MUSCOLARE, SISTEMA
. Embriologia. - I muscoli compresi nella miologia sono derivati del mesoderma segmentato, cioè di speciali organi embrionali, detti somiti o protovertebre (fig. 1), i quali compaiono nei primi stadî della vita embrionale e sono rappresentati da sacchetti epiteliali di forma cuboide, disposti a paia metamericamente sui due lati dell'abbozzo del tubo midollare; essi perciò si limitano dapprima a occupare la porzione dorsale del corpo. In seguito ogni somito si divide in due parti: una, che è la ventromediale, è formata da elementi che emigrano nelle adiacenze della corda dorsale, e quivi formano lo sclerotomo (fig. 2), il quale rappresenta il primo abbozzo dello scheletro della parte assiale del corpo. Ciò che rimane in posto di ciascuna protovertebra e che si trasforma in una vescica fortemente appiattita dall'interno all'esterno, prende il nome di miotomo ed è destinato a produrre la muscolatura. Perciò ogni miotomo aumenta notevolmente di volume e s'estende gradualmente in ciascun lato anche nella parte ventrale del corpo, finché si divide in due parti, dette campi muscolari embrionali, uno dorsale e uno ventrale: ciascun campo è innervato dal corrispondente ramo ventrale o dorsale di un nervo spinale (fig. 3). In quest'epoca dello sviluppo la disposizione della muscolatura del corpo dei vertebrati superiori ricorda quanto si riscontra allo stato adulto nei Pesci, nei quali per ogni segmento del corpo si hanno quattro grandi masse muscolari, due situate dorsalmente e due ventralmente rispetto alla colonna vertebrale. Da tutti questi campi sono prodotti bottoni cellulari, i cui elementi sono destinati a trasformarsi in fibre muscolari, striate. Questi bottoni nella parte più profonda del campo presentano poche modificazioni e spostamenti, per cui i muscoli che ne risultano mostrano nettamente la loro costituzione segmentale, attaccandosi a due vertebre contigue. Invece, a mano a mano che ci avviciniamo alla superficie del corpo, i fenomeni si complicano, perché bottoni derivati da campi diversi confluiscono tra loro e dànno origine a muscoli molto estesi, ì quali si attaccano contemporaneamente a numerose vertebre. I più notevoli spostamenti dei bottoni muscolari si verificano in corrispondenza degli arti, la cui muscolatura risulta dalla confluenza di bottoni emigrati dai campi ventrali dei segmenti limitrofi; perciò tutti i muscoli degli arti sono innervati da rami ventrali dei nervi spinali; infatti i bottoni nelle loro migrazioni sono sempre accompagnati dal filuzzo nervoso a essi primitivamente assegnato, e che per noi costituisce il filo di Arianna per riconoscere il cammino da essi fatto. Sarebbe oltremodo difficile studiare col metodo embriologico diretto la composizione metamerica dei muscoli più complessi, cioè seguire passo passo le migrazioni che durante lo sviluppo compiono determinati bottoni muscolari per venire a confluire in un determinato muscolo; si preferisce perciò risolvere il problema con un metodo indiretto, cioè determinando quante e quali sono le radici anteriori dei nervi spinali, che partecipano all'innervazione di un dato muscolo: altrettanti sono i miomeri che hanno partecipato alla sua formazione. Nella testa lo sviluppo della muscolatura è reso ancora più complicato che nel tronco per la presenza delle fessure branchiali; la muscolatura a queste annessa e che si dice viscerale non deriva da formazioni embrionali equivalenti a somiti, ma dalle lamine laterali; tuttavia anche nella testa si trovano formazioni omologhe a somiti, le quali hanno avuto il nome di cavità cejaliche; dalle pareti di queste cavità si originano i muscoli motori dell'occhio.
Anatomia comparata.
Studiando anatomocomparativamente la costituzione del sistema muscolare dei Vertebrati, noi vediamo che la sua differenziazione aumenta a mano a mano che si sale nella scala zoologica e sta in stretto rapporto con lo sviluppo dello scheletro. Nell'Amphioxus, il cui scheletro è costituito essenzialmente dalla corda dorsale, la maggior parte della muscolatura è distribuita in due masse laterali, ciascuna delle quali è formata di tanti pezzi disposti metamericamente uno appresso all'altro e divisi da setti connettivali, i quali servono a dare origine e inserzione alle fibre muscolari. Nei vertebrati più bassi le parti scheletriche, a mano a mano che si sviluppano, si avanzano nello spessore dei setti congiuntivali e dànno attacco ai fasci muscolari più profondi, i quali così costituiscono i muscoli scheletrici propriamente detti. Invece i fasci muscolari più superficiali, che non giungono ad attaccarsi con ambedue le loro estremità allo scheletro, entrano in connessione con la cute e formano i muscoli cutanei. Possiamo perciò distinguere due grandi categorie di muscoli: i cutanei e gli scheletrici.
I muscoli cutanei già negli Anfibî presentano un particolare sviluppo nelle due estremità del corpo, assumendo peculiari rapporti con le aperture nasali e con l'orificio cloacale. Nei Rettili si trovano diffusi su tutta la superficie del corpo e nei serpenti, agendo direttamente sulle squame, contribuiscono alla locomozione dell'animale. La stessa funzione hanno alcuni muscoli cutanei negli uccelli, determinando movimenti delle penne remiganti e timoniere. Nei Mammiferi la muscolatura cutanea raggiunge il massimo sviluppo diffondendosi a tutta la porzione assiale del corpo; in alcuni casi può contribuire alla produzione dei movimenti di tutto il corpo come, per es., nell'echidna e nel riccio, nei quali determina il raggomitolamento, ma in genere assume uno speciale ufficio di difesa, producendo bruschi spostamenti della pelle, che servono ad allontanare gl'Insetti. Nell'uomo i muscoli sono scomparsi in tutto il tronco, mentre hanno assunto un notevole sviluppo e una grande differenziazione nel collo e nel capo servendo alla mimica.
I muscoli scheletrici del tronco nei Pesci hanno una costituzione abbastanza omogenea; infatti formano col loro complesso due masse laterali, una destra e una sinistra; ciascuna massa laterale è divisa in una parte dorsale e in una ventrale; si hanno così quattro campi muscolari attorno alla colonna vertebrale; ogni campo poi è suddiviso in tanti pezzi quanti sono gli spazî intervertebrali da setti connettivali, detti miocommi. Questi setti non sono piani, ma fortemente incurvati con la convessità rostrale, per cui ogni segmento muscolare assume la forma di un cono cavo, il quale, mentre si avanza nel cono che lo precede, riceve nella sua escavazione i coni che lo seguono: perciò nelle sezioni trasversali i quattro campi muscolari sembrano formati ciascuno di tanti anelli concentrici. A mano a mano che si sale nella scala zoologica, questa netta disposizione metamerica tende a cancellarsi e il fenomeno si verifica in massimo grado nei campi ventrali, in minimo grado nelle parti più profonde dei campi dorsali: si formano così grandi muscoli tanto più estesi quanto più sono vicini alla superficie, i quali entrano in rapporto con numerosi segmenti scheletrici. Nel capo, per la presenza delle fessure branchiali, dell'apparecchio mascellare e degli organi di senso, la muscolatura presenta particolari disposizioni corrispondenti alle speciali funzioni, alle quali è destinata. Dando uno sguardo generale alla muscolatura di tutti i Vertebrati noi vediamo che nelle forme più basse, cioè nei pesci, la muscolatura dell'asse del corpo raggiunge il maggiore sviluppo e ha la più grande importanza per la locomozione dell'animale. A mano a mano che si sale nella scala zoologica gli arti acquistano un ufficio sempre più considerevole per la locomozione e la loro muscolatura aumenta di volume e si differenzia maggiormente, mentre si riduce in modo corrispondente quella dell'asse del corpo; tale riduzione raggiunge il massimo grado nella regione caudale.
Istologia.
Il sistema muscolare è formato dal tessuto muscolare, dotato di capacità contrattile, che, a seconda della sua distribuzione architetturale, serve o a spostare organi nell'interno dell'organismo (per es., canale intestinale) o a far muovere il corpo e le sue parti rispetto all'ambiente (apparato locomotore propriamente detto). Il movimento muscolare è la forma migliore di movimento che si riscontri nel mondo organico. La parte contrattile si trova nell'interno degli elementi muscolari e non alla superficie libera come nel caso degli undulopodi; tale circostanza rende utilizzabile questa forma di movimento anche al di fuori dell'ambiente liquido e rende possibile la vita animale terrestre. Il movimento non è automatico e continuo come il movimento vibratile, può rispondere direttamente a stimoli esterni, ma in generale è comandato e coordinato dal sistema nervoso verso scopi determinati. Il tessuto muscolare è proprio dei Metazoi. È costituito da elementi contrattili, i quali possono cioè accorciarsi in modo attivo nel senso della loro lunghezza; in essi la maggior parte del citoplasma s'è trasformata in sostanza contrattile.
Negl'Invertebrati si ha una sensibile varietà di forma e di struttura degli elementi muscolari. In Metazoi inferiori s'osserva che alcune cellule hanno differenziato in massa contrattile una parte relativamente piccola del loro citoplasma. Nei Celenterati si hanno cellule dell'ectoderma o dell'entoderma che, conservando i caratteri di cellule epiteliali, contengono nella parte basale una o più fibrille contrattili. Nei Vermi, cellule derivate dal mesenchima o dall'epitelio assumono forma allungata, con sarcoplasma abbondante, nucleo centrale e mantello periferico di miofibrille (Hirudo) oppure forma di lamelle polinucleate con fibrille nastriformi alla periferia. In alcuni casi la separazione tra massa miofibrillare e sarcoplasma è più netta, come nei Nematodi (fig. 4) dove la parte contrattile ha forma di lungo fuso e il sarcoplasma sporge lateralmente come un'appendice. Nei Trematodi e Cestodi la cellula nucleata è unita con sottili prolungamenti protoplasmatici alle fibre che contengono le miofibrille. Negli Artropodi le fibre sono striate, hanno costituzione di plasmodî e presentano la struttura più complessa del regno animale.
Nei Vertebrati si distinguono tre tipi principali di tessuto muscolare: 1. tessuto muscolare liscio; 2. tessuto muscolare striato; 3. tessuto muscolare cardiaco. Il primo è distribuito in tutti gli organi mobili viscerali: canale intestinale, dall'esofago allo sfintere anale esterno; vie respiratorie, esclusa la laringe; vasi sanguigni e linfatici; vie urinarie e vescica urinaria; vie genitali (tube, utero, vagina, corpi cavernosi, prostata); tegumento (muscoli erettori dei peli, ghiandole sudoripare, tunica dartos dello scroto, areola mammaria); muscoli intrinseci dell'occhio. Il secondo forma tutta la muscolatura volontaria scheletrica e cutanea, i muscoli estrinseci dell'occhio i muscoli dell'orecchio interno, dell'intestino cefalico, della laringe, dello sfintere anale esterno, del piano perineale, degli organi copulatori. Il terzo è proprio del cuore. Tale distribuzione è propria a tutti i Mammiferi; in altre classi di animali è più o meno diversa. Nei Pesci gran parte dell'intestino ha muscolatura striata; negli Uccelli lo sfintere dell'iride è striato; molti muscoli viscerali di Insetti e Crostacei e il cuore dei Vertebrati sono striati; quasi tutti i muscoli deì Molluschi sono lisci.
La muscolatura liscia rappresenta filogeneticamente un grado di sviluppo inferiore a quello della striata perché si presenta a preferenza in animali a organizzazione inferiore e a movimenti tardi. Essa è formata da cellule o fibrocellule muscolari lisce. Queste hanno forma di fusi o nastri molto allungati, a sezione circolare o più frequentemente poligonale o ovalare (figg. 5 e 6). Nella parte di mezzo contengono un solo nucleo, pure allungato passivamente in varia misura, a seconda dello stato di distensione della fibra. In prossimità del nucleo è stato dimostrato un doppio centrosoma (fig. 5 c). La grandezza di queste cellule è molto varia; nell'uomo le più piccole si hanno nelle pareti delle arterie (20-45 μ di lunghezza per 9-13 μ di diametro), le più lunghe nell'utero gravido (500-560 μ per 22 μ), nelle tuniche intestinali misurano 150-200 μ. Il corpo cellulare è costituito da una parte fondamentale omogenea, il sarcoplasma, e dalle miofibrille; non è dimostrabile una membrana cellulare. Nel sarcoplasma è contenuto il condrioma, granuli di lecitina, glicogene e talora pigmento; esso è più abbondante in prossimità dei poli del nucleo. Le miofibrille sono formazioni filamentose sottili che percorrono la cellula da un capo all'altro; raccolte a volte in fascetti o più comunemente distribuite uniformemente (fig. 5). Nei Molluschi le fibrille hanno decorso spirale, nei Vertebrati sono rettilinee; nei Mammiferi sono particolarmente sottili, per lo più sotto il limite della visibilità microscopica, e si dimostrano con difficoltà; sono un poco più grosse alla periferia della cellula; sono molto distinte negli Urodeli (fig. 5 e). Sono omogenee per tutta la loro hnghezza, da ciò il nome di fibrille e rispettivamente di fibre lisce; hanno birifrangenza positiva monoassile, con asse parallelo alla lunghezza della cellula. La contrazione delle fibre muscolari lisce è lenta e prolungata, la fibra può passare allo stato di riposo da quaiunque grado di accorciamento. Le cellule muscolari sono riunite in fascetti primarî e secondarî per mezzo di tessuto connettivo con poche fibre elastiche; i singoli fascetti primarî hanno calibro uniforme perché le cellule stanno accostate a livelli differenti, in modo che le estremità assottigliate s'insinuano negl'interstizî tra le cellule vicine (fig. 5 a). Sulle sezioni trasversali le cellule risultano colpite a diversi livelli, perciò si osservano cellule grandi e piccole, con e senza nucleo (fig. 5 b). Così s'ottengono le tonache muscolari continue e uniformi dell'intestino, dei vasi sanguigni, ecc. Negl'interstizî di connettivo maggiori decorrono vasi e nervi; nei fascetti primarî, invece, le cellule sono intimamente saldate tra loro da connettivo reticolato, che si mette in evidenza con i metodi d'impregnazione all'argento. Le fibrille reticolari (fig. 7) sono orientate prevalentemente in direzione perpendicolare all'asse delle cellule; sono addossate alle cellule come una calza e le collegano in senso tanto trasversale quanto longitudinale. Queste fibrille sono solidali con le cellule per la funzione motrice, ma il loro meccanismo funzionale non è ancora perfettamente chiarito. Non si ammette più l'esistenza di anastomosi sarcoplasmatiche trasversali tra le cellule muscolari lisce, gode invece ancora credito l'opinione secondo cui le miofibrille si continuerebbero ininterrottamente da cellula a cellula collegandole così in direzione longitudinale. Le cellule muscolari lisce derivano nei Vertebrati prevalentemente da cellule mesenchimali; solo quelle delle ghiandole sudoripare e del muscolo dilatatere dell'iride derivano da cellule ectodermiche. Il tessuto muscolare liscio è innervato dal simpatico e dal parasimpatico e la sua attività funzionale non è volontaria.
Il tessuto muscolare striato costituisce tutti i muscoli volontarî ed è quello che volgarmente viene chiamato carne. I suoi elementi costitutivi sono le fibre muscolari striate, formazioni cilindriche polinucleate lunghissime, che non hanno il valore di semplici cellule, ma di plasmodî. Le loro estremità si assottigliano a fuso per continuarsi in fibre tendinee, o sono tagliate a scalpello quando s'inseriscono oblique su un tendine. In alcuni muscoli (specialmente della lingua e cutanei) le estremità si dividono in più rami. Hanno grandezza molto varia, ma in generale rilevante; nell'uomo possono raggiungere 12 cm. di lunghezza con un diametro variabile da 6 a 100 μ, i diametri più frequenti sono tra 30 e 60 μ. In uno stesso muscolo vi sono fibre di vario spessor Vi sono inoltre differenze ospicue tra specie e specie (fig.8) e tra diversi muscoli dello stesso individuo; i muscoli della faccia hanno le fibre più sottili, quelli del tronco e della coscia le più grosse.
Considerando la struttura di una fibra troviamo una membranella involgente, sarcolemma, che contiene internamente il sarcoplasma, le miofibrille e i nuclei. Il sarcolemma è una membranella sottilissima trasparente, intimamente aderente alla sostanza contrattile, visibile a fresco solo nei punti dove la fibra sia strappata e la massa contrattile sia fuoriuscita o si sia retratta. Con i metodi d'impregnazione argemica si dimostra in tale membrana una rete a maglie strette di filamenti sottilissimi, orientati perpendicolarmente all'asse della fibra, in continuità col connettivo interstiziale (figura 9). Sulla natura di questa formazione si discute ancora. Si tende a ritenere che il sarcoplasma comprenda due formazioni di differente natura e origine, e cioè a contatto con la sostanza contrattile una specie di cuticola del valore di membrana cellulare, derivata da addensamento del sarcoplasma, e superficialmente a essa una membranella di tessuto reticolato fibrillare di origine connettivale. Le miofibrille sono il costituente più caratteristico della fibra. Sono sottili filamenti lunghi quanto la fibra che percorrono longitudinalmente, riuniti in fascetti, le colonnette muscolari; tra queste è interposto il sarcoplasma (figura 10). Questo può essere così scarso e le fibrille così stipate, da mascherare completamente a fresco la struttura fibrillare della fibra. Le fibrille s'individualizzano meglio nei preparati fissati e opportunamente colorati; nelle fibre tagliate trasversalmente si notano a forte ingrandimento tante aree poligonali, corrispondenti alle colonnette muscolari, i campi di Cohnheim, delimitate da linee chiare (fig. 11). Le singole miofibrille presentano in tutta la loro lunghezza l'alternarsi periodico e regolare di tratti scuri molto rifrangenti, birifrangenti di birifrangenza monoassile positiva, intensamente colorabili, e di altri chiari meno rifrangenti, monorifrangenti, poco colorabili (fig. 10). Le fibrille di ogni fibra sono perfettamente giustapposte e i tratti chiari e scuri si trovano allo stesso livello; perciò le fibre a fibrille molto fitte appaiono nel loro insieme costituite dall'alternarsi di dischi chiari e scuri, da ciò il loro nome. Questa è la disposizione fondamentale generale, ma nell'immagine della striatura trasversale si descrivono altri particolari più complessi, la cui interpretazione è ancora controversa. A distanze regolari le fibrille sono attraversate da una sottilissima stria scura, che divide in due metà il disco chiaro: la stria Z o linea di Amici (che la scoperse nel 1818; fig. 12). Viene interpretata come una membranella continua, teloframma, che interessa fibrille e sarcoplasma e s'inserisce al sarcolemma. Essa divide la fibra in una serie di segmenti eguali, gli inocommi (I della fig. 13). In ogni inocomma la parte media corrisponde al disco scuro, rifrangente, indicato col simbolo Q, che è diviso in due metà simmetriche da una membranella analoga al teloframma, ma più sottile (0,2 μ), che è la stria M o mesoframma. I semidischi Q verso il mesoframma si fanno più chiari, parti indicate con Qh e denominate stria di Hensen. L'inocomma è completato verso il teloframma da un disco sottile chiaro, poco colorabile, isotropo, indicato con J; in vicinanza del teloframma si fa più denso (tratti Jd). I segmenti J di due inocommi vicini, separati dal teloframma, formano nell'insieme il disco chiaro. Il tratto chiaro J sarebbe ancora suddiviso, nelle fibre degli Insetti da un disco accessorio N, di Engelmann, in un tratto E rivolto verso il teloframma e in un altro e Iin continuità col disco Q (fig. 12 C). Perciò il periodo completo di un inocomma sarebbe: Z, E, N, J, Q, Qh, M, Qh, J, N, E, Z. La stria Z avrebbe particolare importanza funzionale. In quanto alle altre suddivisioni dei dischi I e Q vi sono ancora pareri discordi e forse non ogni zona corrisponde alla reale esistenza di strati distinti delle miofibrille; in parte si tratta di fenomeni ottici di un ordine di grandezza che è al limite dell'immagine ottica fedele. Presentemente non s'è neppure sicuri della corrispondenza dei tratti chiari e scuri a fresco rispettivamente mono- e birifrangenti delle fibre degl'Insetti, con le corrispondenti formazioni delle fibre dei Vertebrati, poiché risulterebbe che in quesie il disco scuro è isotropo e quindi il teloframma della fibra dei Vertebrati non sarebbe l'omologo della stria z, scoperta da Amici negl'Insetti.
Il sarcoplasma rappresenta la parte di citoplasma della primitiva cellula embrionale, che non s'è differenziata in miofibrille; si ammette però che anch'esso abbia assunto caratteri particolari differenti da quelli dell'ordinario citoplasma. Si trova in quantità assai variabile in prossimità dei nuclei P negl'interstizî fra le colonnette, tra le fibrille (sarcoplasma interfibrillare). Vi sono differenze anche da specie a specie e da muscolo a muscolo in rapporto con la differente disposizione delle colonnette. In alcuni Insetti (muscoli delle ali di Hydrophilas piceus, muscoli scheletrici di Dyticus marginalis) le fibrille o le colonnette sono disposte in lamelle radiali; nei muscoli della pinna dorsale d'Ippocampo le colonnette sono scarse, disposte a lamine incurvate. Il l'arcoplasma ha consistenza gelatinosa; quello perinucleare ha la struttura del citoplasma indifferenziato con fitti condrioconti, granuli di lecitina, grasso, glicogene e pigmento. Negl'interstizî intercolonnari e interfibrillari si hanno inoltre i granuli intercolonnari, sarcosomi, allineati a determinati livelli, che sono particolarmente abbondanti in alcune fibre d'Insetti a sarcoplasma abbondante. È dubbio e difficile a stabilirsi se si tratti di granuli paraplasmatici o di mitocondrî (fig. 13). Sono stati descritti infine dei reticoli intercolonnari (R) dimostrabili con le impregnazioni argentiche a livello della stria di Amici, ai limiti del disco Q e, a seconda degli autori e del materiale, a livelli differenti. Sono immagini istologiche di significato molto dubbio.
