede nella parte tegmentale si ha generalmente un'emianestesia controlaterale, associata, a seconda delle fibre dei nervi cranici interessati, a paralisi omolaterale del velopendolo e della corda vocale (IX paio, sindrome di Avellis); a paralisi del velopendolo, della corda vocale, dei muscoli sternocleidomastoideo e trapezio (IX e X paio: sindrome di Schmidt); paralisi omolaterale del velopendolo, della corda vocale, dei muscoli sternocleidomastoideo e trapezio e della lingua (IX, X, XII paio: sindrome di Jackson); paralisi omolaterale del velopendolo, della corda vocale e della lingua (IX e XII paio: sindrome di Tapia). La lesione delle vie motorie e sensitive associata a quella dei peduncoli cerebellari inferiori provoca l'insorgenza della sindrome di Babinski-Nageotte: emianestesia ed emiplegia nel lato opposto alla lesione, sintomi cerebellari nel lato della lesione figg. 12-15; 20).
La funzione fondamentale del cervelletto è quella del mantenimento automatico dell'equilibrio, del regolamento del tono e della esatta coordinazione dei movimenti. Nell'uomo questi dati ci sono forniti dall'osservazione di lesioni circoscritte del cervelletto, o da interessamento delle vie con le quali quest'organo è collegato col resto del nevrasse (peduncoli cerebellari).
L'elencazione dei principali sintomi di lesione cerebellare darà, meglio di ogni altro mezzo illustrativo, un'idea delle funzioni molto complesse, e non tutte ben note, di questa importantissima formazione. Atassia: impossibilità di mantenere il tronco in equilibrio, andatura da ebro, ipermetrie e dismetrie dipendenti da errata valutazione dello sforzo muscolare occorrente a compiere un dato movimento; braditeleocinesi (rallentamento o arresto precoci nel compiere un dato movimento); adiadococinesi (impossibilità di compiere rapidamente e correttamente una serie di atti antagonistici); asinergia (scomposizione e mancanza di armonia nell'esecuzione di movimenti che richiedono il gioco di più gruppi muscolari). Atonia (flaccidità dei muscoli e diminuzione di resistenza ai movimenti passivi senza alterazione dei riflessi tendinei). Astenia lieve. Di questi tre sintomi solo il primo è sempre costante o meglio apprezzabile, perché gli altri due possono essere compensati dall'azione di centri cerebrali, con i quali, come s'è detto, il cervelletto è strettamente collegato. Se la lesione è localizzata nel verme, la sintomatologia s'esplica soprattutto con gravi disturbi dell'equilibrio. Se invece è leso uno degli emisferi si osservano fenomeni atonici, astenici ma soprattutto atassici nella metà del corpo omolaterale alla lesione.
Questa rapida scorsa per tutte le zone dell'encefalo ha potuto dare un'idea delle funzioni delle varie regioni considerate e dei sintomi che insorgono quando queste siano lese. Ciò è stato possibile considerando la sintomatologia causata da lesioni vasali (emorragie o rammollimenti) o meningitiche, tutte cioè più o meno circoscritte. I quadri sintomatici cambiano alquanto e lo schematismo delle localizzazioni si rivela talvolta fallace o insufficiente, quando si consideri il quadro clinico causato dai tumori cerebrali, affezione estremamente importante dal punto di vista diagnostico e terapeutico, e non infrequente. Le linee fondamentali della fisiopatologia delle varie regioni si ritrovano, come si vedrà or ora, anche nell'esposizione rapidissima che faremo di questo argomento: ma il quadro sintomatologico viene complicato da varî fattori, di cui basterà ricordare i due principali: la mancanza di delimitazione netta della lesione, specialmente nei casi di neoplasmi infiltrativi (gliomi) i quali per questo fatto possono, pur essendo estesi, dare sintomi a focolaio non proporzionati alla loro estensione; e l'aggiungersi della sintomatologia causata dalla presenza stessa del tumore nell'encefalo, cioè della sintomatologia generale o sindrome d'ipertensione endocranica che può più o meno velare i sintomi a focolaio.
Vediamo quali sono i punti più importanti della sindrome d'ipertensione la cui intensità varia secondo la regione in cui il tumore è situato, secondo la natura stessa di questo, secondo il tipo di reazione degli organi vicini. La cefalea è forse il segno clinico più frequente, benché possa variare per ritmo, intensità, sede e caratteristiche: nell'acme è spesso accompagnata da vomito, che si presenta per lo più a digiuno, nelle prime ore della giornata (vomito cerebrale). Importante è il dolore alla percussiore cranica quando si percuote la regione alla quale, in profondità, corrisponde la sede del tumore. Altri sintomi d'ipertensione intracranica sono le vertigini, le crisi epilettiformi, apoplettiformi e sincopali, il torpore psichico, le alterazioni del polso e del respiro, generalmente nel senso di una diminuzione di numero per ogni minuto primo (polso e respiro da compressione). Finalmente si ha, all'esame del fondo dell'occhio, il reperto di una stasi papillare, dalla semplice iperemia delle papille alla papilla da stasi conclamata, e all'atrofia bianca post-papillatica. A tutti questi sintomi, che sono l'espressione di un'aumentata pressione endocranica (come confermano i dati manometrici ottenuti con la puntura lombare) e ai quali va aggiunto l'insieme delle alterazioni nella composizione del liquido cerebro-spinale (iperalbuminosi, iperglobulinosi, positività modica delle reazioni colloidali in contrasto con un reperto citologico per lo più normale), si associano, nel quadro clinico di un tumore cerebrale, i sintomi a focolaio dovuti all'interessamento di questa o quella regione. È da notare che la caratteristica di questi sintomi è per lo più la loro costante, più o meno veloce, progressività, per cui a un segno morboso se ne aggiunge un altro e così via (andamento a macchia d'olio), oppure un gruppo di sintomi, prima leggieri, aumenta gradatamente la propria importanza.
I principali sintomi a focolaio dei tumori delle varie regioni dell'encefalo sono i seguenti: tumori del lobo frontale: disturbi della vista (neurite retrobulbare con scotoma centrale), disturbi psichici, insufficienza dell'odorato ed esoftalmo omolaterali, disturbi del linguaggio a tipo afasico motorio, sintomi atassici, fenomeni irritativi o paretici a carico delle vie piramidali nei casi in cui il tumore, crescendo posteriormente, comprima queste vie. Tumori della zona rolandica: fenomeni irritativi motorî a carattere jacksoniano a cui gradatamente si aggiungono fenomeni paretici se il neoplasma è sorto in corrispondenza del giro frontale ascendente; fenomeni sensitivi, se è interessato il giro parietale ascendente. Tutti questi sintomi mantengono, sino a che il tumore non ha raggiunto grande estensione, il carattere dissociato proprio delle lesioni corticali. I tumori del lobo parietale provocano negli arti o in un arto del lato opposto l'insorgenza di sintomi a carico della sensibilità, soprattutto profonda (stereognosi, batiestesia) e di segni di atassia. Possono provocare anche emianopsia laterale omonima per compressione sulle vie ottiche e disturbi della funzione lexica per interessamento d'importanti vie commissurali. Una sintomatologia ricchissima presentano i tumori del lobo temporale: paresi omolaterale dell'oculomotore comune, emiparesi controlaterale, disturbi dell'equilibrio a carattere cerebellare; oltre a ciò: sintomi a carico del gusto e dell'olfatto (lesione dell'ippocampo), talvolta emianopsia laterale omonima per compressione sulle vie ottiche; se il tumore è situato nel lobo temporale sinistro, afasia sensoriale; se è interessato da questo lato anche il g. angolare, disturbi della lettura e della scrittura. I tumori del lobo occipitale sono rari e sono per lo più provenienti dai lobi temporale o parietale: si ha allora, naturalmente, una sommazione di sintomi: il segno morboso più importante è l'emianopsia laterale omonima, per lesione dei centri della visione o delle vie ottiche che a questi centri arrivano. I tumori del corpo striato e del talamo sono di difficile diagnosi, perché il quadro clinico è troppo invaso dai sintomi dipendenti da lesioni degli organi prossimiori. I tumori del corpo calloso provocano l'insorgenza di disturbi paretici, spesso bilaterali, di disturbi psichici svariati, talvolta di aprassia motoria e di atassia. I tumori del terzo ventricolo oltre alla sonnolenza e alla poliuria, per compressione dell'infundibulum, presentano una sintomatologia svariatissima, data la grande quantità di formazioni nervose che costituiscono le pareti del ventricolo stesso o le loro immediate vicinanze. Lo stesso può dirsi per i tumori dei ventricoli laterali. I tumori dell'epifisi provocano l'insorgenza d'ipopinealismo (macrogenitosomia precoce) o di apinealismo (cachessia). Inoltre si osservano spesso segni dipendenti dall'interessamento della sottostante lamina quadrigemina del mesencefalo. I tumori dell'ipofisi provocano il manifestarsi di prticolari sindromi endocrine (gigantismo, acromegalia, infantilismo) e di alterazione a carico delle vie ottiche. I tumori del mesencefalo, se situati nel tegmento, danno luogo a disturbi a carico della motilità dei globi oculari, specie dei movimenti associati, a sintomi cerebellari e a disturbi uditivi (quadrigemine posteriori); se situati nel peduncolo cerebrale, provocano o la sindrome di Benedikt o quella di Weber già ricordate. I tumori del ponte si manifestano con una delle sindromi alterne già elencate, o con una combinazione più o meno variata di tali sindromi o con fenomeni paretici o sensitivi bilaterali. Lo stesso si dica per i tumori del midollo allungato, in cui i sintomi bilaterali sono anzi più frequenti. I tumori del IV ventricolo dànno luogo a imponenti sindromi d'ipertensione, a cui si associano segni morbosi cerebellari o bulbari. I tumori del cervelletto provocano l'insorgenza di fenomeni atassici, astenici e ipotonici dal lato del tumore, unitamente a segni di lesione omolaterale di uno o più nervi del ponte o del bulbo, a vertigine, a disartria; se il tumore è nel verme, i sintomi sono bilaterali e si presentano imponenti i disturbi dell'equilibrio. I tumori dell'angolo ponto-cerebellare dànno segni a carico dei nervi acustico, facciale e trigemino, oltre a fenomeni paretici controlaterali e cerebellari omolaterali. La diagnosi dei tumori cerebrali è facilitata dall'indagine radiografica, eseguita sia direttamente, per studiare le eventuali deformazioni dell'osso secondarie al tumore, sia adoperando speciali tecniche (ventricolografia, encefalografia, arteriografia), che sono particolarmente indicate per poter fare diagnosi, sia di natura sia di sede. I neoplasmi cerebrali che si hanno più di frequente sono i gliomi, i sarcomi, i tubercolomi.
Sistema extrapiramidale. - Si compone del corpo striato (n. caudale e n. lenticolare, composto a sua volta del putamen e del globus pallidus) e delle formazioni mesencefalo-ipotalamiche: corpo del Luys, sostanza nera del Sömmering e nucleo rosso. Questo insieme possiede numerosi sistemi di collegamento anche se non pochi di questi non siano ancora individuati anatomicamente e perciò la sola esperienza clinica ne faccia ammettere l'esistenza: le varie formazioni suddette sono collegate fra loro, e poi col cervelletto, con la corteccia cerebrale, col talamo, con le vie sensitive, coi nuclei vestibolari, col midollo spinale, ecc. Le funzioni del sistema extrapiramidale, estremamente complesse, non sono ancora tutte ben note: si può dire a ogni modo che esse si esplicano, in grande maggioranza, nel campo della motilità. Il tono muscolare, la disciplina dei movimenti automatici e associati, la regolazione mediante particolari azioni inibitrici dell'armonia dei movimenti, il potere di mantenere i varî segmenti del corpo nella posizione che attivamente essi hanno assunto; la mimica; la speditezza del linguaggio, sono questi i campi in cui il sistema extrapiramidale esercita la sua azione. Questi sono i dati più certi. Si sogliono poi anche attribuire a questo sistema funzioni vasomotorie, trofiche, vegetative e perfino psichiche. A questo proposito ricordiamo che, come già abbiamo accennato, la presenza in alcune nevrosi di sintomi a carattere extrapiramidale, ha indotto alcuni autori a mettere in causa, per la genesi dell'isteria, appunto il sistema in questione. Da quanto s'è detto sulle funzioni di questo, si comprende come i principali segni di lesione di esso siano: disturbi della mimica, variazione del portamento e dell'andatura, dei movimenti automatici e associati; la presenza di bradicinesie, d' ipercinesie (movimenti coreici e atetosici, tic, spasmi, crampi); alterazione del tono muscolare; variazioni delle caratteristiche del riso, del pianto, della loquela; alterazioni dell'eccitabilità muscolare. Non si sa a quale regione lesa del sistema extrapiramidale corrisponda la presenza di uno o dell'altro di questi sintomi. Si può solo molto schematicamente raggruppare la sintomatologia in due tipi di sindromi, tenendo presente che si tratta di prevalenza e non di esclusività di segni morbosi: sindromi acinetico-ipertoniche e sindromi ipercinetico-distoniche (fig. 16).
Nel primo gruppo si ha prevalenza di lesioni nel globus pallidus (paleostriatum), nel secondo questa prevalenza si osserva invece nel putamen e nel caudato (neostriatum). I sintomi principali del primo gruppo sono l'ipertonia e la rigidità muscolare, la perdita dei movimenti automatici e associati, la presenza di fini tremori che si esagerano con le emozioni e si attenuano durante i movimenti volontarî, l'impossibilità di compiere movimenti fini con le dita, particolari caratteristiche dell'andatura e dell'atteggiamento del corpo: tipo di questo gruppo è la sindrome parkinsoniana, sia che dipenda da un autentico morbo di Parkinson (v.), sia che si tratti di una delle frequentissime forme di tipo parkinsonoide dell'encefalite epidemica cronica. I principali segni del secondo gruppo sono: presenza di movimenti involontarî, negli arti, nel tronco e nel viso, e di variazioni del tono muscolare con prevalenza dell'ipotonia. Tipo di queste sindromi è la corea minore di Sydenham. Si tratta, ripetiamo, di prevalenza di lesioni: infatti nella corea minore, p. es., se il neostriato appare l'organo più leso (si tratta qui di lesioni a tipo infiammatorio), tutto il nevrasse, specie la corteccia, presenta, sia pure in grado minore, delle alterazioni. Del resto anche i sintomi dei due gruppi possono, come vedremo, ritrovarsi nella stessa malattia.
Le altre più note affezioni morbose del sistema extrapiramidale o, per meglio dire, a sintomatologia e anatomia patologica prevalentemente extrapiramidali sono: la corea cronica di Huntington, ereditaria, ad andamento lentamente progressivo, con movimenti coreici e gravi alterazioni psichiche: malattia che rappresenta una degenerazione (non infiammazione) cortico-striata. Le emicoree sintomatiche di lesioni vasali (specie arteriosclerotiche) del neostriato. L'emiballismo, con movimenti più ampî e più violenti della corea; si osserva quando sia leso il corpo subtalamico di Luys. Le atetosi (v.) sintomatiche di focolai encefalitici prenatali o della prima infanzia (paralisi infantile). L'atetosi doppia, malattia congenita, caratterizzata da disturbi psichici, rigidità muscolari movimenti atetosici. L'atetosi doppia da stato marmorizzato, malattia congenita e migliorantesi con l'andar degli anni, che ha per base anatomica un particolare aspetto (donde il nome) del corpo striato. Le varie forme di mioclonia, sia sintomatiche sia essenziali. I tic, considerati fino a poco tempo fa manifestazioni puramente funzionali. Le varie forme di spasmo fra cui quelle che sono esito di encefalite epidemica, lo spasmo di torsione, causato da alternativo presentarsi, nel tronco e negli arti, di iper- o di ipotono. Le crisi oculogire degli encefalitici cronici. La malattia di Nilson che ora la maggioranza degli autori identifica con la pseudosclerosi di Westphal-Striimpell; sintomo principale: rigidità intensissima; talvolta tremori; movimenti coreo-atetosici, ipomimia, disturbi della loquela, sintomi neurovegetativi, segni di alterata funzionalità epatica. Anatomicamente si ha degenerazione enormemente prevalente nel corpo striato e cirrosi multilobulare del fegato. Insorge in età giovanile ed è ereditaria.
Le principali malattie degli emisferi cerebrali sono: disturbi della circolazione: anemia e iperemia, emorragie, encefalomalacie da trombosi (fra queste, importante è la paralisi pseudobulbare, dovuta a rammollimenti bilaterali nel percorso delle vie motorie, al disopra dei nuclei dei nervi cranici); processi infiammatorî: encefaliti, sia non purulente (esempio tipico di malattia diffusa) sia purulente, cioè ascessi cerebrali; il gruppo delle paralisi cerebrali infantili; le cerebropatie luetiche: cioè la sifilide cerebrale (arteriti e meningiti) e la paralisi progressiva (meningoencefalite), l'idrocefalo cronico primitivo, i tumori. Le malattie del corpo calloso sono: i disturbi circolatorî, i tumori, la degenerazione riscontrata da E. Marchiafava e A. Bignami nelle fibre di quest'organo, nel cervello degli alcoolizzati. Le malattie del mesencefalo sono: i disturbi circolatorî, i tumori, la polioencefalite acuta emorragica superiore di Wernicke, l'oftalmoplegia nucleare cronica progressiva. Malattie del cervelletto: sindromi circolatorie, ascessi, tumori, disontogenie e atrofie. Malattie del ponte sono: ascessi, tumori, disturbi circolatorî. Malattie del midollo allungato: paralisi bulbare acuta, paralisi bulbare cronica o paralisi labio-glosso-laringea; la paralisi bulbare infantogiovanile; la paralisi bulbare astenica o miastenia; le sindromi circolatorie, gli ascessi, i tumori. Le malattie del sistema extrapiramidale sono già state illustrate. Le malattie delle meningi sono: le meningiti acute (tubercolare, epidemica, sierosa); le meningiti croniche (luetica, emorragica); la trombosi o la flebite dei seni cerebrali; i tumori. Un gruppo a parte formano l'epilessia e la psiconevrosi (isterismo, neurastenia, psicastenia, nevrosi traumatica). Finalmente il grande gruppo delle malattie mentali a proposito del quale v. pazzia; psicopatie. Alcune affezioni non sono cerebrali, ma cerebro-spinali, e verranno ricordate a proposito delle malattie del midollo spinale. Per le malattie chirurgiche dell'encefalo (commozione, contusione, compressione, ferite), v. craniocerebrale, chirurgia.
Fisiopatologia del midollo spinale. - Le due componenti del midollo spinale, cioè la sostanza bianca e la sostanza grigia (v. midollo Spinale), hanno strutture e funzioni diversissime. La sostanza bianca consta dell'insieme delle fibre nervose costituenti i fasci provenienti dal cervello o a questo destinati: la sostanza grigia è costituita invece dai gruppi cellulari, punti di partenza delle fibre a direzione periferica (radici nervose e nervi), o delle fibre a direzione centrale. Bisogna tener presente che a livello delle cellule della sostanza grigia si ha l'interruzione fra il neurone centrale e il periferico, i quali hanno tra loro rapporti di stretta contiguità, ma non di continuità. Le cellule delle corna anteriori sono destinate a regolare il trofismo della muscolatura del tronco e degli arti e trasmettere a questi gl'impulsi volitivi che provengono dal cervello attraverso la via motrice e costituiscono una importantissima stazione dell'arco diastaltico dei riflessi, perché trasformano in fenomeno motorio gli stimoli che ad esse giungono dalle terminazioni delle fibre delle radici spinali posteriori. Ogni loro lesione provoca perciò disturbi trofici, motorî e dei riflessi nei gruppi di muscoli a cui si distribuiscono le fibre del secondo neurone che partono dalle cellule stesse. Le cellule delle corna laterali sono destinate a innervare la muscolatura liscia. Quelle del corno posteriore dànno origini alle fibre dei fasci diretti al cervelletto e alle fibre che uniscono fra loro le varie regioni del midollo (neuroni intercalati o neuroni di associazione). Nel corno posteriore penetrano le fibre sensitive destinate a trasmettere le sensazioni tattili (in piccola parte) ma soprattutto termiche e dolorifiche. Si articolano con altri neuroni che s'incrociano subito con quelli del lato opposto e salgono nel cordone laterale del midollo. Le fibre destinate alla trasmissione della massima parte delle sensazioni tattili e quelle della sensibilità profonda salgono direttamente nel cordone posteriore: si articolano nel bulbo (nuclei di Goll e Burdach) con altri neuroni che s'incrociano nel bulbo stesso. Le fibre nervose che escono dal midollo o vi entrano, si riuniscono rispettivamente nelle radici spinali anteriori o posteriori, le quali si raggruppano dando origine ai plessi e ai nervi periferici. Ogni radice si distribuisce costantemente, attraverso ai nervi, agli stessi gruppi muscolari e accoglie le fibre provenienti costantemente dagli stessi territorî. È bene aggiungere che all'innervazione di ogni muscolo partecipano sempre fibre provenienti da due o più radici motorie. Parimenti ogni zona sensitiva è innervata dalle fibre appartenenti a tre radici: per conseguenza la lesione di una radice spinale non provoca anestesia se le radici immediatamente sopra e sottostanti sono indenni. Data la partecipazione di più radici alla formazione di ciascun tronco nervoso è evidente che la distribuzione topografica dei disturbi dovuti a lesioni del nervo non s'identifica con quella dei sintomi di lesione di una radice. Nella sostanza grigia del midollo si trovano anche alcuni centri differenziati, destinati a particolari sensazioni: il centro ciliospinale di Budge (VIII segmento cervicale e I dorsale) che innerva il dilatatore pupillare, il muscolo orbitale e il muscolo elevatore delle palpebre (porzione liscia). Nel midollo sacrale si trovano i centri delle funzioni sessuali e degli sfinteri vescicale e rettale.
Le lesioni midollari del fascio piramidale (I neurone) dànno luogo a fenomeni di paralisi spastica, con aumento dei riflessi, segni caratteristici di lesione delle vie piramidali, non disturbi trofici. Le lesioni delle cellule delle corna anteriori (inizio del II neurone) provocano, come si è detto, fenomeni di paralisi flaccida, con gravi disturbi trofici a carattere degenerativo e, per interruzione dell'arco diastaltico che passa per il segmento leso, assenza dei riflessi. Talvolta possono presentarsi queste due lesioni successivamente o insieme, e il quadro clinico risulta dalla combinazione dei due gruppi di sintomi. Se sono lesi i cordoni posteriori, si osservano disturbi della sensibilità tattile e profonda atassia. Atassia grave a tipo cerebellare si osserva anche nelle affezioni delle vie spinocerebellari, che trasportano al cervelletto gl'impulsi sensitivi destinati alla coordinazione dei movimenti. Se è leso il corno posteriore, dove sono le cellule da cui partono i neuroni di II ordine per le vie della sensibilità termica e dolorifica, si osserva, nei territorî al disotto della lesione, anestesia per queste due forme di sensibilità. Le lesioni trasverse totali del midollo provocano paralisi e anestesia completa in tutti i territori muscolari al disotto della lesione. Se l'interruzione è nel segmento cervicale alto, si ha paralisi dei quattro arti (flaccida con disturbi trofici nei superiori, se sono colpiti i gruppi cellulari delle corna anteriori da cui partono le radici destinate ai nervi degli arti stessi); se la lesione è dorsale, si osservano i fenomeni suddetti negli arti inferiori: la paralisi è spastica. Se è leso il tratto lombare, la paralisi degli arti inferiori invece è flaccida, si hanno disturbi trofici, sempre perché sono colpite le cellule del corno anteriore che hanno anche, come s'è detto, importantissime funzioni trofiche, e mancano i riflessi. Se il midollo spinale è leso solo in una sua metà, si osserva la seguente sindrome: nel lato della lesione disturbi della motilità e della sensibilità profonda e fenomeni vasomotorî; nel lato opposto disturbi della sensibilità termica e dolorifica (sindrome di Brown-Séquard).
Quando il midollo spinale, per una lesione anatomica qualsiasi viene a essere isolato dai centri nervosi superiori, esso può diventar sede di una speciale serie di fenomeni, latenti allo stato normale, ma resi evidenti dalla condizione patologica che si è stabilita in seguito alla lesione. L'insieme di questi fenomeni è detto automatismo midollare, e si manifesta soprattutto per mezzo di riflessi, di sincinesie, di contratture. I riflessi d'automatismo midollare (gli antichi cosiddetti "riflessi di difesa") si esagerano e diventano apprezzabili clinicamente negli stati patologici, emiplegie o paraplegie, che sono causati da lesioni del sistema piramidale. I più importanti sono: il riflesso di raccorciamento (movimento sinergico di triplice retrazione: del piede sulla gamba, della gamba sulla coscia, della coscia sul bacino, per stimoli superficiali o profondi, anche minimi, nel segmento distale); il riflesso d'allungamento (molto più raro: contrazione sinergica dei muscoli estensori dei tre segmenti suddetti, per stimolazione del segmento prossimale dell'arto); il riflesso d'accorciamento controlaterale (retrazione dell'arto stimolato ed estensione dell'altro). Questi fenomeni si avvicinano molto a quelli, classici in fisiologia, che si osservano nel cane spinale (a cui è stata praticata una sezione alta del midollo) e nella rana decapitata. Fra le sincinesie sono soprattutto in relazione con l'automatismo midollare quelle di coordinazione, consistenti nell'esecuzione involontaria e contemporanea di movimenti determinati, durante l'esecuzione volontaria di altri movimenti, sinergici coi primi (flessione dorsale del piede durante il movimento di flessione del ginocchio). Anch'esse, che normalmente esistono e assicurano anzi l'euritmia di movimenti automatici come il camminare, si esagerano nelle lesioni organiche del sistema piramidale (emi- o paraplegie) e, mentre possono essere evitate con la volontà nel soggetto sano, non lo possono essere nel malato. Quanto alle contratture, quella in flessione non fa che fissare l'arto nella posizione di raccorciamento, assunta in seguito al riflesso omonimo più sopra descritto.
Le malattie del midollo spinale si dividono in sistematiche e diffuse. Le prime sono quelle che ledono a preferenza un determinato gruppo di fasci o di cellule gangliari. Questa divisione non è però categorica. Al primo gruppo appartengono: la tabe, malattia sifilogena dovuta a una degenerazione dei cordoni posteriori consecutiva a lesioni specifiche delle radici posteriori; la paralisi spinale spastica (dovuta a degenerazione del fascio piramidale); la malattia di Friedreich, malattia familiare, con gravi fenomeni di atassia dinamica e statica, disturbi della sensibilità, alterazioni dei riflessi; la lesione più importante e costante è la degenerazione dei cordoni posteriori; la sclerosi combinata con lesioni e sintomi a carico delle grandi vie motorie e sensitive. Appartengono al secondo gruppo: l'ematomielia: emorragia che si verifica quasi esclusivamente nella sostanza grigia, sia per lesioni vasali sia per traumi: disturbi gravi della motilità a forma tetra- o paraplegica, disturbi della sensibilità termodolorifica (le cui fibre, come si è detto, passano attraverso la sostanza grigia); disturbi trofici nei muscoli paralitici. La mielite acuta: malattia dovuta quasi sempre a fattori infettivi, ad andamento rapidamente progressivo: paralisi muscolare, disturbi della sensibilità, paralisi degli sfinteri, disturbi trofici e vasomotorî. La sindrome di Landry: fenomeni paralitici che, iniziatisi negli arti inferiori, salgono rapidamente al tronco, agli arti superiori e poi ai muscoli innervati dai nervi cranici. La poliomielite anteriore acuta (v.). La sifilide del midollo: meningomielite diffusa: dolori violenti e disturbi paralitici, prevalentemente degli arti inferiori, insorgenti con inizio brusco e apoplettiforme o con inizio lento e progressivo. La sclerosi multipla cerebro-spinale (v.). La siringomielia: dovuta a cavità che si producono nella sostanza grigia: atrofia muscolare progressiva, disturbi della sensibilità termodolorifica (dissociazione siringomielica della sensibilità); disturbi trofici delle ossa, dei tegumenti, delle articolazioni; disturbi vasomotorî. Tumori, che si distinguono in intramidollari ed extramidollari, tutti a sintomatologia estremamente varia, che generalmente può classificarsi in tre periodi cronologici: periodo dolorifico o pseudonevralgico; periodo della compressione, generalmente con sindrome di Brown-Séquard; periodo della interruzione della conducibilità delle vie neivose, con paralisi alterazioni della sensibilità e disturbi degli sfinteri. Vi è poi il grande gruppo delle distrofie muscolari progressive (v. muscolari, distrofie).
Il midollo può anche ammalare, in seguito a compressione esercitata su di esso da malattie delle vertebre (lussazioni e fratture della colonna vertebrale, tumori delle vertebre, morbo di Pott). Si ha allora generalmente il quadro di una tetra- o paraparesi spastica con violenti dolori e disturbi degli sfinteri. In questi casi, come nei tumori, si ha una speciale sindrome nella composizione del liquido cerebro-spinale. Questo assume un colore giallastro, l'albumina è aumentata, talvolta in misura tanto notevole da provocare la coagulazione massiva, le cellule invece sono in numero normale o pochissimo aumentate (sindrome di Froin).
I principali disturbi della motilità sono le paresi, le paralisi (mono-, emi-, paraparesi o plegie), le astenie, le atassie, le ipercinesie (movimenti coreici e atetosici, tremori, convulsioni). I disturbi più noti del tono sono le ipotonie, le ipertonie, le catatonie, la catalessia, le paratonie, le contratture. I disturbi della sensibilità obiettiva sono le iper- e le ipoestesie, il ritardo, la sommazione, l'esaurimento delle sensazioni, gli errori di localizzazione e di apprezzamento qualitativo. I disturbi della sensibilità subiettiva sono il dolore, le parestesie, i sintomi cenestopatici.
Semeiotica. - Per la ricerca e la valutazione di questi e degli altri sintomi neurologici e psichici occorre una tecnica particolare. Riferiamo qui come deve essere praticato un esame clinico obiettivo a un malato nervoso. Si comincia dall'esaminare la faccia, poiché alcune malattie imprimono a questa un aspetto caratteristico che permette molte volte d'ind:. izzare la diagnosi (morbo di Basedow, di Parkinson, paralisi pseudobulbare). Quindi s'ispezionano i globi oculari, prima allo stato di riposo, per vedere se esistano anomalie nella loro posizione (strabismo, esoftalmo, enoftalmo), poi durante i movimenti, per mettere in evidenza eventuali insufficienze o paresi dei muscoli oculomotori. Si esaminano in seguito i muscoli mimici, prima allo stato di riposo, poi nei movimenti volontarî; la lingua, in riposo (trofismo, deviazioni, tremori) e nella motilità (paresi, deviazioni); il velopendolo, specie durante la fonazione; la mastazione e la deglutizione; il linguaggio formale (ricerca delle disartrie); il collo, allo stato di riposo (trofismo, posizioni abnormi, ecc.) e in movimento; gli arti, in riposo (trofismo, atteggiamenti abnormi, deformità, movimenti anormali) e durante la motilità, sia passiva sia attiva: degli arti stessi si saggia la forza muscolare con speciali procedimenti. Quindi si esamina il tronco nei suoi atteggiamenti e nei suoi movimenti; la stazione eretta; la deambulazione; lo stato funzionale della vescica, del retto e dell'apparato sessuale. Si passa quindi all'esame dei riflessi; negli arti inferiori: rotuleo, achilleo, degli adduttori, plantare, eventuali riflessi patologici; nei superiori: bicipitale, tricipitale, radiale, ulnare; i riflessi addominali e i cremasterici; i riflessi del capo: masseterino, faringeo, nasale, congiuntivale. Finalmente si esaminano le pupille (forme, ampiezze, differenze) e le varie qualità di riflessi iridei (alla luce, alla convergenza e all'accomodazione). Dopo ciò s'inizia l'esame della sensibilità: obiettiva superficiale (tattile, termica, dolorifica, potere di localizzazione, sensibilità farado-cutanea); obiettiva profonda (senso di posizione delle membra, sensibilità vibratoria, bariestesica, stereognostica); subiettiva provocata (craniopercussione, craniopressione, compressione dei tronchi nervosi periferici e delle docce paravertebrali, percussione delle apofisi spinose delle vertebre). Si esaminano quindi i sensi specifici: la vista (acutezza, senso cromatico, campo visivo, esauribilità retinica, esame oftalmoscopico); l'udito (acutezza per i varî toni; prove di Rinne, di Weber, di Schwabach); l'olfatto e il gusto, a mezzo rispettivamente di odori e di sapori di prova. Vengono quindi le ricerche su campi ristretti degni d'indagini particolarmente minute: l'esame elettrico; l'esame del linguaggio (comprensione delle domande e dei comandi, denominazione degli oggetti mostrati, ripetizione delle parole, linguaggio spontaneo, lettura, scrittura); le prove cerebellari (ricerca dei sintomi già enumerati, oltre ad alcuni altri meno noti, consistenti per lo più in anomalie di atteggiamento degli arti malati: fenomeno di Rossi, fenomeno di Schilder e Hoff, ecc.); l'esame del sistema extrapiramidale (mimica, atteggiamenti particolari del corpo, movimenti automatici e associati, bradicinesie, intoppi, ipercinesie, sincinesie d'imitazione, alterazione del tono, riflessi di postura locali, speciali caratteristiche del riso, del pianto, della loquela, fenomeno della troclea dentata di Negro, ecc.); lo studio del sistema vegetativo (prove farmacodinamiche, riflessi vegetativi); l'esame delle prassie. Finalmente l'esame psichico: studio del contegno spontaneo, interrogatorio, indagini sulle sfere: intellettiva (attenzione, percezione, memoria, associazione, patrimonio ideativo); sentimentale o affettiva; volitiva. In ultimo le ricerche complementari: esami dell'apparato vestibolare, laringoscopico, radiografico, umorale. Vi sono inoltre alcuni segni di valutazione ancora incerta, come le reazioni di contatto.
