COMI, Siro
Nacque a Pavia il 9 dic. 1741 da Carlo Giuseppe, originario di Ligometto nel Canton Ticino, e da Maria Maddalena Maderna. Rimasto ben presto orfano di padre, fu preso sotto la protezione di Ippolito Maggi, un alto funzionario governativo, che ammirandone le qualità intellettuali lo aiutò nel proseguimento degli studi. Dopo aver studiato grammatica, umanità e retorica presso il locale collegio dei gesuiti sotto la guida del padre Anton Luigi Carli, milanese, traduttore in versi, oratore e autore di iscrizioni latine, compì gli studi superiori di filosofia presso i domenicani del collegio S. Carlo, ove ebbe come maestro Siro Severino Capsoni. A questo e al suo esempio sono senz'altro da far risalire la passione per le raccolte documentarie, l'interesse per la storia letteraria municipale, il culto della "patria" pavese, che costituiscono gli aspetti salienti della personalità culturale del C. maturo, ma che sono già presenti negli anni delle sua formazione. Divergente, rispetto al Capsoni, ma soprattutto rispetto ai tre fratelli del C., che scelsero tutti di indossare l'abito ecclesiastico, fu invece la decisione di dedicarsi agli studi legali e di intraprendere la professione di notaio, che non aveva precedenti in famiglia. Questa circostanza nocque, anzi, al C. che, dopo aver conseguito presso l'università di Pavia la "licenza" prescritta dal nuovo ordinamento teresiano del 1771, dovette scontare l'ostilità del Collegio notarile pavese, che era, apertamente contrario ad immettere "uomini nuovi" nella professione.
Conosciuto nel ristretto ceto colto pavese per alcuni componimenti in versi di tipo celebrativo e per l'eleganza del suo latino, nel 1772 egli fu ammesso a far parte dell'Accademia degli Affidati, che faceva capo al marchese Giuseppe Belcredi e di cui era membro lo stesso Capsoni. Qui si distinse ben presto con un lavoro che godette di un certo favore: la traduzione in versi del Pigmalione, scena lirica scritta e parzialmente musicata da J.-J. Rousseau nel 1770. Il monologo, pubblicato nel 1775 a Pavia, fu stampato di nuovo nel 1799 e venne più volte rappresentato, andando in scena ancora nel 1805. Dopo essersi nuovamente cimentato con la traduzione di un lavoro teatrale (La subordinazione militare, Pavia 1778) e aver intrapreso per qualche tempo l'attività di stampatore, abbandonò la produzione letteraria e si orientò decisamente verso gli studi di erudizione municipale, senza rinunciare per altro all'esercizio dell'elegante prosa latina.
Il primo scritto del nuovo genere, pubblicato a Pavia nel 1783, era una confutazione delle tesi di coloro - come l'abate Angelo Teodoro Villa, il Tiraboschi, il Bettinelli e il Mazzuchelli - che avevano messo in dubbio l'appartenenza dell'umanista F. Filelfo all'archiginnasio di Pavia (Franciscus Philelpus Archigymnasio Ticinensi vindicatus).Ma la dimostrazione della permanenza del Filelfo nella città diventava in realtà l'occasione per ripercorrere tutta la storia dell'insegnamento pubblico pavese dai Carolingi fino a Galeazzo II Visconti, nell'intento di affermare la continuità di una tradizione di studi - anche giuridici - non inferiore a quella dei centri più noti (come Bologna). A quest'opera, che fu favorevolmente recensita sul Giornale della letteratura europea di Milano (12 sett. 1783) e che gli meritò l'elogio ufficiale del "governo" cittadino, fece seguito uno scritto essenzialmente storico-bibliografico, le Ricerche storiche sull'Accademia degli Affidati e sugli altri analoghi stabilimenti di Pavia (Pavia 1792). Nell'intento del C. l'operetta avrebbe dovuto costituire il primo saggio di un più vasto repertorio, ordinato alfabeticamente, degli scrittori pavesi. Ed è probabilmente a questo progetto che allude nel 1785 il Capsoni nella prefazione al secondo tomo delle sue Memorie istoriche quando descrive il C. intento ad una vasta opera di raccolta documentaria. Ma tale ambizioso piano non venne realizzato, anche se il C. non smise mai di dedicarsi alle ricerche di storia letteraria.
