sistema fiscale
L’insieme dei prelievi obbligatori imposti dai diversi livelli di governo ai propri cittadini-contribuenti, in origine per il finanziamento delle spese pubbliche, successivamente anche per finalità di stabilizzazione economica (➔ politica economica p), allocazione delle risorse (per es., favorire il risparmio o gli investimenti, ovvero penalizzare condotte non desiderabili, come inquinamento e tabagismo) e ridistribuzione del reddito (➔ ridistribuzione). Secondo la teoria economica (➔ Musgrave, Richard Abel), vi sono caratteristiche peculiari che un s. f. dovrebbe possedere: l’equità (equanime distribuzione del carico fiscale), l’efficienza (minimizzando le distorsioni allocative in mercati che, in assenza di tassazione, sarebbero efficienti), la coerenza (eliminando le interferenze tra interventi che perseguono finalità equitative o allocative), la versatilità (utilizzando la politica di bilancio per obiettivi di stabilizzazione e crescita economica), la fruibilità (gestione delle imposte imparziale, obiettiva e comprensibile per il contribuente), l’economicità (riducendo i costi di riscossione e di pagamento dei tributi).
Il s. f. italiano nacque con la riorganizzazione degli apparati amministrativi e con l’estensione delle normative tributarie degli Stati preunitari. Nonostante l’ordinamento finanziario postunitario fosse stato mutuato in prevalenza dal Regno di Sardegna (in particolare, la centralità delle imposte sugli affari), fu conservato ed esteso il sistema di riscossione delle imposte dirette del Lombardo-Veneto, così come il sistema delle Intendenze di finanza del Granducato di Toscana. Tale configurazione, sopravvissuta sino alla riforma Cosciani-Visentini degli anni 1970 (➔ tributaria, riforma), ha consentito la moltiplicazione dei prelievi sui medesimi presupposti impositivi e la sovrapposizione degli apparati amministrativi, con l’incapacità, da parte dello Stato centrale, di utilizzare il gettito per finalità di politica economica. Infatti, la pressione fiscale in quegli anni era concentrata, perlopiù, su tributi propri locali. La riforma Cosciani-Visentini ha riorganizzato il prelievo fiscale, focalizzando quest’ultimo su un numero limitato di tributi erariali e assoggettando la finanza pubblica locale ai trasferimenti erariali. Tale impostazione, connaturata al ruolo centrale svolto in quegli anni dallo Stato nell’economia, ha registrato una progressiva inversione di tendenza a partire dagli anni 1990. In tale periodo storico, infatti, si realizzava il decentramento delle funzioni amministrative statali in favore degli enti territoriali (per es., nell’assistenza, nei trasporti locali, nella formazione professionale). A tale processo si è affiancata una maggiore autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Il primo intervento normativo in tal senso è stato fatto nel dicembre 1997 con la riforma Visco (d. legisl. 446/1997) che ha istituito l’IRAP (in sostituzione dei contributi sanitari) e ha riconosciuto alle Regioni il potere di esigere aliquote addizionali sull’IRPEF. Il sistema di addizionali comunali sull’IRPEF è stato introdotto nel 1998, invece, dal d. legisl. 360/1998. Il rafforzamento dell’autonomia finanziaria locale è proseguito, inoltre, con il d. legisl. 56/2000, che ha soppresso i trasferimenti regionali, riconoscendo agli enti territoriali il diritto di compartecipazione sul gettito IVA.
L’esplicito riconoscimento dell’autonomia finanziaria degli enti locali è avvenuto, tuttavia, con la riforma dell’ordinamento in chiave federale, tramite la l. Cost. 3/2001, riforma del titolo V della Costituzione (➔ Costituzione italiana, riforma del titolo V della). Tale riforma ha rinnovato l’art. 119 Cost., disciplinando il cosiddetto federalismo fiscale (➔ federalismo), che ha assegnato ai Comuni, alle Province, alle città metropolitane e alle Regioni tributi propri, nonché la compartecipazione al gettito tributario raccolto sul territorio. La l. Cost. 3/2001 ha anche disposto una maggiore proporzionalità tra le imposte raccolte sul territorio e la spesa pubblica locale. Per agevolare l’esercizio delle funzioni amministrative da parte degli enti caratterizzati da minore capacità fiscale, è stato istituito un fondo perequativo interregionale (➔ perequazione). L’attuazione del federalismo fiscale è demandata alla l. 42/2009. In virtù delle deleghe ivi contenute, sono stati approvati i decreti attuativi su: federalismo demaniale (beni patrimoniali da assegnare agli enti locali per valorizzarne la funzione), fabbisogni standard (criteri per determinare i trasferimenti centrali, in ragione dei parametri relativi alle altre realtà locali), incentivi e penalizzazioni per il rispetto del patto di stabilità interno (➔ bilancio pubblico; patto di stabilità interno), l’ordinamento di Roma capitale. I decreti sul federalismo municipale (d. legisl. 23/2011), provinciale e regionale (d. legisl. 68/2011) dettano i principi di finanza pubblica che l’ente locale deve rispettare e istituiscono i tributi propri. Di rilievo è la creazione di una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.