Radiologia. - L'esplorazione radiologica ha dato un contributo notevole alla diagnosi delle affezioni del sistema nervoso centrale creando nuove possibilità diagnostiche tanto per le affezioni di origine traumatica, quanto per quelle dovute ad altre cause. L'esplorazione radiologica del sistema nervoso centrale viene eseguita con due metodi distinti, cioè col metodo diretto e col metodo indiretto. Il primo consiste nella semplice esplorazione radiografica dell'organo malato, in differenti proiezioni, ma senza ricorrere al sussidio di altri mezzi per differenziare più chiaramente i tessuti molli. Il metodo indiretto dell'esplorazione radiologica si giova di sostanze chiamate mezzi di contrasto, le quali, analogamente a quanto viene fatto con quegli stessi o con altri mezzi per l'esame radiologico del tratto digerente, della vescica, dei reni, ecc., vengono introdotte con varie tecniche per mettere in evidenza organi o tessuti che altrimenti, col semplice radiogramma, non potrebbero essere sufficientemente differenziati.
Il metodo d'esame diretto permette una diagnosi abbastanza sicura in certe affezioni, per esempio nei tumori dell'encefalo quando questi determinano un aumento della pressione endocranica.
Questo aumento è rilevabile sul radiogramma, ove si riscontrano i segni caratteristici dell'ipertensione endocranica, cioè un aumento delle impressioni digitate (impronte delle circonvoluzioni cerebrali sul tavolato interno della calotta cranica), impronte dei seni venosi, deiscenza delle suture del cranio, alterazioni morfologiche della sella turcica e talvolta ernia cerebrale quando il tumore progredisca notevolmente. La sindrome dell'ipertensione in concordanza con altri segni clinici permette talvolta di formulare la diagnosi di tumore cerebrale o d'idrocefalo, ma non dà nessuna sicura indicazione che valga a stabilire la sede del morbo.
I tumori del cervello (v.) non sono di regola visibili sul radiogramma, perché essi hanno una densità eguale a quella della materia cerebrale e quindi non dànno origine a una differenza nelle ombre proiettate; soltanto quando i tumori del cervello siano totalmente o parzialmente calcificati dànno un'immagine sul radiogramma, ma i tumori che mntengono sali calcarei (psammomi) sono molto rari. Calcificazioni intracraniche possono formarsi per diverse origini e quindi non si può con sicurezza attribuire loro un significato patologico determinato. Degne di nota possono essere particolarmente le calcificazioni intracraniche prodotte dalla ghiandola pineale, dai plessi coroidei, dalla falce cerebrale, e dalle granulazioni del Pacchioni. Le concrezioni della ghiandola pineale sono quasi sempre visibili, sono molto piccole e si trovano a circa 1 1/2 cm. sopra il margine della rocca petrosa nella linea mediana nei radiogrammi del capo eseguiti in proiezione sagittale.
Le concrezioni nei plessi coroidei furono osservate nei corni posteriori dei ventricoli laterali e nei radiogrammi assunti in proiezione frontale; essi si presentano ai due lati della linea mediana in posizione simmetrica quasi sopra l'orbita. Le ossificazioni della falce cerebrale dànno un' immagine lineare nella linea mediana in corrispondenza dell'osso frontale nei radiogrammi presi in proiezione postero-anteriore. Le concrezioni che si formano nelle granulazioni del Pacchioni dànno immagini lenticolari ai lati del vertice del capo in corrispondenza di una fossa del Pacchioni. Piccole calcificazioni possono essere anche determinate da aneurismi che si formano specialmente a carico delle arterie della base del cervello, della carotide interna, dell'arteria basilare e dell'arteria Silviana. Si osservano inoltre calcificazioni secondarie da focolai encefalici da traumi e da emorragie; però la grandezza dell'ombra non permette di trarre deduzioni sull'entità della forma patologica.
I tumori intracranici non visibili direttamente possono determinare per compressione un'usura circoscritta sulle ossa adiacenti; nei tumori i quali hanno la loro sede vicino alla vòlta cranica si osserva un'erosione del tavolato interno della calotta cranica, un'usura, la quale talvolta può essere così profonda da produrre una perforazione completa dell'osso. Nella vòlta cranica si notano anche ispessimenti patologici causati da tumori, da processi di acromegalia e nei morbi di Paget e di Recklinghausen; inoltre negli stadî più avanzati di tumori cerebrali si può osservare un ispessimento e un addensamento uniforme di tutta la vòlta cranica.
Di particolare importanza per la diagnosi di alcuni tumori cerebrali sono le alterazioni che questi possono determinare sulla base del cranio e specialmente sulla sella turcica; e di grande utilità per l'esplorazione di questa regione sono stati i preziosi contributi dati da molti ragguardevoli autori all'anatomia normale della sella turcica (A. Busi, R. Balli, M. Bertolotti, A. Schüller). Per lo studio della base del cranio si pratica la radiografia del capo in proiezione laterale, la quale mette in evidenza i principali particolari di questa regione. La sella turcica è una cavità nella fossa media della base del cranio, nella quale sta racchiusa la ghiandola ipofisaria; essa è di forma rotondeggiante o ovale e può presentare anche in casi normali variazioni di ampiezza e di contorno; nei cosiddetti tumori intrasellari, cioè nei tumori che hanno origine nella ghiandola ipofisaria, p. es. in casi di acromegalia o nella sindrome adiposo-genitale, si riscontra un notevole aumento delle dimensioni della sella turcica; ma anche nei tumori soprasellari, che hanno origine nella massa cerebrale, si notano notevoli alterazioni della sella turcica accanto agli altri sintomi della pressione endocranica aumentata.
Encefalografia e ventricolografia. - L'idea di rendere visibili i ventricoli cerebrali mediante la radiografia è stata favorita dalle osservazioni, fatte durante la guerra, di raccolte di gas nel cervello in seguito a ferite del cranio. Ferite delle ossa pneumatiche e del cervello possono produrre una raccolta di gas, detta pneumatocele, la quale, a seconda della sua localizzazione, può essere extracerebrale, cioè fra superficie cerebrale e scatola cranica, o intracerebrale, cioè nella massa cerebrale stessa; infine il gas può penetrare nei ventricoli: pneumocefalo. Talvolta anche gli ascessi producono raccolte di gas nella massa cerebrale. Spetta al chirurgo americano W. E. Dandy (1918) l'idea geniale d'introdurre quale mezzo di contrasto aria o altri gas inerti nei ventricoli cerebrali. Si poté così dallo spostamento, dalla deformazione e dalla dilatazione dei ventricoli trarre utili conclusioni diagnostiche. Il metodo dell'insufflazione dell'aria per via lombare venne nel 1920 sviluppato e applicato su vasta scala da A. Bingel; il metodo del Dandy si chiama ventricolografia, quello del Bingel encefalografia.
I ventricoli cerebrali formano un sistema di camere e di canali fra di loro comunicanti. Alla superficie del cervello si trova fra pia e aracnoidea lo spazio sottoaracnoideo, che è in diretta comunicazione con lo spazio sottoaracnoideo del midollo. La quantità del liquido cefalo-rachidiano racchiuso nei ventricoli e nello spazio sottoaracnoideo, ascende in media a 150 cc.; 40 cc. sono contenuti nei ventricoli, 35 cc. nello spazio sottoaracnoideo e nelle cisterne, il resto di 75 cc. nel cavo rachidiano. Iniettando una sostanza colorante nei ventricoli, questa viene eliminata nel tempo di 12 ore; se però gli spazî sottoaracnoidei sono obliterati, l'eliminazione della sostanza colorante avviene lentamente e può impiegare fino al completo riassorbimento 10-12 giorni. In casi normali si ritiene che il liquido cefalo-rachidiano impieghi circa 2-4 giorni per riformarsi e, difatti, levando 100 cc. di liquido e sostituendolo con altrettanta quantità di aria si potrà constatare facendo radiogrammi in serie, che l'aria viene riassorbita dopo 48-72 ore. In casi patologici (meningite, tumori, stasi nella vena cava superiore, ecc.) la secrezione del liquido può essere fortemente aumentata. La pressione del liquido sta in rapporto con diversi fattori, fra i quali i principali sono: la pressione idrostatica, la pressione venosa e arteriosa, la pressione cerebrale e la pressione prodotta dalla maggiore o minore secrezione del liquido e dal suo più o meno rapido riassorbimento. Dandy aveva fatto degli esperimenti nei cani, iniettando nei ventricoli metalli pesanti in varie concentrazioni; queste sostanze provocarono gravi alterazioni del cervello e la morte dell'animale. Soltanto i gas e, fra questi, l'aria, l'azoto, l'ossigeno e l'anidride carbonica possono venir usati senza pericolo. Più recentemente si sono iniettati i ventricoli con lipiodol ascendente, indicato da J. A. Sicard per la mielografia, o direttamente con lipiodol (J. Arce, ecc.). Da osservazioni di M. Gortan, G. Sai risulta che il lipiodol può produrre delle alterazioni nei ventricoli cerebrali e che perciò in determinati casi potrebbe non essere del tutto innocuo. J. Arce tuttavia ha riferito interessanti risultati di ventricolografie con lipiodol. Riguardo al tempo di riassorbimento dei diversi gas proposti per l'insufflazione, si è dimostrato che l'aria viene riassorbita più lentamente dell'ossigeno e che più rapidamente ancora dell'ossigeno avviene il riassorbimento dell'anidride carbonica.
Tre sono le vie attraverso le quali può venire introdotto il gas nei ventricoli e nello spazio sottoaracnoideo e precisamente: a) la puntura dei ventricoli laterali; b) la puntura rachidiana; c) la puntura sottooccipitale.
a) La puntura dei ventricoli laterali si pratica nelle corna anteriori o posteriori in quei punti dove essi si trovano più vicino alla corteccia cerebrale. A. M. Dogliotti ha proposto di fare la puntura attraverso la vòlta orbitale, ciò che può eseguirsi senza la necessità di una trapanazione vera e propria, raggiungendo il ventricolo laterale nella sua parte anteriore, attraverso una zona fisiologicamente muta. Nei casi d'idrocefalo, nei quali lo spessore della massa cerebrale da attraversare è molto ridotta, è facile colpire il ventricolo; non così nei casi normali e nei casi nei quali i ventricoli sono spostati o ridotti di volume. Introdotto l'ago nel ventricolo, si procederà all'estrazione del liquido in piccole porzioni, sostituendolo con la stessa quantità di gas, e ciò per non provocare forti oscillazioni della pressione. La quantità totale del liquido estratto è nei casi di capacità normale dei ventricoli di circa 40 cc., nei casi d'idrocefalo essa può ascendere persino a 300-400 cc.
b) Nell'insufflazione del gas per via rachidiana all'altezza delle prime vertebre lombari si deve mantenere costante la pressione osservando le norme indicate per la puntura dei ventricoli; il liquido viene estratto in piccole quantità e sostituito con la stessa o con una minore quantità di gas; appena iniettata una piccola quantità d'aria, il paziente avverte cefalea, talvolta molto intensa, localizzata nella regione frontale. Dopo l'insufflazione si notano quasi sempre rialzi termici, sudore e talvolta vomito; in alcuni casi il paziente cade in profondo sonno. Queste manifestazioni, in alcuni casi cospicue e imponenti, diminuiscono gradatamente nelle prime 24 ore, per scomparire del tutto nei due giorni successivi.
c) La puntura sottooccipitale viene praticata tra l'apofisi dell'epistrofeo e la protuberanza occipitale esattamente nella linea mediana con la punta dell'ago rivolta verso l'alto e diretta verso il boldo posteriore del foro occipitale; superato questo, l'ago si trova in contatto con la membrana atlanto-occipitale, la quale oppone una certa resistenza; superato questo ostacolo la punta dell'ago si trova nello spazio sottoaracnoideo; in questo momento il liquido cefalo-rachidiano esce di solito spontaneamente; soltanto talvolta è necessario fare una leggiera aspirazione. Si procederà quindi all'estrazione del liquido e all'insufflazione dell'aria, osservando le stesse norme e cautele indicate per la puntura ventricolare e lombare. L'iniezione per via sottooccipitale è di solito ben sopportata e il disagio del paziente è molto minore di quello provocato dall'insufflazione per via rachidiana.
Nessun metodo è privo di pericoli, e perciò l'insufflazione deve venir praticata in quei casi nei quali una diagnosi precoce di sede del tumore possa essere la salvezza del malato, oppure in quei casi nei quali per le esperienze finora raccolte l'insufflazione non involve un pericolo, p. es. negli epilettici, nei paralitici e nei traumatizzati. Nei pazienti affetti da tumori cerebrali sarà talvolta opportuno fare alcune sedute radioterapiche a dosi frazionate perché con questo mezzo si può ottenere un miglioramento delle condizioni generali; ammalati con intensa cefalea, con obnubilamento del sensorio, con amaurosi quasi completa, con papilla da stasi, in brevi giorni sotto l'azione dei raggi migliorarono notevolmente: si notava regressione molto cospicua dei sintomi prodotti dalla pressione endocranica aumentata. Ora, dato il breve intervallo intercorso tra l'applicazione dei raggi e la regressione dei sintomi sopraddetti, non era ammissibile di spiegare l'azione di questi con una riduzione di volume del tumore; è invece probabile che l'azione dei raggi si esplichi soprattutto e primieramente sui plessi coroidei, diminuendo la secrezione e quindi indirettamente abbassando la pressione endocranica (M. Gortan).
Eseguita l'insufflazione, si procede dapprima alla radioscopia dell'ammalato seduto, nella proiezione postero-anteriore e nelle proiezioni laterali, per osservare la forma e l'ampiezza dei ventricoli e per constatare eventuali spostamenti degli stessi dalla linea mediana; nelle proiezioni laterali si vedono i ventricoli nella loro massima ampiezza. L'esame dell'ammalato seduto o posto nella stazione eretta è indispensabile per vedere i livelli di liquido nei ventricoli che si formano in casi di idrocefalo. Eseguita la radioscopia si pratica l'esame radiografico nei diversi decubiti cioè nella proiezione antero-posteriore, in quella postero-anteriore e nelle due laterali; trattandosi di ammalati che si trovano sotto lo shock di un grave intervento bisogna procedere rapidamente nell'indagine e ridurre al minimo i tempi di posa.
L'insufflazione d'aria nel sistema ventricolare del cervello è di particolare importanza per lo studio dell'idrocefalo; se in qualche punto del sistema ventricolare il deflusso del liquido è impedito, si forma l'idrocefalo, il quale può essere interno o esterno a seconda del punto nel quale si trova l'ostacolo. È stato dimostrato, con l'esperimento sull'animale, che, asportando il plesso coroideo d'un ventricolo laterale, questo si oblitera completamente, venendo così a mancare l'organo della secrezione del liquido, mentre otturando un forame del Monro, cioè la comunicazione tra il ventricolo laterale e il terzo ventricolo, il ventricolo laterale si dilata essendo così impedito il deflusso del liquido. Se la comunicazione tra il sistema ventricolare e lo spazio sottoaracnoideo è chiusa, si forma l'idrocefalo occlusivo, mentre se la via tra i ventricoli e lo spazio sottoaracnoideo è libera, si forma l'idrocefalo comunicante, sia per sopraproduzione del liquido, sia per deficiente riassorbimento dello stesso. I ventricoli possono dilatarsi in seguito al raggrinzamento senile del cervello oppure in seguito a processi cicatriziali. Concomitante alla dilatazione unilaterale di un ventricolo laterale è lo spostamento del setto pellucido, il quale si trova normalmente nella linea mediana; se la dilatazione dipende da un processo cicatriziale, il ventricolo si sposta dallo stesso lato; nei tumori, invece, il ventricolo dilatato si sposta verso il lato opposto; il ventricolo dal lato del tumore ha capacità minore del normale e appare deformato e compresso. Lo spostamento dei ventricoli laterali dalla linea mediana verso il lato opposto è un segno caratteristico dei tumori del cervello; con l'insufflazione d'aria nei ventricoli si può quindi stabilire il lato nel quale il tumore ha la sua sede. Secondo C. Besta l'encefalografia è necessaria per la diagnosi di natura ed è il solo mezzo che consente una diagnosi precoce di tumore cerebrale, l'encefalografia, inoltre, per M. Donati e C. Besta rappresenta una condizione imprescindibile per l'indicazione operatoria.
Molto utile si è dimostrata l'esplorazione encefalografica nei postumi dei traumi del cranio, del cervello e nell'epilessia jacksoniana. Traumi e anche semplici contusioni del cranio possono essere la causa di una meningite sierosa circoscritta con obliterazione dello spazio sottoaracnoideo e con aderenze della corteccia cerebrale; in seguito a questi processi può avvenire talvolta un raggrinzamento della massa cerebrale sottostante; nei radiogrammi si osservano allargamenti e stiramenti dei ventricoli dal lato della lesione; si può quasi dire che il ventricolo viene attratto verso il punto traumatizzato.
Arteriografia del cervello. - Un altro metodo indiretto per la localizzazione dei tumori del cervello è stato proposto dal medico portoghese Egas Moniz; nel congresso neurologico tenuto a Berna nel 1931, egli fece un'interessante comunicazione, dimostrando che con l'iniezione di una soluzione di ioduro di sodio al 25% nella carotide gli era riuscito d'iniettare tutte le ramificazioni delle arterie del cervello e di fissarle in maniera evidente sulla pellicola radiografica; dallo spostamento delle arterie o dalla mancata irrorazione di qualche territorio della massa cerebrale, egli ha potuto localizzare la sede del tumore anche in casi nei quali l'esame clinico non aveva dimostrato alcun sintomo di focolaio. Il metodo certamente geniale proposto del Moniz ha destato fra gli specialisti della branca neurologica un grande interesse; esso non ebbe però molti seguaci, perché la soluzione di ioduro di sodio non è scevra di pericoli e si ebbero in seguito all'iniezione di questo mezzo di contrasto nella carotide gravi incidenti alcuni dei quali seguiti da morte. Più recentemente il Moniz e W. Löhr e W. Jacobi impiegarono quale mezzo di contrasto il thorotrast, che si è dimostrato innocuo e che viene bene sopportato dagli ammalati senza provocare spiacevoli reazioni. In un'ampia monografia (1933) questi autori hanno dimostrato gli ottimi risultati di questo metodo, il quale si presta a un'encefalo-arteriografia combinata e apre nuovi orizzonti allo studio della fisiologia e patologia del cervello.
Mielografia. - L'idea di localizzare i tumori del midollo mediante l'introduzione di un mezzo di contrasto nel canale rachidiano è stata suggerita da J. A. Sicard nel 1923. Più recentemente Dandy ha pubblicato le sue esperienze sulla localizzazione dei tumori midollari con l'iniezione dell'aria nel rachide; si eseguisce la puntura lombare alcuni segmenti sotto la supposta lesione, si estraggono 10 cc. di liquido e s'inietta la stessa quantità d'aria, ripetendo questa manovra fintantoché non esca più liquido. Se la via è libera, l'aria sale nei ventricoli cerebrali e il paziente avverte immediatamente intensa cefalea. Questo sintomo è caratteristico e indica che il canale rachidiano non è ostruito; anche se il blocco non è completo, questa prova ha una certa importanza, perché nell'istante in cui l'aria passa per il punto stenotizzato all'altezza del tumore il paziente avverte un forte dolore a cintura, indicando con esattezza il punto dolente della colonna vertebrale.
Quale mezzo di contrasto per l'esplorazione del canale rachidiano il Sicard ha proposto il lipiodol: esso consta di una combinazione di olio di papavero con iodio in due concentrazioni e precisamente il lipiodol discendente, di peso specifico maggiore del liquido cefalo-rachidiano con 40% di iodio, e l'ascendente, di peso specifico minore del liquido cefalo-rachidiano, con 8% di iodio ìl primo, iniettato nel canale rachidiano discende al punto più basso; il secondo sale al punto più alto. La quantità di lipiodol da iniettarsi non dovrà essere maggiore di 2 cc.; se non vi è stenosi, il lipiodol passa rapidamente attraverso il canale rachidiano e si accumula nel fondo cieco del sacco durale; se invece vi è un ostacolo al passaggio del lipiodol, la massa del mezzo di contrasto si ferma a questa altezza determinando così la sede del tumore o di altra affezione la quale occluda lo spazio sottoaracnoideo. Una chiusura totale controllata per più giorni dimostra indubbiamente l'esistenza di una lesione del midollo o delle meningi.
La mielografia è già stata applicata su vasta scala e ha trovato numerosi aderenti fra gli specialisti della disciplina neurologica. Alla mielografia va certamente ascritto il merito di aver dato un grande impulso alla chirurgia del midollo; la laminectomia, cioè l'apertura del canale rachidiano mediante l'asportazione di uno o più archi vertebrali, che fino a pochi anni or sono raramente veniva eseguita, viene praticata oggi, grazie alla precisione dei reperti mielografici, in tutte le cliniche chirurgiche. Però la mielografia ha un valore soltanto in quei casi i quali sono stati dapprima sottoposti a un accurato esame clinico; non va dimenticato che l'applicazione della mielografia presenta dei pericoli e che quindi essa deve venir impiegata quasi come intervento preoperatorio, dopo che si siano attuati tutti i mezzi dell'indagine clinica.
Sistema nervoso periferico.
Anatomia. - Il sistema nervoso periferico comprende tutti quei cordoni nervosi, che, partiti dal cervello o dal midollo spinale, cioè dall'asse cerebrospinale, si distribuiscono ai varî organi per coordinarne le funzioni, regolarne il trofismo, dar loro la sensibilità (vie centripete) e la motilità (vie centrifughe).
Caratteri morfologici. - I cordoni nervosi, detti comunemente nervi, risultano formati essenzialmente da fibre nervose, però nel loro percorso possono osservarsi pure cellule gangliari isolate o riunite in gruppi detti ganglî nervosi: così, per esempio, ogni radice posteriore dei nervi spinali presenta un ganglio detto spinale, la grossa radice del trigemino presenta un ganglio detto semilunare o di Gasser.
I nervi si presentano sotto la forma di cordoni cilindrici, talora appiattiti, come lo sciatico; hanno colore bianco nel cadavere, mentre nel vivo sono rosei a causa del sangue circolante: la loro grandezza in genere è proporzionale al numero delle fibre che li costituiscono, però anche con lo stesso numero di fibre si possono avere sensibili differenze di volume; così i nervi sottocutanei in proporzione delle fibre che contengono, sono più grandi dei nervi profondi. Nei varî individui lo stesso nervo può presentare grandezze diverse. I nervi hanno una grande resistenza alla trazione, maggiore di quella dell'arteria e del muscolo, minore di quella del tendine e dell'osso; viceversa sono poco elastici.
Ogni nervo risulta formato di parecchi fasci; ciascun fascio risulta dalla riunione di più fascetti e ogni fascetto dall'aggruppamento di un certo numero di fibre. Questa divisione ha una grande importanza, perché prelude alla divisione del nervo nei suoi rami, che avverrà più distalmente. Le fibre, i fascetti e i fasci sono mantenuti uniti da tessuto connettivo, che si dice endonervio se unisce tra loro dei fascetti, perinervio se unisce più fasci, emnemio se riveste la superficie esterna del nervo. In questo connettivo decorrono i vasi che nutrono il nervo.
I nervi generalmente non stanno isolati, ma decorrono in compagnia dell'arteria, delle vene e dei linfatici, che hanno la loro stessa distribuzione: si forma così il fascio nerveovascolare, nel quale i varî elementi sono mantenuti vicini da un involucro comune detto guaina del fascio nerveovascolare, ma nello stesso tempo sono separati gli uni dagli altri da setti connettivali, emanazione della guaina comune: in genere tra i varî elementi del fascio il nervo è quello che occupa la posizione più superficiale. I nervi sono nutriti dai vasa nervorum provenienti dal vaso comes del nervo.
Anastomosi e plessi. - I nervi presentano frequentemente delle anastomosi, che, quando sono multiple, dànno luogo ai plessi. Le anastomosi non sono altro che scambî di fibre tra due nervi vicini o tra i rami di uno stesso nervo. Quando un nervo invia un certo numero di fibre riunite in un fascetto a un nervo vicino, l'anastomosi si dice semplice; quando, invece, due nervi vicini si scambiano reciprocamente due fascetti, l'anastomosi si dice doppia; un'anastomosi doppia molto sviluppata prende il nome di chiasma, com'è il chiasma dei nervi ottici. Quando un fascetto nervoso si stacca da un nervo, si accolla a un altro nervo, decorre con esso per un certo tratto e poi se ne allontana per tornare a unirsi col nervo di origine, l'anastomosi si dice falsa. Un caso speciale di anastomosi è quella ad arcata, la quale si ha quando da due nervi vicini partono rami, che si vengono incontro e si riuniscono formando un'arcata ad ansa; da questa partono rami, che raggiungono il loro territorio di distribuzione; un esempio si ha nell'ansa dell'ipoglosso dalla quale partono i nervi per i muscoli sottoioidei.
I plessi si hanno quando due o più tronchi nervosi vicini si scambiano ripetutamente fasci nervosi in modo da dar luogo a un intreccio o rete più o meno complicata. Alcuni plessi sono formati da nervi grandi e sono preparabili col coltello, p. es. il plesso brachiale, altri sono formati da nervi microscopici e non si possono vedere che con artifici di tecnica microscopica, come il plesso mioenterico della tonaca muscolare dell'intestino. Originariamente ciascun ramo nervoso andava direttamente all'organo al quale era destinato senza incontrarsi con i nervi vicini; in seguito, durante lo sviluppo, siccome i varî organi hanno subito notevoli spostamenti e migrazioni e hanno trascinato seco i rispettivi nervi, questi si sono spostati, allungati e incrociati e hanno dato luogo alla formazione dei plessi. Bisogna rilevare che i plessi nervosi hanno un valore molto differente da quello dei plessi vascolari: in questi ultimi i vasi confluiscono e s'inosculano a pieno canale, per modo che il contenuto di un vaso passa direttamente nell'altro; invece nelle anastomosi e nei plessi nervosi si tratta di un semplice accollamento di fibre, ognuna delle quali conserva la sua indipendenza e individualità e va a finire nell'organo al quale è destinata.
Classificazione dei nervi. - A seconda che i nervi traggono origine dall'encefalo o dal midollo spinale si dividono in encefalici e spinali.
I nervi encefalici (detti anche nervi cranici), che sono in numero di 12 paia, presentano una grande eterogeneità sia per la loro morfologia, sia per la loro funzione, eterogeneità dipendente dal fatto che nella testa si sono sviluppate formazioni speciali, quali sono gli organi di senso specifico e le formazioni branchiali con i loro derivati e al loro servizio si sono posti i varî nervi craniali. Per dimostrare l'eterogeneità dei nervi craniali basti ricordare che il primo paio, cioè l'olfattorio, e il secondo paio, cioè l'ottico, sono propaggini profondamente modificate del cervello e considerati da C. Gegenbaur come nervi speciali; il terzo paio, oculomotore comune, il quarto, patetico, e il sesto, oculomotore esterno, sono nervi puramente motori destinati ai muscoli motori dell'occhio; il quinto paio o trigemino è un nervo misto, ma solo nella terza branca, la quale dà la sensibilità alla pelle della faccia e alle mucose oculare nasale, boccale, mentre con la porzione motrice innerva i muscoli masticatorî; il settimo paio o facciale è un nervo misto, che con la porzione motrice si distribuisce a tutti i muscoli mimici, mentre con la sensitiva dà la sensibilità anche specifica a una parte della lingua; l'ottavo o acustico è un nervo sensoriale; il nono e decimo, cioè il glossofaringeo e il vago, sono misti; l'undecimo e il dodicesimo, cioè lo spinale e l'ipoglosso, sono solo motori (figg. 17-18).
I nervi spinali, che sono in numero di 31 paia, sono invece tutti foggiati sullo stesso tipo e presentano una disposizione metamerica, per cui la descrizione di uno si adatta a tutti gli altri: per comodità di studio sono stati divisi, a seconda delle regioni della colonna da cui escono, in cervicali, dorsali, lombari, sacrali e coccigei. I nervi cervicali sono otto paia e il primo esce fra l'atlante e l'occipitale, l'ottavo fra la 7ª vertebra cervicale e la prima toracica; i nervi toracici sono 12 paia e ciascuno di essi emerge al disotto della vertebra corrispondente; i nervi lombari sono in numero di 5 paia e altrettanti i sacrali; i nervi coccigei sono ridotti a un solo paio (fig. 21).
Costituzione di un nervo spinale. - Ogni nervo spinale risulta dall'unione di due radici, una posteriore sensitiva e una anteriore motrice. La radice posteriore o dorsale si divide in un certo numero di radicole che entrano nel midollo per il solco collaterale postetiore; nel decorso di questa radice si trova un rigonfiamento più o meno fusato, dovuto a un accumulo di cellule gangliari, le quali formano il ganglio spinale o intervertebrale. Le radici anteriori, che, fatta eccezione per il primo nervo cervicale, sono più piccole delle corrispondenti posteriori, risultano ciascuna dalla confluenza di un certo numero di radicole, le quali emergono dalla zona radicolare anteriore del midollo spinale. Le radici dei primi tre nervi cervicali hanno una direzione trasversale, quelle dei nervi successivi presentano una obliquità diretta verso l'estemo e verso il basso, la quale aumenta a mano a mano che si scende verso la regione coccigea, in modo che le ultime lombari e le sacrali presentano una direzione quasi verticale e formano col loro insieme un ciuffo al quale gli antichi diedero il nome di cauda equina. Ogni nervo spinale, risultando dall'unione di una radice sensitiva e di una motrice, è un nervo misto, esso attraversa il foro di coniugazione e, uscito dallo speco vertebrale, si divide in tre branche pure esse miste, una dorsale, una ventrale e una viscerale. La branca dorsale o posteriore, che è di grandezza intermedia tra le altre due, si dirige verso l'indietro passando nello spazio tra due apofisi trasverse contigue e si distribuisce ai muscoli della doccia vertebrale e alla cute che li ricopre. La branca ventrale, che è la più grande, provvede i muscoli e la cute delle regioni ventrali e dei loro derivati, cioè degli arti. La branca viscerale, che è la più piccola, si porta al cordone limitrofo del simpatico e viene comunemente indicata col nome di ramo comunicante. La divisione dei nervi spinali avviene per solito all'uscita dei forami di coniugazione; fanno eccezione i nervi sacrali e il coccigeo, che si dividono entro il canale sacrale (figg. 19, 20 e 21).
I nervi spinali ci presentano una disposizione segmentale; non bisogna credere però che questa disposizione si verifichi nel senso più assoluto della parola, cioè che ogni nervo spinale si distribuisca solo ai muscoli e alla cute del corrispondente segmento; infatti, siccome ogni muscolo risulta dalla confluenza di bottoni derivati da più miomeri, dovrà stare sotto il dominio di più neuromeri così pure ogni segmento cutaneo dermatomero, sta sotto il dominio di tre segmenti, per modo che, se si vuole renderlo anestetico, non basta tagliare la radice posteriore corrispondente a quel segmento, ma occorre recidere pure la radice sensitiva soprastante e quella sottostante. Generalmente esiste una corrispondenza tra l'innervazione di un territorio muscolare e quella del territorio cutaneo che lo ricopre, ma questa corrispondenza non è perfetta come era stabilito dalla legge di Meyer.
Cenni embriologici e anatomocomparati. - Le fibre radicolari anteriori, motrici, già alla fine del primo mese della vita embrionale si presentano come una emanazione delle cellule nervose embrionali, neuroblasti, della parte ventrale dello strato inguainante del midollo spinale. I prolungamenti cilindrassili di queste cellule si dirigono ventralmente ed emergono dal midollo, in corrispondenza della zona radicolare anteriore, riunite in fascetti, un certo numero dei quali confluendo forma una radice anteriore: vi sono però alcune fibre motrici che si dirigono dorsalmente, escono per il solco collaterale posteriore e raggiungono il loro destino camminando tra le fibre sensitive; furono dette fibre motrici delle radici dorsali. Le fibre radicolari posteriori sono invece un'emanazione delle cellule gangliari, che si formano a spese della cresta neurale e quindi al di fuori del midollo spinale; i prolungamenti cilindrassili di queste cellule si dirigono verso la parte postero-laterale del midollo spinale e vi penetrano in corrispondenza del solco collaterale posteriore. Più tardi queste cellule emettono un altro prolungamento, il periferico, che va ad accollarsi alla radice ventrale già formata e costituisce così il nervo misto; nello stesso tempo scompaiono i ponti intergangliari della cresta neurale e ogni ganglio diviene indipendente dai vicini. Negli embrioni umani di 9 a 10 mm. di lunghezza ogni nervo spinale ha acquistato la sua costituzione tipica e mostra la divisione in tre branche. Successivamente si manifesta la tendenza delle branche anteriori a unirsi per mezzo di anastomosi o anse intersegmentali e questa tendenza raggiunge il massimo sviluppo nelle regioni cervicale, lombare e sacrale: si formano così i plessi.
Esaminando la serie dei vertebrati noi troviamo una notevole uniformità nella costituzione dei nervi spinali: si può solo rilevare che nei vertebrati più bassi, Ciclostomi, Selaci e Ganoidi, le radici anteriori e posteriori di un nervo spinale non emergono nello stesso piano trasversale, presentando una disposizione alternata.
Branche dorsali dei nervi spinali. - Le branche dorsali dei nervi spinali presentano un comportamento più semplice e più uniforme di quello delle branche ventrali per il fatto che la parte dorsale del corpo dei Vertebrati ha una costituzione più semplice di quella ventrale e ha subito minori rimaneggiamenti. Le branche posteriori o dorsali sono destinate a innervare i muscoli dorsali propriamente detti, cioè quelli derivati dai campi dorsali della muscolatura embrionale, e la cute che li ricopre. Ciascuna branca dorsale, dirigendosi verso l'indietro, passa tra due apofisi trasverse, medialmente al legamento intertrasversario, lateralmente al collo dell'apofisi articolare inferiore della vertebra sovrastante, si avanza tra i muscoli, che occupano la doccia vertebrale, e si divide in un ramo mediale e in uno laterale. Il ramo mediale, dopo aver dato alcuni rametti muscolari, giunge presso l'apice dell'apofisi spinosa corrispondente e si distribuisce alla cute prossima a questa apofisi. Il ramo laterale, dopo aver dato rametti muscolari, giunge alla cute presso a poco a livello dell'apice delle apofisi trasverse e si distribuisce alla pelle del dorso posta lateralmente a questa apofisi. Il campo di distribuzione cutanea di tutte queste branche posteriori ha una forma piuttosto irregolare ed è limitato lateralmente da una linea spezzata. Questa linea partendo dal vettice passa in corrispondenza della parte media della linea curva occipitale superiore, costeggia il margine laterale del muscolo trapezio fino all'acromion; ivi s'inclina medialmente fino all'angolo inferiore della scapola; di qui scende quasi verticalmente fino al grande trocantere per portarsi poi alla punta del coccige, descrivendo una curva a concavità laterale. Si vede facilmente che in questa distribuzione il territorio cutaneo è più esteso del corrispondente territorio muscolare.