Nei Mammiferi le fibre più ricche di sarcoplasma, per la ricchezza di questo in granuli, hanno un aspetto torbido (fibre torbide) rispetto alle fibre povere di sarcoplasma (fibre chiare); i due tipi di fibre sono mescolati nello stesso muscolo. Il sarcoplasma infine può essere più o meno ricco di mioematina (sostanza ritenuta simile all'emoglobina) e i muscoli possono avere colorito rosso (uomo adulto), o bianco (in molti Mammiferi sono frammisti muscoli rossi e bianchi). Il sarcoplasma è certamente apparato sussidiario alla contrattilità delle miofibrille; secondo F. Bottazzi sarebbe dotato di contrattilità propria. Esso serve d'intermediario ai processi di nutrizione delle fibrille e presiede ai fenomeni di accrescimento della fibra muscolare. È in rapporto con la terminazione della fibra nervosa che si arborizza nella placca motrice; servirebbe perciò alla propagazione dell'eccitamento nell'interno della fibra.
I nuclei sono posti nell'uomo e nei Mammiferi alla superficie, sotto il sarcolemma; nei Vertebrati inferiori e in alcune fibre dell'uomo e nei muscoli bianchi degli Uccelli hanno sede più profonda. Sono ovalari appiattiti, misurano in media 6-12 μ per 3-4 μ. Sono variamente numerosi in rapporto alla grandezza della fibra; nelle fibre lunghe possono arrivare a molte centinaia.
Modificazioni della fibra durante la contrazione. - Se molte sono le incertezze riguardo alla minuta struttura della fibra muscolare, anche maggiori esse sono in riguardo alle sue modificazioni durante la contrazione. Generalmente s'ammette che durante la contrazione della fibra l'accorciamento e l'ispessimento dei singoli inocommi sia dovuto a diminuzione in altezza del solo disco anisotropo, mentre il disco chiaro si fa più largo senza accorciarsi, almeno all'inizio della contrazione; l'indice di rifrazione del primo diminuisce, quello del secondo aumenta e tutta la fibra diviene omogenea, debolmente birifrangente e uniformemente colorabile; quando la contrazione è al massimo il teloframma si confonde coi due strati contigui, tutta questa zona diventa fortemente rifrangente, anisotropa e intensamente colorabile (viene chiamata stria di contrazione), mentre le strie Qh diventano trasparenti; si avrebbe così un'inversione dell'immagine tanto a luce ordinaria che polarizzata (figg. 13 e 15).
Le fibre muscolari sono riunite in fascetti di ordine crescente, primarî, secondarî, e terziarî, da connettivo interstiziale (fig. 14). La suddivisione in fascetti del muscolo corrisponde all'analoga suddivisione dei rispettivi tendini. Il connettivo che separa i fascetti e le singole fibre (perimisio interno) è molto lasso, accompagna i vasi e i nervi che sono parte integrante del muscolo come organo, ed è in continuità col perimisio esterno che avvolge tutto il muscolo. Nel perimisio interno vi è una quantità variabile di fibre elastiche. Le fibrille collagene si continuano con quelle reticolari del sarcolemma.
Connessione delle fibre muscolari con le tendinee. - Sono state emesse in proposito varie opinioni. Secondo alcuni, l'estremità smussa o conica delle fibre è fasciata come da una calza dal sarcolemma, cui è unita da sostanza cementante; il sarcolemma a sua volta si fissa al tendine per mezzo di sostanza cementante molto tenace. Altri ammettono pure la terminazione netta delle fibre muscolari, ma ritengono che la parte reticolare del sarcolemma si continui direttamente nel tendine. Altri infine ritengono che le miofibrille si continuino direttamente nelle fibrille collagene del tendine.
Sviluppo. - Le fibre muscolari striate si formano dal mesoderma e in parte dal mesenchima. Le cellule progenitrici delle fibre muscolari sono dette mioblasti. Hanno dapprima carattere epiteliale, poi crescono in lunghezza e si fanno fusiformi, ben presto nel loro citoplasma si differenziano sottilissime fibrille omogenee, le prime miofibrille, dapprima molto scarse, poi sempre più numerose; mentre il loro numero continua ad aumentare, alcune si fanno più spesse e perdono il loro carattere omogeneo per la comparsa di segmenti alterni chiari e scuri, mono- e birifrangenti (fig. 16); in seguito ogni fibrilla si complica nella sua struttura sino ad acquistare le caratteristiche che ha nella fibra matura. Dapprima le fibrille si limitano a formare un mantello nella parte periferica del citoplasma e il nucleo resta al centro, poi i nuclei si moltiplicano senza che si abbia divisione del corpo cellulare e l'elemento si trasforma in un voluminoso plasmodio. Successivamente i nuclei migrano verso la periferia e le fibrille, diventate la parte preponderante della fibra, ne occupano tutta la parte centrale, formandovi un fascio compatto, con scarso citoplasma interposto.
Già prima della nascita nei Mammiferi il numero delle fibre muscolari che compongono i varî muscoli è fisso, e l'accrescimento dei muscoli è dovuto unicamente ad accrescimento in volume delle fibre.
Anche l'ipertrofia funzionale dei muscoli dell'adulto è dovuta esclusivamente a ipertrofia delle fibre.
Il tessuto muscolare cardiaco è formato da fibre striate che sono simili alle fibre dei muscoli scheletrici. Tali fibre hanno forma cilindrica e diametro vario (da 9 a 22 μ nell'uomo). Esse non sono mai individualizzate, ma dopo breve decorso si suddividono longitudinalmente ad angolo acuto in due o più rami che si uniscono con rami analoghi di fibre vicine per formare nuove fibre; ne risulta così un'architettura a plesso con strette fessure longitudinali di varia lunghezza (fig. 17). L' intera massa cardiaca risulta così formata da un sincizio. Nelle fessure decorrono abbondanti capillari sanguigni e nervi accompagnati da scarso tessuto connettivo membranoso.
Le fibre muscolari del cuore sono avvolte da un sarcolemma come i muscoli volontarî. Esse contengono miofibrille, sarcoplasma e nuclei. Per i caratteri delle miofibrille e della striatura trasversale si ha identità perfetta con quelli dei muscoli scheletrici. La striatura longitudinale è più palese perché il sarcoplasma è più abbondante tra le colonnette muscolari. Un carattere particolare delle fibre cardiache è che i nuclei occupano l'asse delle fibre e sono circondati da sarcoplasma abbondante. Un altro carattere particolare è la presenza di dischi rifrangenti, lievemente birifrangenti, posti a intervalli irregolari, i quali percorrono trasversalmente tutta la fibra; sono le strie intercalari o scalariformi (fig. 17) dette così perché spesso sono suddivise in tanti tratti posti a differenti livelli. Queste strie sono delimitate da due teloframmi contigui, ma complessivamente sono più basse di un inocomma; le miofibrille attraversano le strie senza interrompersi. Le strie intercalari non rappresentano, come si riteneva un tempo, dei limiti cellulari, ma sono forse delle zone destinate all'accrescimento interstiziale delle fibre.
Struttura particolare hanno gli elementi del fascio atrio-ventricolare. Nell'uomo le fibre si anastomizzano a rete, a maglie irregolari, e differiscono dal miocardio tipico perché sono più ricche di sarcoplasma e hanno strie intercalari più ravvicinate. Nei Ruminanti questo fascio è formato da voluminose cellule a forma poliedrica parzialmente separate da setti di connettivo. Queste cellule, dette di Purkinje, hanno abbondantissimo sarcoplasma e fascetti radi di miofibrille striate limitati alla superficie cellulare, i quali si continuano da una cellula all'altra. Si ritiene che tali elementi abbiano conservato i caratteri embrionali. La loro funzione sarebbe di trasmettere l'eccitamento alla contrazione dagli atrî ai ventricoli.
Il tessuto miocardico deriva da elementi del mesoderma. Il processo della sua differenziazione è sostanzialmente simile a quello dei muscoli volontarî, con la differenza che in questo caso i mioblasti si uniscono precocemente in un sincizio. Il tessuto miocardico ha una vascolarizzazione simile a quella dei muscoli scheletrici; è innervato da fibre del nervo pneumogastrico e del simpatico, che vi si esauriscono con terminazioni libere.
Anatomia.
Il sistema muscolare è trattato in quel capitolo dell'anatomia umana, che prende il titolo di miologia (dal gr. μυών "muscolo" e λόγος "studio") e che comprende non tutta la muscolatura del corpo animale, ma solo quella che partecipa alle funzioni della vita di relazione e che sta sotto il dominio della volontà. Invece la muscolatura della vita vegetativa, che è involontaria, viene studiata nei diversi apparecchi insieme con gli organi ai quali è annessa.
Generalità. - Nel corpo umano il sistema muscolare, la cosiddetta carne, raggiunge un notevole sviluppo, rappresentando poco meno della metà del peso totale del corpo; ricopre quasi completamente lo scheletro e ha una grande influenza sulla forma esterna del corpo, sulla cui superficie si manifesta con rilievi più o meno sensibili a seconda dello sviluppo dei singoli muscoli e del loro stato di contrazione o di riposo. Questo sistema risulta formato dagli organi attivi del movimento, cioè dai muscoli, i quali sono in grado molto eminente dotati di quella proprietà che si dice contrattilità. Infatti questi organi, sotto l'impulso della volontà o anche sotto l'azione di stimoli di varia natura sono capaci di contrarsi, cioè di cambiare di forma, ispessendosi e accorciandosi, determinando così lo spostamento di quelle leve, che sono le ossa. Condizione essenziale perché ciò avvenga è che i muscoli con le loro estremità si attacchino validamente alle ossa: di rado però avviene che questo attacco sia diretto, poiché nella maggior parte dei casi la connessione si verifica per mezzo di un organo speciale formato di tessuto connettivo molto denso: il tendine (v. connettivo, tessuto). Perciò nella maggior pane dei casi il muscolo risulta di una massa carnosa di colorito rosso vivo, formata di tessuto muscolare e detta corpo o ventre muscolare, la quale, in corrispondenza di ciascuna delle due estremità, si continua con un tendine di colorito bianco, splendente, madreperlaceo.
Quando un muscolo si contrae, quasi mai si spostano contemporaneamente ambedue le estremità; in genere una di queste rimane fissa e prende il nome di origine o capo, mentre il tendine corrispondente si dice pure tendine di origine; l'altra estremità, cioè quella che si sposta, si dice inserzione. Abitualmente l'origine di un muscolo corrisponde all'estremità più vicina all'asse del corpo.
Molti muscoli hanno origini multiple e dal numero di queste traggono il loro nome: così abbiamo il muscolo bicipite nella regione anteriore del braccio, il tricipite nella regione posteriore del braccio, il quadricipite nella regione anteriore della coscia. Viceversa altri muscoli possono avere molteplici inserzioni e terminare con altrettanti tendini come i flessori comuni delle dita della mano e del piede.
Non sempre si ha la forma tipica del muscolo: talvolta nel suo corpo si accumula tessuto tendineo: se questo tessuto tendineo presenta una notevole estensione, in modo da modificare profondamente la forma esterna del muscolo, per cui questo si presenta diviso in due ventri collegati da un tendine, il muscolo si dice biventre o digastrico e il tendine interposto si chiama tendine intermedio; ne abbiamo esempî nella regione sopraioidea e nella sottoioidea, (fig. 18). Quando invece la forma esterna del muscolo non rimane notevolmente modificata, e il tessuto tendineo si limita a formare sottili sepimenti, che dividono più o meno completamente il ventre muscolare in pezzi contigui, si parla allora di inscrizioni tendinee: il muscolo grande retto dell'addome ce ne dà un bell'esempio, fig. 19.
Costituzione dei muscoli. - Facendo la sezione trasversale di un ventre muscolare si vede che questa non si presenta uniformemente piana, per il fatto che il muscolo non è formato di una massa omogenea, ma risulta dall'unione di un certo numero di fasci; alla sua volta ciascun fascio risulta formato di fascetti e ciascun fascetto di elementi filiformi, che sono le fibre muscolari striate. Le fibre, i fascetti e i fasci sono uniti tra loro da tessuto connettivo lasso, il quale, oltre che servire come mezzo di unione, che conserva la forma del muscolo e favorisce la sinergia della contrazione, serve pure di veicolo ai vasi, che devono provvedere alla nutrizione delle fibre muscolari e ai nervi, che devono trasmettere alle singole fibre gli stimoli partiti dai centri nervosi. Questo tessuto si dice perimisio e si distingue in esterno e interno. Il perimisio esterno o aponeurosi muscolare è quella sottile lamina connettivale, che riveste tutta la superficie del muscolo. Il perimisio interno è costituito da numerosissimi setti connettivali di vario spessore, i quali, partiti dalla faccia interna del perimisio esterno, si avanzano tra i fasci, i fascetti e le fibre, formando col loro insieme l'armatura connettivale del muscolo
Rapporti fra i muscoli e i loro tendini. - Assai variabili sono le connessioni che i singoli muscoli contraggono con i loro tendini. Nelle forme più semplici ogni fascio muscolare si continua in ciascuna delle estremità del muscolo con un fascio tendineo, in questo caso si ha una corrispondenza tra la forma cilindrica, prismatica, a nastro del muscolo e quella dei suoi tendini, i quali presentano una sezione non molto più piccola di quella del ventre muscolare. I muscoli di questo tipo sono capaci di accorciarsi notevolmente, producendo un movimento molto ampio, ma hanno una scarsa forza muscolare, cioè sono capaci di sollevare un peso modesto rispetto alla loro massa. Da questa forma primitiva si passa per gradazioni a tutte le altre forme, che tendono a raggiungere un duplice effetto, cioè aumentare la forza muscolare e ridurre la sezione del tendine; quest'ultima condizione è utile specialmente nei muscoli degli arti, i quali essendo molto numerosi e attaccati uno in prossimità dell'altro, non potrebbero altrimenti trovare sull'osso una sufficiente superficie d'impianto. Una prima modificazione si ha quando i fasci muscolari centrali si continuano, come nel caso precedente, con altrettanti fasci tendinei, mentre i fasci muscolari periferici, più numerosi, si attaccano anche sui lati dei fasci tendinei (fig. 20). Senza che aumenti la sezione dei tendinei cresce così quella del ventre muscolare per aumento del numero delle sue fibre e proporzionatamente anche la sua forza, mentre il muscolo assume la forma fusata la quale è la più frequente. Un altro tipo di muscolo si ha quando uno dei tendini si prolunga lungo una faccia del muscolo, mentre l'altro tendine si estende sulla faccia opposta e i fasci muscolari vanno un po' obliquamente da un tendine all'altro (fig. 20): in questo caso può diminuire la sezione del tendine e, senza che aumenti il volume totale del muscolo, crescere il numero delle sue fibre e corrispondentemente la potenza muscolare; però, siccome le fibre sono più brevi, diminuisce proporzionatamente l'ampiezza della contrazione: i muscoli così fatti si dicono semipennati. Gli stessi effetti, ma in grado più notevole, si ottengono quando uno dei tendini si biforca spandendosi su due faccie opposte del muscolo, mentre l'altro tendine si avanza lungo l'asse del muscolo stesso: le fibre muscolari che partono dal tendine assiale, per portarsi ai due tendini periferici, assumono la disposizione delle barbe di una penna e perciò il muscolo dicesi pennato (fig. 20). Questo, avendo un maggior numero di fibre in confronto del precedente, a parità di volume solleva un peso maggiore, ma ad un'altezza più piccola. Se la disposizione pennata si ripete più volte uello stesso muscolo, questo si dice pluripennato, quale è il caso del muscolo sottoscapolare.
Organi accessorî annessi ai muscoli. - Un muscolo o un gruppo muscolare, che si contrae scorrendo sugli organi o sui muscoli vicini, che rimangono nello stato di riposo, incontra attriti, i quali vengono diminuiti per opera di speciali organi annessi ai muscoli stessi; questi organi sono tutti derivati dal connettivo circostante e a seconda della loro forma prendono il nome di fasce, guaine tendinee, borse mucose. Le fasce risultano da speciali modificazioni del connettivo che circonda i muscoli: questo connettivo assume una disposizione lamellare, mediante la quale s'adatta facilmente ai cambiamenti di forma del muscolo e ne facilita gli scorrimenti. Le fasce, che separano i muscoli dai comuni tegumenti, si dicono superficiali; quelle che separano uno dall'altro i varî muscoli o gruppi muscolari, si dicono profonde. Tutti gli organi posti al disopra della fascia superficiale si dicono superficiali, quelli posti al disotto profondi. Questa distinzione è importantissima e vale pure per le alterazioni patologiche e per i traumi. Le guaine tendinee sono anch'esse formazioni connettivali, che rivestono i tendini e specialmente quelli d'inserzione, i quali compiono più ampie escursioni. Una guaina tendinea è formata da due tubi concentrici, dei quali quello interno, guaina viscerale, aderisce intimamente al tendine, quello esterno, guaina parietale, al connettivo circostante. Alle loro estremità i due tubi si continuano uno nell'altro, presentando nel punto di passaggio delle ripiegature suscettibili di distendersi durante il movimento (fig. 21): lo scorrimento del tubo interno sull'esterno è favorito dalla presenza di un liquido lubrificante, detto sinovia. Quando una guaina tendinea abbraccia un solo tendine si chiama propria; se ne comprende parecchi si dice comune. Le alterazioni patologiche di queste guaine vanno sotto il nome di tendosinoviti. Le borse mucose si formano in quei punti, nei quali un muscolo per contrarsi scorre sul vicino, oppure sopra una superficie più resistente, come quella delle ossa; quivi il connettivo interposto si scava di piccole cavità ripiene di liquido sinoviale: abbiamo così le borse pluriloculari. Se queste piccole cavità confluiscono tra loro e ne formano una sola, più grande, la borsa si dice monoloculare. Anche le borse vanno soggette ad alterazioni patologiche dette borsiti.
Nomenclatura anatomica. - In tutti i capitoli dell'anatomia, ma specialmente in quello della miologia, noi troviamo una quantità di nomi improprî, inadeguati, linguisticamente errati: vi sono denominazioni molteplici per lo stesso muscolo, nomi uguali per muscoli differenti. Questa confusione nella nomenclatura è dovuta ai criterî differenti seguiti dai varî autori nell'assegnazione dei nomi: infatti alcuni si fondarono su qualche particolare della forma che non sempre è il più importante, né il più costante; altri seguirono il criterio fisiologico, ma spesso con un'interpretazione poco esatta; altri si fondarono sul criterio topografico: bisogna pure aggiungere la traduzione talora errata di vocaboli greci, arabi, latini e il desiderio di molti anatomici di colpire la fantasia del lettore e di rendere meno monotona la descrizione delle varie parti.
Riportiamo alcune antiche denominazioni: tra i muscoli motori dell'occhio il retto esterno era chiamato amatorius o indignabundus, il retto interno bibitorius o laetitiae, il retto inferiore humilis o pauperum, il retto superiore religiosus o superbus, il grande obliquo patheticus: così il pellicciaio del collo era chiamato m. calanticae, il tibiale anteriore m. catenae seu hippicus, lo sternocleidomastoideo m. consiliarius, il sottoscapolare m. immersus seu carthophorus. A. Vesalio, il grande riformatore dell'anatomia, adottò una nomenclatura fondata principalmente sopra criterî fisiologici, via battuta più tardi da J. B. Winslow. F. Chaussier volle adottare nomi che ricordassero l'origine e l'inserzione di ciascun muscolo; ma l'idea, buona in fondo, non incontrò il favore degli anatomici. Attualmente la questione è stata definita dalla nomenclatura anatomica di Basilea indicata con la sigla B. N. A. (v. anatomia, III, pp. 105-6).
Classificazione. - Nella classificazione dei muscoli sono stati adottati criterî assai differenti. Nei trattati più antichi predomina il criterio della forma, per cui i muscoli furono divisi in cavi e pieni; questi ultimi alla loro volta furono suddivisi in lunghi, corti, larghi, spessi e anulari: in seguito fu trovato molto più comodo il criterio topografico e i muscoli furono riuniti in gruppi a seconda della loro situazione. I progressi dell'anatomia comparata e dell'embriologia, fornendoci nuovi documenti sulle parentele dei varî muscoli, ci hanno condotto a una classificazione, che ha il suo primo fondamento nelle particolarità dello sviluppo, ma che nello stesso tempo segue il criterio topografico. Perciò tutti i muscoli del nostro organismo vennero divisi in muscoli dell'asse del corpo o assiali e muscoli degli arti o appendicolari; quelli dell'asse del corpo, siccome sono i primi che compaiono, furono detti primarî: quelli degli arti secondarî.
I muscoli dell'asse del corpo a seconda della loro topografia furono divisi in muscoli del dorso, della testa, del collo, del torace e dell'addome (v. tavola a colori).
a) I muscoli del dorso, come indica il loro nome, coprono la faccia dorsale della colonna vertebrale e del cranio, ma non hanno tutti lo stesso significato morfologico: quelli profondi, a decorso più o meno longitudinale, hanno funzione estensoria, sono derivati dai campi dorsali della muscolatura embrionale, hanno più degli altri conservato la posizione e i caratteri primitivi e perciò presentano una notevole omogeneità di co-stituzione nelle varie classi dei Vertebrati. Sebbene numerosissimi, per il comportamento delle loro origini e inserzioni possono essere raggruppati in cinque specie di muscoli: 1, splenio (m. splenius); 2, sacrospinale (m. sacrospinalis); 3, lungo spinale (m. spinalis dorsi); 4, trasversospinale (m. transversus spinalis); 5, muscoli brevi, che sono quelli tesi tra parti omologhe di due vertebre vicine, cioè tra le apofisi trasverse, m. intertransversarii, e tra le apofisi spinose, m. interspinosi.
Gli altri muscoli del dorso, che hanno una situazione più superficiale, sono invece derivati dai campi ventrali della muscolatura embrionale, si distinguono per la loro forma appiattita e servono a muovere le coste e il cinto scapolare: quelli che muovono le coste sono due e si dicono piccoli dentati o serrati posteriori, cioè m. serratus posterior superior e m. serratus posterior inferior. Quelli che esercitano la loro azione sul cinto scapolare e hanno perciò una grande parte nei movimenti dell'arto superiore sono quattro cioè: il trapezio (m. trapezius); il grande dorsale (m. latissimus dorsi); il romboideo (m. rhomboides); l'elevatore della scapola (m. levator scapulae).
b) I muscoli della testa si possono dividere in due grandi categorie, cioè in muscoli del cranio propriamente dettti e muscoli dello scheletro viscerale. I muscoli della prima categoria, essendo le numerose ossa del cranio unite solidamente per mezzo di suture e perciò immobili le une sulle altre, si limitano a muovere le parti molli che le ricoprono e quindi prendono il nome di pellicciai: essi hanno l'ufficio di dare alla fisionomia le diverse espressioni corrispondenti ai varî stati dell'animo (mimica) e stanno tutti sotto la dipendenza di un unico nervo, il facciale o settimo paio dei nervi craniali. Sono distinti a seconda della loro distribuzione topografica in muscoli della vòlta del cranio, muscoli delle palpebre, del naso, della bocca, dell'orecchio (fig. 22). A questi muscoli va unito il pellicciaio del collo (platysma myoides), che, pur avendo una diversa topografia, ha con essi comuni l'origine, l'innervazione e la funzione.
La seconda categoria dei muscoli della testa comprende la muscolatura destinata a muovere i derivati dello scheletro viscerale, cioè la mandibola e l'osso ioide. A seconda che s'inseriscono sopra la prima o sopra il secondo, si chiamano muscoli mandibolari o masticatori, e muscoli dell'osso ioide o sopraioidei. I muscoli mandibolari sono quattro: m. temporalis, m. masseter, m. pterygoideus externus e m. pterygoideus internus. I muscoli sopraioidei sono pure quattro: m. biventer, m. stylo-hyoideus, m. mylo-hyoideus e m. genio-hyoideus.
c) I muscoli del collo hanno funzione essenzialmente flessoria e sono derivati dai campi ventrali della muscolatura embrionale: alcuni hanno conservato la primitiva posizione, essendo situati immediatamente all'innanzi della colonna cervicale e questi sono i muscoli prevertebrali e i tre scaleni: gli altri si sono spostati ventralmente e questi sono i muscoli sottoioidei e lo sternocleidomastoideo. I muscoli sottoioidei, la cui funzione principale è di abbassare l'osso ioide, sono quattro: m. sterno-hyoideus, m. sterno-thyroideus, m. thyreoyoideus e m. omo-hyoideus. Il m. sternocleido-mastoidms ha lo stesso valore morfologico del trapezio e serve a ravvicinare il capo al cinto scapolare.
d) I muscoli del torace sono anch'essi derivati dai campi ventrali della muscolatura embrionale: alcuni, avendo conservato i primitivi rapporti con lo scheletro della regione e avendo le origini e le inserzioni sulle ossa del torace, servono unicamente a muovere questa parte del nostro corpo; si dicono perciò muscoli proprî del torace e comprendono gl'intercostali esterni e interni, gli elevatori delle costole e il triangolare dello sterno. Gli altri, invece, sono posti al servizio dell'arto superiore e prendono il nome di muscoli toracici dell'arto superiore: sono quattro, ma i più considerevoli sono il grande pettorale (m. pectoralis maior) e il grande dentato (m. serratus anterior). Tra i muscoli toracici è generalmente compreso un muscolo speciale, il diaframma (v.): questo muscolo forma un setto, che divide la cavità toracica dall'addominale; ha un importantissimo ufficio nella meccanica respiratoria e riceve la sua muscolatura da somiti della parte media della regione cervicale.
e) I muscoli dell'addome, derivati pure essi dai campi ventrali, hanno in parte conservato i rapporti di vicinanza con la colonna vertebrale, formando quel complesso, al quale si dà il nome di quadrato dei lombi (m. quadratus lumborum); gli altri, invece, si sono avanzati nello spessore della parete addominale avendo l'ufficio di flettere la colonna lombare abbassare le costole e soprattutto di contenere il pacchetto intestinale: alcuni presentano direzione longitudinale, come il grande retto (m. rectus abdominis) e il piramidale (m. pyramidalis); altri, che si presentano molto appiattiti, hanno direzione obliqua come i due obliqui (m. obliquus abdominis externus e m. obl. abd. internus), oppure trasversale come il trasversus abdominis).
I muscoli degli arti toracici o superiori e pelvici o inferiori, pur essendo foggiati secondo lo stesso piano fondamentale, presentano notevoli differenze dovute al fatto che nella specie umana, mentre l'arto inferiore si è adattato esclusivamente alla stazione eretta e alla deambulazione, l'arto superiore si è perfezionato specialmente per la prensione. Come conseguenza di questi adattamenti si ha un maggiore sviluppo delle masse muscolari nell'arto inferiore, una maggiore differenziazione dei singoli muscoli nell'arto superiore. Un'altra conseguenza è la maggiore poliarticolarità dei muscoli dell'arto superiore, vale a dire che in questo alcuni muscoli hanno spostato la loro origine verso parti più vicine all'asse del corpo, in modo che essi passano sopra un numero maggiore di articolazioni e acquistano così la possibilità di esercitare contemporaneamente la loro azione sopra un numero maggiore di pezzi scheletrici.
A) I muscoli dell'arto superiore ín base al segmento scheletrico, col quale contraggono rapporti più estesi, sono stati divisi in muscoli della spalla, del braccio, dell'avambraccio e della mano.
a) I muscoli della spalla servono a muovere l'omero, imprimendogli movimenti di flessione e di estensione, di adduzione e di abduzione e di rotazione: il più cospicuo è il deltoide (m. deltoideus); vi sono inoltre il sopraspinoso (m. supraspinatus), il sottospinoso (m. infraspinatus), i due rotondi (m. teres maior e m. teres minor) e finalmente il sottoscapolare (m. subscapularis).
b) I muscoli del braccio servono a flettere ed estendere l'avambraccio solo il coracobrachiale (m. coracobrachialis) agisce sull'omero. I flessori situati nella regione anteriore o ventrale, sono rappresentati dal bicipite (m. biceps brachii) e dal brachiale anteriore (m. brachialis); gli estensori, che occupano la regione posteriore, dal tricipite (m. triceps brachii), e dall'anconeo (m. anconaeus).
c) I muscoli dell'avambraccio, molto numerosi, servono in gran parte a muovere la mano sia nella sua totalità, come fanno i flessori e gli estensori del corpo, sia nelle sue dita come fanno i flessori e gli estensori delle dita comuni e proprî: due muscoli servono a pronare l'avambraccio e quindi anche la mano, m. pronator teres, m. pronator quadratus; uno a supinare, m. supinator; un muscolo flette l'avambraccio, m. brachioradialis.
d) I muscoli della mano servono a rendere più completi e perfetti i movimenti delle singole dita e specialmente del pollice e del mignolo, nei quali determinano l'opposizione: senza questi muscoli non potremmo eseguire molti manufatti. Importanti sono pure i muscoli interossei e i lombricali; i quali, oltre a compensare il non perfetto antagonismo tra flessori ed estensori comuni delle dita, ci permettono di avvicinare e allontanare le quattro dita interne.
B) Nell'arto inferiore, essendo il cinto pelvico intimamente unito alla colonna sacrale e quasi immobile su questa, mancano muscoli corrispondenti a quelli che nell'arto superiore servono a muovere il cinto scapolare. Vi distinguiamo i muscoli dell'anca, della coscia, della gamba e del piede.
a) I muscoli dell'anca esercitano la loro azione sul femore, il quale possiede gli stessi movimenti dell'omero, ma in grado più limitato. Questi muscoli si distinguono in interni ed esterni a seconda che stanno in rapporto con la faccia interna o esterna del bacino. Gl'interni sono rappresentati dallo psoas-iliaco (m. iliopsoas) flessore e ruotatore esterno della coscia: gli esterni sono numerosi e servono alla rotazione, estensione e abduzione della coscia: il più voluminoso nella specie umana è il grande gluteo (m. glutaeus maximus) molto importante per la stazione eretta.
b) I muscoli della coscia si possono dividere in tre gruppi, ventrale, dorsale e mediale. Il gruppo ventrale è formato essenzialmente dal quadricipite femorale, che è estensore della gamba, ma per mezzo del capo, detto retto anteriore (m. rectus femoris), è pure flessore della coscia: il gruppo dorsale risulta di tre muscoli, che flettono la gamba ed estendono la coscia: il gruppo mediale è formato da cinque muscoli, i quali, fatta eccezione di uno (m. gracilis), s'inseriscono sul femore e hanno la principale funzione di addurlo.
c) I muscoli della gamba, eccettuato il popliteo (m. popliteus), esercitano la loro azione sul piede in toto e sulle sue dita, producendo movimemi di flessione e di estensione, di adduzione e di abduzione, di rotazione. Specialmente importanti per la stazione eretta sono i gemelli (m. gastrocnemius) e il soleo (m. soleus), che da alcuni vennero raggruppati in un muscolo solo col nome di tricipite surale e che producono la sporgenza del polpaccio, caratteristica della specie umana.
d) I muscoli del piede servono a muoverne le dita e specialmente il primo e il quinto: essi sono foggiati secondo lo stesso tipo fondamentale di quelli della mano, pure discordandone per alcune particolarità: infatti sono meno differenziati e questo comportamento è più evidente nei popoli civili, che con l'uso delle calzature limitano grandemente la motilità delle varie parti: l'alluce è privo di opponente e perciò poco adatto alla prensione: l'asse, rispetto al quale avvengono i movimenti di avvicinamento e di allontanamento delle dita, corrisponde al secondo dito, mentre nella mano passa per il terzo.
Bibl.: J. Hyrtl, Onomatologia anatomica. Geschichte und Kritik der anatomischen Sprache der Gegenwart, Vienna 1880 (trad. ital. di Pretti e Sforza, Roma 1884); C. Gegenbaur, Lehrbuch der Anatomie des Menschen, Lipsia 1883; P. Eisler, Die Muskeln des Stammes, Jena 1912; P.-J. Poirier e A Charpy, Traité d'anatomie humaine, Parigi 1912-32.
Fisiologia.
Il muscolo è un organo differenziato per fornire lavoro mediante contrazione (L. Lapicque). Nell'uomo adulto il peso dei muscoli corrisponde a circa il 40% del peso corporeo; e quasi i tre quarti dei tramutamenti chimici, che si verificano nell'organismo durante l'attività muscolare, si compiono in seno al sistema muscolare stesso. Morfologicamente il muscolo è formato da fibre allungate, risultanti ciascuna da un sincizio di cellule con più nuclei; una membrana elastica esterna (sarcolemma) riveste un materiale chiaro, granulare, indifferenziato, detto sarcoplasma, in cui sono disposti elementi morfologici (disdiaclasti), orientati parallelamente e birifrangenti (anisotropia muscolare). La tessitura fibrosa del muscolo si rivela solo quando coagulano le sue sostanze proteiche; si formano allora masse fibrillari (miofibrille o sarcostili), disposte secondo la lunghezza della fibra. Esistono due tipi fondamentali di tessuto muscolare, lo striato trasversalmente (muscolo quasi sempre volontario, scheletrico o della vita di relazione) e il liscio, striato longitudinalmente (muscolo quasi sempre involontario, della vita vegetativa). Il primo possiede minore quantità di sarcoplasma del tessuto liscio. Fra i due tipi fondamentali esistono forme intermedie di tessuto muscolare (per es., il muscolo cardiaco, striato, ma involontario).
Chimica e fisico-chimica del tessuto muscolare. - Secondo A. P. Mathews, 100 gr. di sostanza muscolare fresca contengono 72-78 gr. di acqua (nei giovanì e nel feto una quantità maggiore) e 22-28 gr. di sostanze solide, rappresentate principalmente da: proteine gr. 18-20, glicogeno gr. 0, 15-0,30, lipine gr. 2,86-3,73, sostanze estrattive (solubili in acqua bollente), organiche e inorganiche (sali), gr. 2 (organiche gr. 0,7; inorganiche gr. 1,3). Le proteine si dividono in due gruppi: quelle del plasma muscolare (o mioplasma), ottenuto mediante spremitura col torchio idraulico (pressa di E. Buchner: 250-300 atmosfere), e rappresentante circa il 6000 in peso del muscolo fresco, e quelle dello stroma muscolare, residuo solido insolubile della torchiatura. All'esame ultramicroscopico, nel mioplasma s'osservano punti brillanti, dotati di movimento browniano: il plasma muscolare è alcalino al tornasole, e secondo G. Galeotti ha una reazione attuale pari a [H•] = 10-10 il, secondo F. Porcelli-Titone pari a [H•] = 1,6.10-7. Dalle analisi di diversi autori (S. Baglioni, F. Bottazzi, G. Quagliariello, ecc.) risulta che il mioplasma contiene acqua, proteine e ceneri e ha proprietà fisico-chimiche particolari (reazione, peso specifico, Δ, conduttività elettrica, viscosità relativa, tensione superficiale). Il plasma muscolare conserva invariate le sue proprietà a 0°; ma, aumentando la temperatura, da alcalino diventa acido e si forma in esso un coagulo, che più tardi si retrae separandosi dal siero. Si ritiene pertanto che, a somiglianza del plasma sanguigno, il mioplasma contenga un miosinogeno, il quale si trasforma in miosina durante la coagulazione spontanea. W. Kühe sostiene l'esistenza di una sola proteina del coagulo, la miosina; W. D. Halliburton ne descrive due nel mioplasma, il paramiosinogeno (miosina di W. Kühne) e il miosinogeno (miosina alterata di W. Kühne), O. von Fürth ammette due proteine, la miosina (che verso i 47° coagula, trasformandosi in miosinfibrina) e il miogeno (miosinogeno di W. D. Halliburton), che riscaldato dà una miogenfibrina solubile e, a 56°, una miogenfibrma insolubile. La presenza di nucleoproteidi venne stabilita da C. A. Pekelharing nel tessuto muscolare striato, da A. Costantino nel tessuto muscolare liscio. Allontanando dal mioplasma le sostanze proteiche (mediante coagulazione col calore o mediante l'ultrafiltrazione), s'ottiene un liquido, il cui residuo è formato di derivati organici e di sostanze inorganiche (sostanze estrattive organiche e inorganiche, che rappresentano materiali anabolici e catabolici del tessuto muscolare). Fra le sostanze estrattive azotate si notano: mono- e diamminoacidi (glicocolla, istidina e altre basi exoniche), un dipeptide (la carnosina), la sarcosina, le betaine (α, γ, ω), la carnitina, la metilguanidina, la creatina, la creatinina, la vitiatina, l'itrea, l'ammoniaca, le basi puriniche (ipoxantina, xantina, guanina, acido urico, carnina), la colina, ecc. Tra le sostanze minerali del tessuto muscolare vi sono il potassio, il sodio, il mlcio, il magnesio, il ferro, il fosforo, il cloro, lo zolfo; la quantità di cloro è maggiore nei muscoli lisci che negli striati; al contrario, il fosforo è maggiore negli striati chie nei lisci; il potassio è sempre più rappresentato del sodio, e il sodio più del cloro. Lo zolfo si trova quasi tutto nelle proteine (in massima parte in forma ridotta, solfoidrica), mentre in piccola porzione è presente come acido solforico.
La quantità di fosforo in legame inorganico è maggiore nei muscoli striati che nei lisci, mentre il contenuto di fosforo in legame organico è maggiore nei lisci. Il fosforo organico si trova nei nucleoproteidi, in mononucleotidi (acido inosinico, che come prodotto d'idrolisi parziale dà un nucleoside, l'inosina), nel cosiddetto acido fosfocarnico (nucleone), nei fosfatidi, e negli esteri dell'acido fosforico (combinazioni dell'acido fosforico con idrati di carbonio; tra essi G. Embden ha isolato un estere esosiodifosforico, detto lattacidogeno, e ritenuto dall'autore la sostanza madre dell'acido lattico). Gli studî moderni hanno svelato nel muscolo la presenza, in quantità piccolissime, di altri metalli e metalloidi (litio, alluminio, manganese, nichelio, cobalto, zinco, fluoro, bromo, arsenico, silicio, ecc.). Tra i lipidi si riscontrano grassi neutri, colesterina e lipoidi fosforati; dal cuore A. Erlandsen, oltre ai fosfatidi del tipo della lecitina, ha isolato anche un monoamminodifosfatide (cuorina). Dei glicidi sono da annoverare il glicogeno (circa l'1%), il glicosio, dei pentosi; il glicogeno (insieme con lipoidi) è più abbondante nel muscolo cardiaco. Dei prodotti di scissione del glicosio merita speciale menzione l'acido lattico o sarcolattico (destrogiro) . Il colore rosso del muscolo è dovuto a uno speciale pigmento affine all'emoglobina, il miocromo di K. A. H. Mörner.
La contrazione e l'eccitabilità muscolare. - La principale forma di attività del muscolo è la contrazione, termine che, pure non essendo esatto nel caso del tessuto muscolare, è ormai consacrato dall'uso. È però necessario precisarne il significato; nel muscolo la contrazione consiste nell'accorciamento dell'organo secondo un asse determinato dalla sua struttura, con correlativo ispessimento nelle direzioni perpendicolari a questo asse, il volume restando sensibilmente costante (L. Lapicque). Nella contrazione intesa in senso generale si ha invece diminuzione di tutte le dimensioni. La contrazione del muscolo va anche distinta da quella di un'ameba, che retrae i suoi pseudopodî e tende verso la forma sferica senza che muti il volume totale. Nel caso del muscolo si verifica soltanto la trasformazione di fibre allungate in fibre che tendono alla sfericità; sarebbe perciò più esatto parlare di accorciamento muscolare, e rispettivamente di allungamento, in luogo di espansione.
Contrariamente all'antica opinione, secondo cui i muscoli venivano considerati strumenti passivi dei nervi, A. von Haller sostenne per primo l'irritabilità o eccitabilità muscolare, ossia la capacità che hanno i muscoli di reagire direttamente agli stimoli artificiali. Molti fatti confermano l'eccitabilità diretta o autonoma del tessuto muscolare; recidendo un nervo motore, il moncone periferico di questo degenera fino alle sue terminazioni intramuscolari; in tale caso la stimolazione del moncone non provoca alcuna reazione muscolare, mentre, stimolando direttamente il muscolo, questo è in grado di contrarsi, sebbene in maniera abnorme (reazione degenerativa del muscolo). È anche noto che in un animale avvelenato con curaro (veleno che paralizza elettivamente gli organi nervosi motori terminali o placche motrici) la stimolazione dei nervi non induce reazioni dei muscoli, mentre questi conservano la loro eccitabilità diretta (C. Bernard).
Fenomeni meccanici dell'attività muscolare. - Nella descrizione di questi fenomeni meccanici di solito si considera il muscolo striato, e più precisamente il muscolo scheletrico di vertebrato (in quanto vi sono altri muscoli striati, per es. quello cardiaco, che si comportano in maniera alquanto differente; altrettanto si dica per i muscoli lisci, e per altri muscoli speciali, come quelli delle pinze del granchio, gli adduttori delle valve nei Molluschi, ecc.). Più specialmente le ricerche sono state fatte sul muscolo gastrocnemio di rana, isolato, o connesso col nervo sciatico a formare il classico preparato neuro-muscolare. Del nervo sciatico (misto) solo le fibre motrici continuano a mantenere le normali connessioni col muscolo. Stimolando il nervo, s'ottiene la contrazione del gastrocnemio, che si può registrare su un chimografo (cilidro ruotante, ricoperto generalmente di carta affumicata), connettendo il muscolo (meglio il suo tendine) con la leva scrivente di un miografo (apparecchio che serve per la registrazione grafica della contrazione muscolare). Esistono due tipi di miografi: il miografo isotonico in cui il muscolo, contraendosi, deve vincere solo la resistenza opposta dalla leva, mobile intorno al suo fulcro, caricata di un peso costante; e il miografo isometrico, in cui all'accorciamento del muscolo si oppone una resistenza (molla) che aumenta proporzionalmente con l'accorciamento e che tende quindi a non farlo accorciare. Le condizioni d' isometria meglio corrispondono a quelle ordinarie di funzionamento dei muscoli scheletrici nell'organismo. La contrazione del muscolo si può avere anche stimolando direttamente il tessuto muscolare: registrando l'accorciamento del gastrocnemio a mezzo della leva scrivente di un miografo isotonico, s'ottiene sulla carta affumicata del chimografo un tracciato, detto miogramma (fig. 23).
Se lo stimolo è unico, per es., quello dato dalla chiusura o dall'apertura del circuito di una corrente indotta, si avrà una scossa muscolare semplice, preceduta da un periodo di eccitamento latente (o tempo perduto), ossia da un tempuscolo di circa 1/100 di 1″, che intercede tra il momento in cui si applica lo stimolo e il momento in cui s'inizia la contrazione muscolare (ossia il sollevamento della leva scrivente). Col sollevarsi della leva s'inizia il periodo della contrazione o dell'accorciamento del muscolo; alla fine di questo segue il periodo dell'espansione o dell'allungamento del muscolo, durante il quale la leva s'abbassa, prima lentamente, poi rapidamente e infine di nuovo lentamente. Le due fasi di contrazione e di espansione si compiono in circa 10/100 di 1″. Seguono oscillazioni secondarie nel miogramma, dovute all'inerzia della leva scrivente e indipendenti dall'attività muscolare. Tenendo conto dell'istante in cui s'applica lo stimolo, fissato da un segnale elettromagnetico sulla carta affumicata, del momento in cui la leva comincia a sollevarsi e della distanza fra il punto di applicazione dello stimolo e la sezione muscolare di cui si registra la contrazione, si può calcolare la velocità di conduzione dell'eccitamento (la quale è di circa 30-40 m. al 1″ per la fibra nervea, di circa i m. al 1″ per la fibra muscolare, variando però moltissimo secondo la natura del muscolo: è minima nei muscoli lisci, massima negli striati, specialmente negli striati pallidi, anziché negli striati rossi). La velocità di conduzione dell'eccitamento è anche in rapporto con altri fattori, tra cui la temperatura. Anche le fasi di contrazione e di allungamento sono subordinate, oltre che alla natura del muscolo, alla temperatura; generalmente il raffreddamento allunga la durata della scossa muscolare e ne fa aumentare l'altezza, se il raffreddamento è lieve, o la fa diminuire se è forte; per effetto del riscaldamento la scossa diviene più rapida e alquanto più alta se di grado leggiero, più bassa se di grado maggiore; quando poi la temperatura sorpassa i 40-50°, il muscolo s'irrigidisce (rigidità da caldo), cioè si contrae al massimo e più non si rilascia. È stato dimostrato con diversi argomenti che non solo la fase di accorciamento del muscolo è attiva, ma anche quella successiva dell'allungamento, che non è quindi dovuta a una semplice reazione elastica del muscolo, consecutiva alla sua contrazione. Questo concetto dell'attività fisiologica della fase di espansione si riconnette con la dottrina dell'attività diastolica del muscolo cardiaco, sostenuta specialmente da L. Luciani.