Tra le branche dorsali, che si allontanano maggiormente da questo comportamento tipico, ricordiamo: quella del primo nervo cervicale composta quasi esclusivamente di fibre motrici, che si distribuiscono ai due retti posteriori e ai due obliqui del capo, nonché al grande complesso; quella del secondo nervo cervicale è prevalentemente sensitiva e dà origine al grande nervo occipitale, che si distribuisce alla cute dell'occipite giungendo fino in vicinanza della sutura coronale. Bisogna inoltre ricordare che le branche posteriori dei primi tre nervi cervicali si scambiano delle anastomosi, le quali formano nell'interstizio fra il muscolo splenio e il complesso una rete, che fu chiamata da L. M. Hirschfeld plesso cervicale superficiale posteriore; qualche cosa di simile si ha pure per le branche dorsali dei nervi sacrali, che dànno origine al cosiddetto plesso sacrale posteriore.
Branche ventrali dei nervi spinali. - Le branche ventrali sono destinate a innervare i muscoli derivati dai campi ventrali della muscolatura embrionale e la cute che li ricopre. Nella regione toracica questi nervi presentano il comportamento più semplice, avendo conservato la loro disposizione primitiva segmentale; invece nelle altre regioni, nelle quali dai primitivi campi muscolari si sono staccati numerosi bottoni destinati a formare la muscolatura degli arti, le branche in parola presentano notevoli spostamenti e incroci e formano delle reti o plessi, cioè il plesso cervicale, il brachiale, il lombare e il sacrococcigeo (fig. 21).
a) Le branche anteriori o ventrali dei nervi toracici, dette anche nervi intercostali (nn. intercostales) perché decorrono negli spazî intercostali insieme con i vasi omonimi, sono destinate a innervare i muscoli proprî del torace, i muscoli dell'addome e la cute sovrastante a questi muscoli. I muscoli innervati dai nervi intercostali sono i mm. intercostali esterni e interni, i sopracostali, i sottocostali, i due piccoli dentati, il triangolare dello sterno, il grande retto dell'addome, il piramidale, i tre muscoli larghi dell'addome e la parte più periferica del diaframma, il quale però ha pure un nervo proprio, che è il frenico derivante dal plesso cervicale. Il comportamento non è perfettamente uguale in tutti i nervi intercostali, ma si può considerare come tipico il seguente: il nervo intercostale nel principio del suo decorso occupa il mezzo dello spazio intercostale, essendo situato tra il muscolo intercostale esterno e la fascia endotoracica; arrivato all'angolo costale si avvicina al margine inferiore della costola sovrastante e s'insinua in uno sdoppiamento dei fasci superiori di origine del muscolo intercostale interno, ma poi nella parte anteriore del torace si pone nuovamente nel mezzo dello spazio intercostale tra il muscolo intercostale esterno e interno; durante il suo decorso, oltre a innervare i due intercostali e il sopracostale corrispondente, dà rami agli altri muscoli toracici precedentemente enumerati, che si trovano nel suo distretto e inoltre manda due rami cutanei, che si dicono perforanti, uno laterale e uno anteriore. Il n. perforante laterale si origina poco al dinnanzi dell'angolo costale, ma diventa sottocutaneo solo al davanti della linea ascellare, ove si divide in due rami diretti orizzontalmente uno verso l'innanzi e l'altro verso l'indietro: questi rami dànno la sensibilità al corrispondente segmento della parete laterale del torace e dell'addome. I nn. perforanti anteriori attraversano il legamento corruscante e nella metà superiore del torace anche il muscolo grande pettorale e si dividono ciascuno in un ramo diretto medialmente, che raggiunge la linea mediana e in un ramo diretto lateralmente, che innerva la cute della porzione laterale della parete anteriore del torace (fig. 22).
b) Plesso cervicale (plexus cervicalis). - Questo plesso risulta dalle anastomosi delle branche anteriori dei primi quattro nervi cervicali ed è situato lateralmente al muscolo grande retto del capo, al lungo del collo e alle origini dello scaleno anteriore, medialmente ai fasci superiori dello splenio, dell'angolare e dello scaleno medio; esso emette numerosi rami, una parte dei quali si distribuisce alla pelle e forma il plesso cervicale superficiale, mentre gli altri sono destinati ai muscoli e formano il plesso cervicale profondo. Il plesso cervicale superficiale dà la sensibilità alla pelle della regione mastoidea, di parte dell'orecchio, della regione parotidea, delle regioni anterolaterali del collo e della porzione anterolaterale del moncone della spalla: per solito la distribuzione avviene per mezzo di cinque rami, che sono il n. mastoideo (n. occipitalis minor), l'auricolare (n. auricularis magnus), il cervicale trasverso (n. cutaneus colli), il sopraclavicolare (n. sopraclaviculans) e il sopraacromiale (n. supraacromialis). Il plesso cervicale profondo fornisce rami muscolari e anastomotici. I rami muscolari vanno ai muscoli lungo del collo, grande e piccolo retto anteriore del capo, al retto laterale del capo, a porzione dello sternocleidomastoideo e del trapezio, essendo questi due muscoli innervati pure dall'undecimo paio dei nervi craniali, al romboideo, all'angolare, agli scaleni, al diaframma e ai muscoli sottoioidei. Tra questi nervi meritano speciale considerazione quello che va al diaframma e quelli per i muscoli sottoioidei. Il nervo per il diaframma, n. frenico (n. phrenicus), scende lungo il collo scorrendo sopra il m. scaleno anteriore, attraversa il torace passando tra il pericardio e la pleura mediastinica; raggiunto il diaframma, vi si distribuisce formando nella sua faccia inferiore una rete, plesso diaframmatico: alcuni rami di questo plesso penetrano nel legamento sospensore del fegato e raggiungono la faccia superiore di quest'organo. L'innervazione dei muscoli sottoioidei avviene in un modo abbastanza complicato: dal plesso cervicale scende un ramo, che cammina poco dietro il fascio nerveovascolare del collo, e si dice ramus descendens cervicalis; questo si anastomizza con un nervo detto ramus descendens hypoglossi, che apparentemente viene dal nervo ipoglosso, ma che di fatto risulta di fibre nervose originatesi pure esse dal plesso cervicale, le quali si sono temporaneamente annesse all'ipoglosso; dall'anastomosi dei due rami discendenti risulta un'ansa nervosa, ansa dell'ipoglosso, la quale dà origine a tre rami per i muscoli omoioideo, sternoioideo e sternotiroideo. I rami anastomotici riuniscono il plesso cervicale col ganglio cervicale superiore del simpatico (rami comunicanti), col nervo vago e con l'ipoglosso (fig. 23).
c) Plesso brachiale (plexus brachialis). - Questo plesso risulta dalle anastomosi delle branche anteriori degli ultimi quattro nervi cervicali e del primo toracico: ha una forma triangolare, occupa la regione sopraclavicolare e la parte apicale del cavo ascellare, riposa sul muscolo scaleno medio. Dà origine a numerosi rami, che comunemente sono divisi in collaterali e terminali: seguendo la classificazione di M. Fürbringer possono essere divisi in quattro gruppi che, andando dalla faccia dorsale alla ventrale, sono:1. i nervi per la parte dorsale della cintura scapolare; 2. i nervi per la parte dorsale della porzione libera dell'arto superiore; 3. i nervi per la parte ventrale della porzione libera dell'arto superiore; 4. i nervi per la parte ventrale della cintura scapolare. I nervi del primo gruppo sono l'angolare e il romboideo (n. dorsalis scapulae), il grande dentato (n. thoracalis longus), i sottoscapolari (nn. subscapulares), il grande rotondo (n. subscapularis medius), il grande dorsale (n. thoracodorsalis) e il circonflesso (n. axillaris). I nervi del quarto gruppo sono il soprascapolare (n. suprascapularis), il succlavio (n. subclavius), il grande e il piccolo pettorale (nn. thoracales anteriores). La porzione libera dell'arto superiore dorsalmente è innervata da un unico nervo, dal radiale (n. radialis), mentre ventralmente è innervata dal mediano (n. medianus), dal muscolocutaneo (n. muscolo-cutaneus), dal cubitale (n. ulnaris), dal cutaneo brachiale interno (n. cutaneus antibrachii medialis) e dal suo accessorio (n. cutaneus brachii medialis); bisogna rilevare che, mentre i rami muscolari di tutti questi nervi non oltrepassano la parte estensoria o flessoria rispettivamente a essi assegnata, i nervi sensitivi della superficie flessoria oltrepassano il loro territorio e si estendono alquanto sulla faccia dorsale. Il nervo radiale innerva i muscoli estensori dell'avambraccio, della mano e delle dita, il muscolo corto supinatore e dà la sensibilità alla faccia dorsale del braccio, dell'avambraccio, della metà laterale del dorso della mano e delle dita, nelle quali però non oltrepassa la prima falange. Il n. muscolo-cutaneo innerva il muscolo coracobrachiale e i due flessori dell'avambraccio, cioè il bicipite e il brachiale anteriore, dando poi la sensibilità alla cute della parte laterale dell'avambraccio ove prende il nome di n. cutaneus antibrachii lateralis. Il mediano innerva i due m. pronatori, il grande e piccolo palmare, il flessore comune superficiale delle dita, il lungo flessore del pollice, la parte laterale del flessore comune profondo, i muscoli dell'eminenza tenar, meno l'adduttore del pollice, e i due primi lombricali: i suoi rami sensitivi provvedono alla cute della metà laterale della palma della mano e dànno sette collaterali palmari, cioè due per ciascuno dei primi tre diti e la collaterale radiale del quarto dito. Il nervo cubitale innerva il m. cubitale anteriore, la porzione ulnare del flessore comune profondo, tutti i muscoli dell'eminenza ipotenar, i due ultimi lombricali, tutti e sette gl'interossei e l'adduttore del pollice; i suoi rami cutanei si distribuiscono alla cute dell'eminenza ipotenar, dànno tre collaterali palmari, cioè due al mignolo e la cubitale all'anulare, innervano la cute della metà cubitale del dorso della mano e forniscono cinque collaterali dorsali delle dita, cioè due al mignolo, due all'anulare e una, la cubitale, al medio. Il nervo cutaneo brachiale interno si distribuisce alla cute della parte cubitale dell'avambraccio. Il suo accessorio si distribuisce alla cute della faccia mediale del braccio (figg. 24-30).
d) Plesso lombare (plexus lumbalis). - Questo plesso risulta dalle anastomosi delle branche anteriori dei primi tre nervi lombari e di parte del quarto; talora riceve pure un rametto dall'ultimo intercostale e questo si chiama n. dorsolombare. Questo plesso ha la forma di un triangolo, è compreso nello spessore del muscolo psoas o meglio tra le due porzioni, la costiforme e la vertebrale, che entrano nella costituzione di questo muscolo, perciò i rami da esso emanati emergono dalla superficie del muscolo stesso. I nervi dati dal plesso lombare si dividono in collaterali e terminali: i collaterali sono: il nervo per il quadrato dei lombi, per il grande e piccolo psoas, il n. ileoipogastrico (n. iliohypogastricus), ileoinguinale (n. ilioinguinalis), genitocrurale (n. genitofemoralis), femorocutaneo laterale (n. cutaneus femoris lateralis); i rami terminali sono due, il n. crurale (n. femoralis) e l'otturatorio (n. obturatorius). I due nervi ileoipogastrico e ileoinguinale contribuiscono all'innervazione dei muscoli larghi dell'addome, del grande retto e del piramidale, dànno inoltre rami cutanei alla parte esterna della natica, alla regione inguinale, alla pubica e talora anche alla parte anteriore delle borse. Il nervo genitocrurale dà la sensibilità alla parte superomediale della faccia anteriore della coscia e alla porzione anteriore delle borse o delle grandi labbra. Il nervo femorocutaneo esterno innerva la cute della porzione supero-esterna delle natiche e della faccia antero-esterna della coscia. Il nervo crurale, che è il tronco più voluminoso del plesso lombare, emerge dal solco tra il muscolo psoas e l'iliaco e, dopo aver dato rami a questi due muscoli, passa sotto l'arcata femorale per la lacuna muscolorum e si divide in quattro rami terminali, che sono il n. muscolo-cutaneo interno, il n. muscolo-cutaneo esterno, il n. del quadricipite e il n. grande safeno: questi rami innervano i seguenti muscoli: sartorio, quadricipite femorale, pettineo e parte del primo adduttore; dànno la sensibilità alla cute della parte anterointerna della coscia, della faccia interna della gamba e della parte mediale del dorso del piede fino alla base del primo metatarso. Il nervo otturatorio è chiamato così perché, passando per la doccia sottopubica, attraversa il foro otturatorio: penetrato così nella coscia innerva il m. otturatore esterno, i tre adduttori, il gracile e contribuisce all'innervazione cutanea della faccia interna della coscia fino al ginocchio (figg. 31, 33 e 34)
e) Plesso ischiococcigeo. - Per comodità di studio questo plesso è suddiviso in tre plessi cioè: l'ischiatico, il pudendo e il coccigeo (fig. 32).
1. Il plesso ischiatico o sacrale si forma nel seguente modo: una parte della branca anteriore del quarto nervo lombare unendosi con la branca anteriore del quinto forma il tronco lombosacrale, il quale alla sua volta si unisce con le branche anteriori dei primi tre nervi sacrali; bisogna però notare che il secondo e terzo nervo sacrale vi contribuiscono solo in parte e con il resto partecipano alla formazione del plesso pudendo. Il plesso ischiatico ha una forma triangolare, è situato nell'escavazione pelvica e poggia sulla faccia anteriore del muscolo piramidale: manda rami che si distribuiscono alla cintura pelvica e alla porzione libera dell'arto inferiore. I rami per la cintura pelvica sono sei, cioè: il n. per il muscolo otturatore interno, il n. per il gemello superiore, il n. per il gemello inferiore e quadrato femorale, il n. per il piramidale, il n. gluteo superiore (n. glutaeus superior), che innerva il m. piccolo e medio gluteo e il tensore della fascia lata, il n. gluteo inferiore (n. glutaeus inferior), che si distribuisce al m. grande gluteo. I nervi per la porzione libera dell'arto inferiore sono il cutaneo femorale posteriore (n. cutaneus femoris posterior) e lo sciatico (n. ischiadicus). Il nervo cutaneo femorale posteriore contribuisce all'innervazione della pelle, che copre il grande trocantere, la regione perineale e i genitali e indi si distribuisce alla cute della regione posteriore della coscia e del ginocchio, arrivando anche nella gamba fin presso il polpaccio. Il n. sciatico è il più voluminoso dell'economia umana e innerva tutti i muscoli e i distretti cutanei dell'arte inferiore, salvo quelli che stanno sotto la dipendenza del crurale e dell'otturatore. Questo nervo scende, camminando profondamente, lungo il mezzo della regione posteriore della coscia, innervando i muscoli di questa regione e una piccola parte del grande adduttore, finché, arrivato presso l'apice della regione poplitea, si divide in due rami: n. sciaticopopliteo esterno (n. peronaeus communis) e interno (n. tibialis). Lo sciaticopopliteo esterno, dati due rami cutanei per la faccia postero-esterna della gamba, si suddivide in n. peroneo profondo e superficiale: il n. peroneo profondo innerva i muscoli della regione anteriore della gamba poi, sceso sul dorso del piede, provvede al m. pedidio e, anastomizzandosi coi nervi cutanei dorsali del piede, contribuisce a innervare la cute dorsale delle superficie contrapposte del 1° e 2° dito. Il n. peroneo superficiale innerva i due muscoli peronei, al terzo inferiore della gamba diviene superficiale e termina con due rami, n. cutaneo dorsale interno e medio del piede, che provvedono all'innervazione del dorso del piede e delle sue dita, eccetto la parte più laterale. Il n. sciaticopopliteo interno attraversa perpendicolarmente il cavo popliteo, innervandone i muscoli e dando un ramo cutaneo, che giunge fino alla parte laterale del dorso del piede, indi attraversa l'anello del m. soleo e prende il nome di n. tibiale posteriore; questo nervo decorre profondamente nella regione posteriore della gamba innervandone i muscoli, finché, giunto dietro il malleolo interno, si divide in n. plantare laterale (n. plantaris lateralis) e mediale (n. plantaris medialis). Come il n. tibiale posteriore può considerarsi risultante dall'unione di due nervi corrispondenti al mediano e cubitale, così il plantare interno si può omologare al mediano e il plantare laterale al cubitale: i rami dati dai due plantari nella pianta del piede corrispondono a quelli dati dal n. mediano e cubitale nella palma della mano.
2. Il plesso pudendo provvede all'innervazione degli organi genitali e della parte terminale del tubo digerente: è formato principalmente dalla branca anteriore del 4° nervo sacrale, alla quale si unisce una parte della branca anteriore del 2° e del 3°. Il plesso riposa sui muscoli elevatore dell'ano e ischiococcigeo e, oltre a fornire rami a questi due muscoli, agli organi contenuti nel piccolo bacino, allo sfintere anale e alla cute perianale, dà un nervo importantissimo, il pudendo interno (n. pudendus): questo nervo, uscito dal bacino per la grande incisura ischiadica e rientratovi attraverso la piccola, si divide in due rami: n. perineale (n. perinei) e n. dorsale della verga (n. dorsalis penis). Il n. perineale si distribuisce alla pelle del perineo, della parte posteriore delle borse o delle grandi labbra, alla parte anteriore dello sfintere anale, ai muscoli trasverso superficiale, ischiocavernoso e bulbocavernoso, ai corpi cavernosi, al corpo spugnoso e alla mucosa dell'uretra. Il n. dorsale della verga innerva il muscolo trasverso profondo e lo sfintere uretrale, contribuisce all'innervazione dei corpi cavernosi e dà la sensibilità a tutta la verga.
3. Il plesso coccigeo risulta dall'anastomosi delle branche anteriori del 5° nervo sacrale e del 1° coccigeo: fornisce rami al plesso ipogastrico, al m. ischiococcigeo, e alla cute situata in vicinanza della punta del coccige e dell'orificio anale.
L'esatta conoscenza della distribuzione dei singoli nervi ai muscoli e alla cute è di grande interesse per l'anatomico e anche per il patologo, perché permette di determinare con assoluta certezza quale nervo sia leso, appena si sia stabilito quali muscoli siano paralizzati e quali zone cutanee abbiano perduto la loro sensibilità.
Per comodità dei clinici sono state compilate delle tabelle nelle quali i muscoli sono raggruppati a seconda dei nervi motori che in essi terminano, e si sono disegnate delle figure, nelle quali la superficie del corpo è divisa in aree di diverso colore, ognuna delle quali corrisponde a un determinato nervo cutaneo (figure 25-30; 34)
Molte volte invece la lesione non interessa il nervo dopo la sua uscita dal plesso, ma i tronchi nervosi, che entrano nella costituzione del plesso medesimo; in tal caso è necessario ricordare da quali radici traggono origine le fibre, che costituiscono ciascun nervo motore e sensitivo. Anche per questo riguardo sono state fatte delle tabelle, nelle quali ai muscoli sono stati aggiunti dei numeri, che indicano quali radici ventrali provvedono alla loro innervazione. Sono state inoltre disegnate delle speciali figure, nelle quali la superficie del corpo è divisa in tanti campi, ognuno dei quali corrisponde a una determinata radice dorsale (fig. 7).
Fisiologia. - La funzione del sistema nervoso periferico è quella della conduzione degl'impulsi nervosi o dello stato di eccitamento da una parte a un'altra dell'organismo. Tale conduzione si compie tanto fra il sistema nervoso centrale e la periferia del corpo (donde il suo nome), quanto, nel sistema nervoso centrale stesso, tra le singole parti di questo, p. es. tra midollo spinale e corteccia cerebrale, tra cervelletto e midollo allungato, ecc. L'elemento che serve alla conduzione nervosa è costituito dalla fibra nervosa (v. nervoso, tessuto).
Qui ci occuperemo solo della conduzione periferica, per quanto la fisiologia di quest'ultima sia fondamentalmente uguale a quella delle fibre esistenti nel sistema nervoso centrale.
La conduzione periferica si compie in due direzioni, o verso il sistema nervoso centrale (asse cerebro spinale, cioè midollo spinale ed encefalo, nei Vertebrati, sistema gangliare, negl'Invertebrati) o partendo da questo verso la periferia. Nel primo caso, in cui l'eccitamento parte dagli organi recettori o di senso, si parla di conduzione centripeta o sensitiva nel secondo caso l'eccitamento va agli organi di esecuzione, vale a dire ai muscoli e alle ghiandole e tale conduzione prende allora la denominazione di centrifuga (motrice o secretrice).
Le fibre mieliniche che servono alla conduzione centripeta vanno direttamente dall'organo recettore al sistema nervoso centrale e hanno la loro cellula di origine (v. nervoso, tessuto) lungo il loro decorso, in particolari organi distinti del sistema nervoso centrale, nei ganglî spinali, per le fibre che fanno capo al midollo spinale, in ganglî particolari per le fibre dei nervi encefalici (p. es. ganglio di Gasser per il n. trigemino).
La conduzione centrifuga ai muscoli volontarî si compie pure direttamente per mezzo di fibre, che nascono da cellule esistenti nella sostanza grigia di alcune parti dell'encefalo e nelle corna anteriori del midollo spinale (v.) e che terminano nei muscoli per mezzo di particolari diramazioni che si mettono in contatto con la fibra muscolare (giunzione neuromuscolare). La conduzione dal sistema nervoso centrale ai muscoli involontarî (muscoli lisci) esistenti nelle pareti dei visceri, nelle pareti dei vasi sanguigni e in alcuni organi di senso (p. es. nell'iride) e quella alle ghiandole, si fa attraverso fibre che si originano pure nel sistema nervoso centrale da cellule ivi esistenti, ma che finiscono intorno a cellule nervose riunite in particolari organi (ganglî simpatici o parasimpatici) o sparse nella compagine dei singoli organi viscerali. Tali fibre (mielinizzate) si dicono fibre pregangliari. Dalle cellule suddette partono poi altre fibre amieliniche dette postgangliari, che vanno ai muscoli lisci o alle ghiandole, dove terminano e con cui si mettono in rapporto per mezzo di giunzioni neuro-muscolari o neuro-ghiandolari.
Le fibre nervose non decorrono isolate dai centri alla periferia, ma unite in fasci detti nervi periferici, costituiti o da sole fibre a conduzione centripeta (nervi sensitivi) o da sole fibre motrici (n. motori) o da ambedue i generi di fibre (n. misti). Le fibre costituenti un nervo possono far capo a segmenti diversi, ma vicini, del sistema nervoso centrale. In vicinanza di quest'ultimo, i varî sistemi di fibre costituenti il nervo si separano e raggiungono singolarmente l'organo centrale in particolari aggruppamenti, detti radici nervose, costituito ciascuno da fibre conducenti tutte nella stessa direzione. Anche alla periferia le singole fibre abbandonano il nervo per terminare in rapporto agli organi recettori, ai muscoli volontarî o alle cellule gangliari di cui si è detto, e da cui partono le fibre postgangliari destinate ai muscoli lisci o involontarî e alle ghiandole.
I nervi periferici si distinguono in due gruppi, a seconda della loro origine dalle due grandi sezioni del sistema nervoso centrale, il midollo spinale e l'encefalo, e cioè in n. midollari e n. cranici o encefalici; tutti i nervi sono pari, cioè in numero eguale a destra e a sinistra.
I n. midollari mettono in rapporto i singoli segmenti del midollo (metameri) con particolari segmenti del corpo, e cioè con segmenti muscolari (miotomi) per ciò che riguarda l'innervazione motrice e con segmenti cutanei (dermatomi) per quanto concerne quella sensitiva. Ciò è molto evidente p. es. nei Pesci e negli embrioni dei Vertebrati superiori. Nell'uomo adulto l'evidenza si mantiene p. es. per il torace, dove ogni segmento della porzione dorsale del midollo innerva grosso modo i muscoli e la cute corrispondente a uno spazio intercostale. Per gli arti, lo sviluppo di questi durante la vita embrionale, maschera, senza abolirla, questa metameria (fig. 35).
Le fibre che costituiscono i nervi midollari nascono dalle radici spinali. Queste costituiscono due paia per ciascun segmento midollare, un paio di radici anteriori (destra e sinistra) e un paio di radici posteriori.
La funzione delle radici anteriori e posteriori è diversa: mentre queste ultime contengono solo fibre a conduzione centripeta - e si dicono perciò radici sensitive - quelle anteriori sono motrici, cioè contengono solo fibre centrifughe (legge di Bell e Magendie). L'interruzione della radice posteriore dà anestesia nel relativo campo d' innervazione periferica (cioè nel territorio in cui si distribuiscono le fibre interrotte), la lesione delle radici anteriori determina la paralisi nei muscoli a cui vanno le fibre provenienti dalle radici stesse. Inoltre, se dopo il taglio di una radice posteriore si porta uno stimolo sul moncone periferico della stessa, non si ha alcun effetto visibile; se invece si eccita il moncone centrale, si provoca dolore. Per contro, dopo il taglio delle radici anteriori l'eccitamento del moncone centrale è senza effetto, quello del moncone periferico determina una contrazione muscolare.
Analogamente per i nervi cranici misti le radici motrici e quelle sensitive sono distinte, per quanto non presentino, come quelle midollari, una disposizione così schematica.
Composizione chimica del nervo. - L'acqua è contenuta nelle proporzioni dal 61 al 66% circa. In 100 parti di residuo secco del nervo sciatico dell'uomo si hanno:
Tra fibre amieliniche e mieliniche esistono differenze, specie nelle sostanze solubili in etere, benzolo, ecc. (sostanze lipoidee), come risulta dalla tabella seguente:
Funzioni fondamentali della fibra nervosa. - Le proprietà fondamentali del nervo sono: l'eccitabilità e la conduttività. Il nervo per azione di uno stimolo, entra in eccitamento, e questo si propaga lungo il nervo. Per stimolo s'intende quell'agente fisico o chimico che è capace di portare una modificazione nello stato di equilibrio di un elemento vitale, determinando il passaggio dallo stato di riposo a quello di attività (eccitamento) o dallo stato di attività a quello di riposo. Non tutte le forme di energia possono agire da stimolo, e in ogni modo devono raggiungere una certa intensità, detta soglia dello stimolo, al di sotto della quale sono inefficaci.
La capacità di reagire a uno stimolo, si dice eccitabilità.
L'eccitamento del nervo non si arresta al punto sul quale lo stimolo viene portato, ma si propaga lungo la fibra nervosa: il nervo cioè conduce l'eccitamento da un punto all'altro del proprio decorso. Questo fenomeno si dice conduzione, e la proprietà di condurre l'eccitamento costituisce la conduttività. Questa presuppone l'integrità anatomica e fisiologica del nervo: infatti essa è abolita non solo per il taglio del nervo, ma anche per una sua moderata compressione, per la narcosi di un suo breve tratto o con la perfrigerazione. Eccitamento e conduzione sono accompagnati da processi chimici e da fenomeni elettrici.
La conduzione nervosa è regolata dalle due leggi: 1. della conduzione isolata; 2. della conduzione indifferente o reciproca.
La legge della conduzione isolata ci dice che nel nervo integro l'eccitamento non passa mai da una fibra a un'altra vicina, che cioè si propaga solo lungo la fibra che è stata eccitata dallo stimolo.
La legge della conduzione indifferente afferma che la conduzione avviene in ogni fibra dal punto colpito dall'eccitamento nei due sensi centripeto e centrifugo, e ciò tanto nelle vie sensitive quanto in quelle motrici.
Tra i molti fatti che dimostrano questa legge, ricorderemo che eccitando uno solo dei ramuscoli terminali in cui si divide la fibra nervosa che va all'organo elettrico di un pesce elettrico, il Malapterurus, tutto l'organo elettrico si scarica, il che implica una conduzione dell'eccitamento dal ramuscolo terminale alla fibra da cui tutti gli altri si partono, cioè in direzione contraria a quella dell'eccitamento normale (conduzione antidromica). La prova più dimostrativa della legge è data dal fatto che, portando uno stimolo sul decorso di un nervo, si dimostra da ambo le parti del punto eccitato la presenza di quelle correnti elettriche (correnti d'azione) che accompagnano lo stato di eccitamento.
Un'altra caratteristica della funzione del sistema nervoso periferico è formulata nella legge dell'effetto costante dell'eccitamento. Se eccitiamo un determinato nervo, vediamo che l'effetto dell'eccitamento è sempre costante, qualunque sia la natura dello stimolo portato sul nervo, purché esso sia sufficiente.
Così, se portiamo una corrente elettrica sul nervo ottico, avremo una sensazione luminosa e l'avremo pure se ecciteremo il nervo ottico per mezzo della pressione sul bulbo oculare; se eccitiamo un organo destinato a ricevere la sensazione di caldo, anche con un ago freddo, noi avremo una sensazione di calore. Parimenti eccitando un nervo motore, abbiamo sempre lo stesso movimento per effetto dei varî eccitamenti.
Tutti questi fatti stanno a indicare che l'eccitamento del nervo determina un effetto costante. La legge relativa, che va anche sotto il nome oramai non più accettabile di legge dell'energia specifica (J. Müller), dipende unicamente dalla natura degli organi terminali periferici di esecuzione, o centrali, cioè quelli a cui va la normale conduzione nervosa.
Velocità dell'agente nervoso o velocità di conduzione. - La velocità con cui l'impulso nervoso o stato di eccitamento si propaga lungo il nervo, viene espressa in metri per secondo. Le prime ricerche di H. v. Helmholtz sui nervi di rana misero in luce che la velocità è piccola rispetto alla massima parte delle velocità di propagazione delle onde fisiche. Esistono però notevoli differenze nella velocità della conduzione, nei nervi dei vari animali e anche nelle diverse specie di nervi di uno stesso animale.
Così fu trovato per il nervo vago di mammifero una velocità di 60 m. /s., per i nervi di rana velocità varie da 8 a 27 m./s., nei nervi di marmotta ibernante 1 m./s., nei nervi del mantello dei Cefalopodi o,004 a 0,01. Secondo A. J. Carlson, la velocità di conduzione dei nervi motori è tanto maggiore quanto più grande è la velocità di contrazione dei rispettivi muscoli. Nell'uomo, la velocità di conduzione nervosa nei nervi sensitivi è stata trovata di 120 m./s. In genere non esistono differenze sostanziali nella velocità di conduzione tra i nervi motori e i sensitivi corrispondenti. Da più recenti ricerche risulta che la velocità di conduzione è diversa nelle singole fibre di un nervo e cresce proporzionalmente allo spessore delle fibre stesse.
La velocità della conduzione nervosa viene modificata da diversi fattori: dal passaggio di una corrente elettrica per il nervo, da tutte le cause che portano a una lesione del nervo, come la compressione, la narcosi, l'asfissia. La velocità stessa cresce entro certi limiti con la temperatura.
Ricambio del nervo. - I nervi dei Vertebrati, e specialmente quelli dei Mammiferi, abbisognano per la loro funzione della presenza di ossigeno. Nell'assenza di questo, l'eccitabilità scompare, dopo un breve periodo di aumentata eccitabilità, per ricomparire poi per nuova somministrazione di ossigeno. Il nervo, inoltre, durante la sua attività, produce anidride carbonica. I valori assoluti del consumo di ossigeno e della produzione dell'anidride carbonica sono estremamente variabili nei diversi nervi e aumentano notevolmente fino al 400%, passando dallo stato di riposo a quello di attività.
Il quoziente respiratorio del nervo dimostra che durante il riposo l'ossigeno viene utilizzato specialmente per la combustione dei grassi, nell'attività per quella degl'idrati di carbonio. Durante lo stato di attività del nervo, si ha in esso formazione di acido lattico a spese del glucosio, quando il nervo sia mantenuto in ambiente di azoto. Lo stato di eccitamento non provoca aumento nella produzione dell'acido lattico, ma aumento nel consumo del glucosio. Tanto nel riposo quanto nell'attività, il nervo consuma sostanza azotata e durante l'eccitamento tre volte più che nel riposo, e ciò con produzione di ammoniaca.
Produzione di calore nel nervo. - Il nervo produce calore nel riposo e durante l'eccitamento; in questo secondo caso tre volte più che nel primo, per minuto secondo. Durante l'eccitamento la produzione di calore si compie in due fasi: una iniziale contemporanea all'eccitamento, che corrisponde circa al 10% di tutto il calore prodotto; la seconda si prolunga per 9 a 11 minuti. In mancanza di ossigeno, il nervo non produce calore e per quel che riguarda la quantità, la produzione di calore e il consumo di ossigeno si corrispondono, cioè la produzione di calore è dovuta a fenomeni ossidativi.
Eccitabilità del nervo. - Il nervo può essere eccitato da stimoli di varia natura, che brevemente passeremo in rivista.
a) Stimoli meccanici. Annoveriamo tra questi il taglio, la percussione, lo schiacciamento, lo stiramento. Nell'eccitamento meccanico entrano in campo due elementi: la grandezza di deformazione e la velocità di deformazione, che fino a un certo punto si possono compensare, in modo che, col diminuire della grandezza, basta un aumento della velocità di deformazione per ottenere l'eccitamento. Tuttavia, se la velocità va al di sotto di un certo limite, l'aumento della grandezza è inefficace, per modo che si può, purché si operi lentamente, schiacciare un nervo fino allo spappolamento, senza eccitarlo.
b) Stimoli termici. Possono agire da stimoli tanto le variazioni di temperatura quanto le temperature estreme. Così, se immergiamo il gomito in acqua ghiacciata, si osserva dopo qualche tempo la comparsa di movimenti dei muscoli innervati dal nervo ulnare e si percepisce contemporaneamente un forte dolore nello stesso territorio d'innervazione. Le temperature estreme portano alla sospensione o alla scomparsa definitiva della funzione del nervo.
c) Stimoli chimici e chimico-fisici. Le condizioni fisico-chimiche possono modificare l'eccitabilità del nervo o agire da stimolo. Così p. es. la sottrazione lenta di acqua dal nervo determina in questo una diminuzione dell'eccitabilità rispetto ai comuni stimoli. Invece la sottrazione rapida di acqua, che si può ottenere mettendo a contatto del nervo un liquido disidratante, come la glicerina, o una soluzione concentrata salina, determina un eccitamento del nervo, cioè agisce da stimolo. Per quello che riguarda l'azione dei singoli sali, risulta che la loro attività può essere o eccitatrice o sedativa (inibitrice), e dipende essenzialmente dall'attività dei rispettivi ioni: gli anioni, o ioni negativi, hanno un'azione eccitante, i cationi, o ioni positivi, una inibente. Il prevalere dell'azione dell'uno o dell'altro dei due ioni di un sale, secondo determinate leggi, che sono state studiate da Mathews, determina l'azione del sale.
d) Stimoli elettrici. Questi rappresentano gli stimoli più usati sperimentalmente e terapeuticamente e hanno permesso lo studio quantitativo dei rapporti esistenti tra stimolo ed effetto che ne risulta, manifestantesi quest'ultimo, per i nervi motori, con la contrazione muscolare (fig. 36).