La fatica muscolare. - Stimolando direttamente o indirettamente il gastrocnemio del preparato neuro-muscolare con colpi uguali di corrente indotta di apertura o di chiusura che si succedono a intervalli regolari (di 1 o 2″), senza far variare il peso sostenuto dal muscolo, si osserva che questo a poco a poco si stanca, nel senso che la fase dell'allungamento non è più perfetta, arrestandosi il tratto discendente del miogramma a un'altezza sempre maggiore sull'ascissa che serve come linea di riferimento nelle oscillazioni della leva del miografo. Queste modificazioni sono dovute al fatto che il gastrocnemio tende, per effetto della fatica o stanchezza, a mantenersi in uno stato crescente di semicontrazione (accorciamento da contrattura). M. Verworn ha distinto il fenomeno della fatica vera e propria da quello dell'esaurimento; il primo è dovuto alla produzione e all'accumulo di cataboliti tossici (i cosiddetti veleni della fatica o ponogeni: l'anidride carbonica, l'acido lattico, ecc.), il secondo al consumo degli anaboliti (l'ossigeno, il glicosio, ecc.) senza nuovo apporto.
Quando il muscolo non è più in grado di accorciarsi, cioè ha perduto la capacità di reagire agli stimoli, si osserva che, lasciandolo a riposo per un certo tempo, a poco a poco si restaura, cioè riacquista l'eccitabilità. Il restauro è dovuto all'allontanamento dei veleni della fatica e anche all'apporto di nuovi materiali anabolici. Nel caso del muscolo isolato si può provvedere all'allontanamento dei veleni della fatica, lavandolo con soluzione fisiologica di cloruro sodico, e al rifornimento di sostanze anaboliche aggiungendo alla soluzione fisiologica di NaCl ossigeno, glicosio, sali, ecc. (liquidi nutritizî di S. Ringer, F. S. Locke, ecc.). Questo restauro del gastrocnemio isolato è però sempre artificiale e incompleto; esso è ben differente da quello che si compie normalmente nel muscolo non isolato dall'organismo, in cui la circolazione capillare sanguigna porta agli elementi muscolari tutte le sostanze anaboliche di cui hanno bisogno per ristabilirsi dall'esaurimento; e nello stesso tempo asporta tutti i cataboliti tossici, in modo da rimuovere la fatica vera e propria.
Il tetano muscolare. - Se sul gastrocnemio del preparato neuro-muscolare si applicano stimoli che si succedono con la frequenza di 10-20 al 1′, il muscolo si contrae e si rilascia dopo ciascuno stimolo con una serie di scosse semplici. Ma se la serie degli stimoli si succede con una frequenza maggiore (10-20 al 1″), avverrà che il muscolo è colpito dal secondo, terzo stimolo, prima che abbia avuto il tempo di rilasciarsi completamente, o addirittura quando è nella fase di accorciamento. Il muscolo compie allora una seconda contrazione, che si somma a quella precedente: si ha il fenomeno della sommazione delle scosse, e il muscolo si accorcia di più che per una contrazione unica (scossa semplice). Se gli stimoli che si succedono rapidamente sono molti, l'accorciamento sarà maggiore (tetano incompleto); per una frequenza grandissima di stimoli l'accorciamento muscolare sarà massimo, oltre il quale non si riesce a portare il muscolo con qualsiasi maggiore frequenza di stimoli (tetano o contrazione tetanica completa). Tutti i movimenti volontarî e riflessi che i muscoli striat) compiono nell'organismo sono prodotti da contrazioni tetaniche; la frequenza degl'impulsi che partono dai centri nervosi, nell'uomo, è in media di 120-150 al 1″.
Il tono muscolare. - S'intende per tono quello stato (meccanico) di semicontrazione, in cui si trova un muscolo nella fase di riposo, ossia nella fase in cui ordinariamente non si ha alcuna contrazione (tetanica) volontaria o riflessa. Il tono corrisponde quindi a una forma di media attività muscolare, di cui il massimo grado si ha nella contrazione tetanica e il minimo nel più completo rilasciamento del muscolo. Il tono muscolare oscilla, in dipendenza specialmente dell'attività nervosa; i due gradi estremi di queste oscillazioni del tono muscolare, connesse con l'attività nervosa, sono rappresentati dagli stati di ipotonia e di ipertonia. L'ipotonia si può spingere fino all'atonia, ossia alla scomparsa totale del tono (paralisi flaccida del muscolo); l'ipertonia può dare luogo alle diverse forme di contrattura (contrattura da veratrina, spasmi, catalessi isterica, rigidità da decerebrazione, ecc.).
Fatti concomitanti dell'attività muscolare. - Sono acustici, elettrici, termici e chimici.
A) I fenomeni acustici consistono nel cosiddetto rumore muscolare che accompagna la contrazione del muscolo, e che si può distintamente sentire quando si occludono i canali uditivi esterni con tamponi di ceralacca e si contraggono poi fortemente i muscoli masseteri (H. L. I. von Helmholtz).
B) I fenomeni elettrici si mettono in evidenza ricorrendo a strumenti fisici molto sensibili (elettrometro capillare, galvanometro a corda) e a elettrodi impolarizzabili. I muscoli intatti e a riposo sono isoelettrici, ossia non presentano nella loro superficie differenze di potenziale elettrico; mentre in un muscolo leso, o alterato in un punto qualsiasi della sua superficie, il punto leso o alterato è elettricamente negativo rispetto ai punti intatti elettropositivi. Se consideriamo un cilindro di sostanza muscolare con una superficie longitudinale naturale e con due superficie laterali artificiali, connettendo a mezzo di elettrodi impolarizzabili la superficie naturale e quelle artificiali con un galvanometro sensibilissimo, si osserva che l'ago del galvanometro subisce una deviazione, rivelando una corrente che va dalla superficie artificiale a quella naturale nell'interno del cilindro muscolare, e da quella naturale a quella artificiale nel circuito esterno in cui è incluso il galvanometro. L'intensità della corrente è diversa, secondo i punti su cui si applicano gli elettrodi. Questa corrente si genera quando il cilindro muscolare è in riposo apparente; fu detta perciò corrente di riposo da E. Du Bois-Reymond, e corrente di demarcazione da L. Hermann, perché il piano di demarcazione che separa la superficie del muscolo sezionato trasversalmente dalla porzione sana sarebbe sede di forza elettromotrice. Applicando uno stimolo sul cilindro muscolare, la corrente di riposo o di demarcazione s'indebolisce o s'annulla; ciò avviene perché nello stato di attività del muscolo si genera un'altra corrente, autonoma e diretta in senso contrario alla prima, tendente a neutralizzare quest'ultima: è la cosiddetta corrente di azione, indicata da E. Du Bois-Reymond col termine di variazione negativa della corrente di riposo. Impiegando un muscolo intatto (in cui perciò non si generi una corrente di demarcazione), si può registrare la corrente di azione, la quale presenta una oscillazione o variazione difasica, dovuta al fatto che, essendo elettronegativi i punti attivi del muscolo rispetto a quelli inattivi, quando si applica uno stimolo a un suo estremo, il tratto stimolato è elettronegativo rispetto a quello in riposo; successivamente, propagandosi l'onda di contrazione, diventerà elettronegativo il secondo (entrato in attività) di fronte al primo (ritornato in riposo).
C) I fenomeni termici si scoprono con l'impiego di pile termoelettriche. L'attività muscolare è sempre accompagnata da fenomeni esotermici, ossia da produzione di calore; anche il muscolo in riposo produce calore (tonalità termica), in rapporto allo stato di semicontrazione o tono muscolare; tale produzione aumenta sensibilmente nel caso della contrazione tetanica. A. V. Hill ha dimostrato che la produzione di calore si ha non soltanto nella fase di contrazione del muscolo, ma anche nella fase di espansione. All'insieme del calore di contrazione e di quello di rilasciamento L. Lapicque dà il nome di calore funzionale. Il calore che si produce durante l'attività muscolare è in rapporto col lavoro meccanico del muscolo: quanto maggiore è il calore prodotto, tanto minore sarà il lavoro, e viceversa. Dal punto di vista del rendimento, ossia della quantità di energia che si traduce in lavoro meccanico utile, il muscolo può essere considerato come una macchina ad alto rendimento (esso corrisponde a circa il 50-60% dell'energia totale), sebbene variabile secondo i bisogni.
D) I fenomeni chimici corrispondono quasi sempre a quelli termici, secondo gli studî di A. V. Hill e O. Meyerhof. stato dimostrato che nell'attività muscolare non si consumano protidi, ma glicidi e lipidi; anzi pare che solo il glicosío e il levulosio possano essere utilizzati direttamente dal muscolo che lavora, e che i grassi debbano essere prima trasformati in glicosio (fuori del muscolo), affinché siano da questo utilizzati. Il glicosio subisce un processo di glicolisi, per cui da una sua molecola se ne ricavano due di acido lattico; il processo della glicolisi è anaerobio, avviene, cioè, in assenza di ossigeno; l'acido lattico è poi ossidato nella seconda fase (ossidativa o aerobia) fino ad acqua e anidride carbonica. A. V. Hill, studiando la termogenesi del muscolo che si contrae, ha osservato che dopo la produzione di calore dovuta alla contrazione, vi è nel muscolo non solo dissipazione lenta di quello, ma anche produzione lenta di una nuova quantità di calore. La contrazione, in altri termini, comporta, oltre allo sviluppo di una certa quantità di calore, che si può chiamare calore iniziale, anche una produzione di calore ritardato. Paragonando questi fenomeni termici con i fenomeni chimici, si nota che, se l'acido lattico non è ossidato, non si ha più calore ritardato (oppure questo è minimo); sicché il calore iniziale è in rapporto con la fase glicolitica, e quello ritardato è in rapporto con la fase di ossidazione dell'ossiacido (A. V. Hill). Sennonché la fase anaerobia (calore iniziale) sviluppa notevolmente più calore di quello che comporta la formazione di acido lattico a partire dal glicogeno; e la fase aerobia sviluppa una quantità di calore minore di quella che si dovrebbe produrre se avvenisse la combustione di tutto l'acido lattico formatosi. Da questa seconda constatazione A. V. Hill ha concluso che l'acido lattico è solo parzialmente ossidato; e più tardi O. Meyerhof ha dimostrato che solo 1/3-1/4 di ossiacido realmente si ossida, mentre il resto si risintetizza a glicogeno. Tenendo conto, che, secondo G. Embden, il glicosio può subire nel muscolo il processo di glicolisi solo quando si combina con l'acido fosforico a formare un estere esosiodifosforico [C6H10O4(H2PO4)2]; e che solo 1/4 di acido lattico si ossida realmente, O. Meyerhof traduce nelle seguenti equazioni il biochimismo del muscolo durante la sua attività:
Fase anaerobia:
Fase ossidativa:
Questo sarebbe un tipo stechiometrico di reazioni, ma non sono escluse altre combinazioni. L'energia necessaria per la risintesi di una parte dell'acido lattico a glicogeno sarebbe fornita dal processo ossidativo che subisce l'altra frazione dell'acido; questo calore corrisponde al calore ritardato di A. V. Hill. Sicché, in conclusione, il calore iniziale corrisponde all'attività muscolare (contrazione ed espansione) e alla fase di formazione dell'acido lattico (perciò è detto da L. Lapicque calore funzionale); e il calore ritardato, posteriore all'attività, è il calore di restauro, corrispondente alla fase della scomparsa dell'acido lattico.
Meccanismo della contrazione muscolare. - Esistono diverse dottrine per spiegare la contrazione del muscolo; esse possono distinguersi in dottrine morfologiche, termodinamiche, elettrodinamiche, chimiche e fisico-chimiche.
A) Dottrine morfologiche: si basano sulle osservazioni fatte al microscopio, confrontando l'aspetto delle fibre di muscoli simmetrici, nella condizione di assoluta isometria e fissati mentre l'uno era allo stato inattivo e l'altro allo stato di contrazione. Si osserva che durante la contrazione i sarcomeri, che avevano forma cilindrica allungata, diventano più corti, mentre aumenta il diametro trasverso. Pare che le miofibrille nel loro interno abbiano una struttura canalicolare, ossia presentino canalicoli contenenti la sostanza isotropa e canalicoli contenenti la sostanza anisotropa; durante la contrazione avverrebbe passaggio di liquido dalla sostanza isotropa alla sostanza anisotropa. Nella successiva fase di espansione si avrebbe l'inverso. La maggior parte degli autori attribuisce solo ai sarcostili le proprietà contrattili della fibra muscolare, considerando il sarcoplasma come un liquido nutritizio, ricco di materiali dinamogeni e atto a condurre gli eccitamenti alle miofibrille; altri con F. Bottazzi sostengono che, oltre queste, anche il sarcoplasma abbia proprietà contrattili, sebbene diverse.
B) Dottrine termodinamiche. - Il muscolo viene paragonato a una macchina termodinamica (per es., a una macchina a vapore), supponendosi che i fenomeni meccanici siano dovuti ai fenomeni esotermici che accompagnano l'attività muscolare. Ma, perché il calore fornisca lavoro, è necessario immaginare (per la legge di S. Carnot-R. J. E. Clausius) che nel muscolo esistano forti differenze di temperatura tra la sorgente di calore e le parti circostanti, il che realmente non può essere.
C) Dottrine elettrodinamiche. - Il muscolo viene considerato come una macchina elettrodinamica. Però si obietta che le piccole correnti elettriche, che in esso si producono, sono sproporzionate al lavoro che il muscolo è capace di eseguire; che anche quando il muscolo non è più in grado di contrarsi (degenerazione, paralisi) è ancora atto a produrre fenomeni elettrici; che, infine, gli organi elettrici di alcuni pesci, pure derivando embrionalmente da modificazioni del tessuto muscolare, perdono la capacità di contrarsi e acquistano invece la proprietà di generare forti correnti elettriche.
D) Dottrine chimiche. - Esse considerano l'attività muscolare come direttamente dipendente dalle intime modificazioni biochimiche del muscolo, le quali hanno un'intensità proporzionale allo stato di attività del muscolo stesso. O. Meyerhof e A. V. Hill hanno dato importanza all'aumento della concentrazione degl'idrogenioni come fattore di contrazione muscolare (teoria della contrazione da acidi, tra cui l'acido lattico occupa un posto preminente). Ma oggi si sa che il muscolo è in grado di contrarsi anche in assenza di acido lattico (E. Lundsgaard) e inoltre G. Embden è del parere che la reazione del muscolo diviene acida (per opera dell'acido lattico) solo verso la fine della contrazione e dopo questa, mentre all'inizio la reazione è alcalina, per opera dell'ammoniaca che proverrebbe, al principio dell'accorciamento muscolare, dalla desaminazione dell'acido adenosinico o adenosinfosforico.
E) Dottrine fisico-chimiche. - Le più note sono tre: quella delle modificazioni di tensione superficiale, quella delle variaziani della imbibizione muscolare, e la teoria della gelificazione; tutte presuppongono l'aumento della concentrazione idrogenionica nell'attività del muscolo. Per effetto di tale aumento si avrebbe anche un aumento della tensione superficiale della sostanza miofibrillare, per cui i sarcostili tenderebbero alla forma sferica, provocando l'accorciamento del muscolo. Secondo altri, l'aumentata concentrazione idrogenionica farebbe aumentare lo stato d'imbibizione dei colloidi miofibrillari, dato che gl'idrogenioni favoriscono l'imbibizione di molti colloidi idrofili. Con l'allungamento del muscolo il sistema colloidale ritorna al suo stato primitivo, cioè l'acqua d'imbibizione torna a essere distribuita come prima: affinché si abbia il ripristino delle condizioni iniziali, occorre una reazione chimica ossidativa, esotermica, che, come si è detto, si compie a carico di una parte dell'acido lattico formatosi. Secondo la teoria della gelificazione (di A. V. Hill e O. Meyerhof) gl'idrogenioni dell'acido lattico scaricherebbero le particelle proteiche elettronegative delle miofibrille, provocandone l'agglutinazione, cioè la gelificazione o coagulazione del colloide contrattile, che prima era allo stato di soluzione. Nell'espansione del muscolo interverrebbero gli alcali a trasformare l'acido lattico in lattato, in modo che il colloide contrattile tornerebbe a ionizzarsi, ad acquistare cioè le sue cariche elettronegative. Gli alcali sarebbero forniti dalla stessa proteina muscolare.
Meccanismo del tono, della contrattura e del tetano muscolabe. - Secondo F. Bottazzi, che ammette la coesistenza, nel muscolo, di due sostanze contrattili, l'una rapida delle miofibrille l'altra lenta del sarcoplasma, il tono muscolare è dato da uno stato di mediocre contrazione del sarcoplasma, che porta a un accorciamento durevole lieve del muscolo. Il sarcoplasma, dunque, è la sede delle proprietà toniche (o posturali, secondo C. S. Sherrington) del tessuto muscolare, ossia dei fenomeni motorî lenti e durevoli; mentre le miofibrille sono la sede delle proprietà cloniche, cioè dei fenomeni motorî rapidi. L'esagerazione del tono porta allo stato di contrattura, ossia a uno stato di accorciamento muscolare durevole forte (ma sempre reversibile, altrimenti si tratta di rigidità); si spiega in tale modo la lunga curva miografica tracciata dal muscolo avvelenato con veratrina (tipico veleno contratturante). A differenza della contrattura, la contrazione tetanica è un accorciamento durevole forte, che risulta dalla fusione e sovrapposizione di più contrazioni semplici, come dimostrano il forte aumento del metabolismo energetico e la comparsa di più correnti di azione, ciascuna corrispondente alle singole scosse elementari. Nella contrazione tetanica, si ha, oltre alla contrazione del sarcoplasma, anche quella delle miofibrille; sulla contrazione tonica lenta del sarcoplasma si elevano le contrazioni cloniche rapide dei sarcostili; per cui il tetano è un fenomeno essenzialmente sarcoplasmatico, non miofibrillare. S'interpreta in tale modo il maggiore accorciamento del muscolo nel tetano, di fronte a quello che si ha nella scossa semplice.
Secondo altri autori, la contrattura è dovuta all'acido lattico che, dopo la sua formazione, non viene eliminato dal muscolo; per cui questo è sollecitato a mantenersi in uno stato di contrazione duratura, non potendosi rilasciare a causa dell'aumentata concentrazione idrogenionica. Allo stesso accumulo di acido lattico si deve anche la rigidità cadaverica, che una volta era messa in rapporto con la coagulazione delle proteine muscolari. Una spiegazione del meccanismo del tetano potrebbe essere la seguente: ogni fibra muscolare ha la sua placca motrice nella parte, mediana; perciò, quando alla fibra arriva l'eccitamento nerveo, esso si trasforma in eccitamento muscolare e provoca l'onda di contrazione che viaggia in doppio senso, dalla parte mediana verso le due parti estreme della fibra muscolare. Se si ha un solo eccitamento, la fibra muscolare nan si contrae tutta contemporaneamente, ma in tempi successivi: prima le parti più vicine alla placca motrice, poi le parti più lontane, mentre la parti più vicine si rilasciano. Con una serie di eccitamenti che si susseguono gli uni agli altri rapidamente (come nel tetano) è chiaro che, quando la prima onda si è allontanata dalla parte centrale della fibra, segue un altro eccitamento, che fa di nuovo contrarre la parte stessa già rilasciata, e così via in modo da aversi la simultanea contrazione di tutta la fibra. Ciò permette di spiegare l'accorciamento massimo del muscolo durante il tetano (S. Baglioni).
I muscoli lisci. - Le proprietà generali dei muscoli lisci sono generalmente quelle dei muscoli striati scheletrici. Il muscolo liscio è però caratterizzato dalla lentezza della sua contrazione: il periodo di latenza è lungo (1-10′′ per la muscolatura liscia dello stomaco di rana), e altrettanto lunga è la durata della contrazione (75-100″). Lo stimolo alla contrazione deve essere più forte di quello sufficiente per un muscolo striato (per cui il muscolo liscio è poco sensibile alla corrente elettrica indotta). Si possono avere fenomeni di contrattura (da caldo) e fenomeni tetanici (prodotti da più stimoli successivi, la cui frequenza è assai più piccola di quella necessaria perché si verifichi il tetano del muscolo scheletrico). Una proprietà fondamentale anche per il muscolo liscio è il tono, che può subire forti oscillazioni (si pensi ai cambiamenti del tono della muscolatura liscia delle arterie, dello stomaco, della vescica urinaria, dell'uretere, ecc.). Notevole è l'accorciamento tonico dei muscoli lisci, ìsolati dall'organismo, seguito poi da contrazioni ritmiche spontanee. I muscoli lisci sono sede di scarsa produzione di calore (nella loro attività) e anche di fenomeni elettrici, irregolari e variabili; G. Embden non vi ha trovato lattacidogeno, ma sono state dosate piccole quantità di acido lattico.
La cronassia. - L. Lapicque, nello studio dell'eccitabilità muscolare, ha sostituito al concetto d'intensità dello stimolo l'altro più esatto di tempo; ha studiato cioè l'eccitabilità in funzione del tempo. Egli ha chiamato reobase l'intensità minima di una corrente elettrica continua che stimolando un muscolo o un nervo vi provoca uno stato di eccitamento; e cronassia il tempo minimo impiegato dal passaggio (attraverso un nervo o un muscolo) di una corrente di intensità doppia della reobase, affinché sia raggiunta la soglia dell'eccitamento. La cronassia è breve per i muscoli scheletrici, lunga per i muscoli lisci. Queste vedute hanno avuto vasta applicazione e si è tentata perfino una classificazione funzionale dei muscoli mediante la cronassia (v.).
Lavoro meccanico del muscolo. - L'energia chimica potenziale accumulata nel muscolo si svolge durante l'eccitamento in energia attuale, che assume la forma di elettricità, di calore e di lavoro meccanico. Facendo contrarre un muscolo caricato di un dato peso, esso compie, sollevando sé stesso e il peso, un lavoro che, secondo i principî della meccanica, può essere misurato moltiplicando il peso per l'altezza a cui è sollevato (L = p × a) e può essere espresso in chilogrammetri.
Nel caso di un muscolo isolato dall'organismo, se resta invariata l'intensità dello stimolo, esiste un determinato carico per il quale si ha il massimo lavoro; alleviando o aggravando il carico, il lavoro diviene in ogni caso minore fino a divenire nullo. Inoltre, mantenendo costante il carico del muscolo e aumentando gradatamente l'intensità dello stimolo, si trova che per aumenti proporzionali dell'intensità dello stimolo l'altezza delle contrazioni aumenta sempre più lentamente fino a raggiungere un massimo insuperabile. La prima legge del lavoro muscolare ha valore anche per i gruppi dei muscoli che lavorano nell'interno dell'organismo. Per studiare il lavoro dei muscoli nell'uomo integro, si suole fare uso di un apparecchio, ideato da A. Mosso, l'ergografo (v.), basato sul metodo isotonico; col suo impiego si ottengono tracciati (ergogrammi) dei gradi massimi di contrazione dei muscoli flessori del dito medio della mano, in rapporto con i pesi con cui sono caricati. Gli ergogrammi però sono la espressione della contrazione non solo dei muscoli flessori del dito medio, ma anche di tutti i muscoli che direttamente o indirettamente contribuiscono alla flessione del dito medio. Inoltre, le contrazioni essendo ritmiche e volontarie, i tracciati sono il prodotto, oltre che dell'attività muscolare, anche della complessa attività neuropsichica che promuove ogni atto volontario. L'ergografo ha avuto larghe applicazioni nel campo della fisiologia e della psicologia del lavoro.
Bibl.: M. Luciani, Fisiologia dell'uomo, III, Milano 1923; A. Costantino, La chimica del tessuto muscolare, in Arch. di scienze biol., Napoli 1923; F. Bottazzi, Il tono muscolare, in Arch. di scienze biol., Napoli 1926; L. Lapicque, L'excitabilité en fonction du temps, Parigi 1926; S. Baglioni, Elementi di fisiologia umana, I, Roma 1929; L. Lapicque, Les muscles, in G. H. Roger, Traité de physiologie normale et pathologique, VIII, Parigi 1929; O. Meyerhof, Die chemischen Vorgänge im Muskel, Berlino 1930.
Fisiopatologia.
La fisiopatologia del sistema muscolare deve essere considerata in due parti distinte; l'una più conosciuta del tessuto muscolare striato, l'altra meno nota del tessuto muscolare liscio.
1. Sistema muscolare striato. - Gli elementi costitutivi del sistema muscolare, ossia le fibre muscolari striate, eccitate reagiscono cambiando di forma e dando luogo alla contiazione muscolare. Lo stimolo normale è determinato dal nervo, ma l'eccitazione del muscolo può essere diretta e provenire da uno stimolo meccanico, chimico, o elettrico. Questi stimoli agiscono anche a nervi paralizzati. Quando il muscolo è alterato in seguito alla distruzione del nervo, i cui effetti durano un certo tempo, appare la cosiddetta reazione degenerativa; si parla di reazione degenerativa quando il muscolo non reagisce più alla corrente faradica e con la galvanica la contrazione non si fa contemporaneamente in tutto il muscolo, ma ha un carattere fibrillare; inoltre la contrazione è più intensa alla chiusura anodica che alla catodica.
La tensione in cui stanno normalmente i muscoli dello scheletro (tono muscolare), che può subire oscillazioni anche in condizioni patologiche, si modifica profondamente in diverse condizioni patologiche avendosi così una ipotonia e una ipertonia muscolare che può essere più meno intensa e più o meno estesa. Se queste lesioni siano sempre di origine nervosa, oppure anche muscolare e se siano sempre di origine cerebro-spinale o possano essere di origine simpatica si discute tuttora.
Si parla di tetano, quando il muscolo dopo essersi contratto non si rilascia più completamente, ma entra in uno stato di accorciamento duraturo.
Le atrofie del sistema muscolare striato possono svolgersi per diverse cause e dare luogo ad alterazioni più o meno notevoli delle fibre. L'inattività è causa di atrofia delle fibre muscolari che si riducono sensibilmente di volume; questa atrofia è più accentuata, quando il muscolo venga immobilizzato da un'anchilosì articolare o da una fasciatura stretta. Si può arrivare così a un'incapacità funzionale completa dei muscoli.
Anche la vecchiaia dà luogo all'atrofia dei muscoli (atrofia senile), la quale talora si accompagna ad altre alterazioni e così pure le malattie infettive croniche, i neoplasmi maligni, in genere le cause che dànno luogo a cachessia (atrofia cachettica). Una forma molto interessante di atrofia muscolare è l'atrofia neurotica, che suole colpire il sistema muscolare striato nei punti paralizzati per lesioni del sistema nervoso e decorre in modo particolarmente rapido e grave quando vengono colpite le cellule o le fibre nervose che innervano direttamente il muscolo. Un'altra particolare forma è l'atrofia o pseudo ipertrofia lipomatosa, che prende anche il nome di distrofia muscolare progressiva; è una malattia eredo-familiare che colpisce di regola soltanto i maschi e nella quale i muscoli appaiono ingrossati mentre le loro fibre sono atrofiche, l'ingrossamento è dovuto a tessuto adiposo che si sviluppa tra i fasci di fibre.
Fra i processi degenerativi il tessuto muscolare può presentare la tumefazione torbida; la degenerazione grassa, la degenerazione ialina e amiloide; può presentare inoltre la calcificazione come esito di diversi processi. Una fomia caratteristica della patologia muscolare è rappresentata dalla degenerazione cerea; questa forma di degenerazione deve essere piuttosto considerata come una necrosi ed è stata avvicinata alla necrosi da coagulazione. Sembra stabilito che questo processo si svolga accompagnato da una perdita di acqua. La fibra muscolare dapprima accentua la sua striatura longitudinale, poi diventa omogenea, vitrea e finalmente presenta delle spaccature trasversali e si spezzetta in frammenti più o meno grandi ai quali è stata data la denominazione di sarcoliti.
Le temiinazioni nervose dei muscoli presentano, sia in seguito al taglio dei nervi o a lesione delle cellule o delle fibre nervose, sia in seguito a processi che si svolgono nel muscolo, una serie di modificazioni, che consistono essenzialmente nel rigonfiamento, perdita della struttura caratteristica e interruzione della continuità delle fibre terminali nervose a cui corrisponde la paralisi dei muscoli.
Naturalmente mentre la lesione delle placche motrici si ha quando sono lese le cellule e le fibre di moto, quella delle terminazioni sensitive dei fusi neuromuscolari e degli organi muscolo-tendinei si ha quando vengono lese le vie di senso. Quelle che resistono più a lungo sono le fibrille amidollate di cui oggi si discute la natura simpatica.
Tra i fatti progressivi è molto frequente l'ipertrofia. Quando un muscolo è chiamato a compiere una funzione più intensa o più prolungata della norma, si ha un aumento del volume delle singole fibre muscolari talora assai notevole. La parte costitutiva della fibra che aumenta di quantità, determinandone l'aumento di volume, è il sarcoplasma.
Assai rara è invece l'iperplasia ossia l'aumento di numero delle fibre muscolari.
La rigenerazione del tessuto muscolare striato è molto estesa nei vertebrati inferiori e negl'invertebrati, assai meno nei mammiferi e nell'uomo; tuttavia fatti rigenerativi di muscoli in seguito a lesioni sono anche negli organismi superiori facilmente osservabili. La rigenerazione si produce in due modi diversi. Alcune volte gli estremi recisi delle fibre s'ingrossano a clava per accumulo di sarcoplasma; in queste clave si ha una riproduzione molto attiva dei nuclei del sarcoplasma che vi divengono assai numerosi; dagli ingrossamenti a clava partono poi prolungamenti sinciziali muniti di nuclei che si spingono nel campo della lesione e si trasformano gradatamente in fibre muscolari spesso congiungendosi con i prolungamenti analoghi provenienti di là dalla lesione. In altri animali, dalle fibre muscolari lese hanno origine cellule speciali che prendono il nome di sarcoblasti e invadendo il campo della lesione si dispongono in serie longitudinali e ricostituiscono le fibre muscolari. La guarigione di ferite ampie ha però luogo in parte per cicatrice. Le terminazioni nervose dei muscoli possono pure rigenerare, le fibre nervose in via di rigenerazione, giunte in contatto della fibra muscolare dànno luogo a espansioni successive che costituiscono le diverse terminazioni caratteristiche del muscolo.
Gl'innesti di muscolo non hanno dato luogo finora in generale ad attecchimenti durevoli, anche quando s'è tentato di tenerne viva la funzione mediante la stimolazione elettrica; tuttavia in condizioni speciali, quando mediante il loro innesto su un tronco nervoso si è riusciti ad assicurarne l'innervazione, si sono avute anche conservazioni abbastanza lunghe del tessuto innestato.
Il tessuto muscolare striato può dare luogo a tumori diversi per decorso e per atipia, ma che si raccolgono complessivamente sotto la denominazione di rabdomiomi; sono tumori spesso congeniti che si presentano costituiti da elementi muscolari a carattere più o meno spiccatamente embrionale; di solito si tratta di tumori benigni, qualche volta però si presentano profondamente atipici e dànno luogo a un decorso maligno. Entro il sistema muscolare si possono inoltre sviluppare tumori più diversi provenienti dai vasi sanguigni o dal tessuto connettivo.
Le alterazioni circolatorie sono assai frequenti nel tessuto muscolare. Si hanno facilmente iperemie attive da accresciuto lavoro, sia spontaneo sia provocato da causa patologica (tetano) o in rapporto a fenomeni infiammatori, e iperemie passive che sono provocate dalle cause che le determinano anche negli altri organi.
I trombi e gli emboli di solito non provocano gravi alterazioni o dànno luogo a fenomeni d'importanza assai scarsa quando colpiscono i piccoli vasi dei muscoli, fra i quali le anastomosi sono ricchissime.
Tutte le altre alterazioni circolatorie non presentano nulla di caratteristico in rapporto col tessuto in cui si manifestano.
L'infiammazione del tessuto muscolare prende il nome di miosite e, quando essa si estende nei nervi, prende anche il nome di neuromiosite. Alcune volte i focolai infiammatorî muscolari insorgono nello stesso tempo in molti punti e si ha allora un quadro morboso che prende il nome di polimiosite acuta e che può essere seguita dalla morte dell'ammalato.
Più spesso i focolai infiammatorî muscolari sono scarsi o isolati e possono dar luogo a suppurazione (miosite purulenta).
Qualche volta l'infiammazione assume un decorso cronico e fra le infiammazioni croniche si suole distinguere una miosite cronica fibrosa, che decorre assai lentamente e dà luogo a una notevole formazione di connettivo tra le fibre muscolari che si riducono gradualmente di volume. Si ha pure una miosite cronica ossificante con formazione di tessuto osseo.
La tubercolosi, la sifilide, la lebbra e la morva possono dare localizzazioni nel sistema muscolare striato.
Parecchi parassiti possono trovare sede nel sistema muscolare: così i sarcosporidî fra i protozoi, i cisticerchi di diverse tenie e le trichine.
Tutti questi parassiti quando rimangono a lungo nel tessuto vanno incontro a un processo di calcificazione.
2. Sistema muscolare liscio. - Assai meno conosciuta della patologia del sistema muscolare striato è quella del sistema muscolare liscio; e ciò è ben comprensibile, perché il tessuto muscolare liscio si trova a formare diversi organi quasi sempre intimamente commisto ad altri tessuti diversi. Manifestazioni patologiche funzionali del tessuto muscolare liscio sono l'ipertonia e l'ipotonia, avendo questi due termini un significato simile a quello che è stato definito per il tessuto muscolare striato. Si parla anche di atonia, quando l'ipotonia è molto accentuata; e di spasmo, quando la muscolatura permane fortemente contratta. Queste alterazioni fisiologiche dànno luogo a notevoli alterazioni nelle funzioni degli organi i cui movimenti e la cui contrattilità sono dovuti al tessuto muscolare liscio (vasi sanguigni, tubo digerente, utero, vescica, ecc.).
L'atrofia del tessuto muscolare liscio si presenta nei vasi sanguigni in molte malattie e nella vecchiaia e determina una notevole diminuzione dell'elasticità soprattutto delle arterie. Nell'intestino essa si presenta specialmente in talune malattie croniche (p. es. nella pellagra). Nell'utero suole fare seguito alla fine della vita sessuale. Le degenerazioni non presentano nulla di particolare in questo tessuto e così pure gli altri fenomeni regressivi. La degenerazione grassa è frequente nell'arteriosclerosi e così pure nello stesso processo morboso le necrosi a placche e le calcificazioni. Sono pure abbastanza frequenti la degenerazione ialina e l'amiloide. L'ipertrofia del tessuto muscolare liscio si ha fisiologicamente nel concepimento e nella gravidanza. Nel concepimento avviene una moltiplicazione per processo cariocinetico delle fibre muscolari lisce che aumentano enormemente di numero; dopo pochi giorni questa moltiplicazione cessa e le fibre aumentano di volume gradatamente fino verso il termine della gravidanza, dando luogo a un grande sviluppo dell'organo. Dopo il parto le fibre impiccoliscono di nuovo gradatamente fino a grandezze normali. Nelle arterie, e soprattutto in quelle di piccolo calibro, si può avere un'ipertrofia del sistema muscolare liscio e si ha allora di solito come conseguenza un aumento della pressione sanguigna. Nell'apparato digerente e nei canali escretori di solito si ha un'ipertrofia o una vera e propria iperplasia del tessuto muscolare liscio al di sopra del punto in cui insorge un ostacolo al passaggio del contenuto del canale muscolare. La rigenerazione del tessuto muscolare liscio è abbastanza attiva e avviene per moltiplicazione delle fibrocellule; se però le lesioni sono estese, la guarigione si fa mediante una cicatrice connettiva. I tumori provenienti dal sistema muscolare liscio prendono il nome di leiomiomi, essi sono particolarmente frequenti nell'utero, assumono spesso un grande sviluppo e sono in generale a decorso lento e benigno. Qualche volta però possono assumere un decorso maligno e presentare caratteri simili a quelli dei sarcomi. Le alterazioni circolatorie del sistema muscolare liscio sono in rapporto con la funzione dell'organo a cui il tessuto appartiene (utero, intestino, ecc.). Le infiammazioni pure non presentano nulla di caratteristico: ai processi suppurativi detto tessuto oppone una notevole resistenza. Non viene trattato qui del miocardio, per le lesioni del quale v. cuore.
Anatomia patologica.
Le malattie del sistema muscolare non sono nel loro insieme numerose e svariate come quelle di altri sistemi, in relazione al fatto che non vi esiste quella pluralità di tessuti e quindi d'intime strutture morfologiche e biochimiche, che è propria agli organi costitutivi di altri complessi organici e subordinatamente anche all'altra circostanza, non meno importante, che il tessuto muscolare possiede una composizione chimica che l'esperienza dimostra poco adatta al facile attecchimento di alcuni dei microbî generatori di malattie nella specie umana.
A parte le anomalie dei muscoli per malformazione primigenia, onde sorge un disordine di topografia, le forme anatomopatologiche più importanti sono l'atrofia e l'ipertrofia muscolare, le degenerazioni, le infiammazioni, i tumori, i parassiti dei muscoli.
L'atrofia è caratterizzata dall'impicciolimento di un muscolo, di un gruppo di muscoli o di un intero territorio muscolare e come tale è combinata a una deficienza di funzione.
In qualche raro caso è universale, cioè comprende tutto il sistema. Essa può essere inerente a un difetto d'innervazione spinale (atrofia mielopatica) o è primitiva, essenziale (atrofia miopatica), a seconda che la riduzione nelle dimensioni è compatibile con l'integrità della fine struttura delle fibre muscolari, cioè delle formazioni elementari che compongono il muscolo o è invece associata alla comparsa, in seno a esse, di prodotti di disintegrazione delle sostanze proteiche costituenti la fibra (grasso), o di materiali che vi si trovano anche di norma, ma in proporzioni molto più ridotte (glicogene, pigmento). Il modo di reagire del muscolo atrofico allo stimolo elettrico fornisce già in vita gli elementi per un giudizio differenziale al riguardo. Non è escluso che l'atrofia possa anche dipendere da deficiente afflusso di sangue per stringimento del lume dei canali sanguiferi che presiedono alla nutrizione del muscolo, e anche da compressione dello stesso muscolo esercitata da organi vicini abnormemente ingrossati. Queste due ultime forme di atrofia sono per loro natura circoscritte e rientrano comunemente nella categoria delle degenerative, giacché il difetto d'irrorazione sanguigna, che sta a fondamento di entrambe, cagiona innanzi tutto una disintegrazione cellulare, che prepara il terreno all'atrofia.
Una condizione anatomico-funzionale perfettamente opposta all'atrofia è l'ipertrofia muscolare, che si compendia nell'ingrossamento di un muscolo per l'aumento di volume delle singole sue fibre: aumento, s'intende, di sostanza contrattile attiva, non di eventuali prodotti di disintegrazione di questa.
A prescindere dalle forme congenite, la cui genesi è tuttora oscura, la causa più frequente, per non dire l'esclusiva, dell'ipertrofia muscolare è lo sforzo metodico cui è sottoposto un muscolo per produrre un lavoro superiore a quello che fisiologicamente gli compete in un regime di vita comune. Il ciclista di professione e lo scalatore di montagne hanno ipertrofici i muscoli degli arti inferiori, nello stesso modo che il barcaiolo ha invece quelli degli arti superiori. In ambedue i casi l'eccesso di lavoro conduce all'ipertrofia. Quando v'è una stenosi del piloro, la tunica muscolare dello stomaco s'ipertrofizza per lo sforzo diuturno che deve compiere per versare nell'intestino il cibo ingerito. Così è dello strato muscolare della vescica negli stringimenti dell'uretra.
È ovvio che non tutti gl'ingrossamenti di un muscolo sono indice di un'ipertrofia: vi è, tra l'altro, una cosiddetta pseudoipertrofia, nella quale ciò che aumenta di volume non è la parte contrattile, sibbene il tessuto che sostiene le fibre muscolari e le cementa tra loro (pseudoipertrofia miosclerotica) e in modo speciale l'adipe che s'interpone solitamente in quantità minime e rilevabili solo al microscopio (pseudoipertrofia lipomatosa).
Queste false ipertrofie si manifestano nei muscoli degli arti con frequenza molto maggiore che in quelli del tronco e si tradiscono per una diminuzione dell'energia contrattile in aperto contrasto con l'ingrossamento muscolare. All'atrofia come alla pseudoipertrofia possono anche eccezionalmente associarsi disturbi mentali, mentre nel maggior numero dei casi l'intelligenza rimane desta. Non v'è dolore muscolare che di rado. Tali forme di miopatia progressiva, atrofizzante e pseudoipertrofica, sono ereditarie e spesso si alternano tra i membri di una stessa famiglia, così che il padre può essere colpito da atrofia e taluni dei figli da pseudoipertrofia. Ma il volume del muscolo ha poca importanza: ciò che conta è la sua impotenza funzionale, che è comune ad ambedue i tipi.
Altre manifestazioni patologiche del sistema muscolare sono d'ordine degenerativo e comportano un'alterazione nella composizione chimica della sostanza propria delle fibre muscolari per la comparsa, come si disse, o di prodotti eterogenei o di materiali che nelle fibre esistono in condizioni fisiologiche soltanto in proporzioni limitatissime.
Così si fa menzione di una degenerazione grassa, cerea, ialina e pigmentale dei muscoli, alludendo alla presenza in seno alle fibre muscolari rispettivamente di goccioline adipose o di sferule vitree o di accumuli di granulazioni giallicce, interpretabili come l'esito di una metamorfosi regressiva della sostanza contrattile. In tutti questi casi alcune fibre, in totalità o in parte, perdono la loro fine tessitura microscopica e divengono perciò inette a esplicare la loro funzione. Reperti del genere non hanno un significato specifico, perché coincidono spesso con affezioni generali di varia natura: esse sono soltanto l'indice di uno stato di decadimento trofico del muscolo quale può derivare da una malattia cronica, da avvelenamenti acuti o subacuti, da disordini dell'idraulica vascolare, o anche dal semplice invecchiamento dell'organismo. Del resto alterazioni consimili colgono il sistema muscolare anche nel corso d'infiammazioni vere e proprie (miositi), le quali hanno la loro base nella presenza di elementi cosiddetti bianchi (leucociti), provenienti dal sangue circolante, migrati attraverso la parete dei vasellini sanguigni e infiltratisi poi negl'interstizî tra fibra e fibra.
Mentre le degenerazioni dei muscoli non comportano l'insediamento e la vegetazione di particolari microparassiti in grembo alle fibre e ai fasci di fibre, ma possono essere puramente l'espressione di difetti d'innervazione o della presenza nell'organismo di veleni non organizzati, provenienti dal ricambio generale alterato o dall'esterno (piombo, fosforo, arsenico, ecc.), le infiammazioni hanno la loro ragione prima nella colonizzazione locale di esseri organizzati, suscettibili di moltiplicarsi a danno del tessuto vivente che li ospita. Alcuni di questi minuscoli esseri del mondo vegetale sono bene conosciuti, altri sfuggono tuttora a una constatazione diretta, pure lasciando l'impronta della loro presenza nei muscoli, sotto l'aspetto surricordato d'infiltrati di elementi eterogenei e di una disintegrazione delle fibre muscolari spinta sino alla loro totale distruzione.