Lo stimolo elettrico si fa agire sul nervo, applicando i due elettrodi su due punti distinti del nervo stesso, in modo da far percorrere questo longitudinalmente dalla corrente elettrica. Più sotto sarà esposto come la corrente elettrica non agisca su tutto il tratto del nervo percorso, ma soltanto in corrispondenza dei due punti sui quali gli elettrodi sono applicati. Si dice punto anodico quello corrispondente al polo positivo e punto catodico quello corrispondente al polo negativo.
Un primo fatto da ricordare è che col crescere dell'intensità dello stimolo al di sopra della soglia, cresce l'altezza della contrazione del muscolo al quale va il nervo eccitato, e ciò fino a una certa intensità di stimolo, dopo di che un ulteriore aumento della stessa non modifica più la contrazione. Similmente l'intensità di una sensazione cresce col crescere dell'intensità della corrente elettrica applicata al nervo sensitivo. Ciò è dovuto al fatto che il nervo è costituito di numerose fibre diversamente eccitabili; per correnti deboli si eccitano soltanto le fibre più eccitabili, col crescere della corrente si eccitano anche quelle sempre meno eccitabili, finché tutte le fibre sono eccitate, dopo di che l'aumento dell'intensità della corrente non modifica più la contrazione o la sensazione. Per ogni singola fibra vale però la legge del tutto o del nulla, secondo la quale un tessuto vivente, per azione di un agente esterno, o non è eccitato, o subisce un eccitamento sempre uguale. Solamente il numero degli elementi che entrano in eccitamento può subire variazioni.
Quando una corrente continua e d' intensità costante è applicata a un nervo, durante il suo passaggio non si ha alcun eccitamento; questo si verifica solo all'apertura e alla chiusura del circuito, o nei bruschi cambiamenti d'intensità della corrente, ma non nelle variazioni lente e graduali dell'intensità stessa. Inoltre è da osservare che, affinché la corrente elettrica provochi un eccitamento, è necessario che il suo passaggio attraverso il nervo abbia almeno una certa durata minima. Tra l'intensità di corrente e il tempo necessario per ottenere l'eccitamento, esistono relazioni definite, alle quali possiamo qui soltanto brevemente accennare. Caratteristico per ogni tessuto è il tempo utile, cioè quella durata del passaggio della corrente, dopo la quale l'eccitamento è avvenuto e l'ulteriore passaggio di corrente non ha più alcun effetto. Questo tempo utile non è però facilmente determinabile, e in vece sua nella pratica si determina un altro tempo, che rappresenta la decima parte del tempo utile, e che è stato detto da L. Lapicque cronassia. Il Lapicque stabilisce per ciascun nervo o altro tessuto eccitabile anzitutto la reobase, cioè la soglia dell'intensità di una corrente di lunghissima durata, necessaria per ottenere l'eccitamento del nervo; in secondo luogo misura il tempo minimo necessario per ottenere l'eccitamento con una corrente che abbia un' intensità doppia della reobase. Questo tempo minimo costituisce appunto la cronassia (v.).
La cronassia, che oggi è misurata comunemente nella pratica elettrodiagnostica, è determinata per mezzo delle scariche di condensatori. La reobase si determina servendosi di un condensatore a grande capacità, cioè a scarica di lunghissima durata, che si caricherà a potenziali graduati fino a trovare quello corrispondente alla soglia dell'eccitamento. Successivamente si caricheranno, con un potenziale doppio di quello così trovato, condensatori a capacità crescente, fino a che si troverà il più piccolo che, scaricandosi attraverso il nervo, sarà in grado di dare un eccitamento. La cronassia sarà proporzionale alla capacità di tale condensatore.
Tra i risultati ottenuti con la determinazione della cronassia, ricorderemo solo, come quello di portata più generale, quello ottenuto dal Lapicque, secondo il quale l'eccitamento non si può trasmettere da un elemento a un altro, p. es. dal nervo al muscolo, se questi non sono isocroni, cioè se non presentano press'a poco la stessa cronassia. La conduzione da un elemento all'altro viene interrotta quando il rapporto tra le due cronassie raggiunga il valore di 1 a 2.
Variazioni dell'intensità del flusso nervoso. - Una misura diretta di tale intensità non è possibile allo stato attuale, e bisogna limitarsi a studiarne le eventuali variazioni. Narcotizzando un tratto di un nervo, la conduzione è interrotta (blocco del nervo); se la narcosi è incompleta, si avrà il blocco soltanto quando il tratto di nervo narcotizzato raggiunga una certa lunghezza. Ciò significa che in questo tratto di nervo il flusso subisce un affievolimento, che può aversi anche per altre influenze esercitate sul nervo. La regione in cui il flusso nervoso diminuisce, si dice regione di decremento. Un impulso nervoso che ha attraversato una zona di decremento, e raggiunge così affievolito, ma non completamente estinto, un tratto normale di nervo, riacquista la sua intensità primitiva.
Ciò è importante per questa considerazione: ogni perturbazione che si propaga nello spazio può compiersi o per l'energia fornita dal fenomeno iniziale che la ha originata (p. es. propagazione del suono), o per l'energia prodotta dai fenomeni che si svolgono lungo il suo percorso. I fatti citati per il nervo, dimostrano che la conduzione nervosa appartiene a questo secondo tipo di fenomeno.
Immediatamente dopo un primo eccitamento, il nervo non può rispondere a un nuovo stimolo. Questo periodo d'ineccitabilità che ha una durata di qualche millesimo di secondo, si dice periodo refrattario. Segue a questo un periodo di eccitabilità diminuita (refrattarietà relativa), e quindi uno di eccitabilità aumentata, rispetto a quella originale (periodo sopranormale), e infine ritorno alla norma. La durata di questo ciclo è dell'ordine di grandezza di qualche centesimo o al più di un decimo di secondo.
I fenomeni di fatica del nervo sono molto poco accentuati, tuttavia è stato dimostrato che anche il nervo presenta fenomeni di fatica, più evidenti nei nervi non midollari che in quelli midollari.
Elettrofisiologia. - Ogni fenomeno biologico è accompagnato da fenomeni elettrici, che acquistano una notevole imponenza nei pesci elettrici, in cui un organo particolare si è andato sviluppando, le cui scariche possono, in alcuni casi, tramortire anche grossi animali. Ma lievi differenze di potenziale tra varie parti degli elementi viventi, esistono permanentemente, mentre altre differenze di potenziale si stabiliscono durante l'attività funzionale dei tessuti. Anche fra un tessuto leso e un tessuto normale, si stabiliscono differenze di potenziale. Tali differenze di potenziale dànno luogo a correnti, quando i due punti di differente potenziale sono collegati tra loro per mezzo di un conduttore esterno. Si distinguono perciò correnti di lesione o di demarcazione fra tessuto leso e tessuto normale; correnti di riposo tra due punti asimmetrici di un tessuto normale, p. es. fra tendine e ventre muscolare, tra interno ed esterno di una cellula, e infine correnti di azione tra due punti dello stesso elemento che siano in uno stato diverso di attività funzionale. Oltre a questi fenomeni elettrici primitivi, esistono fenomeni elettrici secondarî, provocati dal passaggio di una corrente attraverso il tessuto (fenomeni elettrotonici).
Correnti di demarcazione. - Se si apporta a un muscolo una lesione, p. es. sezionandolo trasversalmente, si stabilirà una differenza di potenziale tra la superficie normale longitudinale della fibra muscolare e la superficie trasversale di taglio. Quest'ultima sarà negativa rispetto alla prima. Analogamente si comportano la fibra nervosa e pochi altri tessuti in cui l'insulto meccanico provoca un'alterazione rapida in corrispondenza della superficie di taglio. La differenza di potenziale è da considerarsi come dovuta a una diversità di costituzione chimico-fisica tra la parte ancora sana e la parte alterata del tessuto (demarcazione tra i due). Le Correnti che ne risultano sono da considerare come dovute a pile di concentrazione.
Correnti di riposo. - Le correnti di riposo si formano in seguito a differenze di potenziale esistenti tra due punti asimmetrici di uno stesso elemento: così il tendine è negativo rispetto alla fibra muscolare. Inoltre, se si lede un tessuto che non subisca una rapida mortificazione, p. es. le cellule della cute, delle mucose, le cellule vegetali o anche il muscolo normalmente innervato e irrorato, il punto leso, cioè quello in rapporto diretto con l'interno dell'elemento, è positivo rispetto alla superficie esterna. Ciò è attribuito all'esistenza di membrane nel senso fisico-chimico, che separano l'interno dall'esterno della cellula, e alle cui facce si accumulano da un lato anioni e dall'altro cationi, caricandole rispettivamente con segno negativo e positivo, mentre la membrana stessa agisce da dielettrico; si avrebbe quindi la presenza di condensȧtori.
Correnti d'azione. - Se in un muscolo leso raccogliamo la corrente di demarcazione ed eccitiamo poi il muscolo stesso, vedremo che la corrente di demarcazione diminuisce, cioè diminuisce la differenza di potenziale tra le due superficie (oscillazione negativa). Ciò è dovuto al fatto che il tessuto normale, divenendo attivo, tende ad abbassare il proprio potenziale. Se un flusso nervoso attraversa una fibra o un fascio di fibre, vi sarà un punto della fibra che diventa prima attivo, che non un punto più lontano dal luogo di eccitamento: applicando quindi a questi due punti del nervo, due elettrodi che portino a un galvanometro, si osserverà un'oscillazione doppia nella corrente (corrente difasica), e cioè il punto più vicino al luogo eccitato diventa negativo rispetto al luogo più lontano; successiviamente questa negatività diminuisce fino a scomparire, cioè fino all'annullamento della corrente, dopo di che il punto inizialmente negativo diventa positivo, mentre quello più lontano diventa negativo, e ciò quando quest'ultimo è ancora in uno stato di attività, mentre il primo è già ritornato allo stato di riposo: la corrente si è quindi invertita. Per ultimo la corrente si annulla, quando ambedue i punti sono ritornati allo stato di riposo.
Portando sul nervo una serie di stimoli, il nervo stesso sarà percorso da una serie di tali correnti difasiche, e quando gli stimoli siano sufficientemente avvicinati, avremo nel nervo e nel circuito galvanometrico una corrente oscillatoria. Questo si verifica fisiologicamente nei nervi motori nella contrazione volontaria o nelle contrazioni riflesse; similmente si hanno tali treni di oscillazione di potenziale anche nei nervi sensitivi durante l'eccitamento dei recettori. Anche nella retina si hanno correnti d'azione, ma più complicate nel loro decorso, in seguito a stimoli luminosi portati sulla retina stessa. La formazione delle correnti di azione è generalmente interpretata come dovuta a modificazione della permeabilità delle membrane ai varî ioni nel punto del tessuto che si trova n attività.
Fenomeni elettrici secondarî. - Se si applicano sul nervo due elettrodi impolarizzabili uniti ai poli di una pila, si osserverà anzitutto una diminuzione progressiva dell'intensità della corrente, che attraversa il tessuto, diminuzione dovuta all'accrescimento della resistenza del nervo. Questo aumento è a sua volta dovuto alla polarizzazione interna, cioè alla formazione di salti di potenziale in corrispondenza delle membrane plasmatiche, e ciò per effetto di modificazioni della concentrazione degli ioni in corrispondenza delle due superficie della membrana. Il potenziale che così si stabilisce tende a opporsi alla corrente che lo genera. Quando poi quest'ultima s'interrompe, si osserva nel nervo la presenza di una corrente di breve durata che va in senso inverso a quella primitiva.
I fenomeni elettromotori secondarî non si limitano al tratto di tessuto percorso dalla corrente polarizzante, ma si estendono al tessuto extrapolare. Queste correnti elettrotoniche sono accompagnate da modificazioni dell'eccitabilità, e precisamente durante il passaggio della corrente l'eccitabilità aumenta al catodo (catelettrotono) e diminuisce o si annulla all'anodo (anelettrotono). Quando poi interrompiamo la corrente, abbiamo per un breve tempo un aumento di eccitabilità all'anodo e una diminuzione al catodo; questi fenomeni sono più marcati nel punto d'applicazione degli elettrodi e si attenuano allontanandoci da questo. Gli stessi effetti valgono anche per la conduttività del nervo, la quale, durante il passaggio di una corrente continua, si annulla in corrispondenza dell'anodo (blocco anodico).
Con le leggi dell'elettrotono, si spiegano le leggi della contrazione muscolare nell'eccitamento indiretto, cioè attraverso il nervo. Questa legge della contrazione ci dice che l'altezza della contrazione dipende non solo dall'intensità della corrente elettrica, ma anche dalla sua direzione nel nervo. I varî fenomeni che essa considera si spiegano col fatto che l'eccitamento del nervo dipende dal comparire del catelettrotono o dallo sparire dell'anelettrotono.
Fisiologia speciale dei nervi cranici. - Abbiamo già accennato nelle "generalità" ai rapporti che si stabiliscono per mezzo dei nervi periferici tra i segmenti midollari e i segmenti cutanei e muscolari; qui basterà aggiungere che i nervi, provenienti dal midollo cervicale, innervano il collo, ed essenzialmente gli arti superiori, che in parte sono innervati anche dai due primi nervi provenienti dal midollo dorsale; i nervi provenienti dal midollo dorsale e il primo nervo del midollo lombare innervano il tronco in maniera nettamente segmentale, mentre gli altri nervi lombari e quelli sacrali innervano essenzialmente gli arti inferiori e i genitali.
I nervi che fuoriescono dal cranio costituiscono dodici paia, e sono numerati progressivamente nel modo seguente: I olfattorio, II ottico, III oculomotore comune, IV trocleare, V trigemello, VI abducente, VII facciale, VIII acustico, IX glossofaringeo, X vago o pneumogastrico, XI accessorio, XII ipoglosso.
I. N. olfattorio. - Con questo nome veniva distinta una formazione situata al di sotto del lobo frontale del cervello anteriore, formazione che è stata poi riconosciuta come parte del sistema nervoso centrale e costituita dal bulbo e dal tratto olfattorio. Al bulbo olfattorio fanno capo numerosi nervi che provengono dalla porzione olfattoria della mucosa nasale, attraversando la lamina cribrosa dell'etmoide; il loro ufficio è quello di portare al cervello gli eccitamenti olfattivi.
II. N. ottico. - Il nervo ottico, che serve per la conduzione degli eccitamenti luminosi, e le cui fibre si originano dalla retina, non si può considerare come un nervo periferico, ma come facente parte del sistema nervso centrale, e ciò tanto per la sua struttura quanto per la sua origine embrionale.
III. N. oculo motore comune. - Si origina da nuclei cellulari, disposti al di sotto dell'acquedotto di Silvio. La sua funzione è motrice e innerva i muscoli estrinseci del bulbo oculare, fatta eccezione per il retto esterno e l'obliquo superiore; esso dà inoltre fibre al ganglio ciliare; da questo partono fibre postgangliari per il muscolo ciliare e per lo sfintere dell'iride; perciò l'eccitamento dell'oculomotore determina l'accomodamento dell'occhio e il restringimento della pupilla oltre ai movimenti dei muscoli estrinseci del bulbo oculare. Il taglio del nervo determina un'abduzione del bulbo oculare (strabismo esterno), con sporgenza del bulbo stesso (esoftalmo), paralisi dell'accomodamento e dilatazione della pupilla (midriasi). Questi due ultimi fatti si ottengono anche con l'instillazione dell'atropina nella congiuntiva, per avvelenamento delle terminazioni nel ganglio ciliare.
IV. N. trocleare. - Si origina da un nucleo vicino a quello del precedente, innerva unicamente il muscolo obliquo superiore. Il suo eccitamento determina la rotazione del bulbo oculare all'esterno e in basso. Dopo il suo taglio, si ha deviazione in alto e all'interno.
V. N. trigemello. - È un nervo prevalentemente sensitivo, ma in parte motore. Le cellule d'origine delle fibre sensitive si trovano nel ganglio di Gasser; quelle della porzione motrice costituiscono un nucleo a livello della porzione superiore del 4° ventricolo e un altro situato nella sostanza grigia vicina all'acquedotto di Silvio. La radice motrice dà rami che si distribuiscono ai muscoli masticatori e inoltre ai muscoli miloioideo, tensore del palato e tensore del timpano. La porzione sensitiva innerva la cute della faccia, il cuoio capelluto, la mucosa nasale non olfattiva, la mucosa della bocca e della faringe, i denti e la congiuntiva; esso è dunque il nervo sensitivo di tutte queste regioni; esso invia anche fibre sensitive specifiche per la sensazione gustativa alla parte anteriore della lingua. Il trigemello contiene inoltre anche fibre nervose vaso-dilatatrici, le quali, attraverso la corda del timpano, vanno alla lingua col ramo linguale.
VI. N. abducente. - Si origina da un nucleo che ha sede nel ponte di Varolio. È un nervo puramente motore, che innerva il muscolo retto esterno del bulbo oculare; il suo eccitamento determina deviazione del l'occhio all'esterno, il suo taglio provoca strabismo interno.
VII. N. facciale. - Trae la sua origine da un nucleo di grosse cellule, esistente nel tratto inferiore del ponte; è alla sua origine un nervo esclusivamente motore. Innerva i muscoli mimici della faccia e i muscoli auricolari; la lesione del facciale di un lato è accompagnata, nell'uomo, da una contorsione della faccia dovuta a uno stiramento dell'angolo boccale dalla parte sana e a un appiattimento dei muscoli della metà paralizzata. Per la paralisi dell'orbicolare delle palpebre l'occhio non può chiudersi perfettamente (lagoftalmo); perdurando la paralisi, si ha contrattura dei muscoli della parte lesa e conseguentemente stiramento della faccia verso la parte paralizzata.
VIII. N. acustico. - Si divide in due rami: in quello cocleare e in quello vestibolare. Il primo è costituito da fibre provenienti dall'organo del Corti, situato nella chiocciola dell'orecchio interno. Esso ha l'ufficio di trasmettere all'encefalo le sensazioni auditive. Il nervo vestibolare proviene dal vestibolo del labirinto dell'orecchio interno e serve alla conduzione di eccitamenti che dànno nozione della posizione del capo e dello stato di quiete o di movimento accelerato, e che sono necessarî per il mantenimento del tono e della forza muscolare. La lesione del nervo cocleare determina sordità, quella del nervo vestibolare diminuzione del tono e della forza muscolare. Il suo eccitamento anomalo può determinare la vertigine.
IX. N. glossofaringeo. - È un nervo prevalentemente sensitivo; esso innerva la lingua e rappresenta il nervo gustativo per la parte posteriore della lingua. Inoltre alcune sue diramazioni vanno alla mucosa faringea, alle tonsille e al velopendolo. L'eccitamento di questi rami provoca il vomito e l'arresto della respirazione nella fase in cui essa si trova. Il glossofaringeo possiede alcuni rami vaso-dilatatori che innervano la faringe e le tonsille. Sembra inoltre che il glossofaringeo abbia anche funzione motrice, mandando fibre motrici al costrittore della faringe; perciò il glossofaringeo interviene nel meccanismo della deglutizione.
X. N. vago o pneumogastrico. - XI. N. accessorio. - Sono considerati come costituenti un solo nervo, di cui il vago sarebbe prevalentemente sensitivo e l'accessorio motorio. Le fibre sensitive del vago derivano da cellule del ganglio giugulare, quelle motrici provengono dal nucleo ambiguo del midollo allungato. Le fibre dell'accessorio provengono pure da un nucleo del midollo allungato. I due nervi si fondono poi al di là del ganglio giugulare.
Il vago-accessorio (che per brevità è detto anche semplicemente vago) ha numerose funzioni che qui elenchiamo:
1. L'azione inibitrice sul cuore che si ottiene con l'eccitamento del vago si esplica con diminuzione del numero delle pulsazioni, della forza di contrazione, dell'eccitabilità e della conduttività dell'onda di contrazione nella fibra muscolare cardiaca. Il taglio del vago determina i fenomeni opposti.
2. Nel vago decorrono vie centripete del nervo depressore, che proviene dal bulbo aortico e il cui eccitamento determina per via riflessa una diminuzione nella pressione del sangue: esso è eccitato dall'aumento della pressione arteriosa.
3. L'eccitamento dei rami polmonari del vago, durante la fase inspiratoria, determina un riflesso espiratorio e per contro l'eccitamento, fatto durante la fase espiratoria, provoca un'inspirazione.
Così contribuisce alla regolazione degli atti respiratorî per via riflessa (autogoverno della respirazione di H. Hering e B. Breuer). Con il taglio bilaterale del vago si ha una notevole alterazione del respiro, che consiste in una grave dispnea.
4. ll vago possiede pure fibre motrici che vanno ai muscoli lisci dei bronchi. Lo spasmo di questi muscoli determina l'insorgenza dell'asma.
5. Fra le diramazioni motrici del vago abbiamo il n. laringeo superiore che innerva i muscoli crico-tiroidei, mentre gli altri muscoli laringei sono innervati dal ramo ricorrente.
6. Il laringeo superiore contiene anche le vie sensitive importanti che dànno l'innervazione alla mucosa dell'epiglottide e della laringe; l'eccitamento di queste vie dà luogo al riflesso della tosse.
7. Il vago innerva anche l'esofago, lo stomaco e l'intestino fino al colon. L'eccitamento del vago determina movimenti peristaltici dell'esofago, movimenti dello stomaco e inibizione del cardias e del piloro. Il nervo vago esplica anche un'azione motrice sopra i movimenti dell'intestino tenue.
8. Il vago contiene ancora fibre secretrici che vanno alle ghiandole dello stomaco e del pancreas; il taglio di questo nervo determina la scomparsa della secrezione psichica del succo gastrico. Mentre le fibre del vago che vanno ai muscoli volontarî vi arrivano direttamente, quelle che vanno al cuore, alle ghiandole e ai muscoli lisci, subiscono un'interruzione per la presenza di cellule gangliari.
Il taglio unilaterale del vago non ha conseguenze deleterie, mentre il taglio bilaterale è quasi sempre mortale. La morte pare dovuta a una polmonite ab ingestis, per mancanza di sensibilità delle vie respiratorie. Diminuendo poi, in seguito al taglio dei vaghi, la secrezione pancreatica e gastrica, si formano nello stomaco e nell'intestino prodotti tossici.
XII. N. ipoglosso. - È un nervo quasi esclusivamente motore e innerva i muscoli estrinseci e intrinseci della lingua. Per il suo eccitamento la lingua compie tutti i suoi movimenti. Esso ha quindi importanza sia per la deglutizione, sia per la favella e la funzione respiratoria. Con una eccitazione leggera si ha retrazione della lingua, con una più forte protusione della lingua. La paralisi dell'ipoglosso d'un lato determina l'incurvamento della lingua verso il lato sano, ma quando la lingua si tira fuori dalla bocca, l'incurvamento si ha verso il lato interno.
Fisiopatologia. - Quando le fibre nervose che costituiscono il nervo periferico vengono interrotte nella loro continuità da una qualunque lesione, delle due porzioni che si vengono a formare, quella periferica, non essendo più unita alla sua cellula di origine, degenera (degenerazione walleriana) mentre la porzione centrale rimane integra. Anzi da questa porzione centrale, venute a cessare le cause che hanno prodotta l'interruzione, le fibre nervose si spingono di nuovo lungo le guaine connettivali del nervo a riformare le fibre nervose degenerate (rigenerazione del nervo). Se un agente nocivo colpisce le fibre nervose, ma senza interromperne la continuità anatomica, le fibre degenerano pure, ma, rimanendo relativamente integro il cilindrasse, la restituzione della funzione si realizza con maggiore rapidità (degenerazione primaria).
L'interruzione di un nervo di moto dà luogo alla paralisi dei muscoli cui si distribuice il nervo leso; i muscoli, inoltre, diventano atrofici e in essi compaiono delle piccole contrazioni spontanee (contrazioni fibrillari). Il muscolo paralizzato e atrofico non è più stimolabile con la corrente faradica, mentre lo può essere ancora con la corrente galvanica. In questo caso però non si ottiene, come normalmente, una contrazione pronta, ma soltanto una contrazione lenta che è più appariscente se si stimola il muscolo con il polo positivo anziché col polo negativo, al contrario di quanto avviene in un muscolo sano (reazione elettrica degenerativa = R.D.). Nell'interruzione di un nervo di senso gli stimoli sensitivi portati sull'area cutanea o mucosa cui si distribuisce il nervo leso non vengono più percepiti. Così p. es., se v'è una lesione della prima branca del nervo trigemino si ha perdita della sensibilità (anestesia) per il tatto, il dolore, il caldo, il freddo, nell'area cutanea cui si distribuisce questo nervo. Tuttavia una certa sensibilità in questa zona può ancora essere conservata anche se il nervo sensitivo è stato completamente interrotto e precisamente la sensibilità dei tessuti profondi alla pressione, una sensazione sgradevole per il freddo o per il troppo caldo, e anche una diffusa sensazione dolorifica quando su questa zona si portino stimoli adatti. Si ammette che le fibre simpatiche siano capaci di trasmettere queste speciali sensazioni molto elementari e poco differenziate (sensibilità protopatiche), mentre per la valutazione dell'intensità dello stimolo, per la sua esatta localizzazione e differenziazione (sensibilità epicritiche) è necessaria l'integrità del nervo sensitivo. Nella lesione sia dei nervi di senso sia dei nervi di moto si ha abolizione dei riflessi il cui arco è costituito da uno dei nervi lesi. La lesione dei nervi misti dà luogo a disturbi di moto e di senso. Dà luogo, inoltre, a disturbi trofici che, oltre al muscolo (v. sopra), possono interessare la cute e le sue appendici (unghie e peli), le ossa, le articolazioni, i tendini, ecc. Si possono manifestare disturbi della termoregolazione, della secrezione del sudore, ecc. Questi disturbi trofici sono in gran parte legati alla contemporanea lesione di fibre simpatiche che decorrono accanto alle fibre di senso e di moto nel nervo misto.
Accanto alla sindrome d'interruzione dei nervi che ora è stata descritta si ha la sindrome d'irritazione dei nervi.
La sindrome d'irritazione della fibra nervosa di moto si manifesta con la comparsa di clonie nel territorio muscolare innervato dal nervo leso, molto più raramente di contratture; il muscolo diventa anche meccanicamente ipereccitabile. La sindrome d'irritazione della fibra di senso è data da abnormi sensazioni (parestesie) o più frequentemente da dolori che s'irradiano nel territorio cutaneo o mucoso tributario del nervo leso, nel quale territorio si può dimostrare anche una maggiore sensibilità (iperestesia) agli stimoli tattili, termici e dolorifici. I riflessi spinali possono essere accentuati.
A parte i traumi, che possono interrompere senz'altro la continuità del nervo e dare pertanto una pura sindrome d'interruzione, a parte le nevralgie, che si possono considerare pure sindromi irritative delle fibre di senso, tutti gli altri processi patologici a carico delle fibre periferiche, specie sensitive, si svolgono con una sindrome mista. La sindrome più comune di affezione di un nervo spinale risulta pertanto caratterizzata da disturbi della sensibilità consistenti in dolori, parestesie e iperestesie nel territorio cutaneo tributario del nervo leso e paresi con ipotrofia dei muscoli innervati dal nervo leso.
Patologia speciale. - Le fibre nervose periferiche con grande frequenza vengono colpite da cause morbose sia nel loro decorso intravertebrale (radici spinali), sia quando s'impegnano nel foro di coniugazione, sia, infine, quando col nome di nervi periferici si distribuiscono alle varie regioni del corpo.
Semeiologicamente si distinguono due tipi di lesione del sistema nervoso periferico: il tipo radicolare e il tipo periferico. Il primo tipo si verifica quando la lesione colpisce le fibre nervose dal midollo al plesso, il secondo quando colpisce il nervo propriamente detto dal plesso alla periferia.
Poiché il nervo periferico risulta costituito di fibre che provengono da più radici che si sono variamente intrecciate nei plessi, diversa sarà la sindrome d'interruzione delle radici dalla sindrome d'interruzione del nervo. Infatti, p. es. il muscolo bicipite brachiale è innervato dal nervo muscolo cutaneo e pertanto l'interruzione di questo nervo ne provoca la paralisi. Le radici da cui hanno origine le fibre del nervo muscolocutaneo sono le radici cervicali V-VI, ma l'interruzione delle radici C. V-VI non dà soltanto la paralisi del muscolo bicipite, ma paralisi o paresi di altri muscoli che ricevono altri nervi le cui fibre però provengono sempre da queste radici. Lo stesso vale per l'innervazione sensitiva. La diagnosi differenziale tra le sindromi da lesione delle radici e la sindrome del nervo è resa appunto possibile dalla conoscenza del diverso modo d'innervazione dei varî distretti cutanei e muscolari. Ancora un'altra differenza semeiologica si può incontrare tra la lesione delle radici e la lesione dei nervi periferici. Nell'interruzione di un nervo si ha una paralisi completa dei muscoli da esso innervati e un'anestesia ben delimitata di una determinata area cutanea; nella lesione delle radici, per quanto estesa essa possa essere, s'incontrano muscoli del tutto paralizzati e altri semplicemente paretici e così pure zone di anestesia non ben delimitate nelle quali cioè l'anestesia va sfumando alla periferia. Ciò perché ogni muscolo e ogni area cutanea è innervata sempre da più radici (legge di Sherrington).
Le sindromi radicolari si distinguono, secondo i distretti colpiti, in sindromi cervicale, toracica, lombosacrale e della cauda equina, nonché in una sindrome radicolare posteriore o anteriore a seconda che sono colpite le radici posteriori o le anteriori. Quest'ultima tuttavia è una distinzione più scolastica che reale, poiché le radici ammalano quasi esclusivamente in seguito a processi meningei o della colonna vertebrale che compromettono contemporaneamente tutte le radici del segmento colpito. Nelle radici posteriori si conoscono tuttavia localizzazioni relativamente elettive (es. tabe dorsale). Comunque, la sindrome radicolare posteriore è una sindrome puramente sensitiva consistendo essenzialmente in dolori (sindrome irritativa) e anestesie (sindrome distruttiva) nelle aree cutanee innervate dalle radici colpite.
La sindrome radicolare anteriore è caratterizzata dalle paralisi con atrofia muscolare dei territorî muscolari innervati dalle radici colpite. Nella sindrome radicolare cervicale i muscoli colpiti saranno quelli del collo, della spalla e dell'arto superiore. Valga come es. di questa sindrome la pachimeningite cervicale ipertrofica in cui, accanto ai dolori e alle anestesie, si hanno paralisi muscolari delle quali caratteristiche quelle a carico dei piccoli muscoli delle mani. In questa forma morbosa si ha spesso la comparsa della sindrome di Cl. Bernard-Hörner per compromissione del simpatico cervicale. Le malattie delle radici anteriori in corrispondenza del segnento dorsale del midollo portano alla paralisi della muscolatura toracica; in corrispondenza del segmento lombosacrale e della cauda equina esse portano alla paralisi della muscolatura del cinto pelvico e degli arti inferiori.
Clinicamente le affezioni delle radici si distinguono dalle affezioni del funicolo, cioè di quel tratto di radice spinale che decorre extrameningea nel canale di coniugazione. La sintomatologia delle affezioni radicolari e delle affezioni del funicolo (funicoliti) è sostanzialmente identica, salvo che le funicoliti sono provocate da processi extrameningei e precisamente da processi che si svolgono nel canale di coniugazione (neurodocite). La sciatica riconosce spesso una tale origine.
Accanto alle affezioni delle radici sono da menzionare i processi che si svolgono a carico del ganglio spinale e che vanno sotto il nome di ganglioniti. Da ricordare tra queste l'herpes zoster.
I processi patologici che si svolgono a carico del nervo possono essere di natura infiammatoria e degenerativa (neuriti infiammatorie e degenerative [neuritidi]), di natura semplicemente irritativa (nevralgie), di natura tumorale o traumatica.
Le neuriti infiammatorie sono piuttosto rare. Esse sono dovute a diffusione di processi che si svolgono nelle vicinanze e che coinvolgono il nervo, mentre è molto rara l'infiammazione primitiva e isolata del nervo. Più frequentemente si tratta di processi degenerativi. Questi si possono limitare a un nervo (mononeuritidi) o colpire contemporaneamente più nervi (polineuriti degenerative o polineuritidi).
Come tipi speciali di polineuriti vanno ricordate la paralisi ascendente acuta di Landry, la neurite spinale ipertrofica e l'atrofia neurotica progressiva familiare (tipo Charcot-Marie).
Le nevralgie rappresentano una pura sindrome irritativa, e si ammette che siano conseguenza di semplici alterazioni chimico-fisiche del nervo.
I tumori dei nervi sono varî; molti sono di natura blastomatosa (fibromi, sarcomi, mixomi, neuromi). Più frequenti sono i neuromi e i neurinomi. Tra le sindromi tumorali dei nervi da ricordare la neurofibromatosi diffusa (malattia di Recklinghausen).
Le lesioni traumatiche dei nervi periferici possono dar luogo a una sindrome d'interruzione, a una sindrome di compressione, a una sindrome d'irritazione e infine a una sindrome di rigenerazione. Lo stabilire esattamente la natura della sindrome traumatica è estremamente importante per le provvidenze chirurgiche che nella maggior parte dei casi possono essere prese, ed è assai importante anche dal punto di vista medicolegale poiché rende possibile la valutazione del danno subito. Per la sintomatologia speciale di tali lesioni vedi alle rispettive voci.