V'è chi parla di miosite da sforzo, con l'intesa che l'esagerata fatica possa predisporre il muscolo all'infiammazione, in quanto i virus vi trovano più facile attecchimento. Conviene credere che in questi casi l'esagerata fatica porti non solo a un turbamento nel ricambio chimico delle fibre muscolari in grado di ridurre la loro resistenza specifica alle infezioni, ma altresì a una disintegrazione meccanica, cioè a una lacerazione con minuti stravasi sanguigni, una tipica lesione traumatica, che, come in altre sedi, promuove una reazione locale favorevole all'insorgenza di un'infiammazione infettiva. In definitiva la miosite da sforzo si ricollegherebbe alle forme settiche, almeno nella grande maggioranza dei casi. Farebbe sicura eccezione la cosiddetta miosite ossificante dei cavalcatori, la quale coglie i muscoli interni (adduttori) della coscia, che nell'atto del cavalcare urtano con violenza contro la sella e sono perciò soggetti a ripetuti traumi. In questa singolare malattia si vanno via via sostituendo alle fibre muscolari delle vere formazioni ossee in sedi anche lontane da segmenti dello scheletro, così da non poterle interpretare come l'esito di una dislocazione traumatica di tessuto osseo in grembo al tessuto muscolare. Della stessa natura si deve considerare la miosite ossificante che insorge in vicinanza di cicatrici da ferite chirurgiche, mentre la forma giovanile localizzata nei muscoli della nuca e del dorso, cioè in regioni indenni da influenze traumatiche, s'inquadra di necessità, anche per i sintomi che l'accompagnano (gonfiore, dolore, febbre), nella categoria delle miositi tossi-infettive. È strano il fatto che in queste forme giovanili s'osserva spesso l'impicciolimento congenito del pollice e dell'alluce di ambedue i lati: il che fu messo da taluno in relazione con una specie di disordine primigenio, che, come lede alcune parti dello scheletro, predisporrebbe i muscoli all'ossificazione.
A parte queste infiammazioni invero rare, se pur di infiammazione si tratti, si hanno miositi con formazione di pus e miositi da inquinamento del muscolo col bacillo della tubercolosi (miosite tubercolare), col microrganismo della sifilide (miosite luetica) o con quello dell'actinomicosi (miosite actinomicotica) e queste quali complicanze di analoghe infezioni di organi lontani da muscoli e sedi prime dei corrispondenti microparassiti o di tessuti vicini ai muscoli, ai quali si diffondono per semplici rapporti di continuità.
Nei riguardi dei tumori conviene segnalare lo stridente contrasto che regna tra la tendenza pronunciata che il sistema muscolare liscio dimostra verso essi, e la scarsa disposizione offerta in proposito dal sistema muscolare striato. Valga ciò per i tumori che riproducono la stessa tessitura del muscolo da cui derivano e che possono perciò essere formati da fibre lisce (leiomiomi) o da fibre striate (rabdomiomi) a seconda dei casi.
Mentre, di fatto, i primi sono molto frequenti, specie in alcuni organi come nell'utero, gli altri si sviluppano assai di rado e talora anche in visceri come il rene, che fisiologicamente non contengono fibre muscolari striate, e per i quali è ovvio l'ammettere una possibile genesi da ectopia. Un'altra sostanziale differenza corre fra i tumori dell'una specie e dell'altra, giacché i primi possono raggiungere dimensioni impressionanti (nell'utero, il volume di un cocomero e più), mentre i secondi si conservano generalmente minuscoli (nel cuore come ceci), valendo per entrambi, come nota comune, la lentezza nell'accrescimento e il carattere di abituale benignità. A suo tempo si è ricordato come in ogni muscolo le fibre siano mantenute le une accanto alle altre da un invoglio che forma attorno a esse come una rete, nelle cui maglie giacciono. Tale rete è detta, per la sua stessa funzione, connettiva, e può alla sua volta generare nel muscolo tumori che nulla hanno a che vedere con i summenzionati e che se ne distinguono spesso per un'aperta tendenza alla malignità (endoteliomi e sarcomi muscolari). Sono attributi di questi ultimi il rapido sviluppo, l'aggressività verso le parti vicine, e la loro irrefrenabile distruzione, la recidività dopo l'asportazione, la migrazione a distanza con crescita di tumori di identico tipo in seno a organi molto discosti dal focolaio primo e la progressiva denutrizione generale del malato.
Nel sistema muscolare alcuni parassiti animali allignano in forma larvale con una certa predilezione, pure non rispettando i tessuti d'altri sistemi; altri vi si annidano invece elettivamente ed esclusivamente.
Vanno ricordate tra i primi le fasi cistiche (cisticerchi) di alcuni vermi nastriformi e in specie delle due varietà di tenie, la uncinata (Taenia solium) e l'inerme (Taenia saginata); più di rado il cisticerco dell'echinococco (Taenia echinococcus); tra i secondi la Trichina spiralis. Vi sono anche forme di parassitismo muscolare dovute a certe varietà di Protozoi, i Sarcosporidi, per es., che sotto forma di vescicole (otricoli di Miescher) ripiene di minutissimi granuli (spore) si annidano nei muscoli di alcuni mammiferi domestici (pecora, coniglio, maiale, cavallo, cane, gatto) e nei polmoni di animali selvatici (canguro, opossum), infettando l'uomo solo eccezionalmente e senza recargli gravi sofferenze, a meno che non ne colpiscano il cuore. Ma le carni degli animali da macello infette di sarcosporidî, più che costituire un serio pericolo per l'uomo, perdono grandemente di valore per l'ingrato sapore che assumono e il loro consumo viene a essere limitato anche perché gli otricoli, invecchiando, si trasformano in granuli pisiformi pietrificati.
Di gran lunga più frequenti sono invece nei muscoli dell'uomo le forme verminose sopra menzionate. Fra esse quelle delle due tenie, l'uncinata e l'inerme, con l'apparenza entrambe di più o meno numerose vesricole grosse quanto ceci, ripiene di un liquido limpido e limitate da una membranella assai più sottile di una pellicola d'uovo, che in un punto circoscritto s'ispessisce in un bottoncino biancastro del volume di un seme di miglio, sporgente nel lume della cisti, di cui rappresenta la parte essenziale (scolice), in quanto darà sviluppo al verme perfetto nell'intestino d'un altro mammifero. La tenia echinococco produce invece nei muscoli cisti di dimensioni maggiori, generalmente aggregate in ammasso, pur esse a parete sottile e a contenuto sia limpido come acqua di roccia, sia opalescente e come pulviscolare, mentre la trichina, un vermiciattolo spiraliforme, che predilige lo strato superficiale delle masse muscolari, e i punti in cui la carne del muscolo si risolve nel tendine, è, al contrario della precedente, quasi irriconoscibile a occhio nudo, tanto è minuta, a meno che la cistolina che ne forma l'involucro, non sia impregnata di sali di calce (carbonato e fosfato) e trasformata in un granulino sabbioso che sta nel limite della visibilità e che si avverte chiaramente al tatto.
Tutti questi parassiti, tranne l'echinococco, sono trasmessi all'uomo mediante l'ingestione di carni di suini o di bovini infestate alla loro volta dalle forme larvali degli stessi vermi e non bastantemente esposte ad alta temperatura. Si chiama panicatura muscolare il reperto delle carni che ospitano le cisti verminose della tenia. L'impiego di "bistecche al sangue", consigliato in altri tempi per la cura dell'anemia, ha largamente contribuito alla trasmissione delle tenie all'uomo.
Le vescicole, ingerite, dànno nell'intestino umano il verme perfetto (verme solitario) che fornisce, per ermafroditismo, centinaia di migliaia d'uova fecondate e suscettibili, come tali, d'infestare suini e bovini, che si cibano di vegetali concimati con le feci umane inquinate. Le uova nello stomaco di codesti mammiferi si liberano dell'involucro protettore e l'embrione che esse contengono, passa nell'intestino e migra di qui, con la corrente linfatico-sanguigna, negli organi dell'ospite, specialmente nei muscoli, dove s'incista e rimane vivente allo stato larvale per anni, pronto a infestare l'uomo che casualmente si alimenta delle stesse carni. La cisti, come si disse, diviene verme nastriforme nell'intestino umano: ma talora accade che per il vomito, che non di rado coglie l'individuo, le uova di tenia rigurgitino nello stomaco dell'infetto, o che questi si cibi di erbaggi concimati con le deiezioni proprie o di altro consimile malato. In tale caso egli si pone nelle medesime condizioni dei mammiferi domestici e rimane vittima, in identico modo, della cisticercosi, albergando insieme il verme completo nell'intestino e le sue forme larvali o cistiche nei visceri. Tutto ciò avviene in modo per lo più subdolo, che può divenire palese solo quando le cistoline si annidino in organi d'alta importanza funzionale (globo oculare, cervello). Qualcosa di analogo si verifica per la trichina, di cui l'uomo s'infesta cibandosi di carni di maiale o mal cotte o conservate in salsicce: ma, a differenza dell'ingestione da tenia, quella da trichina si appalesa nei primissimi tempi con una sintomatologia complessa che va dalla febbre elevata, ai dolori muscolari e articolari, alla cefalea, alla diarrea e al vomito, così da simulare una vera malattia infettiva a esordio quasi fulmineo e, per fortuna solo in qualche raro caso, a decorso rapidamente letale.
Bibl.: G. Marinesco, Malattie dei muscoli, Torino 1910; E. Perroncito, I parassiti dell'uomo e degli animali utili, Milano 1882; S. von Prowazek, Die Protozoen, II, Lipsia 1912; A. Lustig, Malattie infettive dell'uomo e degli animali, III, Milano 1923.
Chirurgia.
I. Malformazioni congenite (mioagenesia). - Mentre le variazioni dei muscoli sono frequentissime, l'assenza congenita di essi invece è rara (in Italia due soli casi su 8000 reclute, secondo il d'Ayala). Più frequente di quella di altri muscoli è la mancanza del gran pettorale, ma l'assenza di muscoli è stata anche osservata al collo, al dorso, all'addome, ecc. In molti casi il difetto colpisce contemporaneamente più muscoli o gruppi muscolari. Talora la malformazione è bilaterale e simmetrica; in qualche caso s'accompagna ad altri disturbi più o meno gravi dello sviluppo (atrofie della faccia e degli arti, sindattilie, macrodattilie, idrocefalo, atresie anali e vaginali, ecc.).
Quanto all'etiologia, la teoria mielogena (atrofia o aplasia dei centri nervosi), quella della distrofia miogena endouterina (W. H. Erb) e l'altra della regressione atavica (W. Wendel) sono ormai abbandonate. Anche l'ipotesi dell'atrofia da compressione (L. Gundjach) è soggetta a molte critiche; maggiore credito riscuote la concezione di un arresto dello sviluppo per alterazione degli elementi formativi fino dai primissimi stadî dell'evoluzione embrionale. Eccezione fatta per i muscoli delle pareti addominali, l'assenza dei quali dà luogo a sporgenze delle pareti a modo di ernia, la mioagenesia non provoca che scarsi disturbi funzionali o non ne provoca affatto. In genere, perciò, non v'è bisogno di cure. Se vi siano alterazioni funzionali, si potrà ricorrere prima a un trattamento ginnastico-educativo e, se questo non fosse sufficiente, a opportune operazioni plastiche, volte a sostituire l'azione del muscolo non sviluppatosi con quella di altri muscoli.
II. Lesioni violente. - 1. Contusioni: le contusioni dei muscoli sono frequentissime e in genere senza conseguenze. Talora però possono provocare un'incapacità della contrazione volontaria (il cosiddetto stupore), che generalmente scompare dopo alcune ore, oppure paresi traumatica, atrofia, contrattura. La possibilità d'insorgenza di sarcomi, in seguito a contusione dei muscoli, è generalmente ammessa. Contusioni gravi (scontri ferroviarî, infortunî minerarî, terremoti, catastrofi aviatorie) possono dare luogo allo spappolamento d'interi muscoli (in genere con integrità della cute) e alla cosiddetta "necrosi muscolare da seppellimento" di H. Küttner e M. Borst.
2. Ferite: sono dovute a forze agenti dall'esterno o, molto più raramente, dall'interno (frammenti ossei nelle fratture). Nei muscoli si possono osservare ferite da taglio (piuttosto rare), da punta (frequentissime), lacero-contuse, da armi da fuoco. La forma delle ferite dipende da quella dell'arma, dalla forza del colpo, dalla sua direzione.
Nelle ferite da taglio parallele alla direzione delle fibre i margini sono poco o nulla divaricati, in quelle perpendicolari il divaricamento è cospicuo. Nelle ferite contuse si può arrivare allo spappolamento completo di zone più o meno ampie di sostanza muscolare; in quella da armi da fuoco il tragitto è irregolare, pieno di coaguli, a pareti fortemente contuse, necrotiche, infiltrate di sangue. Il decorso delle ferite muscolari dipende dallo stato dei tessuti, dalle alterazioni circolatorie e nervose e in particolar modo dall'infezione. Le ferite nette da taglio e da punta, e anche quelle da proiettile non infette (clinicamente), guariscono senza reazione infiammatoria sensibile; nelle ferite contuse e in quelle infette v'è fusione ed eliminazione dei tessuti necrotici e la guarigione avviene per granulazione. La guarigione delle ferite muscolari ha luogo per moltiplicazione dei nuclei del sarcolemma e per formazione di bottoni terminali da parte delle fibre preesistenti. D'ordinario nell'uomo tale rigenerazione è solo parziale, perché ostacolata dalla formazione della cicatrice connettivale; onde il precetto terapeutico di suturare molto esattamente i muscoli interrotti ogni volta che si può. La cura delle ferite muscolari non differisce da quella delle ferite in genere.
3. Scottature dei muscoli si vedono, in clinica, assai di rado. Le lesioni da congelazione sono conseguenza dell'ischemia. Le correnti elettriche provocano lesioni varie che possono giungere alla carbonizzazione completa.
4. Le lacerazioni dei muscoli possono essere dovute a forze agenti dall'esterno o a contrazioni muscolari. Nel primo caso si tratta di azioni improvvise, istantanee (investimenti, infortunî industriali, calci, parto) che possono agire sul muscolo rilasciato o contratto (il che favorisce la rottura) in direzione perpendicolare alle fibre (percosse) o a esse parallela (strappamento). La possibilità di lacerazioni spontanee per contrazione è controversa e spiegata variamente (incoordinazione o asincronia della contrazione, inversione dell'azione, contrazione contemporanea dei muscoli antagonisti, rotazione spirale). I muscoli lunghi sottili con tendini brevi (tipo grande retto addominale, sartorio) si rompono più facilmente di quelli brevi e robusti con tendini lunghi (tipo bicipite brachiale). Le lacerazioni s' osservano specialmente negl'individui che hanno occasione di esercitare le masse muscolari (operai, soldati, sportivi).
Per ciascun muscolo la rottura è provocata da momenti particolari e da determinati mecanismi; essa suole avvenire in ogni muscolo sempre nello stesso punto; può essere completa o parziale e interessare il muscolo sia a livello del ventre sia, come è più frequente, al punto di unione di questo col tendine. I sintomi consistono in dolore (che per i muscoli addominali si può accompagnare a pallore, vomito, coliche e perfino a sincope), nell'abolita funzione, nell'atteggiamento particolare, per cui il paziente tende ad avvicinare i capi del muscolo interrotto, nelle alterazioni di forma della regione (pseudo-ernia muscolare) e nell'ematoma. La cura nelle lacerazioni parziali è conservativa e tale può essere anche nelle totali, nelle quali però è preferibile la sutura, che può essere eseguita anche in secondo tempo, previa escissione della cicatrice.
Il muscolo degenerato si rompe assai più facilmente di quello sano; per questo lacerazioni ed ematomi s'osservano in molte malattie infettive (tifo addominale, influenza, tetano, tubercolosi, malaria, tifo esantematico) che provocano degenerazione delle fibre muscolari, in alcune affezioni nervose (tabe dorsale, paralisi progressiva), nell'emofilia, nella porpora, nello scorbuto, nella leucemia. Sono colpiti con particolare frequenza i muscoli. retti addominali (specialmente nel tifo). I sintomi principali sono il dolore violento e l'ematoma. Il decorso è benigno (salvo il sopravvenire dell'infezione); la terapia conservativa.
5. Ernia muscolare: è così chiamata la sporgenza, attraverso l'aponeurosi, interrotta o semplicemente assottigliata, di un muscolo integro (L.-H. Farabeuf, P.-J. Tillaux) o che può alla sua volta essere leso (E. Lexer e O. Baus). La lesione aponeurotica è conseguenza di traumi, unici o ripetuti. Per lo più si tratta di contusioni o di compressioni prolungate, ma l'ernia muscolare può anche seguire a ferite, accidentali o chirurgiche, e a suppurazioni. La formazione di ernie muscolari spontanee, in seguito a violente contrazioni muscolari, è oggi negata. L'ernia muscolare si osserva quasi esclusivamente negli uomini e specialmente nei soldati.
Sono più spesso interessati gli adduttori e il tibiale anteriore. I sintomi consistono in dolore, senso di stanchezza dell'arto (che possono anche mancare) e tumefazione, che scompare con la contrazione, se il muscolo è integro, persiste o aumenta se esso è leso. La cura, in un primo momento, può essere conservativa (apparecchio gessato); quella operatoria consiste nella chiusura della breccia aponeurotica mediante sutura o trapianto di fascia lata, previa escissione della parte sporgente del muscolo.
III. Contrattura ischemica. - La contrattura ischemica (o malattia del Volkmann) colpisce le estremità e specialmente l'antibraccio insorgendo quasi sempre dopo fratture dell'omero (estremità inferiore) del radio e dell'ulna. Più raramente s'osserva dopo l'applicazione di lacci emostatici o per contusioni, scottature, embolie, flemmoni.
Della contrattura muscolare è in primo luogo responsabile la lesione traumatica (B. Bardenheuer); gli apparecchi gessati non fanno che favorirla, quando già esistano lesioni circolatorie, forse per l'inattività dei muscoli alterati a cui dànno luogo. L'etiologia è controversa. R. v. Volkmann e B. Bardenheuer ammettevano la lesione primitiva della fibra muscolare, teoria miogena, che ancora oggi, su altre basi, trova difensori (C. Beck, W. Loehr); O. Hildebrand ritenne che esistessero contemporaneamente lesioni nervose (teoria mioneurogena); R. Leriche, A. Schubert e altri credono si tratti di alterazioni vasomotorie della rete muscolare, provocate da lesioni arteriose e nervose, M. Denucé propende per una lesione delle fibre simpatiche. Le ricerche sperimentali non hanno dato risultati conclusivi. I sintomi consistono dapprima in dolori, parestesie, infiltrazione dei muscoli, tumefazione, cianosi, flittene della mano; seguono il riassorbimento dell'essudato e la degenerazione fibrosa dei muscoli, con che si stabilisce la contrattura, caratterizzata dai tipici atteggiamenti delle dita e della mano. Le alterazioni della sensibilità e dell'eccitabilità elettrica muscolare sono variabili e possono mancare. I muscoli flessori sono costantemente più colpiti degli estensori.
Nel periodo dell'infiltrazione ischemica i muscoli sono pallidi di un giallo trasparente, molli e friabili. Al microscopio si nota infiltrazione leucocitaria e scomparsa della striatura in parte delle fibre. In seguito il muscolo si trasforma in un connettivo fibroso, in mezzo al quale permanono fibre muscolari più o meno alterate e atrofiche. La prognosi è grave. La profilassi consiste nell'oculata applicazione degli apparecchi gessati. Al primo allarme si deve operare per eliminare eventuali ostacoli circolatorî e provvedere alle possibili lesioni arteriose (suture, legature). Nel periodo d'infiltrazione, l'incisione ampia dell'aponeurosi (Jorge) può fare regredire la sindrome; lo stesso effetto si otterrebbe, secondo P. Leriche, asportando eventuali focolai cicatriziali, capaci di mantenere lo spasmo dei vasi muscolari. Stabilitasi la contrattura, alcuni (R. Jones, K. Biesalski, J. Jensen) sono partigiani delle cure conservative (apparecchi ortopedici, esercizî). La cura operatoria può consistere nell'accorciamento delle ossa dell'antibraccio mediante resezione (A. Henle), nell'allungamento plastico dei tendini (Anderson), nella miotomia (B. Bardenheuer); lo spostamento dei punti di attacco muscolari non ha dato buoni risultati.
IV. Atrofia muscolare. - È caratterizzata dalla diminuzione di volume di un muscolo. Dal punto di vista anatomo-patologico se ne distinguono due forme: 1) degenerativa; con degenerazione grassa, cerea, vacuolare, amiloide, o calcificazione delle fibre; 2) semplice, con impiccolimento delle fibre muscolari e moltiplicazione dei nuclei. Le atrofie muscolari d'interesse chirurgico possono avere cause svariate e cioè: 1) mutamenti della lunghezza del muscolo sotto forma di accorciamenti (fratture, lesioni tendinee, amputazioni, posizioni viziose, come p. es. nel torcicollo congenito) o di distensione (contratture, posizioni forzate mantenute troppo a lungo); 2) inattività; 3) alterazioni circolatorie locali (apparecchi di contenzione delle fratture) o generali (intossicazioni, scottature, infezioni, cachessie, malattie parassitarie); 4) lesioni delle vie nervose centrali (cerebrali e spinali) e periferiche (neurogene); 5) lesioni traumatiche dirette del muscolo (ematomi, lacerazioni). Di particolare interesse sono le cosiddette atrofie muscolari artrogene, dovute a lesioni articolari, traumatiche o infiammatorie, e che secondo A. Vulpian e J.-M. Charcot sarebbero d'origine riflessa per stimoli nervosi sensitivi partenti dall'articolazione lesa; secondo altri, invece, sarebbero dovute a inattività, a iperdistensione, o a lesioni vasomotorie riflesse (C. E. Brown-Séquard).
L'atrofia può colpire uno o più muscoli. Gli estensori sono sempre più colpiti dei flessori, senza che se ne sappia la ragione. In genere i muscoli in atrofia sono più molli di quelli normali (collasso muscolare); la diminuzione del volume sopravviene in secondo tempo e può essere minima. L'eccitazione elettrica faradica e galvanica è normale o diminuita, solo nelle forme consecutive a lesioni del midollo spinale o dei nervi, compare la reazione degenerativa; l'eccitabilità meccanica è aumentata.
V. Infiammazioni acute. - Un'infiammazione semplice dei muscoli (miosite iperplastica) s'osserva in prossimità di focolai traumatici (comprese le suture asettiche) o ischemici; intorno a corpi estranei e a parassiti (trichine). Intossicazioni esogene (veleno di serpenti) o endogene (riassorbimento di tessuti, scottature) possono provocare egualmente, nei muscoli, infiammazioni non suppurative. Forme endogene (puramente tossiche) s'osservano anche in molte malattie infettive (tifo, influenza, scarlattina, colera, blenorragia, reumatismo articolare acuto, febbre maltese). La miosite non suppurativa provoca infiltrazioni, dure, dolorose, accompagnate da febbre, che si risolvono senza arrivare alla fusione purulenta.