Anatomia patologica. - Il materiale pigmentario giallo, prodotto metabolico e costituito in parte da lipoidi (lipocromo), che normalmente esiste nelle cellule dei ganglî sensitivi, come in altri tipi di cellule nervose, s'accresce nella senilità e negli stati marasmatici fino a mascherare i caratteri morfologici degli elementi. Si discute ancora sulle possibilità funzionali delle cellule sovraccaricate così esageratamente di pigmento: anche il cosiddetto processo di corrosione ("cellulas desgarradas" Cajal) più proprie dei neuroni dei ganglî sensitivi, farebbe parte di questi quadri. I ganglî possono partecipare, con meccanismo variamente inteso, alle alterazioni che colpiscono tutto il neurone sensitivo periferico nel suo ramo midollare o in quello periferico (m. di Friedreich, nevriti alcooliche, encefalite letargica, poliomieliti, meningo-mieliti, tabe dorsale, ecc.) con processi degenerativi o flogistici.
Le degenerazioni primarie dei nervi periferici, alle dipendenze di alterazioni del ricambio, di turbe della nutrizione, di infezioni, d'intossicazioni (talvolta ad azione elettiva: piombo sul nervo radiale, alcool sul nervo peroneo, ecc.), non hanno sempre note anatomiche distintive da quelle che si verificano nelle degenerazioni secondarie: per alcuni casi non può essere neppure escluso che a una supposta degenerazione primaria presieda una lesione primitiva delle cellule da cui le fibre si originano. Ma viene generalmente riconosciuta l'evenienza, per cause diverse, di alterazioni proprie primitive delle fibre (varicosità, tortuosità) senza scontinuazione, con atrofia della guaina mielinica che si frammenta, mentre si vanno modificando le proprietà funzionali delle fibre. È probabile che talvolta la causa morbosa incida esclusivamente o prevalentemente sulle guaine (neurite periassile), con relativa integrità delle fibre, come appare dal pronto ripristino funzionale (avitaminosi sperimentale) quando cessi l'azione dell'agente morboso.
Nella degenerazione secondaria, di Waller, per interruzione del cilindrasse da cause diverse, le fibre distali, distaccate dal loro centro trofico, si alterano in progressione centrifuga facendosi tortuose, varicose, rigonfiandosi e frammentandosi, fino alla distruzione granulosa, con perdita delle guaine midollari la cui mielina frammentata in masserelle osmiofile a mano a mano è fagocitata o si riassorbe: le cellule delle guaine di Schwann, che alcuni vogliono di natura gliale (H. Held), proliferano e aumentano di volume entrando in parte in funzione fagocitica, in parte ordinandosi nella stessa direzione delle fibre con catene cellulari che prestabiliscono nuove vie di conduzione alla rigenerazione delle fibre. È da alcuni contrastato quest'ufficio delle cellule di Schwann, sostenendosi che i fenomeni di fagocitosi vengano compiuti da elementi istiocitarî comuni e che le catene cellulari sono formate da elementi del connettivo (fig. 37).
La rigenerazione anatomica avviene attraverso il prolungamento del tratto prossimale del cilindrasse interrotto, la cui parte estrema degenera; dalla porzione immediatamente soprastante, per un processo di gemmazione, con allargamento della rete neurofibrillare e altri minuti caratteri metamorfotici (A. Perroncito), si formano sottili fibrille dapprima amidollate, che si dirigono rapidamente verso il moncone periferico attraverso il tessuto interposto, variamente alterato dalle cause che hanno interrotto il nervo. I nuclei del neurilemma della guaina di Schwann si comportano press'a poco come nella degenerazione secondaria, fagocitando e apparecchiando nuove vie di conduzione e nuove guaine per il nervo che si ripristina. Non avvenendo la congiunzione fra capo prossimale e capo distale delle fibre interrotte, si costituiscono nel tessuto di cicatrice delle proliferazioni fibrillari, che sono il prodotto di una rigenerazione che non ha più finalità riparative, e che nella recisione di un nervo (amputazione di un arto) con la neoformazione di fibrille ondulate, contorte, circonvolute, nel tessuto di granulazione proveniente dalle guaine nervose e dai tessuti circostanti, costituiscono tumefazioni clavate, i cosiddetti neuromi da amputazione.
I traumi agiscono sui nervi a secondo della gravità e della durata, con proporzionate lesioni circoscritte o diffuse, degenerazioni, scontinuità delle fibre, con eventuale formazione di un neuroma intermediario, centrale o laterale, quando parte dei monconi nervosi non ritornano in contatto.
La degenerazione retrograda del moncone centrale delle fibre nervose si osserva in condizioni diverse (neurite infettiva ascendente, atrofia da inattività, strappamento, ecc.).
Non è sempre facile distinguere i processi degenerativi dei nervi (neuriti parenchimatose o meglio neuritidi) dalle forme infiammatorie (neuriti interstiziali o neuriti propriamente dette) con susseguenti alterazioni degenerative delle fibre nervose. Azioni locali in vario modo lesive (compressioni da tumore o da altre cause, propagazione di processo infiammatorio da tessuti vicini, ecc.) provocano a preferenza una mononeurite rispettivamente parenchimatosa o interstiziale, mentre cause generali d'indole tossica (chimica, batterica, endogena da alterato ricambio, e via dicendo) o tossinfettive provocano una polineurite spesso sistematizzata.
Le alterazioni nelle neuritidi (neuri parenchimatose) sono essenzialmente microscopiche: esse s'iniziano nella guaina midollare (neurite periassile) e poi si propagano al cilindrasse con figure degenerative diverse fino alla sua interruzione. Le lesioni hanno progressione centripeta, mentre proliferano le cellule di Schwann e il connettivo dell'endonervio; la struttura raggiata (neurocheratina) della sezione dei nervi normali, e su cui ancora si discute, si fa meno regolare e compatta, fessurandosi. Nel beriberi si osservano proliferazioni endoneurali e degenerazione delle fibre con preferenza per il nervo tibiale, peroneo, vago, frenico, splancnico: nelle paralisi difteriche si trovano colpiti a preferenza i nervi motori del velopendolo e della faringe, della laringe o anche dell'occhio, degli arti, ecc.
Nelle neuriti interstiziali prodotte da germi ad azione tossinfettiva pervenuti nel nervo per via ematogena o per propagazione attraverso i linfatici da infiammazioni di tessuti contigui, i nervi sono diffusamente tumidi, congesti, o si rigonfiano a tratti (neurite nodosa); microscopicamente si trovano l'epinervio e i fasci dell'endonervio dissociati e infiltrati di cellule essudative che si dispongono a preferenza intorno ai vasellini sanguigni, con più o meno estesi e gravi fenomeni degenerativi delle fibre. Il processo infiammatorio assume carattere particolare, granulomatoso, nelle propagazioni nervose della flogosi tubercolare, di quella sifilitica, leprosa, ecc.
Una neurite interstiziale ipertrofica dell'infanzia (J.-J. Dejerine e J. Sottas) sarebbe rappresentata da un ingrossamento e indurimento dei nervi periferici dalle radici spinali ai rami cutanei, per proliferazione connettiva ad anello della parte interna del perinervio e aumento di volume delle fibre nervose per formazione di lamelle concentriche derivate dalle cellule di Schwann, mentre scompare la guaina midollare per atrofia: s'accompagnerebbe anche degenerazione e sclerosi dei cordoni posteriori per lesioni delle fibre delle radici posteriori.
Come neuromi veri, o ganglioneuromi, si dovrebbero considerare soltanto quei tumori costituiti dalla proliferazione blastomatosa di cellule nervose gangliari, avendo le fibre solo valore di una loro manifestazione (P. Ernst); sono più proprî del simpatico e del paraganglio surrenale come tumori duri, compatti, nodosi, contenenti frequentemente fibre nervose mieliniche e amieliniche e grosse cellule rotonde gangliari con neurofibrille e spesso con mitosi: alcuni di questi neoplasmi sono costituiti di sole fibre nervose (neurinomi) e si vuol riferire la loro origine ad alterazioni di sviluppo riportandola a neurociti immaturi, non differenziati, o alle cellule di Schwann: come neurinomi vengono considerati i tumori dell'angolo ponto-cerebellare che si originano dall'acustico.
Il neurofibroma, o falso neuroma, parrebbe soltanto un fibroma del nervo che nello sviluppo del tessuto fibromatoso resterebbe alterato nella sua costituzione per lo spostamento dei suoi fasci di fibre che secondariamente degenerano per compressione (dolori, parestesie, ecc.). Se ne trovano isolati (n. mediano, ulnare, sciatico, radiale: M. Francini) o sistematizzati lungo alcuni tronchi come nodi di varia grandezza, rotondeggianti, racemosi, cirsoidei, plessiformi (questi sono spesso combinati con elefantiasi: elefantiasi neuromatode), o diffusi in numero stragrande per tutto il sistema nervoso (neurofibromatosi multipla di Recklinghausen) e nel sottocutaneo nel quale appaiono con gli aspetti di un fibroma mollusco multiplo.
Intorno a questa malattia del Recklinghausen - caratterizzata da fibromi multipli cutanei e sottocutanei, tumori multipli dei nervi con sintomatologie corrispondenti periferiche o centrali molto varie, pigmentazioni della cute: nel 10-12% dei casi degenerazione sarcomatosa dei noduli - sono ancora aperte le discussioni per un'esatta interpretazione genetica dei tumori: e mentre si difende ancora da alcuni l'origine fibromatosa dai fibroblasti della guaina nervosa (fibroblastoma perinervoso: G. Herxheimer, F. B. Mallory, ecc.), altri sostengono la loro provenienza da tessuto nervoso embrionario eterotopico (J. Lhermitte), o dalle guaine di Schwann (schwannomi, analoghi ai gliomi, considerando la guaina di Schwann come nevroglia periferica), o ancora, su nuove concezioni sull'origine neuroectodermica delle meningi (Ch. Oberling) e dell'importanza del meningoblasta nell'origine dei tumori meningei (meningiomi: v. meningi), ritenendoli come neurogliomi (neurogliomatosi). Si è anche parlato di neuroectodermosi.
Tumori maligni possono invadere i fascetti nervosi più gracili lungo le lacune linfatiche del perinervio e propagarsi per qualche tratto del tronco nervoso maggiore, più difficilmente aggredibile direttamente dalle cellule neoplastiche: ciò accade più visibilmente per il cancro dell'utero, della prostata, della mammella.
Per malattie dei singoli nervi periferici o per lesioni sistematiche di esse vedi le singole voci.
Chirurgia dei nervi periferici. - Le malattie chirurgiche dei nervi periferici possono essere divise in tre gruppi: lesioni violente, lesioni infiammatorie e degenerative, lesioni neoplastiche.
I. Lesioni violente. - Alle lesioni traumatiche dei nervi appartengono la ferita, la contusione, la distensione. La ferita può esser dovuta ad arma da fuoco, da taglio, da punta e taglio, ecc., o anche a uno strumento ottuso, che produca una lacerazione del nervo con scontinuazione parziale o totale. Talvolta la ferita del nervo è dovuta al trauma solo in modo indiretto: per es., nel caso che quello produca la frattura di un osso, una scheggia del quale, spostata violentemente, vada a ledere il tronco considerato. Durante la guerra mondiale, le ferite dei nervi furono osservate con grande frequenza, e vi sono autori che le dichiarano più numerose di quelle dei vasi sanguigni.
In secondo luogo si ha la contusione, allorché lo strumento vulneratore, pur non essendo in grado di scontinuare il nervo, è idoneo a ledere le fibre nervose in esso contenute. A tale effetto conducono, o possono condurre, la legatura di un nervo e, in generale, ogni compressione, sia brusca sia lenta, alla quale esso sia sottoposto. Un esempio abbastanza frequente di ciò si ha nel caso che un nervo (il radiale in certe fratture dell'omero, ecc.) resti impigliato nel callo di una frattura, l'ossificazione del quale lo va progressivamente comprimendo e atrofizzando.
Infine si ha la distensione del nervo, quando esso venga violentemente spostato dalla sua sede, in modo che i capi ne subiscano un forte stiramento, e in misura maggiore o minore ne siano vulnerati gli elementi anatomici (e in particolare le fibre nervose) che lo costituiscono. Simile lesione, talvolta rappresentata da una lussazione del nervo, è particolarmente frequente (per il nervo cubitale) in gravi traumi del gomito, e talvolta lo stiramento giunge al punto da dare lo strappamento completo del nervo leso: per es., del circonflesso in certe lussazioni della spalla.
In tutte queste lesioni traumatiche dei tronchi nervosi si deve tener conto, non solo delle alterazioni primitive (scontinuative o contusive) delle fibre degli stessi, ma anche delle lesioni secondarie, infiammatorie e degenerative, che alle primitive, per ragioni non sempre note, tengono o possono tener dietro, e che in certi casi le aggravano notevolissimamente. Una delle più conosciute malattie di quest'ultima specie è rappresentata dai cosiddetti neuromi traumatici o neuromi da amputazione (v. neuroma), i quali sono noduli infiammatorî che si formano a livello del punto ove le fibre del nervo furono scontinuate, e rappresentano neoformazioni reattive, dovute a un lavoro di riparazione anomalo o eccessivo da parte delle fibre recise.
II. Lesioni infiammatorie e degenerative. - A tali lesioni appartengono le nevriti, lo studio delle quali è d'interesse per la maggior parte medico. Alcune nevriti tuttavia rientrano nel campo della chirurgia dei nervi, e queste sono le traumatiche e quelle per propagazione: successive a una ferita, a una contusione, a una lussazione, a un'ustione, a un congelamento, ecc., le prime; consecutive al propagarsi a un nervo di un'infezione di organo o di tessuto, le seconde.
Tra le più frequenti nevriti traumatiche meritano speciale ricordo quelle dell'arto inferiore, talora gravissime e progressive, nei congelamenti dei piedi, quali la guerra mondiale ha permesso di osservare in un gran numero di combattenti in montagna.
Nelle nevriti, nelle quali, dal punto di vista anatomico, si può distinguere una forma interstiziale e una parenchimale, e, dal punto di vista clinico, una forma acuta e una cronica, la lesione principale è rappresentata da un'alterazione delle fibre del tronco nervoso, le quali finiscono per restarne interrotte in totalità o in parte. La malattia in alcuni casi resta circoscritta al nervo primitivamente leso (nevrite localizzata); in altri casi, invece, si estende, ora verso la periferia (nevrite discendente), ora verso i centri (nevrite ascendente).
III. Lesioni neoplastiche. - Non rarissimi sono i tumori dei nervi, che possono essere primitivi e secondarî. Appartengono ai primitivi quei tumori che prendono origine dai tessuti dei quali il nervo è composto, siano essi il connettivo di sostegno (fibromi, lipomi, mixomi, sarcomi, ecc.), siano le fibre nervose, che del nervo costituiscono l'elemento anatomico principale (v. neuroma). Appartengono invece ai tumori secondarî quelli che nascono da altri organi e invadono il nervo secondariamente. Questi ultimi sono rappresentati quasi sempre da tumori epiteliali maligni, l'invasione delle cellule dei quali nei nervi dà la spiegazione dei dolori lancinanti che soffrono certi malati di cancro (cancro della mammella e invasione del plesso brachiale, cancro dell'utero e plesso sacrale, cancro della lingua e nervo linguale, ecc.).
Il sintomo immediato, che caratterizza un trauma anche semplicemente contusivo che colpisca un nervo, è dato dal dolore vivissimo, folgorante, sentito dalla persona e abitualmente percepito come propagato al territorio di distribuzione del nervo stesso. Di esso fa la prova chi batta (come è frequente) la faccia posteriore del gomito, ad avambraccio flesso, contro un ostacolo: la contusione del nervo in tale guisa offeso (cubitale alla doccia olecranica) si manifesta con una sofferenza acutissima, risentita lungo l'antibraccio fino alle ultime due dita della mano. Con tale dolore, dovuto alla irritazione delle fibre sensitive del nervo leso, possono congiungersi i segni d'irritazione delle fibre motorie, con contrazioni e spasmi dei muscoli che ne sono innervati.
L'interruzione totale o parziale, primitiva o secondaria, di un nervo è poi contrassegnata dall'abolizione della funzione delle fibre che prendono parte alla costituzione dello stesso, funzione che, in generale, è sensitiva, motoria, secretiva, vasomotoria, trofica e termoregolatrice. Si ha quindi nella parte del corpo, alla quale il nervo scontinuato si distribuiva, la paralisi (con atrofia e con reazione elettrica degenerativa) dei muscoli e l'abolizione delle varie sensibilità (tattile, dolorifica, termica); con i quali disturbi abitualmente si congiungono alterazioni di nutrizione di tutti i tessuti, pigmentazione della cute, caduta dei peli e delle unghie ecc., le quali possono condurre in certe circostanze anche alla cancrena. Per questo la chirurgia, ogni volta che diagnostichi l'avvenuta scontinuazione di un nervo, provvede a ripararla, riportandone il meglio che è possibile a contatto con la loro superficie cruenta i monconi (operazione di neurorrafia), curandone, ove di più non si possa fare, almeno l'avvicinamento, sicché possano rigenerarsi e riprendere in seguito la loro funzione le fibre scontinuate.
I dolori e i segni di progressiva abolizione delle funzioni di senso, di moto, ecc., quali caratterizzano la violenta scontinuazione di un nervo, sono pure i segni fondamentali (di progressiva e talvolta tardiva comparsa) di un'alterazione infiammatoria o degenerativa che colpisca il nervo stesso; e sono pure questi i segni di un tumore, primitivo o secondario, che si sviluppi a livello di un tronco nervoso. Non sempre la chirurgia è in grado di rimediare a tali lesioni. I tumori circoscritti di un nervo e i neuromi di amputazione presentano le migliori indicazioni per un efficace intervento operatorio, che liberi il malato dalle gravi e talvolta insopportabili sue sofferenze, se anche l'operazione non sia immune dal pericolo di una recidiva, o se, per allontanare dal nervo un tumore, si sia talvolta costretti a scontinuare il nervo stesso o magari a resecarlo.
Sistema nervoso simpatico o vegetativo.
Anatomia. - Questa parte del sistema nervoso ebbe la qualifica di vegetativo, perché presiede specialmente alla maggior parte degli atti della vita organica e vegetativa, che si compiono nel canale alimentare e nei suoi annessi, nell'apparato cardiaco-vascolare e nel genito-urinario; e per distinguerlo dalla parte principale del sistema, che fu detto della vita animale o di relazione, perché è destinato alle più elevate funzioni nervose, per mezzo delle quali l'organismo entra in rapporto col mondo esterno. Ma più comunemente è indicato con la qualifica di sistema nervoso simpatico, che gli fu dato da J. B. Winslow; e oggi da molti con quello di sistema nervoso autonomo (J. N. Langley), perché nell'esercizio delle sue attività gode di fronte ai centri cerebro-spinali di una certa indipendenza, per quanto incompleta e subordinata a determinate condizioni.
Il sistema nervoso simpatico per la sua origine e per le sue connessioni va considerato come annesso al sistema cerebro-spinale. Sono in esso contenute vie nervose efferenti, non soggette al dominio della volontà, per la massima parte destinate alla muscolatura liscia della pelle e dei visceri; alla muscolatura del cuore e del vasi sanguigni e linfatici, e alle ghiandole. Possiede vie nervose afferenti, che provengono dagli organi della vita vegetativa, per la trasmissione di eccitamenti, che, almeno nelle condizioni normali, non varcano la soglia della coscienza.
Un decisivo progresso nelle nostre conoscenze sulla morfologia del simpatico data da quando all'indagine anatomo-istologica fu associato l'esperimento fisiologico. S'è specialmente determinato in seguito alle classiche ricerche di Vt. H. Gaskell e di J. N. Langley, proseguite da molti ricercatori e tuttora in corso.
Per intendere l'anatomia del simpatico è necessario tenere presente la maniera particolare e caratteristica con la quale sono costituite le sue vie efferenti. Esistono nel sistema nervoso centrale in determinati distretti speciali cellule, dalle quali nascono fibre, che non raggiungono direttamente i tessuti sui quali debbono esercitare la loro azione, ma si arrestano in un ganglio simpatico. Ivi si arborizzann intc) rno intorno a cellule gangliari, dalle quali nascono fibre, che terminano innervando soecialmente muscoli involontarî o ghiandole. Le vie simpatiche efferenti risultano dunque di due neuroni (unità nervose) fra loro articolati, cioè di un primo neurone, del quale la cellula si continua nella fibra pregangliare, e di un secondo neurone, con la cellula che dà origine alla fibra postgangliare.
Divergenti sono state le vedute sulle vie afferenti o sensitive del simpatico. Secondo l'opinione oggi più accreditata, le medesime non sarebbero anatomicamente differenti dalle fibre sensitive somatiche, contenute nei nervi cerebro-spinali. Come in queste, le cellule di origine delle fibre si troverebbero nei ganglî annessi a questi nervi. Ciascuna fibra si dividerebbe nel ganglio in due rami; di questi, uno è diretto alla periferia dove riceve con le sue espansioni terminali gli stimoli che si producono in quel territorio; l'altro ramo penetrerebbe e terminerebbe in un centro nervoso.
Anatomia del simpatico nell'uomo e negli altri Mammiferi. - Tenendo presenti le nozioni suesposte, passiamo a studiare l'anatomia del simpatico nei Mammiferi. Poiché nei varî ordini di questa classe si presenta con caratteri sostanzialmente simili, il simpatico dell'uomo può essere preso per esempio. Nel sistema nervoso simpatico dell'uomo si considerano: 1. il simpatico propriamente detto o simpatico toraco-lombare: è il costituente maggiore, da lungo tempo conosciuto, e che sta in connessione con la regione toraco-lombare del midollo spinale; 2. il parasimpatico: questo comprende quei costituenti del sistema, che stanno rispettivamente in connessione col mesencefalo, col rombencefalo e col segmento sacrale del midollo spinale (figg. 38, 39)
Di recente s'è proposto di distinguere nel simpatico, oltre al simpatico propriamente detto e al parasimpatico, quella parte del sistema che è contenuta nei visceri, simpatico viscerale o metasimpatico.
Simpatico propriamente detto o simpatico toraco-lombare. - Fondamentalmente risulta di una catena di ganglî, ganglî vertebrali, tra loro riuniti da cordoni intermedî di fibre nervose, che decorre, a destra e a sinistra, sulla faccia ventrale della colonna vertebrale lateralmente, dalla base del cranio fino al coccige. Queste due formazioni si dicono tronchi (o cordoni) limitanti del simpatico (simpatico latero-vertebrale).
Nella regione cervicale esistono da ciascun lato 3 ganglî, il g. cervicale superiore, molto grosso, il g. medio, piccolo, incostante, variabile; il g. inferiore, che in generale è fuso più o meno completamente col 1° ganglio toracico, formando il ganglio stellato. Nella regione toracica i ganglî sono 10-12, più spesso 11. Nella regione lombare sono generalmente 5. Vella regione sacrale per lo più 4. Un piccolo ganglio, g. coccigeo, mediano, si può trovare dinnanzi alla 1ª vertebra coccigea, dove i due tronchi del simpatico si riuniscono ad ansa. Manca dunque un'esatta corrispondenza fra il numero dei nervi spinali e quello dei ganglî simpatici vertebrali, minore essendo il numero di questi ultimi.
I tronchi del simpatico, per lo più a livello dei loro ganglî, stanno in connessione, per mezzo di rami anastomotici, con alcuni nervi encefalici e con i nervi spinali. I rami anastomotici per alcuni nervi encefalici provengono tutti dal primo ganglio del simpatico cervicale. I rami che dal simpatico vanno ai nervi spinali si dicono rami comunicanti, e si distinguono in bianchi e in grigi: i bianchi sono composti in prevalenza di fibre nervose mielinizzate, i secondi di fibre per lo più amieliniche. Inoltre i tronchi del simpatico emettono, in specie a livello dei gangli, un gran numero di rami periferici, che seguono per lo più il decorso delle arterie, formando intorno a loro plessi, dei quali possono far parte anche fibre di nervi cerebro-spinali. Sul decorso dei nervi periferici e dei loro plessi si trovano ganglî di vario volume. Si dicono ganglî periaortici (g. prevertebrali) quelli posti al dinnanzi dell'aorta; ganglî periferici e ganglî terminali, quelli in posizione più distale, e fin nell'interno dei visceri. I periferici, e specialmente i terminali, possono essere assai piccoli, anche microscopici, e perfino risolversi in cellule isolate. I rami periferici del simpatico toraco-lombare hanno un estesissimo territorio di distribuzione, pochi essendo gli organi (come hanno dimostrato le ricerche recenti) che non ricevono fibre simpatiche. Ma per la maggior parte terminano, come già fu detto, nella muscolatura liscia (involontaria) e nelle ghiandole.
Costituzione. - I dati anatomici fin qui esposti debbono essere integrati con le nozioni ricavate dall'analisi microscopica e fisiologica della costituzione del simpatico toraco lombare.
Centro di origine e decorso delle fibre efferenti. - Il centro di origine delle fibre efferenti si trova nella regione toracica e nel tratto superiore della regione lombare del midollo spinale, ed è rappresentato da gruppi di cellule (cellule radicolari viscerali) contenute nel corno laterale della sostanza grigia. Le fibre rispettive, midollate, sottili, escono dal midollo per la via delle radici anteriori dei nervi toracici e dei primi due o tre nervi lombari, cioè di quelle radici nervose che corrispondono alla sede delle loro cellule di origine nel midollo. Di lì, passando nel rispettivo ramo comunicante bianco, raggiungono un ganglio simpatico vertebrale, che può essere o quello che sta a livello del nervo spinale nel quale erano contenute, o un altro ganglio vertebrale sovrastante o sottostante più o meno lontano, a cui arrivano per la via dei cordoni intermedî del tronco.
Un fascio di fibre pregangliari che salgono verso la testa forma il braccio anteriore di una ansa che il simpatico descrive intorno all'arteria succlavia (ansa succlavia del Vieussens).
Si possono anche, traversando il tronco del simpatico e decorrendo in un ramo periferico che emani dal tronco, portare più lontano, fino a un ganglio periaortico o anche a un ganglio situato più distalmente. In questi casi il ramo periferico che le contiene deve essere considerato come la continuazione del ramo comunicante, che ha acquistato una considerevole lunghezza (p. es. i nervi splancnici). Una volta che le fibre pregangliari hanno raggiunto il ganglio simpatico nel quale debbono terminare, si arborizzano intorno a cellule del ganglio. Queste dànno origine alle fibre postgangliari generalmente amieliniche, che condurranno gli eccitamenti funzionali fino a determinare organi o tessuti. Ma il decorso delle fibre postgangliari per andare a destinazione non è per tutte lo stesso. Da questo punto di vista, possiamo classificarle nei due seguenti ordini:
1. Fibre provenienti dai ganglî simpatici vertebrali toracici e primi lombari: passano nel corrispondente ramo comunicante grigio e da questo nel tronco e nelle diramazioni del nervo spinale. Alcune, prima di uscire dal tronco del simpatico, risalgono lungo questo fino nella regione cervicale, o discendono fino all'estremità caudale del tronco; così forniscono di rami comunicanti grigi i nervi spinali soprastanti e sottostanti (nervi cervicali, lombari inferiori, sacrali, coccigeo). I quali nervi, si noti bene, sono privi di ramo comunicante bianco, perché i corrispondenti segmenti del midollo, mancando di cellule viscerali che diano origine a fibre pregangliari, non partecipano alla formazione del sistema simpatico toraco-lombare; e nemmeno ricevono fibre simpatiche afferenti. Le fibre delle quali abbiamo studiato il decorso, forniscono la muscolatura liscia, i vasi e le ghiandole della pelle; i vasi delle pareti del corpo e degli arti, le meningi e la rachide.
2. Un gran numero di altre fibre postgangliari, che provengono da tutti i ganglî simpatici vertebrali, e anche da ganglî periaortici o da gangli posti più distalmente, vanno a far parte di nervi diretti verso la periferia. Questi, secondo il livello, si portano nella testa, nel collo, nel torace, nell'addome, nella pelvi, distribuendosi a un gran numero di svariati organi, avendo tutti le stesse specifiche destinazioni proprie dei nervi simpatici. Non potendoci estendere in descrizioni particolareggiate, basterà dire che dai varî nervi cosiddetti periferici del sistema toraco-lombare ricevono fibre: l'occhio, i vasi e le ghiandole delle mucose della testa, le ghiandole endocrine branchiali, il cuore, l'apparecchio polmonare, il canale alimentare e le ghiandole annesse, gli apparecchi urinario e genitale, l'apparecchio surrenale.
Decorso delle fibre afferenti. - Anche le fibre afferenti del simpatico toraco-lombare non hanno tutte lo stesso decorso. Quelle della pelle, delle pareti del corpo e degli arti raggiungono il midollo passando direttamente dal nervo spinale, nel quale erano contenute, nella rispettiva radice posteriore del nervo. Le fibre che provengono dai visceri decorrono nei rami periferici del simpatico, seguendo i quali penetrano in un ganglio vertebrale. Da questo o da un ganglio soprastante o sottostante, al quale sono arrivate per mezzo dei cordoni intermedî, passano in un ramo comunicante bianco, dove esiste, e di lì nella radice posteriore del nervo spinale.
Dal ganglio stellato si diparte un ramo morfologicamente e fisiologicamente importante, che è il nervo vertebrale. Decorre nel canale intertrasversario delle vertebre cervicali; manda rami agli ultimi nervi cervicali e fornisce di fibre il plesso simpatico che accompagna l'arteria vertebrale. Si ritiene che mantenga fibre afferenti viscerali che al 1° ganglio toracico arrivano dal cuore e dai polmoni, e per la via degli ultimi nervi cervicali raggiungono il midollo spinale. Conterrebbe anche fibre vasomotorie per l'arteria vertebrale e per i vasi dell'arto superiore.
Parasimpatico. - Questa sezione del sistema nervoso simpatico possiede una costituzione analoga a quella del sistema toraco-lombare. Ha i centri di origine delle sue fibre efferenti in cellule viscerali contenute nel mesencefalo, nel rombencefalo e nella regione sacrale del midollo spinale. Le fibre rispettive decorrono in nervi emergenti dai detti organi, commiste (si noti bene) a fibre del sistema cerebro-spinale. Esercitano la loro azione su organi periferici con l'intermezzo di speciali ganglî simpatici, che incontrano sulla loro via. Perciò anche nelle vie efferenti del parasimpatico si considerano le fibre pregangliari e le postgangliari. Alle vie afferenti del parasimpatico è applicabile quanto fu esposto sulle vie afferenti del sistema toraco-lombare.
Parasimpatico mesencefalico. - Le sue fibre efferenti hanno origine nel nucleo viscerale del nervo oculomotore. Decorrono in questo nervo, e per un ramo che ne deriva raggiungono il ganglio ciliare, contenuto nell'orbita. Qui terminano prendendo rapporto con cellule di origine di fibre postgangliari. Queste per la via dei nervi ciliari vanno al globo oculare, e innervano i muscoli ciliare e sfintere della pupilla.
Parasimpatico rombencefalico. - Le sue fibre efferenti nascono in gruppi di cellule contenute nel rombencefalo, spettanti ai nuclei dei nervi intermedio, glosso-faringeo e vago. Le fibre che ne partono decorrono nei nervi rispettivi, e raggiungono la loro destinazione dopo essersi interrotte in ganglî simpatici periferici (sfenopalatino, otico, sottomascellare, sottolinguale), o in gangli terminali. Di alcuni il decorso è assai complicato. Le fibre efferenti contenute nel nervo intermedio (che è annesso al nervo faciale) forniscono in parte le ghiandole sottomascellare e sottolinguale, in parte la ghiandola lacrimale e la mucosa delle fosse nasali e del velo del palato. Le fibre efferenti che decorrono nel nervo glossofaringeo innervano la ghiandola parotide, le piccole ghiandole e i vasi del tratto iniziale del canale alimentare. Le fibre efferenti che in gran numero sono contenute nel nervo vago forniscono le ghiandole, la muscolatura liscia e i vasi della massima parte del canale alimentare (eccezione fatta per le ultime porzioni dell'intestino crasso), il pancreas e il fegato; l'apparecchio polmonare; il cuore e i grossi vasi che al cuore fanno capo; forse anche i reni. Per gran parte decorrono nel nervo vago fibre afferenti provenienti dai visceri toracici e addominali.
Parasimpatico sacrale. - Le cellule di origine delle sue fibre efferenti si trovano nella sostanza grigia della parte sacrale del midollo spinale. Le fibre emergono per la via delle radici anteriori dei primi nervi sacrali, e, dopo essersi interrotte in ganglî periferici e terminali, forniscono la vescica urinaria, gli organi genitali, le ultime parti del colon e l'intestino retto. Numerose fibre afferenti parasimpatiche provengono dai suddetti visceri.
Note istologiche. - Scarsi e incerti sono i dati relativi alle caratteristiche differenziali fra le cellule radicolari simpatiche dei centri nervosi, che dànno origine a fibre pregangliari, e le cellule radicolari delle altre fibre motrici (fibre motrici somatiche). In alcuni casi, per es. quelle del parasimpatico mesencefalico, si distinguono, oltre che per la sede in uno speciale nucleo del nervo oculomotore, per essere di piccolo volume.
Le cellule dei ganglî simpatici sono per lo più globose o stellate. Sono contenute (tranne, se mai, le piccole cellule intraviscerali) in una capsula, che viene considerata connettivale; ma non si può escludere che fondamentalmente si formi per opera di cellule ectodermiche, satelliti delle cellule nervose (lemnoblasti). Posseggono un apparato fibrillare, l'apparato reticolare del Golgi, sostanza cromofila e spesso pigmento in differente copia. Sono multipolari. Da ciascuna di esse si diparte un nevrite, che si prolunga nel cilindro assile di una fibra nervosa, e alcuni dendriti, nell'insieme simili ai dendriti delle cellule dei centri nervosi; essi si possono intrecciare fra loro o con quelli di cellule vicine formando glomeruli. Altre espansioni cellulari si trovano in gangli di animali di grossa taglia, nell'uomo nel ganglio cervicale superiore, specialmente nei vecchi, e rientrano nella categoria dei cosiddetti parafiti.
Vario è l'aspetto dei parafiti; possono rendere fenestrata la periferia del corpo cellulare; essere numerosissimi e sottili e terminare a clava, e formare una ricca corona intorno alla cellula, intrecciarsi a plesso, ecc.
Le fibre nervose efferenti che appartengono in proprio al simpatico possono essere amieliniche o con una guaina midollare molto sottile. Le fibre simpatiche afferenti sono tutte midollate e spesso sono di grosso calibro.
Le fibre nervose che terminano in ganglî simpatici prendono con le cellule stretti rapporti per mezzo delle loro ultime diramazioni: esse si avvolgono intorno al corpo cellulare e formano nidi cellulari ricchi e complicati.
Si trovano nei ganglî e nei nervi del simpatico nidi di cellule cromaffini o feocromiche, uguali a quelle che caratterizzano la sostanza midollare delle ghiandole surrenali. Ciò dipende dal fatto che tanto le cellule simpatiche quanto le cellule cromaffini si formano in abbozzi comuni, per il differenziamento di una sola qualità di elementi (simpatogonî).
Sviluppo. - Il simpatico toraco-lombare fa la sua comparsa nell'uomo nella prima metà del 2° mese fetale, e si accenna da ciascun lato per migrazione di gruppi di cellule nervose embrionali (simpatoblasti) dalla cresta gangliare, matrice dei ganglî spinali, in corrispondenza degli ultimi sei nervi toracici e dei primi tre nervi lombari. I suddetti gruppi cellulari si riuniscono in un cordone continuo, cordone primitivo, che in seguito si prolungherà a tutta la regione cervicale e fino all'estremità caudale del tronco. Il cordone primitivo si dispone al dinanzi e lateralmente alla colonna vertebrale, al di dietro dell'aorta. Alcuni ritengono che alla formazione del cordone concorrano cellule provenienti dai corni anteriori del midollo spinale, che migrano lungo le radici anteriori dei nervi spinali; ma non è sicuramente dimostrato. In un secondo tempo, sempre per distacco di gruppi di neuroblasti da abbozzi di ganglî spinali, si costituisce nei Mammiferi nella regione toraco-addominale una formazione simile alla precedente, il cordone secondario del simpatico.
In definitiva il tronco del simpatico rimane rappresentato nella regione toraco-addominale dal cordone secondario e nella regione cervicale del cordone primitivo; i due cordoni alla base del collo stanno in continuità fra loro. Il cordone primitivo della regione toraco-addominale è adibito alla formazione dei ganglî e plessi periaortici (prevertebrali).
Per la formazione di un cordone secondario nel collo dei Sauropsidi e del nervo vertebrale, che topograficamente lo rappresenta nei Mammiferi, v. sotto: Note comparative.
Nell'abbozzo primitivamente cellulare del tronco del simpatico, con l'arrivo e lo sviluppo di fibre nervose, si costituiscono i cordoni intermedî: allora le cellule si raccolgono a formare i ganglî vertebrali. Questi soltanto nella regione toraco-addominale, e non nel collo, hanno un ordinamento approssimativamente segmentale.
L'organizzazione del materiale cellulare proveniente dalla cresta gangliare, che formerà i cordoni simpatici sembra che sia in relazione con l'arrivo dal midollo delle fibre pregangliari per la via delle radici ventrali e dei rami comunicanti, i quali sarebbero fin da principio costituiti da fibre nervose accompagnate da lemnoblasti. Nel collo, nel quale mancano i rami comunicanti embrionali di fibre, tanto il cordone primitivo quanto il secondario si organizzerebbero in seguito alla progressiva ascensione di fibre spinali dai primi segmenti toracici.
Nello sviluppo i ganglî simpatici non mantengono per la maggior parte la posizione primitiva, ma si spostano per tener dietro ai cambiamenti di sede dei visceri con i quali hanno rapporto.
È verosimile che anche nell'organizzazione del parasimpatico la funzione direttiva, in riguardo si ganglî che ai medesimi sono annessi, spetti alle fibre pregangliari contenute nei nervi rispettivi.
La sorgente prima del materiale cellulare per i ganglî proprî del parasimpatico va cercata nella cresta gangliare. Per quelli del parasimpatico encefalico è peraltro difficile indicare il punto preciso di origine. Verosimilmente si devono formare per migrazione e proliferazione di cellule dagli abbozzi di quei ganglî che saranno i ganglî sensitivi dei corrispondenti nervi, come è stato dimostrato per qualche ganglio del nervo glossofaringeo. Ma pare che anche il ganglio del trigemino fornisca materiale per ganglî simpatici della testa (g. sfeno-palatino, g. sottomascellare e g. otico); da esso deriva il ganglio ciliare, che forse riceve qualche cellula anche dal nevrasse per la via del nervo oculomotore. Si noti peraltro che in definitiva il ganglio del nervo intermedio, il ganglio petroso del nervo glossofaringeo e i ganglî giugulare e nodoso del nervo vago sono tipici ganglî sensitivi.
Dell'origine embrionale comune delle cellule nervose simpatiche e delle cellule cromaffini abbiamo già detto.
Note comparative. - Il sistema nervoso simpatico è rappresentato in varia forma anche in Invertebrati: Anellidi, Artropodi, Cefalopodi, Tunicati.
Nell'Amphioxus, rami viscerali si staccano dalle radici dorsali dei nervi spinali per i vasi e per il canale alimentare. Cellule gangliari si trovano nella parete della faringe.
Tra i Vertebrati, negli Anamnî le conoscenze sulla morfologia del simpatico sono ancora imperfette.
Nei Ciclostomi, il simpatico è meno bene differenziato che negli Gnatostomi. In Mixinoidi pare che sia rappresentato da cellule disseminate lungo le vene cardinali, aggruppate presso i vasi segmentali e le radici dorsali dei nervi spinali, e raccolte in massa sul seno venoso. Furono nei Mixinoidi descritti rami simpatici provenienti dai nervi facciale e vago per la regione faringea. Il vago fornisce tutto il canale alimentare, qui mettendosi in rapporto con plessi nervosi. In Petromyzon si aggiunge a un parasimpatico craniale e caudale un sistema di fibre di origine spinale emergenti dalle radici posteriori (non dalle anteriori), che fanno capo a ganglî simpatici latero-vertebrali.
Nei Pesci fu dimostrata in alcune specie la presenza di costituenti parasimpatici mesencefalico e rombencefalici, questi ultimi specialmente localizzati nel nervo vago. In quanto al sistema toraco-lombare, i ganglî simpatici in qualche ordine non sono distribuiti su di un cordone longitudinale. In Selaci sono riuniti a rete. Del cordone si ha traccia in Ganoidi ed esiste in Teleostei. Però manca in tutti i Pesci un cordone simpatico cervicale.
Negli Anfibî si trova sulla parte antero-laterale delle vertebre il tronco del simpatico toraco-lombare: negli Urodeli, prolungandosi in direzione della testa, si costituisce una porzione cervicale del cordone. Questa negli Anuri è molto ridotta.
Assai più progredite sono le conoscenze sul simpatico dei Rettili e degli Uccelli. Per quanto riguarda il sistema toraco-lombare, è possibile determinare oggi, su molti punti, confronti assai precisi con i Mammiferi, specialmente (dopo gli studî di T. Terni) riguardo al simpatico cervicale.
Nei Sauropsidi troviamo, come nei Mammiferi, nella regione toracica e addomino-pelvica i ganglî e plessi periaortici (prevertebrali), derivati dal cordone simpatico embrionale primitivo; e il simpatico latero-vertebrale, che decorre sulle parti latero-ventrali delle vertebre, derivato dal cordone secondario.
Nel collo esiste nei Mammiferi, come fu detto, il tronco del simpatico cervicale, che è un derivato del cordone primitivo, e che alla base del collo si connette col simpatico latero-vertebrale delle regioni sottostanti. Nei Sauropsidi una formazione omologa è rappresentata dal simpatico prevertebrale o retro-carotideo. Ma inoltre nel collo dei Sauropsidi si trova un'altra formazione longitudinale profonda, cioè il simpatico profondo o apofisario, derivato dal cordone secondario.
Si ritiene che il simpatico apofisario non manchi nei Mammiferi: sarebbe rappresentato dal nervo vertebrale, satellite, come quello, dell'arteria vertebrale.
Le formazioni spettanti al sistema toraco-lombare, proprie della regione del collo dei Sauropsidi, non sono identiche nelle varie specie di Rettili e negli Uccelli. Non potendo estenderci in particolari, ci basti ricordare che nei Rettili esiste presso la base del collo un unico ganglio cervicale, bene sviluppato, posto nel tronco del simpatico retro-carotideo e fuso con uno almeno dei ganglî toracici. Per questo merita la qualifica di ganglio cervico-toracico. Il simpatico prevertebrale si accresce più del profondo. Il profondo si riduce nel corso dello sviluppo, e in qualche specie può anche scomparire. Può contenere ganglî o esserne sprovvisto. Vi decorrono fibre post-gangliari per la testa, forse anche fibre afferenti; né è da escludere che contenga anche fibre pregangliari toraco-lombari destinate ai numerosi piccoli ganglî simpatici della testa.
Negli Uccelli si forma un grosso ganglio cervicale superiore paragonabile, salvo il volume relativamente minore, a quello simile dei Mammiferi. Esso è situato all'estremità superiore del cordone simpatico periaortico. Questo è assai meno sviluppato del cordone simpatico profondo. Il simpatico profondo o apofisario contiene ganglî con disposizione segmentale e termina congiungendosi al ganglio cervicale superiore. Specie in ambedue i cordoni simpatici del collo decorrono fibre pregangliari e postgangliari per la testa, e fibre afferenti di provenienza toracica.
Fisiologia. - Secondo J. N. Langley, s'intende per sistema nervoso autonomo quell'insieme di cellule e di fibre nervose che presiede all'innervazione degli organi della vita vegetativa (muscolo cardiaco, muscoli lisci dei vasi sanguigni e delle pareti del tubo gastroenterico, dell'apparecchio urogenitale, ghiandole secernenti, ecc.) e ne governa e regola le funzioni. Gli organi della vita vegetativa (intesi secondo la classificazione di X. Bichat) si sottraggono al controllo della volontà, perché non dipendono direttamente dal sistema nervoso centrale superiore, ma da un altro complesso nervoso a cui si assegna il termine di sistema simpatico. Tuttavia i rapporti anatomici e fisiologici tra sistema centrale e simpatico sono molto intimi; e, inoltre, v'è tutta una serie di nervi periferici e di ganglî nervosi (che anatomicamente si descrivono insieme con i nervi cranici), la quale è in stretta relazione con gli apparati vegetativi.
Per la distinzione del sistema nervoso simpatico in simpatico propriamente detto e parasimpatico, vedi quanto si è detto precedentemente nei cenni di anatomia.
Il simpatico propriamente detto deve il suo nome al fatto che gli antichi osservatori vedevano nei ganglî simpatici i centri degli atti riflessi, o simpatici, come furono dapprima designati. Questo sistema consta di una catena di ganglî, situata su ciascun lato della colonna vertebrale: sono i ganglî vertebrali o laterali, i quali si trovano connessi da una parte (per mezzo di rami comunicanti) con i nervi spinali, e dall'altra con formazioni gangliari poste più perifericamente e chiamate ganglî collaterali o prevertebrali (per es., il ganglio celiaco, i ganglî mesenterici superiore e inferiore, ecc.). Alcuni autori distinguono da questi una terza serie di gangli, detti terminali, e situati nelle pareti degli organi stessi (per es., i ganglî del muscolo cardiaco, i ganglî dei plessi di Auerbach e di Meissner nel tubo digerente, ecc.). I tre gruppi di ganglî, congiunti tra loro da fibre nervose simpatiche, sono poi in connessione con altre fibre nervose che partono dal midollo spinale.
I rami comunicanti sono distinti in bianchi e grigi; i primi consistono principalmente di esili fibre midollate; i secondi di fibri nervose amieliniche.
Appartengono al sistema parasimpatico alcuni nervi cranici e spinali, e taluni ganglî nervosi connessi anatomicamente con i nervi cranici, ma che con essi provvedono alla funzione di muscoli lisci e di ghiandole della regione della testa, nonché di varî organi toracici e addominali.
Si deve al Langley e ai suoi collaboratori un metodo fisiologico, detto metodo della nicotina, col quale gli autori inglesi sono riusciti a studiare l'anatomia e la fisiologia del sistema nervoso simpatico e a localizzarne le stazioni cellulari nella maggior parte dei distretti autonomi del corpo. La nicotina, in piccole dosi, ha la proprietà di paralizzare le cellule nervose dei ganglî simpatici, mentre riesce indifferente per le fibre.
Quest'azione non è ancora spiegata, cioè non è noto se il veleno agisca sulle sinapsi, o sulle cellule gangliari, o sulle cosiddette sostanze recettive; ma è certo che con esso i fisiologi hanno potuto distinguere due specie di fibre nervose simpatiche, le pregangliari e le postgangliari. Un impulso nervoso, che, attraverso una fibra pregangliare, giunge a un ganglio (che è sotto l'azione della nicotina), non può passare per le corrispondenti fibre postgangliari. Si stabilisce cioè una specie di blocco a livello del ganglio, per cui la stimolazione della fibra pregangliare non produce più movimenti del tessuto muscolare liscio in connessione con quel ganglio; stimolando invece le fibre postgangliari, si ottengono i movimenti normali. Sicché, a differenza delle fibre motorie del sistema nervoso periferico (le quali, senza interruzioni, vanno dal sistema centrale fino alle placche motrici dei muscoli striati), le fibre simpatiche (finemente midollate) che partono dal sistema nervoso centrale terminano con arborizzazioni attorno alle cellule di un ganglio simpatico (laterale o collaterale); da qui partono altre fibre (postgangliari, generalmente amidollate) che si distribuiscono alla muscolatura involontaria. Ma si possono avere due varianti principali:1. non tutte le fibre pregangliari hanno le loro stazioni cellulari nel primo ganglio da esse attraversato, perché alcune possono passare a un ganglio posto a un livello superiore o inferiore; talché le fibre che lasciano, per es., un nervo spinale per mezzo del ramo comunicante bianco, non si ricongiungono tutte (come fibre postgangliari) allo stesso nervo spinale (mediante il ramo comunicante grigio), perché alcune si mettono in rapporto con altri gangli simpatici situati a diversa altezza; 2. alcune fibre che partono dal sistema nervoso centrale possono attraversare il corrispondente ganglio laterale senza interrompersi in esso, ossia senza arborizzarsi attorno alle sue cellule, e senza ritornare al nervo spinale corrispondente attraverso il ramo comunicante grigio; queste fibre, prima di sfioccarsi nelle loro terminazioni, raggiungono un ganglio collaterale o anche un ganglio terminale: da qui partono poi le fibre postgangliari. Comunque, l'interruzione di un nervo simpatico avviene una volta soltanto (cioè in un solo ganglio). Ricorderemo infine anche che le fibre postgangliari sono sempre più numerose delle pregangliari, in rapporto all'ampiezza del territorio, a cui i nervi simpatici pervengono.
La distribuzione generale del sistema nervoso autonomo si può riassumere brevemente così (W.D. Halliburton):
1. Le fibre nervose autonome che sorgono dal cervello medio sono in connessione col III nervo cranico: le fibre pregangliari raggiungono il ganglio ciliare; di qui partono le postgangliari, che decorrono nei nervi ciliari brevi fino ad alcuni muscoli intrinseci del globo oculare (sfintere dell'iride e muscolo ciliare).
2. Le fibre nervose autonome che sorgono dal midollo allungato sono in connessione con: a) il VII (facciale) e il IX nervo cranico (glossofaringeo): esse si distribuiscono ai vasi sanguigni (fibre vasodilatatrici), e i ganglî che si trovano sul loro decorso sono lo sfenopalatino, l'otico, il sottomascellare e il sottolinguale; alcune di queste fibre (per es., quelle della corda del timpano) si anastomizzano con rami del V nervo (trigemino), e si distribuiscono con essi. b) il X (vago) e l'Xl nervo cranico (accessorio): queste fibre (attraverso il vago) raggiungono l'esofago, lo stomaco, l'intestino tenue, i muscoli cardiaco e bronchiali, e hanno rapporti col meccanismo della secrezione gastrica e pancreatica.
3. Le fibre nervose autonome che sorgono dalla regione toracica del midollo spinale, insieme con le radici anteriori dei nervi spinali (dal I o II nervo toracico fino al II, III o IV nervo lombare). Queste fibre hanno un duplice comportamento: a) alcune si allontanano (attraverso i rami comunicanti bianchi) dal nervo spinale corrispondente, raggiungono le loro stazioni cellulari in ganglî laterali e ritornano (attraverso i rami comunicanti grigi) al nervo spinale per distribuirsi al tessuto muscolare liscio e alle ghiandole delle pareti del corpo e della cute. Nella catena laterale dei ganglî simpatici si trovano le cellule che sono sul decorso dei nervi pilomotori, dei nervi che vanno alle ghiandole sudoripare, probabilmente dei nervi splenici, e, da ultimo, dei nervi vasocostrittori del capo, degli arti e delle pareti del corpo. In generale, le stazioni cellulari sono situate in ganglî che corrispondono ai varî segmenti spinali. Le fibre vasocostrittrici destinate alla testa ascendono al simpatico cervicale e hanno le loro stazioni cellulari nel ganglio cervicale inferiore. b) Altre fibre attraversano, senza interrompersi, i ganglî simpatici laterali per terminare nelle cellule di ganglî collaterali o terminali; il nervo splancnico ne è un esempio; esso contiene anche fibre vasocostrittrici e visceroinibitrici degli organi addominali. Il nervo ipogastrico sorge in un modo simile dal ganglio mesenterico inferiore e si congiunge al plesso pelvico; le fibre pregangliari di questo nervo si originano dalle prime radici nervose lombari.
4. Le fibre nervose autonome che sorgono dalla regione sacrale del midollo spinale: esse escono insieme con le radici anteriori del II, III e IV nervo sacrale, e passano (attraverso i rami comunicanti bianchi) ai ganglî della catena laterale, senza però interrompersi in essi. Queste fibre costituiscono il nervo erigente e si congiungono al plesso pelvico; esse provvedono alle fibre vasodilatatrici degli organi genitali esterni, del retto e dell'ano, nonché alle fibre motrici della muscolatura del colon discendente e del retto; e hanno le loro stazioni cellulari nei piccoli ganglî del plesso pelvico o nei ganglî terminali, situati nelle pareti dei visceri da esse innervati.
Gli organi interni, connessi col sistema autonomo, differiscono dai muscoli scheletrici per il fatto che sono provvisti di due serie di fibre nervose, con funzioni opposte: il cuore, per es., riceve fibre acceleratrici della sua funzione, che decorrono nel simpatico cardiaco, e fibre inibitrici che ad esso pervengono col nervo vago; così, anche per gli organi viscerali esistono fibre viscero-acceleratrici e rispettivamente fibre viscero-inibitrici, che accelerano o ritardano i loro movimenti peristaltici. W. H. Gaskell chiamava catabolici i nervi acceleratori, perché favoriscono il consumo di materia (come effetto dell'aumentata attività funzionale); e anabolici gl'inibitori, in quanto rendono possibile la fase anabolica di restauro.
Riflessi simpatici. - È ancora discussa la questione se esistono veri e propri riflessi limitati al campo del sistema nervoso simpatico. J. N. Langley e H. K. Anderson hanno descritto esempî di riflessi simpatici; ma altri autori spiegano in diverso modo i fatti notati dai due fisiologi inglesi. Vi sono tuttavia osservazioni che starebbero a favore dell'esistenza di veri atti riflessi simpatici; solo ammettendo questi è possibile spiegare, per es., il ripristino del tono vasomotorio e del tono delle pareti di alcuni visceri dopo distruzione di tratti più o meno estesi di midollo spinale; o anche la persistenza della peristalsi dopo il taglio di tutti i nervi spinali che vanno all'intestino.
Nervi simpatici sensitivi. - È tuttora scarsa la conoscenza di fibre simpatiche sensitive, sebbene vi siano molti argomenti per ammetterne l'esistenza. Il sistema simpatico, così come è stato sopra descritto, è essenzialmente un sistema efferente: nelle condizioni ordinarie, le funzioni degli organi vegetativi non provocano alcuna sensazione, ed è noto che i visceri possono essere anche sezionati senza che si produca dolore; solo in condizioni abnormi siamo edotti dell'irregolare attività funzionale di alcuni organi interni (i dolori colici, per es.). È stato dimostrato che le fibre simpatiche sensitive sono in numero minore di quelle motorie; e che i rami comunicanti grigi contengono pochissime fibre afferenti. Invece la stimolazione dei capi centrali dei rami comunicanti bianchi provoca spesso movimenti della muscolatura liscia; si è pertanto concluso che le fibre simpatiche sensitive penetrano nel sistema nervoso centrale attraverso i rami comunicanti bianchi e che probabilmente, attraverso le radici posteriori, pervengono ai ganglî spinali, mettendosi in relazione con le loro cellule. In base a tali rapporti si spiegherebbero molti dolori riflessi che si avvertono sulla cute di regioni presso a poco corrispondenti ad alcuni organi interni: è infatti noto che dolori provocati da irritazione intestinale sono riferiti alla pelle della regione lombare; stimoli abnormi originatisi in corrispondenza delle pareti gastriche producono sensazioni dolorose su un'area cutanea corrispondente alle regioni costali inferiori; irritazioni delle pareti cardiache sono avvertite come dolore irradiato alla cute della spalla sinistra, e così via.
Fisiopatologia.- Il sistema nervoso vegetativo (S.N.V.; sistema nervoso simpatico in senso lato) esercita la sua azione su tutta la muscolatura liscia del corpo, sugli elementi contrattili della pelle, sugli organi secretori e sugli organi del ricambio. Terminazioni del S.N.V. sono state descritte anche nella muscolatura striata, non solo di organi vegetativi come il cuore e l'esofago, ma anche nella muscolatura scheletrica. Come si è detto sopra, il S.N.V. prende anche il nome di sistema nervoso autonomo; ciò per la proprietà di poter svolgere la sua funzione innervatoria anche indipendentemente dall'asse cerebrospinale. Vale a dire che gli organi serviti dal S.N.V. possono funzionare anche dopo che ne sono state interrotte tutte le comunicazioni con l'asse cerebro-spinale; normalmente tuttavia sottostanno al controllo regolatore del midollo spinale e del cervello. Pertanto ogni organo sottostà ad una regolazione centrale e ad una regolazione autonoma (fig. 40).
La regolazione autonoma avviene e per via nervosa e per via umorale. La regolazione autonoma nervosa si compie per mezzo di meccanismi riflessi molto elementari: i cosiddetti riflessi assonici. Questi riflessi si svolgono al di fuori e indipendentemente dal midollo spinale. Potendo nella fibra nervosa la corrente nervosa procedere in ambo i sensi, lo stimolo raccolto dalle terminazioni simpatiche decorre centripetamente fino alla prima collaterale preganglionare o non, e si avvia per questa ritornando alla periferia. Si ammettono anche riflessi ancora più semplici addirittura attraverso il corpuscolo sensitivo (Lunedei). La regolazione umorale si svolge per l'intermediario dei prodotti di secrezione delle ghiandole endocrine, di prodotti che si liberano nei tessuti, e probabilmeme attraverso le variazioni dell'equilibrio elettrolitico dei colloidi cellulari. Come tipico esempio di regolazione ormonica endocrina possiamo prendere la regolazione simpatico-adrenalinica. Stimolando le vie nervose della sezione simpatica del S.N.V. si provoca vasocostrizione, orripilazione, tachicardia, ipertensione, dilatazione della pupilla, ecc. Ma gli stessi effetti si ottengono anche stimolando soltanto gli splancnici che, innervando la ghiandola surrenale, obbligano questa a una più abbondante secrezione e quindi a versare in circolo una grande quantità di adrenalina, la quale agisce sui varî tessuti nello stesso modo come la stimolazione del simpatico. La stessa azione può essere cioè ottenuta tanto direttamente in via puramente nervosa, quanto per via nervosa-endocrina. Quanto è detto per la ghiandola surrenale, vale per la tiroide (N. Pende) e così via. Ma la stimolazione delle vie nervose del sistema vegetativo provoca nei tessuti anche la formazione o la liberazione di determinate sostanze che agiscono nello stesso senso dell'azione nervosa. Così è stato dimostrato che la stimolazione del vago provoca la liberazione nel miocardio di una particolare sostanza, la sostanza vagale di O. Löwi ad azione vagosimile; nei varî tessuti di una sostanza parasimpaticomimetica detta da G. Viale vagotropina, mentre con la stimolazione del simpatico si ha la liberazione di sostanze ad azione simpaticomimetica. Ma ancora più delicata si suppone debba essere la regolazione neuroumorale. Infatti F. Kraus e la sua scuola ammettono che le variazioni dell'equilibrio elettrolitico nei tessuti, di cui può essere espressione la variazione dell'equilibrio calcio-potassio (K-ioni e Ca-ioni), possano avvenire sotto l'azione del S.N.V., mentre all'inverso ogni variazione nell'equilibrio elettrolitico provoca una stimolazione del S.N.V. in un senso o nell'altro. Si viene così a creare un'autoregolazione in catena neuro-umorale a cui non si sottraggono i centri nervosi vegetativi cerebrospinali su cui le modificazioni umorali fanno anche sentire sia per l'intermediario delle vie vegetative afferenti, sia per diretta azione chimica, la loro influenza.
La regolazione centrale delle funzioni vegetative si svolge attraverso centri posti nel midollo spinale e nel cervello. Pertanto il S.N.V. viene suddiviso dal punto di vista funzionale in una parte efferente, cioè che porta gli stimoli dai relativi centri alla periferia, e una parte afferente, che porta cioè gli stimoli dalla periferia ai centri.
Le fibre preganglionari (v. sopra) che originano dal sistema nervoso centrale e che costituiscono il sistema vegetativo efferente, si possono suddividere in tre gruppi. Il primo origina dal mesencefalo e dal rombencefalo (porzione craniale del S.N.V.); il secondo origina dai segmenti midollari toracici e primi lombari (porzione toracica del S.N.V.); il terzo origina dai rimanenti segmenti midollari (porzione sacrale del S.N.V.). La porzione craniale e sacrale costituiscono secondo il Langley il sistema nervoso parasimpatico, il toracico il sistema nervoso simpatico in senso stretto. Questa suddivisione trova la sua giustificazione nell'antagonismo funzionale dei due sistemi e nel loro diverso modo di reazione a determinate sostanze farmacologiche; in generale le terminazioni del sistema craniale e sacrale vengono stimolate dai farmaci del gruppo della colina (muscarina, pilocarpina, fisostigmina) e vengono paralizzate dall'atropina, mentre le terminazioni del sistema toracico vengono stimolate dall'adrenalina e, almeno in parte, paralizzate dalla ergotamina.
I centri bulbo-spinali, da cui prendono origine le fibre periferiche del S.N.V., sarebbero sottoposti e regolati dall'azione di centri superiori; si ammette così un centro vasomotore regolante il tono dei vasi sanguigni, posto con tutta probabilità nella substantia reticularis bulbare. Nel cervello intermedio, e particolarmente nell'ipotalamo, sarebbero posti numerosi centri regolatori di complesse funzioni vegetative. J. P. Karplus e A. Kreidl hanno mostrato che la stimolazione della regione corrispondente al corpo del Luys, anche dopo interrotte tutte le connessioni con le regioni cerebrali soprastanti, provoca dilatazione della pupilla, allargamento della rima palpebrale, secrezione delle lacrime e del sudore, costrizione dei vasi sanguigni, effetti che non si svolgono per l'intermedia azione dell'ipofisi e del surrene, poiché permangono anche dopo l'estirpazione di queste due ghiandole. Nel tuber cinereum sarebbe dimostrata da esperienze numerose l'esistenza di un centro regolatore della temperatura del corpo, e ancora di centri regolatori o per lo meno influenzatori del ricambio albuminoideo, del ricambio dei grassi, dello zucchero (con la puntura del pavimento del III ventricolo è stata osservata glicosuria), dell'acqua (nelle lesioni sperimentali e nelle lesioni dovute a processi patologici è stata osservata poliuria). Tuttavia rimane sempre aperta la questione se questi particolari effetti che si ottengono sperimentalmente siano dovuti alla distruzione di veri centri, cioè di delimitati gruppi ganglionari, oppure all'interruzione di sistemi di fibre provenienti da altre regioni.
Le connessioni dimostrate tra le regioni cerebrali di cui ora si è fatta menzione, con il cosiddetto striatum (= putamen + nucleo caudato) lasciano supporre che anche questa formazione cerebrale abbia la sua importanza nel meccanismo centrale delle funzioni vegetative. In appoggio a questa ipotesi stanno esperienze nelle quali è stato osservata ipertermia in seguito a puntura dello striato.
Per ciò che concerne l'azione della corteccia cerebrale nel meccanismo dell'innervazione vegetativa, le opinioni sono molto divergenti, da quelle di W. Bechterew che ha trovato per quasi ogni singolo organo un punto di eccitamento, a quella di L. R. Müller che ritiene che le funzioni vegetative siano nella stessa maniera influenzabili, qualunque punto della corteccia si ecciti. Comunque, centri per gli organi della cavità pelvica così come per i vasomotori e per la secrezione sudorale sembrano dimostrati nella zona motrice corticale.
La parte afferente del sistema nervoso vegetativo va cercata, oltre che nelle fibre simpatiche propriamente dette, anche nelle fibre dei nervi periferici. Infatti gli stimoli afferenti raggiungono il sistema nervoso centrale, sia attraverso i rami sensitivi dei nervi spinali e le radici posteriori, sia seguendo la via del vago, dei nervi pelvici, del sistema autonomo toracico. Le fibre che procedono con i nervi spinali portano soprattutto stimoli che provengono dagli elementi vegetativi della cute, le altre stimoli che provengono dai visceri.
Gli stimoli che provenendo dagli organi interni raggiungono il midollo, si scaricano sulle corna anteriori del midollo dando luogo a fatti contratturali della muscolatura corrispondente (come si osserva, per es., nelle affezioni degli organi della cavità addominale che si accompagnano, in via riflessa, a contrattura della parete addominale); ma anche sui centri dei più diversi organi vegetativi risultandone azioni riflesse da un organo a un altro organo (riflessi viscero-viscerali), agli elementi vegetativi della cute (pilomotori, sudorali, soprattutto vasomotori). Le iperestesie cutanee segmentali nelle malattie degli organi toraco-addominali (cosiddette zone di Head) sono la risultante di fenomeni riflessi della stessa natura, anche se non ancora completamente chiariti nella loro complessità.
Certamente gli stimoli che raggiungono il midollo per il sistema afferente simpatico, se superano una determinata soglia possono arrivare al cervello e alla coscienza; valga la sensazione di ripienezza della vescica, del retto, ecc. Ma anche dai visceri e dai vasi possono giungere per via simpatica sensazioni al cervello. Queste sensazioni procedono in parte per le vie ascendenti midollari, ma in parte (come recentemente ha dimostrato O. Foerster, che nell'uomo dopo il taglio di tutte le vie sensitive midollari ha visto ripristinarsi la sindrome algica viscerale e cutanea per cui era intervenuto) per la catena gangliare del simpatico.
Si viene così a determinare una serie complicatissima di fenomeni riflessi, alcuni ad arco extramidollare, altri ad arco midollare o cerebrale di cui alcuni possono essere utilizzati in clinica per saggiare la funzionalità del S.N.V. Sono questi principalmente riflessi vasomotori, riflessi cardiaci, riflessi secretorî, riflessi pilomotori, ecc.
Un altro mezzo di esplorazione è fornito dalle cosiddette prove farmacodinamiche. Queste vengono utilizzate in semeiologia neurovegetativa sfruttando la proprietà che hanno alcune sostanze chimiche di provocare, quando siano introdotte nell'organismo, azioni simili a quelle che si ottengono stimolando o la sezione simpatica o la sezione parasimpatica del S.N.V. Queste sostanze permettono di valutare lo stato di eccitabilità periferica delle varie sezioni del S.N.V., benché la loro utilizzazione pratica ai fini diagnostici si sia mostrata molto delicata, data la diversa azione in dipendenza della dose impiegata, del modo e del tempo di somministrazione. Le sostanze più comunemente impiegate sono l'adrenalina, l'atropina, la pilocarpina, l'eserina, l'ergotamina, ecc.; alle voci relative rimandiamo chi desideri più precisi particolari d'indole farmacologica.
La patologia del S.N.V. raccoglie sindromi di alterazione generale della funzione innervatoria vegetativa e sindromi di alterazione parziale o localizzata. Le sindromi di alterazione generale possono essere costituzionali ovvero originarie, e acquisite. Abbiamo già accennato sopra come ogni organo abbia una doppia innervazione vegetativa, e precisamente un'innervazione simpatica in senso stretto e un'innervazione parasimpatica. L'influenza di questi due sistemi si svolge perfettamente antitetica, di modo che la regolare funzione dell'organo è garantita dal loro equilibrio. Questo equilibrio può non esistere o si può rompere, sia perché l'innervazione simpatica prevale o è deficiente, sia perché prevale o è deficiente l'innervazione parasimpatica. Si hanno così le sindromi di iper- e iposimpaticotonia e ipo- e iperparasimpaticotonia, così come sindromi miste in cui v'è ipo- o ipertonia e dell'uno e dell'altro sistema.
L'innervazione dell'iride può dare un esempio schematico di come si possano realizzare queste sindromi. Nell'iride esistono delle fibre muscolari che dilatano la pupilla e fibre muscolari che la restringono. Le prime sono innervate dal simpatico, le seconde dal parasimpatico. Se la pupilla si trova ad avere un'ampiezza media vuol dire che le due innervazioni, poiché agiscono in senso contrario, si equivalgono perfettamente; se la pupilla è dilatata, vuol dire che il simpatico è in stato d'ipertonia o che l'innervazione parasimpatica è venuta a mancare; se la pupilla è ristretta o il parasimpatico è in stato d'ipertonia o manca l'innervazione simpatica.
Questo schema può essere riferito a tutti gli organi. Infatti le sindromi cliniche di ipo- e ipersimpaticotonia e di iper- e ipoparasimpaticotonia corrispondono a quelle sindromi che sperimentalmente si ottengono rispettivamente con la stimolazione o con la distruzione delle vie efferenti simpatiche o parasimpatiche. Accanto a queste si riconoscono anche sindromi di ipo- e rispettivamente ipereccitabilità simpatica o parasimpatica. Queste sindromi possono essere costituzionali e addirittura familiari o sopravvenire in dipendenza degli stati morbosi più varî. Soprattutto caratteristiche le sindromi neurovegetative legate alle endocrinopatie, dati gl'intimi rapporti d'interdipendenza tra sistema neurovegetativo e sistema endocrino.