Le miositi purulente possono essere traumatiche, propagate, ematogene. Le forme traumatiche sono asettiche (contusioni, iniezioni di sostanze chimiche) e settiche per infezione esogena (ferite, fratture esposte) o endogena per arresto di germi circolanti nel sangue in corrispondenza di focolai contusivi o emorragici. Le miositi propagate sono dovute alla diffusione ai muscoli di infezioni che possono partire dai più svariati focolai, superficiali e profondi. Le miositi ematogene s'osservano nelle infezioni generali piemiche (in genere stafilococchi) e in altri processi infettivi (influenza, tifo, blenorragia, morva). Tanto nelle forme asettiche quanto in quelle settiche la miosite purulenta può dare luogo ad ascessi o a infiltrazioni flemmonose.
I sintomi e il decorso delle miositi purulente si confondono con quelli delle infezioni primitive nelle forme propagate e piemiche. In quelle metastatiche isolate, la sintomatologia dipende in parte dall'agente infettivo; alcune forme (gonococciche, tifiche) hanno un decorso blando, altre invece si presentano come infezioni gravi con brividi, febbre, malessere generale, dolori, posizioni obbligate (caratteristica, p. es., quella della psoite). La diagnosi, nelle forme profonde, può essere difficile e la prognosi, per la funzione muscolare, grave. La cura è chirurgica, e consiste in primo tempo nell'immobilizzazione; in seguito si può rendere necessaria l'incisione della raccolta.
La cosiddetta miosite infettiva, rara in Europa, frequente nel Giappone, in Africa e in Oceania, decorre come una malattia febbrile grave, talora mortale, e formazione di ascessi isolati o multipli. Si tratta di una infezione stafilo- o streptococcica, a punto di partenza cutaneo.
VI. Miositi croniche. - Tra le infiammazioni croniche non specifiche dei muscoli, si descrive una miosite fibrosa primaria, che può colpire muscoli isolati o interi gruppi muscolari, specialmente delle estremità inferiori.
Ha decorso cronico, subdolo, senza fenomeni generali, caratterizzato da dolori, limitazione di movimenti e contrattura, poi da tumefazioni dure. A malattia inoltrata possono essere interessati il connettivo sottocutaneo e la cute (ispessimento, pigmentazione). L'etiologia è oscura; la cura conservativa (massaggi). Le forme secondarie sono consecutive a traumi, alterazioni circolatorie, processi infiammatorî. S'osserva in esse un aumento del connettivo, mentre le fibre si atrofizzano, degenerano e finiscono con lo scomparire.
Le miositi croniche specifiche sono dovute a tubercolosi, sifilide, actinomicosi, sporotricosi.
Della tubercolosi dei muscoli si distingue una forma propagata (o secondaria), dovuta alla diffusione al muscolo di focolai cutanei, mucosi, sierosi, viscerali, ma specialmente linfoghiandolari, ossei e articolari. L'invasione del muscolo da parte dei tubercoli avviene gradatamente, ma si descrive anche una forma rapida (miliare) a decorso più grave. La sede della malattia è sempre ll connettivo muscolare; le fibre si atrofizzano e degenerano. La tubercolosi muscolare ematogena è detta anche, ma inesattamente, primaria. È un'affezione rara, studiata specialmente dalla scuola francese, la quale ne distingue quattro forme: 1) nodulare (con formazione di noduli, senza tendenza alla fusione purulenta); 2) ascessuale; 3) infiltrante (miosite infiammatoria interstiziale dei Francesi); 4) sclerotica (cirrosi muscolare tubercolare). L'inizio è subdolo; i disturbi pochi o punti; le tumefazioni, limitate al ventre muscolare o estese al connettivo circostante, sono fluttuanti solo nel caso di raccolte assai grandi. Vi può essere formazione di fistole. La prognosi dipende dalle altre manifestazioni della malattia. La cura ideale consiste nell'asportazione completa dei noduli. Gli ascessi possono essere aperti e raschiati.
Sifilide. - Mialgie sifilitiche si manifestano negli stadî precoci dell'infezione; colpiscono specialmente le estremità, dando luogo a dolori terebranti con esacerbazioni notturne e a indebolimento, talora con atrofia, dei muscoli colpiti. La contrattura sifilitica insorge anch'essa precocemente. Ha inizio subdolo, e si manifesta con una difficoltà sempre maggiore di movimenti, fino alla completa fissazione del muscolo retratto. È colpito a preferenza il bicipite brachiale. V'è possibilità di guarigione anche spontanea. La miosite sifilitica diffusa consiste in un'infiltrazione diffusa del connettivo muscolare con formazione di un tessuto di granulazione e degenerazione secondaria delle fibre, che finiscono con lo scomparire completamente in mezzo a un connettivo cicatriziale ricco di cellule. Può colpire uno o più muscoli (a preferenza il massetere). Ha inizio abbastanza acuto con dolori, tumefazione, indurimento e disturbi funzionali, sotto forma di contratture, crampi, tenesmo (per gli sfinteri). Nei casi recenti, la terapia specifica porta alla guarigione, la quale è più difficile, ma non impossibile, anche in casi progrediti. La miosite gommosa è tra le localizzazioni muscolari della sifilide quella che ha maggiore importanza chirurgica. Appartiene al periodo tardivo dell'infezione e si presenta sotto forma di noduli, solitarî o multipli, di forma ovale e di grandezza variabile. Non sempre si produce la degenerazione (caseificazione), si può invece avere sclerosi ed eventualmente calcificazione e ossificazione dei vecchi focolai. Colpisce a preferenza il muscolo sternocleidomastoideo. I sintomi sono dolore modico, lievi disturbi funzionali, talora fenomeni di compressione (al collo sulla trachea, sull'esofago, sul nervo ricorrente). Se v'è fusione, compare la fluttuazione e in seguito l'apertura all'esterno, con le caratteristiche ulcerazioni della cute. La diagnosi può essere difficile, per la possibile confusione con neoplasmi maligni. Per la distinzione giovano la reazione del Wassermann e la biopsia, che però non tutti approvano. La cura è quella specifica.
L'actinomicosi dei muscoli è rara. Più frequente nella lingua, nello sternocleidomastoideo e nei muscoli della parete addominale. Nella forma circoscritta provoca comparsa di noduli di consistenza lignea, con centri di rammollimento, che finiscono con l'ulcerarsi (salvo che nella lingua). Nella forma diffusa la localizzazione muscolare si perde nell'infiltrazione generale dei tessuti. L'actinomicosi dei muscoli può essere confusa con gomme o con tumori.
La cura è quella dell'actinomicosi in genere. In caso di focolai limitati a un solo muscolo si potrebbe tentare l'asportazione.
La sporotricosi si presenta con una forma disseminata che colpisce, oltre i muscoli, la pelle, il sottocutaneo, il periostio, ecc., e in una forma isolata, limitata al muscolo. Provoca la comparsa di noduli duri, infiltrati, che poi si rammolliscono con formazione di ascessi freddi, talora voluminosi. La cura consiste nella somministrazione di ioduro di potassio e nelle iniezioni di soluzioni iodo-iodurate nella cavità degli ascessi.
VII. Sull'essenza della miosite ossificante circoscritta i pareri degli studiosi non sono unanimi, perché mentre alcuni considerano la malattia come un processo infiammatorio, altri la collocano fra i tumori (osteoma muscolare). Oggi la prima opinione sembra in prevalenza. La miosite ossificante circoscritta ha quasi sempre origine traumatica; le forme non traumatiche, comprese quelle cosiddette neurogene, sono da molti messe in dubbio. I traumi possono essere unici o ripetuti; tra questi ultimi hanno particolare importanza quelli abituali: di soldati (Exerzierknochen dei Tedeschi), cavalieri (osteomi dei cavalieri), alcuni mestieri (sellai, calzolai, ecc.). Quando il trauma è unico, si può trattare di ferite, contusioni, lacerazionì muscolari, corpi estranei. Speciale interesse ha l'ossificazione del muscolo brachiale anteriore che segue la lussazione del gomito, più spesso dopo la riduzione.
La miosite ossificante circoscritta è più frequente nell'uomo e nell'età giovanile e media. Interessa più spesso il quadricipite femorale, gli adduttori della coscia, i flessori del braccio. Dopo il trauma si ha un ematoma che viene gradatamente sostituito da un connettivo, dapprima embrionario, in seguito sclerotico, che si origina dal connettivo interfascicolare del muscolo. La formazione dell'osso avviene direttamente dagli elementi connettivali, oppure attraverso uno stadio cartilagineo. Le fibre muscolari degenerano, ma anche in periodi avanzati se ne trovano di ben conservate fra le trabecole ossee. L'osso è circondato da una membrana simile al periostio; negli osteomi giovani esso è poco resistente, ma in quelli antichi può essere molto compatto; spesso contiene cavità cistiche piene di liquido siero-ematico o di una sostanza gelatinosa. La forma degli osteomi è variabile (rotonda, ovale, conica, piana, cilindrica) e così pure la grandezza; forma e grandezza dipendono dalla forma, dal volume, dalla funzione del muscolo e dall'entità del trauma. Gli osteomi sono in genere completamente intramuscolari e mobili sullo scheletro, ma se ne trovano di quelli fissati al periostio da peduncoli ossei.
In qualche caso può mancare qualsiasi manifestazione clinica; altre volte esiste limitazione, più o meno pronunziata, dei movimenti. Complicazioni possono essere dovute a compressione di vasi e nervi e a infezione. La diagnosi in genere non è difficile, la prognosi favorevole per la spiccata tendenza alla regressione spontanea. Per questo e per il fatto che, dopo un'eventuale asportazione, si ha spesso la recidiva, si tende oggi a preferire la terapia conservativa. L'asportazione va riservata ai casi molto antichi e a quelli che dànno disturbi gravi. La puntura o l'incisione degli ematomi post-traumatici, a scopo profilattico, non è consigliata da tutti; anche il massaggio, per favorire il riassorbimento del sangue stravasato, sembra, a molti, favorire anziché ostacolare la comparsa dell'ossificazione.
VIII. La miosite ossificante multipla progressiva è un'affezione abbastanza rara, caratterizzata da un'ossificazione del connettivo e dei muscoli che insorge senza cause apparenti. Secondo alcuni (R. Virchow) si tratterebbe di esostosi multiple di natura neoplastica, secondo altri di un'affezione infiammatoria, secondo altri ancora (S. Goto) di una semplice iperplasia del connettivo.
Le cause della malattia sono sconosciute. Il sesso non sembra avere importanza e neppure l'eredità. Le ricerche batteriologiche sono riuscite negative; l'importanza della sifilide è contestata. Le alterazioni di alcune ghiandole endocrine e specialmente delle paratiroidi, riscontrate in alcune autopsie, sarebbero non la causa della malattia, ma una conseguenza di prolungati stimoli funzionali, legati al ricambio del calcio, del quale in tali ammalati sembra vi sia una notevole ritenzione. Forse si tratta di un'anomalia costituzionale, consistente in un'esagerata vulnerabilità del periostio e del connettivo dell'apparato locomotore (F. Pinkus); oppure di un'insufficiente differenziazione del mesenchima per cui il connettivo muscolare conserva proprietà osteogenetiche. Per il fattore congenito depongono la comparsa della malattia nell'infanzia, la concomitanza di anomalie congenite delle mani e dei piedi, di deficienze nello sviluppo e nelle funzioni degli organi genitali, di ritardato sviluppo psichico. Cause occasionali delle successive tappe della malattia sono i traumi e, pare, i raffreddamenti. L'ossificazione colpisce i muscoli, le fasce, i tendini. Essa s'inizia con uno stadio che da alcuni è considerato infiammatorio, da altri di semplice iperplasia, caratterizzato da infiltrazione pastosa di un territorio muscolare, accompagnata alle volte da febbre leggiera e da dolori. Segue la formazione di un connettivo embrionale (indurimento fibroso), alla quale tiene dietro l'ossificazione metaplastica, diretta o indiretta. La malattia decorre ad accessi successivi, separati da periodi di sosta più o meno lunghi. Se ne distinguono una forma subdola ad andamento molto cronico e un'altra a decorso più rapido. Sono colpiti dapprima i muscoli del dorso e della nuca, poi quelli del petto, della masticazione, gli arti superiori. Gli arti inferiori restano immuni e così pure i muscoli mimici, quelli dell'occhio, della faccia, della laringe, dell'addome, la lingua, l'esofago, il cuore, gli sfinteri. L'ossificazione muscolare progressiva finisce con l'impedire qualsiasi movimento (uomo di pietra) e col determinare attitudini obbligate, come, p. es., l'avvicinamento, per ossificazione dei muscoli del cingolo scapolare, degli arti superiori alla faccia anteriore del tronco (atteggiamento della Venere dei Medici, secondo J. Copping). L'ossificazione dei muscoli masticatori rende, alla fine, impossibile la nutrizione. Per la mancanza dei movimenti, gli arti superiori si sviluppano meno degl'inferiori e il torace meno del bacino. L'incertezza e l'impossibilità dei movimenti espongono l'infermo a sempre rinnovati traumatismi (urti, cadute) che provocano l'insorgenza di nuovi focolai.
Negli stadî avanzati un errore diagnostico è quasi impossibile; in quelli iniziali la malattia può essere confusa con il reumatismo muscolare, la polineurite, la miosite ossificante circoscritta, la calcinosi interstiziale. Con quest'ultima le somiglianze possono essere tali, che W. Kerl ha sostenuto trattarsi di una stessa malattia del connettivo, con esito talvolta in calcificazione, tal'altra in ossificazione. Tale ipotesi non ha però trovato consenso. Tentativi di cura generale (iodio, bagni termali, tiosinamina, raggi X) hanno dato risultati contraddittorî. La cura operatoria è rivolta specialmente contro il serramento delle mascelle. P.-J. Clairmont con l'asportazione di due paratiroidi e di parte del timo, ha ottenuto un abbassamento della calcemia e un miglioramento delle condizioni generali, che però è stato transitorio.
IX. Parassiti. - Tra i vermi che possono infestare i muscoli il più importante è l'Echinococco, per il quale la localizzazione muscolare viene al settimo posto e rappresenta il 5% nella scala della frequenza.
Si tratta quasi esclusivamente di echinococco idatideo, essendo l'alveolare rarissimo. Quasi sempre solitario, di rado multiplo, predilige i muscoli del tronco a quelli delle estremità e del capo. La cisti si manifesta, dopo uno sviluppo che può durare anni, quando si fa accessibile alla vista e alla palpazione, come una tumefazione rotondeggiante, liscia, fluttuante, se di grandi dimensioni, che possono raggiungere quelle di una testa di adulto. Altri sintomi possono essere: atrofia muscolare, edemi (da compressione di grossi tronchi venosi), dolori nevralgici. La suppurazione non è rara e causa la morte del parassita. La diagnosi è difficile, per la possibile confusione con ascessi freddi, ernie muscolari, ematomi, gomme, neoplasmi. ll trattamento è esclusivamente chirurgico.
Il cisticerco (Cisticercus cellulosae) si localizza nei muscoli sotto forma di una vescicola piena di siero, intorno alla quale, a spese del connettivo interfascicolare, si forma una capsula.
Il verme può vivere così nel muscolo da tre a sei anni, dopo i quali muore e può calcificare. La cisticercosi muscolare può essere multipla, associata per lo più a quella degli organi interni. Ha poca importanza chirurgica. La prognosi dipende dalla presenza di parassiti nei visceri. Per la cura sono state proposte le iniezioni di sublimato, di iodio, di alcool, l'ago- e la galvano-puntura. L'estirpazione è indicata solo se il numero delle vescicole è limitato. Il cisticerco solitario è molto più raro. Predilige il muscolo pettorale, dove si manifesta come una tumefazione mal definita, che può raggiungere la grandezza di un uovo di gallina, dura, indolente. Suppura facilmente. La cura consiste nell'asportazione.
Rarissimo è il Diphyllobtrium mansoni (Cobbold), verme che può raggiungere i 20-30 centimetri di lunghezza e che nei muscoli dà luogo a tumori molli, nei quali il parassita non è incapsulato. La prognosi sembra favorevole. È stato osservato solo nel Giappone e in Cina.
Nei paesi tropicali si può localizzare nei muscoli la Filaria di Medina, Dracunculus medinensis Kelsch (Filaria medinensis Gmelin) del quale solo la femmina, che può raggiungere la lunghezza di 70-80 centimetri, interessa dal punto di vista chirurgico.
Nel muscolo la presenza del verme dà luogo a una tumefazione che finisee col suppurare, provocando nella pelle soprastante un'ulcerazione dalla quale il verme pende all'esterno. In questo periodo si osservano anche sintomi generali, sotto forma di febbre, abbattimento, nausee, cefalea, orticaria. Per lo più v'è un solo parassita, ma se ne possono osservare fino a una diecina e più.
Per quello che si riferisce alla cura, quando il parassita pende all'esterno dall'ascesso ulcerato, non v'è che continuarne l'estrazione, badando bene a non farlo rompere, perché gli embrioni in esso contenuti provocano nei tessuti pericolose infiammazioni. Per l'estrazione del verme a cute ancora integra, prima dell'incisione si può ricorrere con successo alle iniezioni di sublimato, di cocaina, di cloroformio, ecc.
Di scarso o di nessun interesse chirurgico è la trichinosi, nella quale i muscoli sono invasi dalla Trichinella spiralis Owen, alle volte in quantità enorme. Nel tessuto muscolare questi vermi provocano degenerazione, grassa e cerea, delle fibre e fenomeni infiammatorî, cui segue notevole atrofia. I parassiti incapsulati possono rimanere vivi per interi decennî, divenendo innocui per l'ospite. La trichinosi non è suscettibile di cura chirurgica.
X. Tumori. - I tumori dei muscoli possono essere primarî e secondarî.
Tumori primarî sono: 1) Il rabdomioma, piuttosto raro, formato di elementi striati, simili alle fibre muscolari embrionali. Alle volte fornito di capsula, ha decorso benigno, altre volte presenta invece accrescimento infiltrante e andamento maligno. La diagnosi è difficile. La cura consiste nell'asportazione. 2) Il fibroma, molto raro nel muscolo. La massima parte dei tumori descritti come tali derivano infatti dalle aponeurosi (tumori desmoidi), e una parte dei cosiddetti fibromi dei muscoli sono in realtà fibrosarcomi. 3) Il mixoma, che in realtà è sempre un mixosarcoma. Anzi per qualcuno (F. Durante) non si tratterebbe neanche di veri mixosarcomi, ma di sarcomi fortemente edematosi, che acquistano per questo un aspetto mixoide. 4) Il lipoma, non molto frequente come tumore realmente intramuscolare, mentre sono frequenti i lipomi intermuscolari. Si manifestano come tumefazioni a limiti indistinti, di consistenza più dura dei lipomi ordinarî; dànno disturbi quando raggiungono un notevole volume. Oltre i lipomi veri, sono stati descritti dei fibrolipomi e dei lipomi teleangectasici. La cura è chirurgica. 5) Il condroma, anch'esso raro, più spesso unico, ma che può essere anche multiplo. In alcuni casi è evidente l'origine da resti embrionali di cartilagine, in altri invece è più verosimile l'origine metaplastica. La diagnosi di certezza è difficilissima per la rarità del tumore, si tende piuttosto a pensare a una miosite ossificante. 6) L'osteoma, sul quale non regna affatto unità di vedute. Nella letteratura francese, p. es., col nome di osteoma muscolare viene indicata la miosite ossificante circoscritta; mentre secondo altre scuole (R. Minerrini, H. Küttner) alle neoformazioni ossee su base traumatica e infiammatoria non si può in alcun modo riconoscere carattere neoplastico. 7) L'emoangioma, che s'osserva più di frequente negli arti inferiori. Può raggiungere grandezza variabile, da quella di una ciliegia al volume del caso di A. Nast-Kolb che interessava tutto il piede e la gamba. In genere è solitario, ma ne sono stati osservati dei multipli, nello stesso arto e anche nello stesso muscolo. Se ne distinguono due forme: la teleangectasica e la cavernosa, quest'ultima più frequente. S'osserva più spesso nelle donne e l'età giovanile è più predisposta. L'importanza etiologica dei traumi non è da tutti riconosciuta. I tumori hanno consistenza variabile, sono compressibili, a superficie in genere liscia, talora lobata; se contenenti fleboliti, possono dare senso di crepitazione. Provocano dolori, spesso a tipo nevralgico. La mobilità e la forza dei muscoli interessati possono essere diminuite. La diagnosi è difficile; la prognosi quoad vitam favorevole; quella operatoria dipende dalla sede e dall'estensione del tumore. Per la cura viene in prima linea l'asportazione e, nei casi che non si prestano a un intervento radicale, potranno essere presi in considerazione metodi incruenti, e specialmente le iniezioni di alcool, la radioterapia, l'elettrolisi. 8) Il linfoangioma, che è rarissimo, forse per la scarsezza dei vasi linfatici nel tessuto muscolare. Di linfoangioma primitivo finora è stato descritto un solo caso. Più frequente, ma sempre raro, è quello secondario, che invade il muscolo dalle vicinanze. 9) Il sarcoma, che è il più frequente dei tumori del tessuto muscolare. Si osserva più spesso nell'uomo che nella donna, e, come tutti i sarcomi, a preferenza nell'età giovanile. L'etiologia è oscura. I traumi possono provocare la comparsa del tumore o affrettare il decorso di un sarcoma già esistente. A seconda del carattere, i sarcomi possono essere ben limitati dal tessuto circostante, sebbene di una capsula vera e propria non si possa parlare, oppure avere accrescimento infiltrante. Per lo più si tratta di forme globo- e fusocellulari; l'esistenza di un sarcoma gigantocellulare primitivo del muscolo è contestata. Le fibre muscolari circostanti al tumore si atrofizzano e degenerano; che gli elementi muscolari possano dare origine a cellule sarcomatose (sarcoma miogeno), è stato ammesso da parecchi studiosi (P. Grawitz, W. v. Waldeyer), negato da altri (R. Virchow, T. Billroth, M. W. H. Ribbert).
L'inizio è talora subdolo, talora, invece, il tumore si manifesta precocemente con dolori. In rari casi, di particolare malignità, l'insorgenza può essere così violenta da simulare un flemmone profondo. Il decorso è ugualmente variabile, in relazione alla ricchezza in elementi cellulari del tumore. L'accrescimento è continuo, ma si possono osservare casi di disseminazione. Come per tutti i sarcomi, le metastasi si verificano specialmente per via sanguigna. L'invasione dei polmoni può essere così rapida da simulare una polmonite (febbre sarcomatosa). La diagnosi è difficile (tumori benigni, affezioni sifilitiche, miosite ossificante e perfino flemmoni). La prognosi quasi sempre sfavorevole. La cura deve consistere nel trattamento radicale, sotto forma di asportazione totale del muscolo, se il tumore è ancora circoscritto a questo, e se la diffusione è maggiore, si amputerà. Nei casi inoperabili (metastasi, febbre) si può tentare la radioterapia.