Le sindromi di alterazione parziale o localizzata dell'innervazione vegetativa si possono realizzare per lesioni dei centri vegetativi posti nell'encefalo e nel midollo spinale o per lesioni delle vie efferenti. Qui riassumiamo soltanto le varie sindromi che si realizzano per alterazione dell'una o dell'altra branca simpatica rimandando per le sindromi centrali alla trattazione della fisiopatologia del sistema nervoso centrale (v. sopra).
Le sindromi di alterazione delle singole sezioni periferiche del S.N.V. si possono presentare come sindromi d'irritazione o come sindromi di deficit.
La sindrome d'irritazione del simpatico cervicale è caratterizzata da: dilatazione della pupilla, allargamento della rima palpebrale, esoftalmo, vasocostrizione dei vasi della cute e delle mucose cefaliche, secrezione di saliva densa, aumento della secrezione lacrimale, aumento della secrezione del sudore. La sindrome di deficit è caratterizzata da: miosi, restringimento della rima palpebrale, enoftalmo, dilatazione dei vasi del capo, aumento della temperatura della cute del capo, mancanza della secrezione del sudore nella cute del capo: infine sono stati descritti disturbi trofici della pelle, del sottocutaneo e delle ossa, come la comparsa di eterocroni dell'iride nella sezione del simpatico cervicale come nell'estirpazione del ganglio cervicale superiore.
La sindrome d'irritazione del vago si manifesta con rallentamento del numero dei battiti cardiaci per azione cronotropa negativa esplicata sul nodo del seno (rallentamento dell'onda ritmica di eccitazione sinusale), arresto del cuore in diastole, restringimento dei vasi coronarici, costrizione (talvolta però anche dilatazione) dei bronchi; spasmo dell'esofago, specialmente del segmento inferiore; aumento delle peristalsi dello stomaco, spasmo della porzione media dello stomaco, apertura del piloro, rinforzo dei movimenti pendolari dell'intestino tenue, aumento della secrezione gastrica e pancreatica (esterna e interna); accentuazione del processo epatico di glicogeno-sintesi; aumento della quantità di urina, abbassamento della soglia renale per lo zucchero (N. Pende). La sindrome di deficit del vago, consiste in: tachicardia, dilatazione bronchiale; dilatazione dell'esofago, specialmente del terzo inferiore; spasmo del cardias, dilatazione acuta dello stomaco a causa del prevalere dell'innervazione dello splancnico. scomparsa della stimolazione riflessa della secrezione gastrica.
La sindrome d'irritazione del ganglio stellato consiste in: rinforzo e aumento dei battiti cardiaci per un'azione cronotropa positiva, vasocostrizione e aumento della secrezione sudorale nelle estremità superiori e orripilazione della regione cervicale inferiore e toracica superiore. La sindrome di deficit è caratterizzata da vasodilatazione nelle estremità superiori e mancanza di sudorazione.
La sindrome irritativa dello splancnico superiore consiste in: ipotonia della muscolatura gastrointestinale, arresto della peristalsi, chiusura del piloro; glicosuria, aumento della secrezione esterna del pancreas; contrazione della milza; diminuzione della secrezione dell'urina, vasocostrizione dei vasi meseraici e quindi aumento della pressione sanguigna. La sindrome di deficit è caratterizzata da: ipertonia gastrica, accelerazione dello svuotamento dello stomaco, aumento della peristalsi intestinale, aumento della diuresi; dilatazione dei vasi meseraici con caduta della pressione arteriosa.
La stimolazione dello splancnico inferiore provoca: ipertonia del colon, contrazione delle tube e dell'utero nella donna e del dotto deferente nell'uomo contrazione della vescica dapprima, poi ipotonia vescicale costrizione dei vasi pelvici. Il taglio di questo nervo e l'estirpazione del suo ganglio (ganglio mesenterico inferiore) non provoca effetti duraturi.
La stimolazione del pelvico provoca: ipertonia del colon; contrazione del detrusore della vescica, dilatazione dei vasi pelvici ed erezione del pene e del clitoride. L'interruzione del pelvico provoca: costipazione per le feci formate e incontinenza per le feci liquide (più tardi si organizza però una regolazione automatica della defecazione), e a carico della vescica dopo un periodo iniziale di ritenzione si stabilisce uno svuotamento automatico.
A conclusione di questo capitolo devono essere ricordate ancora le sindromi angiotrofoneurotiche, sindromi del tutto particolari ma squisitamente neurovegetative. Appartengono a questo gruppo le acroparestesie, le acroasfissie (acroasphyxia hypertrophica seu atrophica), le acrocianosi croniche, il morbo di Raynaud (cancrena simmetrica), l'emicrania, l'angina di petto vasomotoria, l'eritromelalgia, l'edema circoscritto angioneurotico di Quinke, la sclerodermia, la hemiatrophia faciei progressiva, la macrosomia partialis congenita unilateralis.
Anatomia patologica. - La patologia del sistema neurovegetativo (simpatico, parasimpatico, sistema autonomo), anche nei suoi collegamenti col sistema endocrino, oltre a essere rappresentata da sindromi proprie (neuropatie vegetative) entra a partecipare più o meno direttamente e con parvenze diverse in ogni malattia di organi e di tessuti a carattere localizzato o d'indole generale, tossica, infettiva, discrasica, ecc. Ma a così larga compartecipazione fisiopatologica del sistema, non si trovano corrispondere alterazioni anatomiche sue ogni volta manifeste e adeguate.
Le alterazioni morfologiche conosciute di questo sistema si limitano per ora alla descrizione di pochi processi riguardanti in particolar modo le cellule gangliari e del tutto analoghe a quelle che colpiscono le cellule del sistema nervoso centrale (iperpigmentazione, atrofia, corrosione, ecc.): altrettanto è per le degenerazioni cellulari, come per le infiltrazioni flogistiche (tifo, ecc.) con residuali sclerosi. Anche per le fibre nervose midollate si osservano a comune degenerazione walleriana, la nevrite segmentaria periassile, ecc., come per i nervi periferici: meno note e alquanto contraddittorie sono le lesioni delle fibre amieliniche.
Le malattie che restano nel dominio delle turbe funzionali del sistema neurovegetativo sono estremamente numerose, andando dall'emicrania agli stati ipertensivi e di angioipotonie essenziali o costituzionali, dalle icroparestesie alle cancrene angiospastiche, dalle sclerodermie alle orticarie, agli edemi angioneurotici, dalle lipodistrofie alle osteoartropatie preumiche, alla cosiddetta nevrosi celiaca, ecc., senza tenere conto per quanta parte il sistema subentri in alcune sindromi (gozzo esoftalmico, addisonismo, asma bronchiale, ecc.) nel determinismo di particolari sintomi caratteristici per ciascuna di esse, come è detto nelle voci speciali.
Ben noti sono invece i tumori che si originano dal simpatico e particolarmente da quello addominale.
Il neuroblastoma o neurocitoma si sviluppa dalle cellule formatrici del simpatico (simpatogonî) e resta costituito di cellule rotondeggianti o ovalari, con citoplasma scarso e chiaro, nucleo globoso ricco di cromatina, che spesso si trovano raccolte a rosette e restano immerse in uno stroma finemente fibrillare. Il tumore, riscontrato nei primi mesi o primi anni di vita, ha sede nei surreni e il suo carattere maligno è dimostrato dalle precoci metastasi. Più raro è il paraganglioma proveniente da cellule già differenziate in elementi cromaffini che si accrescono in forma di tumori nodosi nel parasanglio surrenale. D'indole benigna è il ganglioneuroma a sviluppo più frequente retroperitoneale dal simpatico addominale, o dal collo, dal torace, dal ganglio di Gasser, come massa tumorale unica globosa di grandezza varia fino a quella di un'arancia, dura o pastosa, bianco-rosea, leggermente lobulata, non infiltrante e perciò facilmente isolabile dai tessuti circostanti. Microscopicamente il tumore risulta formato da cellule nervose di varia grandezza, alcune capsulate, altre con capsula imperfetta, o nude, spesso con due nuclei e alcune con prolungamento cilindrassile, e in prevalenza di fibre nervose amieliniche isolate o in fasci con diverso orientamento analogamente a quanto si constata nei cosiddetti nevromi da amputazione: lo stroma è dato da un'impalcatura connettiva con gruppi di cellule linfocitoidi (forse simpatogonî, come quelli che si riscontrano talvolta nei surreni, per altri vere cellule linfoidi), mastzellen, plasmacellule. Si riporta la genesi del tumore a cellule embrionali indifferenziate residuate nel tessuto: il suo accrescimento è lento e di solito viene riscontrato in individui di media età.
La propagazione di tumori cancerosi o sarcomatosi attraverso i filamenti nervosi del simpatico dell'organo in cui la neoplasia ha preso sviluppo, è molto frequente: le cellule neoplastiche penetrano nei linfatici del perinervio e qualche volta esse s'inoltrano fino ai ganglî.
Chirurgia del sistema nervoso vegetativo. - a) Chirurgia del simpatico. - La chirurgia del simpatico rappresenta il più recente ramo germogliato dal grande tronco della chirurgia generale, e nel suo sviluppo ha incontrato finora gravi ostacoli dovuti soprattutto alle deficienze e incertezze delle nostre cognizioni non solo nel campo della fisiologia, ma anche in quello dell'anatomia del sistema nervoso vegetativo.
In questa succinta trattazione dell'argomento non entreremo in merito alle lesioni traumatiche, alle alterazioni infiammatorie, ai tumori, affezioni che rientrano nel dominio della chirurgia generale, ma svilupperemo la parte essenziale e caratteristica dell'argomento: gl'interventi sul simpatico diretti a correggere determinate condizioni patologiche dovute generalmente ad alterazioni organiche o funzionali degli organi. Soprattutto promettente appare la chirurgia del simpatico nelle sindromi che hanno alla loro base turbamenti di tono, di trofismo, di secrezione, di vasomotricità.
I primi tentativi in questo campo si verificarono verso la fine del secolo scorso, soprattutto per opera del romeno T. Jonnesco; ma il grossolano empirismo che li guidava, i danni prodotti dalle operazioni largamente e ciecamente mutilatrici, gettarono in breve il discredito e lo scetticismo su queste iniziative chirurgiche. Comunque, in questo primo periodo della chirurgia del simpatico si distinsero, oltre a Jonnesco, M. Jaboulay, Chipault, P. Rochet, G. Ruggi, A. Cavazzani. Con più rigoroso metodo d'indagine e con geniali intuizioni ne fu ripreso lo studio, cirea venti anni or sono, da R. Leriche, cosicché in breve la chirurgia del simpatico attirò l'attenzione e l'appassionata attività di numerosi chirurgi. In Italia recarono a essa i più importanti contributi M. Donati (soprattutto con la sua relazione al congresso chirurgico del 1926), G. Pieri, A. Chiasserini; in Francia, oltre R. Leriche, R. Fontaine, G. Cotte; in Germania F. Brüning, M. Kappis, W. Braeucker; in Russia, E. Hesse; nell'America Settentrionale, A. W. Adson; nell'Argentina, J. Diez.
Si cominciarono a studiare gli effetti dell'interruzione delle fibre simpatiche decorrenti nell'avventizia delle arterie (simpatectomia periarteriosa), e si constatò come all'asportazione di questa guaina vasale seguissero, nel territorio periferico corrispondente, vasodilatazione più o meno intensa e prolungata e scomparsa di certe sindromi dolorose. La simpatectomia periarteriosa ha richiamato l'attenzione dei chirurgi ed è stata molto usata soprattutto nel decennio che va dal 1920 al 1930, e le applicazioni cliniche che se ne fecero sconfinarono talora nel campo dell'arbitrario (v. la relazione di O. Uffreduzzi al congresso di chirurgia del 1925); utili indicazioni alla simpatectomia periarteriosa sembrano essere rappresentate dal morbo di Raynaud, dalla cancrena senile iniziale, da alcune ulcere della gamba, dalle radiodermiti, dagli edemi traumatici.
Una derivazione della simpatectomia periarteriosa è la cosiddetta simpatectomia chimica; essa consiste nel distruggere le fibre simpatiche perivasali, non meccanicamente, con l'asportazione, ma chimicamente; la soluzione più indicata sembra quella, usata da K. Doppler, d'isofenolo al 5-7%, ma furono anche usati l'alcool a 80% (S. Handley), la soluzione di ammoniaca al 17% (E. Lauwers). L'applicazione più nota di questo procedimento è quella praticata sui vasi del funicolo spermatico e del legamento infundibolopelvico allo scopo di eccitare, con la migliorata circolazione, l'attività deficiente della ghiandola genitale (K. Doppler).
La constatazione della frequente temporaneità o inefficacia dei risultati della simpatectomia periarteriosa indusse i chirurgi a rivolgersi, invece che alle fibre periferiche del simpatico più facilmente rigenerantisi, ai centri di origine di esse (ganglî simpatici e rami che se ne distaccano).
La malattia nella quale gl'interventi sui centri simpatici (come del resto la simpatectomia periarteriosa) hanno dato finora i migliori risultati è il morbo di Raynaud, caratterizzata da crisi di spasmo vascolare degli arti con frequente esito in cancrena delle dita (R. Leriche, F. Brüning, W. Braeucker, A. W. Adson). Anche in un'affezione vascolare dolorosa che ha qualche analogia col morbo di Raynaud, l'eritromelalgia, gl'interventi sul simpatico sembra abbiano dato ad alcuni risultati favorevoli (L. Davis, A. B. Canavel, E. Hesse). Più complesso è il problema della cura della endoarterite obliterante o morbo di Bürger, anche per l'oscurità della patogenesi di essa: la resezione dei gangli simpatici lombosacrali ha dato successi ad alcuni chirurgi (J. Diez, A. W. Adson, W. Oppel, R. Alessandri, A. Chiasserini), mentre altri (L. Davis e A. B. Canavel, G. W. Crile) si dichiarano insoddisfatti dei risultati.
Un'altra malattia dell'apparato circolatorio, alla quale si rivolse l'attenzione dei chirurgi fino dai primordî della chirurgia del simpatico, è l'angina pectoris, caratterizzata soprattutto dai fieri dolori cardiaci, sintomo più che sindrome, e della quale il meccanismo patogenetico è ancora in discussione. Un fisiologo, F. Frank, nel 1899 additò ai chirurgi, nella resezione del simpatico cervicale quale vettore della sensibilità cardioaortica, una razionale direttiva terapeutica alla cura dell'angina pectoris. T. Jonnesco applicò tale idea praticando la resezione bilaterale dell'intera catena del simpatico cervicale; ne ebbe dei successi, ma anche un'alta percentuale di mortalità post-operatoria, verosimilmente in rapporto all'estesa mutilazione anatomo-funzionale. H. Eppinger e G. Hofer praticarono la resezione del nervo depressore (ramo del vago che sembra rappresentare il nervo sensitivo dell'aorta), e riferirono successi e insuccessi. Appena da menzionare è la proposta di Kukula di eseguire la resezione intratoracica di tutti i nervi del cuore. G. Coffey e G. E. Brown usano nell'angina pectoris la resezione del ganglio cervicale superiore. R. Leriche pratica la resezione del ganglio stellato. D. Danielopolu propone la resezione dei primi due ganglî cervicali e del depressore. Forse è preferibile resecare, oltre il depressore, non i centri simpatici, ma i rami comunicanti del ganglio stellato, e sezionare il cordone del simpatico fra ganglio superiore e medio, allo scopo d'intercettare gli stimoli afferenti di origine cardioaortica senza praticare mutilazioni dei centri simpatici (G. Pieri). Altre affezioni cardiache, nelle quali la chirurgia del simpatico ha dato risultati apprezzabili, sono la tachicardia parossistica (R. Leriche praticò con successo la resezione bilaterale del ganglio stellato) e la tachicardia sinusale (P. Alessandrini riferisce un notevole miglioramento ottenuto in due casi con la simpatectomia cervicotoracica). In rappono con l'apparato circolatorio, ma di ben oscura patogenesi (verosimilmente surrenale) è l'ipertensione essenziale, per la cura della quale N. Pende propose la resezione dello splancnico sinistro allo scopo di menomare da un lato la funzione surrenale, dall'altro di provocare una vasta vasodilatazione viscerale. L'idea di Pende fu applicata da G. Pieri, L. Durante, M. Donati, con risultati, almeno immediati, favorevoli.
Numerose sono le applicazioni proposte e praticate della chirurgia del simpatico alle malattie del sistema nervoso. Partendo dalle constatazioni di C. Bernard che alla resezione del simpatico cervicale segue dilatazione dei vasi cerebrali, C. Alexander propose la resezione bilaterale del ganglio superiore nell'epilessia, pensando che agisca sia evitando lo spasmo dei vasi cerebrali che sarebbe alla base dell'accesso epilettico, sia facilitando con la vasodilatazione la rapida eliminazione dei prodotti di ricambio tossici del cervello. Trovò in questa via numerosi imitatori (T. Jonnesco e altri), ma i risultati non corrisposero del tutto all'iniziativa: una recente statistica (S. Winter) di 213 casi operati dà solo il 20% circa di guarigioni. Partendo dallo stesso principio dell'origine angiospastica della malattia, T. Jonnesco praticò la resezione del simpatico cervicale nell'emicrania; A. Hellwig ritiene preferibile la simpatectomia periarteriosa della carotide interna. Nel parkinsonismo postencefalitico F. Brüning avrebbe ottenuto dalla resezione dei ganglî simpatici dei miglioramenti; così anche A. J. Okinshewitsch. Nella nevralgia del trigemino la resezione del ganglio cervicale superiore fu proposta da M. Jaboulay e da A. Cavazzani; i risultati che se ne ottengono sono varî, e comunque, anche se favorevoli, non duraturi; tale operazione va riservata ai casi di nevralgia atipica, che sono probabilmente di origine simpatica (G. Pieri). Nel lagoftalmo residuale a paralisi del facciale alla resezione del ganglio cervicale superiore, proposta da R. Leriche per la ptosi che provoca (sindrome di Bernard-Horner) è forse preferibile, perché meno mutilante, la sezione del nervo carotideo interno (G. Pieri). Molto discussa è l'efficacia della resezione dei ganglî simpatici nella cura delle paresi spastiche, proposta da N. o. Royle e Hunter, partendo dall'idea che con essa venga a essere soppresso il tono plastico dei muscoli; è lungi dall'esser raggiunto l'accordo fra i varî chirurgi sull'efficacia di tale intervento. J. Diez sembra aver ottenuto buoni risultati trattando con la simpatectomia lombare le paraplegie pottiche. Esistono alcune affezioni nevralgiche di natura certamente simpatica, e nelle quali gl'interventi sul simpatico (ganglionectomia o ramisezione) appaiono efficacissimi: tali la causalgia, caratterizzata da dolori urenti, e che compare di solito in seguito a ferite degli arti (per la quale l'intervento sul simpatico fu praticato per la prima Volta da Cavazzani), la nevrite ascendente che s' inizia dalle estremità con diffusione centripeta (in cui l'intervento fu proposto da R. Leriche). Fra le malattie dell'occhio sono state curate con interventi sul simpatico la miopia (M. Jaboulay), il glaucoma (T. Jonnesco), l'atrofia da nervi ottici (A. Abadie), l'ulcera corneale neuroparalitica e l'herpes ophtalmicus (R. Leriche) con risultati discutibili. La sola malattia oculare che finora sembra dia buone prospettive di successo è l'angiospasmo retinico (sezione del nervo carotideo interno: G. Pieri).
Anche alcune malattie dell'orecchio sono state trattate con interventi sul simpatico, ma con dubbio successo: l'angiopatia labirintica vasomotoria (Kobrak), l'otosclerosi (Calogero), i ronzii (F. Brüning), ecc.
Il campo delle malattie cutanee, spesso così oscure nella loro patogenesi e spesso in rapporto causale con squilibrî trofici, appare promettente, anche se in poche di esse si sia finora esercitata l'opera del chirurgo. La resezione dei centri simpatici è stata tentata nella sclerodermia (F. Brüning, R. Leriche) partendo dall'idea che essa sia in rapporto con una stimolazione cronica delle fibre trofiche (L. R. Müller); ma i risultati ottenuti appaiono in genere più interessanti che soddisfacenti: è probabile che alla base del processo sia anche o soprattutto uno squilibrio ormonico (paratiroideo?). Buoni risultati si ottengono invece nella cura dell'iperidrosi, sia resecando i rami comunicanti del territorio ipersudante (W. Braeucker), sia, più semplicemente, sezionando il cordone del simpatico (K. Kotzareff), preferibilmente nei punti di confluenza delle fibre della sudorazione (G. Pieri).
Fra le malattie dell'apparato locomotore, alcune forme di artrite cronica (G. Rowntree, W. A. Adson), l'artrite deformante (W. Oppel), l'osteomielite cronica (T. Osawa) sono state trattate con interventi sul simpatico; i risultati appaiono discutibili. Efficace è l'intervento nell'osteoporosi traumatica (R. Leriche), malattia a patogenesi verosimilmente simpatica, caratterizzata da una decalcificazione delle ossa (degli arti) che si accompagna a una viva dolorabilità di esse. Così si ottengono buoni risultati nelle contratture riflesse postraumatiche.
Vasto campo all'applicazione della chirurgia del simpatico appare essere quello delle affezioni viscerali, anche se finora negl'interventi si sia proceduto quasi sempre con empirismo e con scarso senso dell'indicazione razionale.
Una delle malattie alla terapia delle quali più precocemente fu applicata la chirurgia del simpatico, è il morbo di Basedow: al principio del secolo fu di gran voga curare tale malattia con la resezione del simpatico cervicale (del primo ganglio: Jaboulay; dell'intero cordone: T. Jonnesco); si comprende come tale operazione possa portare dei miglioramenti ai sintomi oculari; ma essa appare di dubbia efficacia nel resto della sindrome (B. Schiassi).
Per il mixedema fu praticata da Merke la simpatectomia periarteriosa delle arterie tiroidee superiori, con successo verosimilmente temporaneo.
Fra le ghiandole a secrezione interna, oltre la tiroide sono state oggetto di enervazione le surrenali: interessanti il tentativo di M. Donati, seguito da M. Corachan, R. Schmidt, D. Giordano, di curare con tale intervento il diabete, e quello di G. W. Crile per l'astenia neurocircolatoria. R. Leriche e R. Fontaine hanno recentemente proposto la resezione del ganglio cervicale medio nella laringite tubercolare per migliorare la circolazione laringea; ma non risulta sia stata finora applicata nell'uomo.
Tentativi di cura della tubercolosi polmonare con interventi sul simpatico furono praticati da Codina e da W. Alvarez, i quali eseguirono lo stiramento dei primi nervi intercostali nella speranza d'influire così sui gangli simpatici viciniori, che contengono fibre vasocostrittrici; Alvarez ha anche proposto (ma non eseguito) la resezione dei primi gangli del cordone toracico, sperando di provocare un'intensa vasodilatazione nel polmone malato. Tentativi che appaiono, anche dal punto di vista teorico, mediocremente giustificati.
Molto discussa è attualmente la possibile cura chirurgica dell'asma bronchiale mediante interventi sul sistema nervoso vegetativo: il problema appare di una grande complessità, anche perché vanno probabilmente distinti, dal punto di vista patogenetico, varî tipi di asma. Molti seguaci ha trovato la proposta di Kümmel di praticare la resezione del simpatico cervicale, ma le statistiche dei casi così curati dànno una percentuale di guarigioni che non raggiunge il 2000. Perciò nella cura dell'asma si va delineando la tendenza a praticare di preferenza interventi sul parasimpatico, e su questi torneremo trattando la chirurgia del parasimpatico.
Numerose applicazioni ha avute la chirurgia del simpatico nella cura delle malattie dell'apparato digerente. Nell'esofagospasmo le proposte di anestesia dello splancnico (Meyer), l'anestesia paravertebrale delle radici 5ª o 6ª dorsale (E. Hesse) non hanno incontrato successo. I chirurgi si sono quindi diretti, con maggiore apparenza di razionalità, all'innervazione vagale (v. sotto, Chirurgia del parasimpatico).
Fra le malattie dello stomaco le crisi gastriche della tabe sono state fra le prime a beneficiare della chirurgia del simpatico: M. Jaboulay praticò lo stiramento del plesso solare, P. Delbet e P. Mocquot la resezione di esso, A. Latarjet e P. Wertheimer l'enervazione dello stomaco. Ma nessuno di questi interventi si dimostrò in definitiva efficace, onde i chirurgi si rivolsero all'innervazione vagale che del resto non sembra dia migliori risultati.
Recentissimo è il tentativo di curare chirurgicamente, con interventi sul sistema nervoso dell'organo, le nevrosi gastriche. P. Wertheimer ha operato con l'enervazione gastrica dei casi di nevrosi determinata indeterminatamente vagosimpatica. Nelle nevrosi caratterizzate prevalentemente dal sintomo dolore G. Pieri ha resecato i rami comunicanti 6°, 7° e 8° dorsale allo scopo di ridurre al minimo la sensibilità dell'organo specie a livello della parte antrale di esso. Nell'atonia gastrica lo stesso Pieri ha praticato la resezione del cordone del simpatico allo stesso livello, e in seguito (ciò che appare preferibile) la resezione del grande splancnico sinistro. Vedremo come le nevrosi ipersteniche (caratterizzate da ipermotilità e da ipersecrezione) sono state dallo stesso e da S. Kostlivy curate con interventi sul vago.
Delle malattie intestinali il megacolon congenito è stato da alcuni curato (in seguito alle constatazioni accidentali praticate da N. D. Royle sui pazienti sottoposti a interventi per paresi spastica) con la resezione dei ganglî lombari, o con la ramisezione: Wade e N. D. Royle, S. Judd e A. W. Adson, ecc. La giustificazione dottrinale dell'intervento andrebbe ricercata nell'azione del simpatico (W. Gaskell) inibitrice della funzione della muscolatura intestinale, e stimolatrice degli sfinteri colici, ai quali si dovrebbe la dilatazione a tergo del segmento intestinale. Non in tutti i casi però i risultati di questo intervento sono stati favorevoli. In alcune sindromi dolorose del colon destro con prevalenza nella regione ciecale (tiflite cronica, pericolite membranosa, cieco fisso, cieco mobile, ecc.) G. Pieri propone di praticare (oltre l'appendicectomia) la resezione del plesso ileocolico (che innerva l'ultima ansa dell'ileo, il cieco con l'appendice e parte del colon ascendente); quest'operazione, oltre che abolire il sintomo dolore, è probabile giovi anche bloccando gl'impulsi afferenti che partendo dalla regione cieco-appendicolare determinano spesso disturbi nervosi riflessi in altri settori viscerali. Nella colite (tipicamente mucomembranosa) è consigliabile praticare la resezione dei plessi ileocolico e mesenterico inferiore (G. Pieri); intervento che non avrebbe solo valore sintomatico, per il dolore, ma forse influenzerebbe favorevolmente, con la vasodilatazione che determina, il processo colitico.
In alcune affezioni epatiche la chirurgia del simpatico può forse trovare applicazioni: vi sono, p. es., dei dolori della cistifellea non dovuti né a calcolosi né a colecistiti, ma a uno stato di nevrosi, nei quali casi la resezione dei rami comunicanti che, secondo le ricerche di M. Kappis conducono la sensibilità epatica (prevalentemente il 9° e il 10° dorsale di destra), può dare la guarigione della sindrome dolorosa (G. Pieri).
L'apparato urogenitale è stato oggetto di svariati tipi d'interventi sul sistema nervoso dei singoli organi. Per le sindromi dolorose renali E. Papin propose l'enervazione renale, ossia la resezione dei filetti nervosi che penetrano nell'ilo renale; questo intervento appare eccessivamente mutilante, sopprimendo senza evidente necessità tutta l'innervazione estrinseca dell'organo, e in certi casi ha portato all'atrofia del rene (F. Legueu); più razionale appare in questi casi la resezione dei rami comunicanti corrispondenti (12° dorsale e 1° lombare dello stesso lato): con questa tecnica sono stati operati con successo casi di nefralgia essenziale e di piccole idronefrosi dolorose (G. Pieri). M. Pavone per la nefrite dolorosa pratica la simpaticolisi del peduncolo renale. La cura delle gravi sindromi dolorose vescicali mediante interventi sul sistema nervoso vescicale fu iniziata da P. Rochet, il quale propose e realizzò la resezione del plesso ipogastrico inferiore; a questa segue però paralisi vescicale, G. Pieri propose per la cura della cistite cronica dolorosa (tubercolare o no) la resezione del plesso ipogastrico superiore o nervo presacrale; questa sembra non solo attenui notevolmente i dolori, agevoli il vuotamento della vescica (determinando un indebolimento dello sfintere a tutto vantaggio dell'azione espulsiva del detrusore), ma è possihile influenzi anche favorevolmente, con la vasodilatazione che determina, il processo cistico. G. R. Learmonth partendo dal principio che il simpatico contiene fibre inibitrici per la vescica, in due casi di paralisi della vescica (da distruzione midollare, da poliomielite) resecò con successo il plesso ipogastrico superiore. Vi sono dolori testicolari di origine nervosa, senza evidenti lesioni dell'organo; questi casi, di diversa etiologia (nevralgia del testicolo, postumi di epididimite blenorragica, di operazioni per varicocele, ecc.) possono essere trattati utilmente con la resezione del ramo comunicante 2° lombare corrispondente (G. Pieri).
Venendo infine all'apparato genitale femminile, una delle più brillanti affermazioni della chirurgia del simpatico è la resezione del plesso ipogastrico superiore, o nervo presacrale, proposta da Cotte per le sindromi dolorose dell'utero (dismenorrea, dolori da metrite, ecc.).
Per quanto riguarda gli annessi, per la cura dei dolori di essi G. Ruggi praticò la resezione del plesso spermatico, Lhermitte e Dupont proposero nell'ovarite sclerocistica dolorosa l'enervazione dell'organo praticata all'ilo di esso; il Pieri ritiene sia preferibile praticare la resezione del ramo comunicante 2° lombare dello stesso lato.
Questo, nelle sue linee generali, lo stato attuale della chirurgia del simpatico. È verosimile che con l'ulteriore accrescersi e precisarsi delle nostre conoscenze il patrimonio di fatti e d'idee qui registrato sia destinato a subire un processo di revisione e selezione, per il quale è da prevedersi che alcune delle indicazioni finora formulate saranno destinate a cadere, altre invece si affermeranno e acquisteranno importanza sempre maggiore, ed è probabile che altre ancora se ne prospetteranno in un prossimo avvenire.
b) Chirurgia del parasimpatico. - La parte del parasimpatico, che è stata finora oggetto d'interventi chirurgici a vario scopo, è rappresentata esclusivamente dal nervo vago o pneumogastrico. Trascureremo di proposito le affezioni chirurgiche del nervo vago (lesioni traumatiche, nevralgie, tumori, ecc.) le quali rientrano nella chirurgia generale, per descrivere esclusivamente gl'interventi praticati sul vago e sulle sue diramazioni allo scopo di curare svariate condizioni patologiche viscerali.
È ormai di pratica corrente la resezione del nervo laringeo superiore (ramo interno) nei dolori della laringite tubercolare. Molto si è discusso sull'importanza del vago nella patogenesi dei disturbi noti col nome di angina pectoris. La sezione del nervo praticata a destra (per evitare la lesione del ricorrente) non dà risultati (G. Hofer). La sezione del nervo depressore (ramo vagale che va all'aorta) interpretato come possibile vettore delle sensazioni dolorose di origine aortica, proposta da H. Eppinger e G. Hofer, ha dato qualche successo a Hofer, ma si dimostrò inefficace da sola nei casi operati da altri chirurgi; essa potrebbe contribuire alla completezza del successo nei casi in cui si pratichi anche un intervento sul simpatico (D. Danielopolu, G. Pieri). Nella sindromne di Adam-Stockes tu praticata in un caso la vagotomia a destra con successo che si manteneva dopo 5 mesi (R. Hoesslin e R. Klapp). L'asmna bronchiale è la malattia nella quale maggiormente i chirurgi hanno praticato interventi sul vago. È noto come l'asma abbia alla sua base fisiopatologica una contrazione dei muscoli dei bronchioli, che si ritiene ricevano un'innervazione di origine vagale. Proposta da M. Kappis, la vagotomia destra ha dato successi diversamente valutati nelle varie statistiche, e oscillanti dal 15 al 42 per cento dei casi. Gl'insuccessi si potrebbero spiegare pensando: 1° che la resezione di un vago non può essere decisiva in un'affezione bilaterale (si sa che il vago di sinistra non si può sezionare al collo per la presenza del ricorrente): 2° che la muscolatura bronchiale riceva oltre l'mnervazione vagale anche fibre nervose di origine simpatica. W. Braeucker, avendo stabilito che all'innervazione bronchiale partecipano, oltre il vago e il simpatico, anche delle fibre di origine spinale, propose d'interrompere l'innervazione bronchiale a livello dell'ilo polmonare, resecando i nervi bronchiali posteriori; ciò che H. Kümmell praticò per via transpleurica, ma che meno pericolosamente si potrebbe eseguire per via extrapleurica, attraverso il mediastino posteriore (G. Pieri). Ma non tutti i casi vengono guariti con questa operazione (che pure dà percentuali di successi molto più alte della vagotomia), e ciò verosimilmente perché vi sono dei casi di asma nei quali lo stimolo giunge ai bronchi non dalla via nervosa, ma dalla via sanguigna: ricordare l'azione stimolante che sulla muscolatura liscia dei bronchioli determina l'iniezione di alcune sostanze e tipicamente della muscarina (W. Braeucker). L'intervento chirurgico sembrerebbe dunque indicato, e con la modalità della resezione dei nervi bronchiali posteriori, solo nei casi di asma neurogena e non in quelli di asma ematogena. lnterventi sul vago vennero proposti e praticati per la cura del cardiospasmo: la resezione bilaterale intratoracica dei vaghi (proposta da P.-J. Clairmont ed eseguita da F. Sauerhruch); la sezione dei rami vagali che dai tronchi vanno alla parte inferiore dell'esofago, dalla via addominale (W. Braeucker) o dalla via mediastinica (G. Pieri); ma in tutti i casi il successo fu o temporaneo o incompleto. Un campo più ampio e proficuo alla chirurgia vagale sembra offrano le affezioni dello stomaco. Per la cura delle crisi gastriche della tabe la resezione sottodiaframmatica dei vaghi fu proposta da Exner e da D. Giordano; O. Foerster afferma di averne ottenuto costantemente insuccessi. In alcune nevrosi gastriche a tipo doloroso P. Wertheimer ha praticato la cosiddetta enervazione gastrica. Le nevrosi ipersteniche sono state trattate da S. Kostlivy con la resezione sottodiaframmatica dei vaghi, da G. Pieri con la resezione sopradiaframmatica del vago sinistro, con buon risultato. Nel gastrospasmo inveterato la resezione sottodiaframmatica di ambedue i vaghi diede a G. Pieri un successo che si mantiene a distanza di anni. C. H. Mayo ha proposto di trattare il pilorospasmo con la sezione dei nervi che scendono lungo la piccola curvatura all'antro e al piloro. Kostlivy ha praticato la resezione sottodiaframmatica dei vaghi in casi di vomito incoercibile di origine funzionale. È stata recentemente avanzata l'idea di una possibile cura dell'ulcera gastrica o, meglio, di alcune ulcere gastriche (diffìcilmente resecabili o recidivanti) mediante interventi sul sistema nervoso dell'organo (enervazione: P. Wertheimer, B. Schiassi, vagotomia: E. Bircher, G. Pieri); tale direttiva si basa soprattutto sulla constatazione dei sintomi di eccitazione vagale (iperstenia, ipercloridria) che si accompagnano abitualmente alla presenza dell'ulcera. È difficile prevedere se i risultati di questi tentativi siano per corrispondere allo scopo.