I tumori secondarî sono sempre di natura maligna (sarcomi, carcinomi), tranne straordinarie eccezioni (mioma uterino, nel caso di O. Minkowski). Nel sarcoma secondario l'invasione del muscolo è frequente per i tumori che si originano nelle vicinanze di questi (ossa, fasce). L'invasione avviene attraverso i linfatici e attraverso i vasi sanguigni e specialmente le vene. Il melanoma primitivo dei muscoli non è stato finora descritto; quello secondario non è tanto raro. Sono state osservate tanto l'invasione per continuità, quanto la metastasi ematogena. Il carcinoma dei muscoli è sempre secondario, o per invasione dalle vicinanze o per metastasi. La frequenza nei varî muscoli dipende molto dalla sede del tumore primitivo; sono frequenti l'invasione delle masse muscolari della lingua, nel cancro di questa, e quella dei pettorali nel cancro della mammella. Le metastasi ematogene sono, nei muscoli, molto più rare. La diffusione del carcinoma nel muscolo può avvenire lungo i linfatici e le vene, attraverso il perimisio e anche per invasione delle guaine del sarcolemma. L'asportazione di muscoli invasi, o sospetti d'invasione, da parte del neoplasma, ha grande importanza, specialmente in alcuni cancri, come, p. es., quello della mammella.
XI. Le operazioni che più spesso si eseguono sui muscoli sono: la miotomia e cioè la sezione di un ventre muscolare allo scopo di ottenere un allungamento. È un intervento che oggi viene praticato di rado, preferendosi, finché si può, operare sui tendini. Unica indicazione la correzione di una contrattura congenita o acquisita; uno dei casi per cui più di frequente viene eseguita è il torcicollo congenito, per il quale si pratica la miotomia, seguita dalla mioplastica, del muscolo sternocleidomastoideo. Ideata come operazione sottocutanea (G. Dupuytren, G. F. L. Stromeyer, A. Codivilla), oggi viene eseguita esclusivamente a cielo aperto (A. W. Volkmann, T. Billroth). L'accorciamento dello sternocleidomastoideo (del lato sano) è stato egualmente consigliato (L. Wullstein) per la cura del torcicollo. Per le operazioni sui muscoli dell'occhio, v. strabismo.
Col nome di trapianto muscolare (mioplastica) s'intende lo spostamento di un muscolo o di una parte di esso, allo scopo di sostituire la funzione di un altro muscolo paralizzato o mancante. In molti casi, e specialmente per la mano e il piede, si preferisce però eseguire i trapianti sui tendini. Per i muscoli, la tecnica consiste nel creare al muscolo valido, debitamente preparato e spostato, un nuovo punto di attacco, in corrispondenza dell'inserzione del muscolo paralizzato, la cui azione si vuole sostituire. La fissazione è per lo più diretta, al tendine o al periostio, ma può essere anche mediata, per mezzo di anse di seta, o meglio di lembi aponeurotici. Operazioni sui muscoli richiedono anche le operazioni di cineplastica (v.) alla Vanghetti. Trapianti liberi di tessuto muscolare furono in passato tentati allo scopo di sostituire parti di muscoli andate perdute, ma con risultati costantemente negativi. Oggi essi vengono utilmente impiegati a scopo emostatico, specialmente in chirurgia cranica.
Bibl.: L. Ombredanne, Muscles, ecc., in Nouveau traité de chirurgie, IX, Parigi 1907; H. Küttner e F. Landois, Die Chirurgie der quergestreiften Muskulatur, parte 1ª, Stoccarda 1913; H. Küttner e E. Eichoff, Die Chirurgie der quergesetreiften Muskulatur, parte 2ª, Stoccarda 1929; R. Minervini, Malattie e chirurgia dei muscoli, in Trattato italiano di chirurgia, Milano.
Antropologia.
I primi lavori sull'antropologia dei muscoli furono pubblicati nel 1872 da Th. Chudzinski, emigrato polacco, collaboratore di P. Broca e preparatore alla scuola d'antropologia di Parigi. Allo sviluppo di questa scienza hanno contribuito: J.-L. Testut, S.-J. Pozzi, C. Giacomini, A. Macalister, W. L. H. Duckworth. F. Birkner, A.-F. Le Double, H. von Eggeling, B. Adachi, E. Loth, e altri. Essi hanno utilizzato anzitutto cadaveri di razze di colore che capitavano di quando in quando nelle sale anatomiche sia in Europa sia nell'America Settentrionale. Dapprima si cercarono negli uomini di colore differenze e anomalie che non esistevano presso gli Europei, ma naturalmente senza ottenere risultati notevoli. Col progredire dell'anatomia comparata e delle ricerche sui Primati, parecchi autori poterono dimostrare che le differenze muscolari tra le razze sono facilmente rilevabili, se l'esame è fatto per serie, valendosi di alcuni caratteri anatomici il cui valore morfologico, dal punto di vista dell'anatomia comparata, è ben noto.
Gioverà cominciare dai muscoli pellicciai, la cui filogenesi è conosciuta abbastanza bene. Presso i Lemuridi la testa è ancora coperta da uno strato muscolare che proviene dal pellicciaio; ma già nei Platirrini il differenziamento s'orienta verso una divisione tra una parte labiomentale, una zigomatico-orbitaria e una craniale. Sebbene il disegno generale dei muscoli cambi enormemente tra i Primati, i muscoli pellicciai degli Antropomorfi sono tuttavia rimasti abbastanza primitivi: i pellicciai del collo s'incrociano sul mento; il triangolare, muscolo assai debole, che appare per la prima volta nei Platirrini, resta sempre poco sviluppato e il suo derivato, il risorio, manca ancora; il grande e il piccolo zigomatico nella parte zigomatico-orbitale, il muscolo quadrato del labbro superiore e l'orbicolare sono ancora poco differenziati e formano uno strato unico. Inoltre il pellicciaio del collo mantiene il suo orientamento orizzontale e raggiunge la regione della nuca, ecc.
È interessantissimo constatare che nelle razze umane primitive i muscoli pellicciai somigliano molto a quelli degli Antropomorfi. D'altra parte tra gli uomini primitivi e le razze meglio sviluppate, come gli Europei, alcune razze gialle, ecc., esiste una differenza considerevole. Essa si manifesta non solo con un migliore differenziamento ddle fibre muscolari, ma anche con la formazione d'elementi nuovi. Per es., il muscolo triangolare, originariamente debole, si mantiene piccolo nei Primati e anche nelle razze umane primitive; invece presso i Gialli come i Giapponesi e i Cinesi, esso arriva alla forma d'un ventaglio aperto. Nello stesso tempo si osserva che una parte delle sue fibre si dissocia e forma un muscolo nuovo: il risorius (R); si constata così nel genus homo la formazione d'elementi recentissimi che non esistevano nei Primati. Questo fenomeno non è uniforme in tutte le razze umane: presso alcune il risorius è ancora un'eccezione, presso altre è così frequente da doversi considerare normale. Il muscolo risorius esiste nelle seguenti percentuali: Primati, o%: Australiani, 17%; Melanesiani, 23%; Ottentotti, 29%; Berberi, 60%; Hereros 66%; Europei 81%; Giapponesi, 82%; Cinesi, 83%.
Le fibre del muscolo triangolare, oltre a formare il risoriu, formano anche un altro muscolo sotto il mento: il muscolo trasversale del mento (m. transversus menti) che è stato osservato anche negli Scimpanzè. Esso è raro tra i primitivi, ma è frequente nelle razze più sviluppate, come si rileva dalle cifre seguenti. Il m. transversus menti esiste presso le varie razze nella percentuale d'individui indicata per ognuna: Scimpanzè 18 o Australiani 17%; Berberi 30%, Melanesiani 40%; Negri 76%; Europei 78%; Giapponesi 88%; Ebrei 90%.
La siatistica dimostra dunque che tra le razze umane le differense filogeniche sono enormi. Ma esiste inoltre una quantità di particolar; che non possono essere misurati e di cui nan si può calcolare la percentuale: sono differenze puramerite descrittive del pellicciaio e dei muscol; mimetici. Valga come esempio il caso del muscolo detto orbicularis oris, la cui massa presenta grande differenza tra un Papua dalle labbra carnose e rovesciate in fuori e un Polinesiano o un Europeo dalle labbra sottili e non rovesciate (fig. 26). Lo stesso si dica per le differenze d'origine raziale nella regione orbito-malare, differenze che interessano soprattutto il grande e il piccolo zigomatico, il quale esiste, nelle razze di colore, sotto forma di strato unico (fig. 25).
Così il quadratus labii superioris e il procerus nasi, originariamente fuso con i muscoli precedenti, ecc., offrono nelle razze umane grande ricchezza di particolari morfologici.
Sono anche da accennare le diverse forme del muscolo orbicularis oculi, nel quale le larghezze superiore, laterale e inferiore sono talmente variabili, che si è creduto di poter identificare alcune razze solo basandosi su questo muscolo.
Anche sulla vòlta cranica il frontalis, gli auriculares e l'occipitalis permettono d'indicare alcuni caratteri interessanti.
La faccia con i suoi muscoli mimetici molto differenziati è una vera miniera d'indagini sotto l'aspetto antropologico. Ma è ancora più facile constatare le accennate differenze sulle altre parti del corpo umano, sia sul tronco sia sugli arti. Tra i muscoli del tronco si trova, p. es., lo sternalis che non esiste ancora nei Primati. Nell'uomo esso è stato constatato non solo esaminando cadaveri, ma anche su serie d'individui viventi, presso cui si sono trovate, relativamente all'esistenza dello sternalis, le seguenti percentuali: Indù 0,0%; Negriti 3,6%; Europei 3,7%; Berberi 6,0%; Negri 13,0%; Giapponesi 13,1%; Cinesi 15,4%; Feti anencefali 45,0%.
Si tratta dunque di un muscolo progressivo in pieno sviluppo. Ma d'altra parte si possono trovare muscoli trasformati durante la filogenesi, sui quali è possibile osservare sia caratteri progressivi sia caratteri primitivi (figg. 25-29).
Prìmo esempio che ci si offre è il gran pettorale. Esso si compone di tre parti: la clavicolare, la costo-sternale e l'addominale. L'insieme del muscolo tende a raccorciarsi e le inserzioni costali si spostano sempre più nella direzione craniale, secondo il prospetto seguente: Scimmie, 10-9-8-7; Gorilla, 8-7-6; Scimpanzè, 8-7-(6); Gibbone, 7-6-(5); Uomo, 7-6-5.
La parte clavicolare è progressiva: nei Primati non esiste ancora, negli Antropoidi è in pieno sviluppo. Invece la parte addominale è in diminuzione. Nei Lemuri (fig. 28) essa è ancora enorme e costituisce da sola una massa quasi uguale a tutto il resto del muscolo; ma durante la filogenesi si riduce sempre più fino a sparire negli Antropoidi. È presente sempre nel Gorilla, manca di rado nell'Orango e qualche volta nello Scimpanzè. Nell'uomo è presente nel 65% dei casi e manca nel 35%. Ma il più progredito, sotto questo aspetto, è il Gibbone, in cui questa parte del muscolo è scomparsa del tutto, risultando mancante nel 100% dei casi.
In tal modo è possibile osservare nello stesso tempo sopra un medesimo muscolo caratteri primitivi (raccorciamento e diminuzione della parte addominale) e caratteri progressivi (sviluppo della parte clavicolare).
Esaminando ora il grande retto dell'addome (m. rectus abdominis), si constata che le sue intersezioni tendinose corrispondono dapprima (nei Rettili) ai metameri del tronco. Poi tali intersezioni scompaiono a poco a poco formando un sincizio muscolare.
Tra i Primati questo processo conduce a una riduzione da 8 a 2 (1) nel numero delle intersezioni, secondo i dati seguenti: Proscimmie 9-6; Platirrini 9-6; Catarrini 9-6; Gorilla 6-4; Scimpanzè 5-4; Gibbone 6-3; Orango 5-3; Uomo 5-2 (1).
Dunque il muscolo con cinque intersezioni presenta un carattere più primitivo di quello che ne ha solo due. Sotto questo aspetto, le differenze razziali sono abbastanza notevoli:
Ciò che è normale negli Europei (3 intersezioni) costituisce solo una varietà nelle razze di colore, e viceversa.
I due esempî del gran pettorale e del grande retto dell'addome costituiscono entrambi prove di raccorciamento dei muscoli del tronco.
Esaminiamo ora gli arti. È possibile constatare differenze anche in individui viventi e ciò consente di compiere ampie serie di osservazioni. Cominciando dal muscolo palmaris, il cui tendine è visibile nella regione carpale, si constata che esso è assente secondo le seguenti percentuali: Primati o%; Gibbone 0%; Orango o%; Scimpanzè 5%, Uomo 2-2,5%; Gorilla 8,5%; Cinesi 2,9%; Indiani 3,2%; Giapponesi 3,4%; Negri 5%; Berberi 10,0%; Inglesi 18,0%; Francesi 25%; Anencefali 42%.
Si tratta dunque d'un muscolo che è sempre presente nei Primati e comincia a ridursi solamente negli Antropoidi. Tuttavia la tabella dimostra che la riduzione non si generalizza normalmente, ma varia tra le razze dal 2% al 25%, pure mantenendo la massima frequenza nei feti anormali anencefalici.
Il contrario si può dimostrare sopra un muscolo della gamba, il peronaeus tertius, il quale è un muscolo progressivo ancora assente nei Primati e che negli Antropoidi si distacca dall'estensore delle dita (musculus extensor digitorum communis). Ma nell'uomo esso è già divenuto un muscolo normale, che manca assai raramente. Siccome il suo tendine è visibile negl'individui viventi, è possibile osservare considerevoli serie di razze.
La seguente statistica indica in quale misura il peronaeus tertius è presente: Primati 0%; Scimpanzè 5%; Gorilla 30%; Berberi 76%; Cinesi 81%; Negri 84%; Europei 92%; Giapponesi 95%; Papua 100%.
Il caso del peronaeus tertius è nettamente diverso da quello del palmaris: esso è un muscolo che si forma nei Primati, ma non raggiunge ancora lo stato normale; l'altro invece è un muscolo che raggiunge quasi il massimo limite possibile di sviluppo e arriva alla percentuale del 100%.
Gli esempî sopra citati permettono di constatare che ai fini dell'antropologia dei muscoli, bisogna esaminare ampie serie di soggetti. Le diversità osservate sono di carattere differentissimo: alcune sono molto antiche sotto l'aspetto della morfologia comparata e si possono constatare anche negli Anfibî e nei Rettili, come, p. es., le intersezioni del grande retto dell'addome (variazioni paleofilogeniche); altre sono più recenti e si formano tra i Mammiferi o tra i Primati (variazioni genetiche). Ma più spesso ancora si tratta di differenze constatabili per la prima volta nelle scimmie antropomorfe, quali l'assenza del palmaris, l'esistenza del peronaeus tertius: sono, cioè, variazioni antropogeniche. Infine esistono differenze caratteristiche soltanto dell'uomo (variazioni eugeniche). Rispetto a questa classificazione che consente di calcolare il valore morfologico delle differenze, si ottengono press'a poco le cifre seguenti:
La maggior parte delle variazioni (60%) sono dunque di origine relativamente recente e sono quelle che meglio si prestano per l'esame antropologico.
Sotto l'aspetto della filogenesi e dell'ontogenesi, le varie parti del corpo umano non sono uguali: il tronco e il collo sono le regioni più antiche e perciò le più stabili, ossia con variabilità solo occasionale; più recenti sono gli arti e soprattutto la testa e il viso.
Questa differenza filogenica e ontogenica influisce evidentemente sulla variabilità. Sul tronco e sul collo, parti molto stabili del corpo, le differenze raggiungono appena una frequenza da 1% a 9% e raramente questa percentuale si eleva fino a 20% o 30%. Ma nelle altre parti del corpo più recenti e meno stabilizzate, cioè negli arti e nel volto, la variabilità è più considerevole: dal 44% al 100%.
Ora per l'antropologia dei muscoli, le differenze che hanno maggior valore sono quelle recenti antropogeniche o eugeniche; e innanzi tutto fra le parti del corpo meno stabilizzate si debbono quindi cercare le differenze antropologiche.
Non si è ancora accennato alle variazioni progeniche, che sono ancora più avanzate di quelle eugeniche. Si conoscono alcuni caratteri muscolari più progrediti negli Antropoidi che nell'uomo. Per esempio, nel Gibbone la parte addominale del gran pettorale manca nel 100% dei casi (nell'uomo, nel 35% dei casi; fig. 28). Bisognerebbe quindi ammettere come conseguenza che, quanto a struttura muscolare, gli Antropoidi possano essere talvolta più progrediti dell'uomo. Esaminando però sotto questo aspetto tutti i caratteri più progrediti, si constata che la progenesi appare in realtà fra tutti gli Antropoidi nelle percentuali seguenti: Gibbone 6% di caratteri; Scimpanzè 10%; Orango 10%; Gorilla 13%; Uomo 60%.
Ciò significa che l'uomo è molto più progredito degli altri Antropoidi e che, per conseguenza, il suo apparato muscolare è differenziatissimo.
L'esame antropologico dei muscoli può avere grande importanza per la biologia generale, per l'aspetto esterno e per l'eredità dell'uomo. Sui muscoli si può, p. es., osservare con notevole precisione il processo di raccorciamento del tronco (fig. 30). Il grande pettorale, il grande retto, l'obliquus externus, il latissimus dorsi sono muscoli che si raccorciano sensibilmente nella filogenia. Invece altri muscoli s'allungano: p. es., il serratus anterior, l'obliquus internus, il trapezius, ecc.
È notevole che talora muscoli non solo vicini, ma anche simili tra loro, presentino tendenze assolutamente opposte, come è il caso dell'obliquus externus e dell'obl. internus, del latissimus dorsi e del trapezius, ecc.
L'aspetto esteriore dell'uomo è dovuto principalmente alla muscolatura, e si comprende che le differenze muscolari si riflettano sempre nella forma esterna. Così, p. es., una scarsa differenziazione dei muscoli pellicciai darà luogo a un volto poco espressivo e poco animato, simile a una maschera, come se ne vedono spesso tra gli uomini di colore. Il modo di ridere muta moltissimo con le differenze del risorius. Quando il triangolare e il risorius sono eccessivamente sviluppati, sul volto si nota quasi sempre un sorriso sardonico, come p. es. nei Cinesi. E non solo sul volto, ma anche sugli arti si possono indicare differenze di forma determinate dai muscoli. Si pensi, ad es., al musculus gastrocnemius e alla forma del polpaccio. Si è parlato spesso della snellezza del polpaccio e della forma affusolata che si notano nelle gambe dei Negri della Nubia, dell'Etiopia e dell'Australia. La forma attenuata del polpaccio dipende, in tali popolazioni, dai muscoli gemelli che sono più gracili e hanno fibre muscolari piuttosto lunghe. La circonferenza del polpaccio in rapporto alla lunghezza della tibia presenta differenze considerevoli.
I problemi d'ereditarietà nei muscoli possono essere studiati solo su individui vivi, altrimenti non è possibile osservare più d'una sola generazione. Bisogna quindi scegliere i problemi secondo le possibilità: per es., in una famiglia osservare la presenza o l'assenza del tendine del palmaris longus, del peronaeus tertius, dello sternalis, la forma diversa dei gemelli, ecc.
La fig. 31 mostra esempî d'assenza del palmaris longus da uno o da entrambi i lati, secondo osservazioni fatte sui Bianchi e sugl'Indiani dell'America Settentrionale.
Altro esempio è costituito dall'ereditarietà dello sternalis, osservata in parecchie famiglie.
Nell'avvenire sarà indubbiamente possibile studiare non solo alcuni caratteri dell'ereditarietà, ma anche la prevalenza di diversi muscoli umani.
L'antropologia deve il proprio sviluppo alla relativa facilità di compiere osservazioni su individui viventi; inoltre essa ha potuto raccogliere grandi serie di cranî, in modo che la craniologia è divenuta la parte più fortunata dell'antropologia.
Ma le difficoltà di ottenere il materiale necessario all'osservazione dei muscoli sono enormi; tali osservazioni si limitano perciò principalmente al materiale dei cadaveri sui quali sia stata praticata l'autopsia o che vengano esaminati nelle sale anatomiche. Del resto, fino a epoca recente si mancava di metodi d'osservazione abbastanza precisi. Perciò molti lavori compiuti non da scienziati, ma da studiosi occasionali, sono assolutamente privi di valore scientifico.
Recentemente lo studio antropologico dei muscoli ha potuto giovarsi dell'opera metodica di E. Loth, Anthropologie des parties molles (Muscles, intestins, vaisseaux, nerfs periphériques), Varsavia-Parigi 1931. Ivi è citata tutta la letteratura sull'antropologia dei muscoli.
Questo nuovo ramo di scienza si sviluppa in modo considerevole assai rapidamente, e la letteratura anatomica e antropologica è piena di articoli e di lavori che lo riguardano. Sebbene nella letteratura italiana non siano numerose le opere puramente antropologiche sui muscoli, anche per la rarità con cui si presentano in Italia cadaveri d'uomini di colore, tuttavia è abbastanza considerevole il numero degli scienziati che hanno contribuito allo sviluppo di questa scienza, sia con la dissezione d'individui di colore, sia con analisi più o meno specializzate della filogenia e della variabilità dei muscoli. Senza pretendere di dare un elenco completo, si ricordano: A. Austoni, N. Beccari, D. Bertelli, R. Bertelli, A. Bovero, E. Celli, L. Cipriani, C. Giacomini, J. Kazzander, F. Livini, R. Locchi, L. Meineri, G. Oselladore, S. Pozzi, G. Romiti, A. Ruffini, G. Sperino, P. Zamini, ecc.
Recentemente le scuole d'anatomia di Padova, Milano e Sassari si sono specializzate nello studio di problemi assai vicini all'antropologia dei muscoli.