Come per la chirurgia del simpatico, è da prevedersi che anche la chirurgia del parasimpatico sia destinata in un prossimo avvenire a ulteriori notevoli progressi.
Patologia veterinaria.
Encefalo. - Anemia cerebrale e meningea. - Compare in forma acuta per forti perdite di sangue, per afflusso improvviso e notevole di sangue in altri visceri, oppure per adinamia cardiaca acuta e per vasodilatazione generale secondarie a infezioni e a certi avvelenamenti. L'anemia cerebrale cronica è secondaria ad anemia generale, a malattie specifiche del sangue (leucemia, tifo-anemia del cavallo) a protozoariosi ed emosporidiosi (tripanosomiasi, piroplasmosi), ad aumento della pressione intracranica. L'anemia acuta del cervello può condurre a uno stato di deliquio e anche a morte. S'interviene con eccitanti generali e cardiaci e con stimoli di ordine fisico. La forma cronica è raramente accompagnata da disturbi cerebrali.
Iperemia cerebrale e meningea. - L'iperemia attiva è legata a quelle cause che determinano un aumento dell'attività cardiaca o una diminuzione del tono delle arterie cerebrali (lavoro intenso e prolungato, forte eccitazione psichica, certi avvelenamenti, raggi solari cocenti, ecc.); l'iperemia passiva è in rapporto all'ostacolato deflusso del sangue venoso per compressione delle giugulari, per alterazioni funzionali cardiache, per affezioni croniche del polmone. La prima si manifesta con periodi alternati di eccitazione e di depressione, con alterazioni della funzione circolatoria e respiratoria, la seconda con abbattimento e turbe a carico del polso e respiro. Nell'iperemia attiva s'interviene con salasso, impacchi freddi sulla regione cranica, purganti, igiene del ricovero; in quella passiva si combatte l'affezione causale.
Colpo di sole e colpo di calore. - Il primo deriva dall'azione diretta dei raggi solari ultravioletti sull'organismo e specialmente sulla testa, il secondo si origina per forte riscaldamento dell'aria e diminuzione delle dispersioni del calore organico. I sintomi dei due processi morbosi si equivalgono, essendo rappresentati da ottundimento del sensorio, profuse sudorazioni, tachicardia, dispnea, ipertermia elevata, tremori. La prognosi è spesso infausta. Gli ammalati vanno tenuti in ambiente fresco; s'interviene con docce o compresse fredde, con salasso, con medicamenti vaso-costrittori ed eccitanti.
Commozione cerebrale. - È determinata dall'azione di un trauma che colpisce il cranio o le altre parti della testa, ed è caratterizzata da sintomi cerebrali generali (incoscienza, diminuzione o abolizione dei riflessi, dilatazione pupillare, respirazione lenta o irregolare, polso frequente, o raro, o aritmico, perdita involontaria di feci e urine, ristagmo, ecc.) che di solito seguono immediatamente il trauma. Alla violenza dello shock può seguire anche la morte; nei casi meno gravi l'animale si ristabilisce nello spazio di pochi minuti o di alcune ore. La sostanza cerebrale, macroscopicamente inalterata, è sede di degenerazioni e di piccole emorragie. La commozione cerebrale si cura con applicazioni di ghiaccio sulla nuca e con l'impiego, dopo alcune ore, di eccitamenti (etere, canfora).
Emorragia cerebrale e meningea. - S'istituisce nel cervello e nelle sue meningi senza l'intervento di una causa traumatica o infiammatoria. Si ha di frequente nel decorso del carbonchio ematico, nell'anasarca, nelle setticemie emorragiche, per disturbi di nutrizione delle pareti vasali; più di rado nelle malattie cardiache, renali, epatiche, negli aneurismi parassitarî di qualche arteria del cervello, nelle degenerazioni ateromatose delle arterie cerebrali, ecc. I focolai emorragici sono piccoli, puntiformi, o estesi; i primi dovuti a emorragie capillari, i secondi a lacerazione di piccole arterie. Le emorragie di maggiore entità danno sintomi cerebrali generali (ottundimento del sensorio, vertigini, barcollamenti, tremiti, movimenti coatti, perdita della coscienza, caduta al suolo, ecc.), e in certi casi anche di focolaio (paralisi di singoli muscoli o di gruppi muscolari, ecc.). Poco tempo dopo avvenuta l'emorragia, s'interviene col salasso e in seguito con eccitanti (etere, canfora, stricnina), con blandi purganti. Le paralisi si combattono coi movimenti passivi, il massaggio, la corrente elettrica.
Meningo-encefalite. - È l'infiammazione del cervello e delle sue meningi, ed è caratterizzata dalla formazione di piccoli focolai d'infiltrazione cellulare attorno ai vasi sanguigni. Si può manifestare in modo primitivo come espressione di un'infezione locale (meningo-encefalomielite contagiosa, botriomicosi), più di frequente insorge in via secondaria per ferite penetranti nel cranio, per affezioni di organi vicini, per opera di macroparassiti (larve di Sclerostoma e di Gastrofilo nel cavallo, larve di estro bovino nei bovini ed equini, ecc.), o di microrganismi insediati in organi lontani, ivi trasportati con la circolazione sanguigna. Dal punto di vista anatomico, nelle forme acute, talvolta, non sono rilevabili lesioni macroscopiche: di frequente nello spazio sottoaracnoideo si raccoglie un liquido sieroso, torbido, gialliccio o rossiccio o un essudato fibrinoso o purulento in punti circoscritti della superficie del cervello; le meningi molli si mostrano allora ispessite e imbevute di pus. La meningo-encefalite tubercolare si presenta quasi di regola alla base del cervello, con infiltrazione sierosa, purulenta o gelatinosa delle meningi e con formazione di piccoli tubercoli grigi o gialli lungo i grossi vasi sanguigni. La sostanza cerebrale si mostra imbibita, lucente; le circonvoluzioni appiattite; alla superficie di sezione si possono rinvenire punti sanguigni o macchie emorragiche. Il plesso coroideo è congesto e spesso circondato da essudato gelatinoso, mentre i ventricoli cerebrali contengono un liquido sieroso fibrinoso o purulento. Le manifestazioni cliniche possono variare secondo la sede, la gravità, l'anzianità delle lesioni. La malattia esordisce con manifestazioni di depressione nervosa, alternantisi in seguito con periodi di eccitazione. Di rado compaiono sintomi di focolaio (campi dei muscoli oculari, di quelli masticatori, contrazioni cloniche, paralisi varie legate alla sede diversa della lesione). La febbre è sintomo costante; l'appetito è diminuito, le funzioni digerenti ritardate. La respirazione può assumere il tipo di Chevne-Stokes. Nella meningo-encefalite cronica, per una diminuzione delle funzioni della sostanza grigia, compare il quadro del capostorno. La prognosi è sempre gravissima; i due terzi degli animali soccombono o sono resi inservibili per paralisi, amaurosi, capostorno, ecc. La cura è sintomatica.
Encefalite. - Dal punto di vista clinico si considerano come encefaliti quelle forme morbose caratterizzate da focolai infiammatorî del tessuto cerebrale e con sintomi evidenti e prevalenti di focolaio, pur potendo esistere contemporaneamente un interessamento meningeo. A seconda che i noduli infiammatorî rimangano tali o degenerino in focolai purulenti, si distingue un'encefalite semplice e un'encefalite purulenta.
L'encefalite semplice si sviluppa nel decorso di malattie infettive (influenza e pleuropolmonite contagiosa del cavallo, cimurro, rabbia, ecc.) ed è sostenuta dagli agenti causali o d'irruzione secondaria delle stesse o dalle loro tossine. I focolai infiammatori di numero vario, irregolarmente sparsi nella sostanza cerebrale, sono di color rosso, grigio e gialliccio e talvolta impercettibili all'esame macroscopico. I sintomi cerebrali generali corrispondono a quelli della meningo-encefalite con predominanza dei disturbi della coscienza. La comparsa precoce dei sintomi di focolaio (emiplegia, paralisi unilaterale di determinati nervi cranici, posizione obliqua della testa, rotazione sull'asse longitudinale del corpo, atassia cerebellare, movimenti coreiformi nel territorio del facciale, del trigemino, ecc.), depone per l'encefalite semplice anziché per la meningoencefalite acuta. Le alterazioni termiche, circolatorie, respiratorie, digerenti, non mancano mai, in relazione anche alla malattia primitiva, le cui manifestazioni possono, all'inizio, mascherare in parte quelle dell'encefalite. Come per la meningo-encefalite, la cura è sintomatica. L'encefalite purulenta è frequente nei puledri come localizzazione metastatica dello strepto cocco dell'adenite equina; di raro s'istituisce nel decorso della morva della polmonite suppurativa, della pioemia, della pleuropolmonite contagiosa del cavallo. La malattia può conseguire a ferite del cranio, a carie delle ossa vicine, e più frequentemente a localizzazioni parassitatie. Gli ascessi sono numerosi quando hanno origine metastatica, mentre di solito l'ascesso è unico nelle altre circostanze causali. Le manifestazioni sintomatiche si sovrappongono a quelle dell'encefalite semplice. La diagnosi si può ritenere fondata solo quando i sintomi generali e di focolaio si manifestano nel decorso di quelle malattie che più facilmente dànno metastasi cerebrali. La differenziazione con l'encefalite semplice e con la meningo-encefalite è spesso delicata, tuttavia di notevole utilità agli effetti terapeutici, poiché quando si tratta di ascesso unico, determinata la sua esatta sede, con opportuno intervento chirurgico (trapanazione, puntura e svuotamento dell'ascesso), si possono conseguire brillanti risultati.
Idrocefalo cronico interno. - È caratterizzato da una raccolta abnorme di liquido cerebro-spinale nei ventricoli cerebrali. La malattia si rinviene con una relativa frequenza, quasi solo nel cavallo di razze pesanti. Comunemente insorge come conseguenza di quelle malattie cerebrali che dànno un aumento della pressione intracranica (meningo-encefaliti ed encefaliti acute, tumori cerebrali, ripetute iperemie cerebrali). L'idrocefalo primario è più raro: secondo H. Dexler, sotto l'azione di un aumento delle pulsazioni della massa cerebrale o della pressione intracranica (lavoro faticoso, forti eccitazioni, avvelenamenti, variazioni repentine della temperatura, ecc.), una porzione maggiore del lobo occipitale viene spinta nell'apertura del tentorio, con inevitabile compressione delle eminenze quadrigemine e dei dotti cerebrali e stasi del liquido cerebro-spinale nei ventricoli laterali e nel terzo ventricolo. Più verosimilmente, secondo G. Finzi, l'ostacolo al libero deflusso del liquido ventricolare e il conseguente aumento della pressione intracranica, sono determinati dalla chiusura dei fori che mettono in comunicazione il quarto ventricolo con le cisterne sottoaracnoidee, per ispessimento dell'ependima. La compressione del forame di Monro o degli acquedotti cerebrali per tumori o parassiti, le aderenze dei forami laterali, portano alla stessa conseguenza. La stasi del liquido determina per compressione continua e uniforme, atrofia del cervello, con diminuzione dell'attività cerebrale generale e delle funzioni psichiche. Le manifestazioni cliniche culminano in disturbi della coscienza (palpebre semichiuse, sguardo inespressivo, posizione anormale degli arti), della concezione (movimento falso delle orecchie, anormale assunzione di cibi e bevande), della volontà (disobbedienza od obbedienza incompleta ai richiami), della sensibilità (diminuzione, eccezionalmente aumento, dei riflessi cutanei). Non manca mai bradicardia (che scompare con atropina), apnea, stipsi. Il decorso è cronico e afebbrile; si possono alternare miglioramenti e peggioramenti per variazioni della pressione intracranica legate spesso al lavoro eccessivo, alla temperatura ambiente, all'abbondante alimentazione. L'esito è infausto; tuttavia lo sfruttamento degli animali può essere protratto anche a lungo, alla condizione che siano risparmiati dai lavori pesanti, razionalmente alimentati e sottoposti a periodiche somministrazioni di purganti salini e di diaforetici.
Tumori. - Se si fa astrazione dei colesteatomi - la cui natura neoplastica negli animali non è peraltro generalmente ammessa - rinvenibili a preferenza nei plessi venosi, i tumori cerebrali sono molto rari. Nel cervello si riscontrano specialmente gliomi, gliosarcomi, sarcomi, carcinomi, cdontomi; nelle meningi, fibromi, lipomi, angioni, sarcomi, epiteliomi, papillomi. Altre produzioni possono dare manifestazioni cliniche analoghe a quelle dei tumori, come cisti dermoidi, denti eterotopici, tubercoli cerebrali, botriomicosi e tubercolosi delle meningi. L'azione dannosa del tumore è dovuta specialmente all'aumento della pressione intracranica e alla compressione che subisce la massa cerebrale. La gravità delle manifestazioni morbose è legata alla sede e alla rapidità di sviluppo del tumore; quelli piccoli e a lento sviluppo risiedenti nei ventricoli cerebrali o in certi punti degli emisferi, possono passare inavvertiti. I sintomi di focolaio dipendono dalla sede e dallo sviluppo del tumore (paralisi dei nervi cranici, movimenti forzati, emiplegia, emianestesia, atassia cerebellare, cecità). In generale predominano i sintomi cerebrali generali (disturbi dell'equilibrio, accessi epilettiformi, eccitazione psichica, demenza, stasi della pupilla ottica). La diagnosi è spesso solo di probabilità; può trovare giustificazione nei sintomi di focolaio, specie se esiste deformazione del cranio o un tumore primario o tubercolosi in altri organi. La differenziazione con le manifestazioni date da parassiti, da ascessi del cervello, dall'idrocefalo cronico interno, trova spesso gravi difficoltà. Quando con relativa sicurezza si può avanzare la diagnosi di tumore situato in prossimità alla vòlta cranica, si può tentare l'intervento chirurgico.
Parassiti. - Il più frequente parassita del cervello è il Coenurus cerebralis, cisticerco della Taenia coenurus (v. cisticercosi). Di rado reperto sono il Cysticercus cellulosae nel maiale e cane, cisti di echinococco nel cavallo e bue, larve di sclerostoma, di gastrofilo, d'ipoderma bovino negli equini. ln generale queste diverse forme parassitarie determinano manifestazioni riportabili al quadro della meningo-encefalite acuta, con sintomi di focolaio mancanti o per nulla caratteristici, per cui in vita (facendo astrazione per la cenurosi cerebrale) la diagnosi d'infestazione parassitaria è solo di probabilità.
Paralisi bulbare. - È caratterizzata da paralisi dei nervi che hanno origine nel midollo allungato (VI-XIl paio). ln rapporto alla causa e al decorso, viene distinta in paralisi bulbare acuta e in cronica o progressiva. La prima può essere causata da un'emorragia, da un'ostruzione vasale, da un processo infiammatorio; s'istituisce nel decorso della rabbia, di rado nel cimurro; può essere causata ancora dall'agente della paralisi bulbare infettiva (morbo di Auiesky o pseudorabbia). L'eziologia della seconda non è ancora definitivamente dimostrata; alcune osservazioni vorrebbero riportarla a un avvelenamento da barbabietole, altre a una infezione. In forma sporadica è diffusa specialmente nel Belgio. La malattia colpisce il cavallo ed è caratterizzata da paralisi dei nervi cranici, sviluppantesi gradatamente e in modo simmetrico. Il decorso si protrae per 5-6 mesi. I disturbi della prensione alimentare, della masticazione e della deglutizione, conducono a morte per esaurimento o per polmonite ab ingestis.
Midollo spinale. - Meningite spinale acuta. È l'infiammazione delle meningi del midollo spinale. È malattia molto rara; il cavallo ne è colpito con maggiore frequenza. In generale è secondaria a malattie infettive (influenza del cavallo, adenite equina, pioemia, setticemia, malattia di Carré, tripanosomiasi); può essere altresì causata dall'agente della meningo-encefalomielite enzootica, da traumatismi e per diffusione di processo, da carie della colonna vertebrale. Le meningiti spinali di natura infettiva sono sempre diffuse, perché i microrganismi vengono con facilità trasportati dal liquido subaracnoideo e subdurale. Per l'aumento della pressione intrarachidea a cui conduce il processo infiammatorio, per l'azione delle tossine batteriche, i nervi che attraversano le meningi, come anche le vie di conduzione e le cellule del midollo, vengono prima irritate, poi lese nella loro funzionalità: La colonna vertebrale è dolente e rigida; nelle regioni in cui si distribuiscono i nervi che attraversano le meningi ammalate si ha iperestesia, esagerazione dei riflessi cutanei, contrazioni muscolari subitanee o veri crampi muscolari. Nel periodo inoltrato della malattia subentrano paralisi muscolari e diminuzione o scomparsa della sensibilità di determinati distretti. Di frequente si presenta il quadro della mielite spinale. La meningite spinale diffusa evolve mortalmente in pochi giorni; quella circoscritta si protrae per parecchi mesi. La cura è sintomatica; norme igieniche, applicazioni fredde sulla colonna vertebrale, uso di narcotici, acido salicilico e derivati, puntura lombare.
Pachimeningite spinale ossificante. - È una speciale malattia del cane, caratterizzata dalla formazione, nella dura madre spinale, di lamine ossee capaci di provocare compressione e lacerazioni delle radici dei nervi spinali e del midollo spinale e conseguentemente paralisi di questa parte del sistema nervoso centrale. H. Dexler riferisce la causa della malattia a un'esagerazione delle flessioni della colonna vertebrale. Le sezioni lombare e cervicale della dura meninge sono colpite più di frequente. Le prime manifestazioni sono esternate da segni di dolore, senza una causa apparente, durante il movimento, da un'esaltazione dei riflessi di certe parti del corpo. L'ammalato si alza e corica con precauzione, resiste poco alle fatiche, fa le scale con difficoltà, assume andatura rigida, in casi eccezionali si regge solo sugli arti anteriori sollevando il treno posteriore rigido. Compaiono in seguito degli spasmi muscolari e più tardi fatti paralitici, sotto forma di paraparesi o di paraplegia. Nel tempo stesso certe parti del corpo sono sede d'iperalgesie a cui succede ipoestesia o anestesia completa. Nel decorso avanzato gli ammalati si presentano fortemente dimagriti, la morte sopravviene per graduale esaurimento o per altre complicanze morbose. L'intervento curativo si limita a mitigare il dolore e a ritardare il decorso della malattia.
Contusione e commoäione del midollo spinale. - Le contusioni più frequenti sono dovute a vertebre lussate e a fratture vertebrali. In alcuni casi le azioni meccaniche possono produrre solo lesioni microscopiche (commozione del midollo spinale). Nel punto lesionato la funzione delle cellule nervose viene soppressa, con interruzione della conducibilità tanto verso il centro, quanto verso la periferia. Talvolta la lesione consecutiva al trauma è causa d'irritazione delle radici nervose. Se la distruzione del midollo non è completa, l'animale può sopravvivere per parecchie settimane. Quando la lesione risiede nel rigonfiamento cervicale, si ha paralisi e anestesia delle estremità, del tronco e della coda, i riflessi scompaiono solo nel treno anteriore; la lesione del tratto dorsale conduce a paralisi di moto e di senso della metà posteriore del corpo con conservazione dei riflessi, quella del terzo anteriore del tratto lombare a paralisi e anestesia della groppa, degli arti posteriori e della coda, quella del tratto sacrale a paralisi del territorio innervato dallo sciatico, dei nervi della groppa e coda, degli sfinteri anale e vescicale. Con una certa frequenza il punto leso della colonna vertebrale si mostra ipersensibile. La possibilità di guarigione completa si ha solamente quando la compressione è dovuta a emorragia. Negli altri casi l'esito comune è la morte in relazione anche alla facilità del sopraggiungere di complicanze o infezioni d'altra natura.
Mielite spinale. - È l'infiammazione del midollo spinale. Essa è caratterizzata da infiltrazione parvicellulare e dalla formazione di emorragie nel tratto colpito. Di norma è prodotta da microbî e dalle loro tossine. Insorge di frequente nel cimurro del cane, nella rabbia e in generale per le stesse cause infettive che causano la meningite spinale, con la quale può spesso combinarsi. Non rare volte anche le più accurate indagini lasciano all'oscuro sulla vera causa. Dal punto di vista anatomico e clinico si distingue una m. trasversale, quando il midollo è interessato in tutta la sezione trasversale, una m. diffusa, quando il midollo è leso su un'estensione notevole, una m. disseminata, allorché focolai di grandezza diversa e in buon numero sono diffusi nel cordone midollare a diversa altezza. Nella m. trasversale, il quadro clinico inizia con un'andatura strascicante, barcollante, per finire con paralisi di moto delle parti del corpo che corrispondono alle zone midollari infiammate e di senso in quelle sottostanti. I riflessi tendinei e cutanei nelle regioni colpite da paralisi di senso sono presenti, spesso esagerati. Altri sintomi sono legati alla diversa altezza del tratto leso e corrispondono a quelli della contusione dei varî tratti del midollo. La m. diffusa quasi sempre si origina nella sezione posteriore del midollo con paralisi di moto e senso del treno posteriore, rilasciamento degli sfinteri anale e vescicale. Con il progredire delle lesioni nei tratti superiori del midollo, le manifestazioni paralitiche invadono le regioni del corpo corrispondenti fino a interessare gli arti anteriori. Nei casi rari in cui l'infiammazione esordisce nelle sezioni superiori del midollo, si manifesta paralisi di senso delle regioni situate caudalmente alla lesione, seguita poi da paralisi muscolare e degli sfinteri, da scomparsa dei riflessi. Le manifestazioni delle m. disseminate variano in rapporto alla sede e all'estensione dei varî focolai. Possono avvicinarsi alle due forme precedenti, ma con maggiore frequenza sono rappresentate da paralisi di moto e di senso circoscritte e da uno stato irritativo di alcuni nervi spinali, conducente a contrazioni ritmiche dei muscoli delle estremità, del collo, dell'addome. La guarigione completa delle mieliti è eccezionale. La terapia si fonda sulle norme igieniche generali, su mezzi fisici (cinesiterapia, elettroterapia) intesi a conservare la tonicità delle masse muscolari e sugli eccitanti nervosi (stricnina, veratrina, ecc.).
Paraplegia enzootica del cavallo. - È una malattia infettiva, spesso acuta, con molta probabilità sostenuta da uno speciale streptococco (F. Schlegel, P. Perrucci, J. Zwick), caratterizzata, dal punto di vista anatomico, da emorragie capillari in diversi organi e nel midollo spinale e da infiltrazione gelatinosa nel connettivo circostante gli organi genitali e urinarî. Ha diffusione limitata; si riscontra più facilmente negli allevamenti numerosi.
Nella forma iperacuta si ha paralisi pressoché improvvisa del treno posteriore; ma più di frequente la paraplegia s'istituisce in modo lento nello spazio di qualche giorno, come avviene nella forma acuta, o può mancare, avendosi solo debolezza e barcollamento del treno posteriore, come in quella cronica. Nel decorso inoltrato compare febbre, itterizia, tenesmo vescicale, ematuria. In alcuni focolai infettivi s'istituisce un processo infiammatorio a carico dei genitali esterni. L'esito, stante la mancanza d'una cura specifica e la poca efficacia di quella sintomatica, è funesto in alta percentuale. Come mezzi profilattici sono raccomandati l'igiene dell'alimentazione e dei ricoveri e l'uso (P. Perrucci) di siero antistreptococcico.
Compressione del midollo spinale. - È determinata da varie affezioni: encondrosi dei dischi intervertebrali (cane), ossificazione intervertebrale (cane, equini vecchi), pachimeningite ossificante (v. sopra), spondilite tubercolare e tubercolosi delle meningi e del midollo spinale (bovini, suini, equini), actinomicosi vertebrale (bovini), neoplasmi della colonna vertebrale o vicinali, delle meningi e del midollo, parassiti e principalmente cisti da cenuro (bovini, suini), cisti da echinococco e cisticerchi (cane, suini), ascessi. Questi processi morbosi conducono a una riduzione del lume dello speco vertebrale e conseguentemente a una mielite da compressione con possibile interruzione delle vie di conduzione e diminuzione dell'attività delle cellule nervose. Le prime manifestazioni sono generalmente date da debolezza, da diminuzione della forza muscolare del treno posteriore; a ciò consegue paraparesi e paraplegia. La sensibilità è di solito conservata e i riflessi esagerati, i muscoli paralizzati sono in stato di rigidità, perciò gli arti interessati sono mantenuti in estensione (paralisi spastica). La colonna vertebrale può presentare deformazioni, deviazioni e punti dolenti. Quando la compressione risiede cranialmente alla metà del midollo lombare si ha ritenzione di feci e urine, e quando è posta nel midollo sacrale, paralisi degli sfinteri. La prognosi è sempre grave; specie nei grossi animali insorgono precocemente cancrena da decubito e complicanze a carico dell'apparato respiratorio e digerente. La cura, quando è possibile, deve mirare alla rimozione della causa morbosa.
Sistema nervoso periferico. - Paralisi dei nervi cerebro-spinali. - Sono causate da contusioni, quando un corpo vulnerante, rappresentato anche da una forte contrazione muscolare, colpisce un nervo superficiale che decorre su un osso; da ferite della pelle e tessuti sottostanti, capaci di provocare la recisione del nervo; da compressioni di varia natura (neoplasmi, adeniti, grandi versamenti di sangue, ascessi, corpi estranei, ossa lussate, calli ossei, ecc.); da neuriti a frigore, tossiche (avvelenamento da piombo), tossico-infettive (nel decorso del morbo coitale maligno, dell'adenite e della pleuro-polmonite contagiosa del cavallo, del botulismo), o insorgenti per diffusione di processo infiammatorio dai tessuti contigui; da malattie del sistema nervoso centrale e delle meningi.
La paralisi del trigemino è frequente nel cane (nel decorso della rabbia), meno nel cavallo; quando è bilaterale e quando interessa anche la 3ª branca, motrice, con la scomparsa della sensibilità della pelle della faccia, della mucosa boccale e linguale, si ha paralisi dei muscoli masticatorî, per cui la bocca è mantenuta aperta, la lingua pendente, l'assunzione dei cibi impossibilitata. Nel cane la sola paralisi della branca motrice di frequente è conseguenza di fatti compressivi, cagionati da forti contrazioni dei muscoli masticatorî (nel masticare ossa o sassi).
La paralisi del facciale colpisce specialmente il cavallo. Quando è unilaterale e interessa tutti i rami del nervo, si ha paralisi di moto del padiglione auricolare, delle palpebre, della narice e delle metà longitudinali delle due labbra del lato corrispondente. Se la lesione è bilaterale, le manifestazioni si corrispondono sulle due metà della faccia. Come conseguenza di questa paralisi si hanno principalmente disturbi dell'assunzione dei cibi e della respirazione.
La paralisi del ricorrente, salvo qualche eccezione, è propria del cavallo e specie del puro sangue e razze derivate. Essa conduce principalmente a stenosi della laringe e a un rumore inspiratorio (corneggio, fischio, sibilo), durante il movimento. La paralisi del soprascapolare, osservata specie negli equini, conduce durante l'appoggio a una deviazione in abduzione della spalla. La paralisi del radiale è comune in tutti gli animali domestici e specie negli equini e porta a paralisi dei muscoli estensori situati nell'avambraccio o anche a quelli del tricipite del braccio e della sensibilità della cute della faccia esterna dell'avambraccio, a seconda dell'altezza della lesione nervosa. Come conseguenza, nel riposo le articolazioni del gomito e della spalla sono in estensione, le altre in flessione; nel movimento le parti sottostanti all'articolazione omero-radio-cubitale sono trascinate inerti. Gli altri nervi che più facilmente vengono colpiti da paralisi sono il femorale, l'ischiatico, l'otturatore, i plessi sacrale e brachiale. Quando la causa delle paralisi non sia rimovibile, la cura è sempre sintomatica (cinesiterapia, elettroterapia). La paralisi del trigemino (branca motrice), come quella del glossofaringeo e dell'ipoglosso, richiede ancora la nutrizione artificiale; quella del facciale, la somministrazione di cibi di facile prensione. Nella paralisi del ricorrente, quando la terapia causale non ha portato a successo, s'interviene chirurgicamente. Dei varî metodi cruenti, il più efficace è quello basato sull'escissione della mucosa del ventricolo laterale della laringe.
Malattie nervose funzionali. - Vertigine. - È caratterizzata da una sensazione abnorme e temporanea di movimento, riguardante le relazioni degli animali con lo spazio, per cui si ha perdita momentanea dell'equilibrio. La malattia può essere primitiva, più di frequente è secondaria a malattie del cervello, del labirinto vestibolare, a disturbi circolatorî e visivi, alle gravi sclerostomiasi per intossicazione neuro-cerebrale (G. Finzi). Si manifesta quasi solo negli equini e nel cane e più facilmente durante il lavoro. Il cavallo, all'approssimarsi dell'accesso, presenta andatura incerta, s'arresta, scuote la testa, s'abbandona sui finimenti o sul compagno di pariglia tenendo gli arti divaricati. Quando i disturbi dell'equilibrio raggiungono il massimo di gravità, cade a terra. I singoli accessi durano solo qualche minuto e si ripresentano a diversi intervalli di tempo. Si devono evitare i lavori pesanti, specie nella stagione estiva; durante l'accesso si deve impedire la caduta dell'animale sostenendogli la testa; giovano le abluzioni fredde alla testa e la copertura degli occhi. Si deve inoltre mirare alla terapia causale.
Epilessia. - È malattia cronica che si manifesta con accessi di crampi tonico-clonici e con perdita della coscienza. È frequente nel cane e può dipendere da disposizione ereditaria (e. costituzionale, organica o genuina), da alterazioni del cervello di natura organica (e. organica), dall'azione di sostanze tossiche (e. tossica), da malattie della pelle e delle mucose, da elmintiasi intestinale (e. riflessa). Durante gli accessi i crampi muscolari possono interessare tutti o gran parte dei muscoli del corpo, per cui gli animali cadono a terra (accesso grave di epilessia, grande male) o singoli gruppi muscolari, spesso della testa e collo, senza caduta (accesso epilettico leggiero, piccolo male).
Durante i gravi accessi si ha ptialismo, perdita di feci e urine. Di regola l'accesso dura da pochi secondi a qualche minuto e può ripresentarsi a intervalli assai variabili. I sali di bromo, con riduzione del cloruro di sodio e degli albuminoidi dell'alimentazione, i composti di calcio, rappresentano i rimedi più efficaci. Gli ammalati devono essere risparmiati dai gravi lavori.
Eclampsia. - È malattia caratterizzata da manifestazioni somiglianti a quelle dell'epilessia, da cui si distingue per il decorso acuto. Si presenta negli animali giovani (cani e maialetti) all'epoca della dentizione, in seguito ad aumentata sensibilità delle gengive, a elmintiasi intestinale, a catarro intestinale acuto, a stomatite, a malattie infettive. L'eclampsia si presenta anche negli animali adulti per le stesse cause che determinano l'epilessia riflessa.
Catalessi. - È caratterizzata da una speciale rigidità della muscolatura, presentantesi ad accessi, per cui sono conservati i movimenti passivi, e le singole parti del corpo mantengono la posizione assunta o fatta subire. La coscienza e la sensibilità sono diminuite o abolite. Negli animali è rara.
Convulsioni puerperali o eclampsia puerperale. - Indipendentemente da malattie organiche dimostrabili, si presenta in relazione al parto nella cagna (molto di rado nelle altre femmine domestiche) uno stato morboso caratterizzato da convulsioni senza alterazioni della coscienza. La malattia si attribuisce a insufficienza funzionale delle paratiroidi. L'uso della paratiroidina, del cloruro di calcio e di narcotici è seguito da guarigione.
Corea e crampi clonici localizzati. - La corea, considerata come nell'uomo sotto l'aspetto di contrazioni involontarie, aritmiche, incoordinate, manifestantisi senza regola in diverse parti del corpo e con molteplici combinazioni, alla luce di odierne osservazioni, non esiste negli animali. Vi sono bensì numerose pubblicazioni sulla presenza di tale malattia anche in veterinaria, però la maggior parte di esse attribuiscono, erroneamente, ai movimenti coreici i crampi clonici localizzati, consistenti in contrazioni muscolari a carattere uniforme, ritmico, d'intensità costante, sempre localizzate agli stessi muscoli o gruppi muscolari. La sede dei muscoli interessati è varia. La malattia dipende da alterazioni organiche del sistema nervoso centrale, talvolta dei nervi periferici, o dall'azione di certe sostanze tossiche ancora indefinite, che si producono nelle enteriti, nei catarri intestinali, nelle coprostasi.
Morbo di Basedow. - È malattia principalmente caratterizzata da gozzo, esoftalmo, tachicardia, aumento degli scambî organici e disturbi psichici, in relazione a una stimolazione abnorme del sistema vegetativo, e specialmente del simpatico, per funzione esagerata e forse alterata della tiroide. Si trovano descrizioni relative a questo stato morboso nel cavallo, nel bue e numerose nel cane. Si può tentare l'estirpazione parziale delle tiroidi, o l'applicazione dei raggi Röntgen sulle stesse.