Già negli anni giovanili il C. aveva coltivato, insieme con quelli letterari, studi di paleografia e diplomatica. Nel 1786, in considerazione della sua particolare competenza in questa disciplina, la città di Pavia l'aveva nominato ordinatore dell'Archivio della Congregazione municipale. È la conferma di una stima, che però non si limitava all'ambiente pavese e all'aristocrazia colta di quella città. Legami di solidarietà intellettuale (e forse anche politica) il C. li aveva con gli ambienti stessi della capitale e con alcuni alti esponenti in particolare del ceto di governo. Carlo Fenaroli, nel 1793, avrebbe desiderato averlo come proprio segretario particolare a corte e si rammaricava che questa incombenza fosse incompatibile con la carica di archivista municipale. Il conte di Wilzeck, ministro plenipotenziario, lo gratificava delle sue attenzioni, tanto che nel 1794 il C. ricevette un cospicuo aumento "ad personam" del salario di archivista. Nello stesso anno gli fu commissionata la cura dell'archivio degli oratori e sindaci della provincia pavese, compito delicato che il Fenaroli si augurava potesse stimolare il C. a compiere ricerche sull'intricata materia delle prerogative dei corpi pubblici locali e della Congregazione dello Stato.
Gli eventi del 1796 e degli anni immediatamente successivi lo distrassero, ma soltanto in parte, dall'attività archivistica e diplomatica, che aveva assunto nel suo lavoro una parte preponderante. Scelto in un primo tempo dai Francesi come membro della nuova municipalità, nel 1798 fu però destituito dall'ufficio di archivista essendosi negato al giuramento repubblicano. Ciononostante la municipalità pavese, su istanza dell'avvocato Camillo Campari, gli affidava nello stesso torno di tempo l'incarico di sistemare le carte e le pergamene delle corporazioni religiose soppresse, incombenza che il C. continuerà ad assolvere per anni fino al completo riordinamento del Diplomatico pavese e al suo versamento nell'Archivio di S. Fedele a Milano (1813). Reinsediato nel suo ufficio di archivista municipale dagli Austro-russi e nominato dal conte Cocastelli regio censore per Pavia, patì nuovamente la perdita del posto con l'avvento della seconda Cisalpina, ma venne prontamente riabilitato nel 1802 e delegato anche al riordinamento delle carte dell'ospedale civico di Pavia. Dimessosi ben presto da questo incarico e giubilato nel 1803, su sua richiesta, dalla carica di archivista municipale, il C., che nel 1802 aveva ricevuto dal ministro dell'Interno l'incarico ufficiale di sovrintendere all'Archivio diplomatico pavese, era entrato nel frattempo in stretti rapporti con Luigi Bossi, da poco prefetto delle biblioteche e degli archivi della Repubblica. Questi, contando di impiegare le doti di studioso del C. per le iniziative che si stavano apparecchiando a Milano, nel 1803 gli fece conferire la carica di vicebibliotecario alla Braidense, per la quale si stava apprestando un nuovo "piano d'organizzazione"; contemporaneamente lo candidava per l'ordinamento dell'Archivio diplomatico che, col pieno consenso del Melzi, progettava di concentrare nella capitale. Ma il C., invocando ragioni di famiglia, non volle allontanarsi da Pavia, dove lo trattenevano anche incarichi di natura politica (dal 1802 era amministratore municipale); e si offrì piuttosto di promuovere e curare la costituzione di un archivio dell'università, unificando le carte dei soppressi collegi dei giurisperiti e dei medici, nonché tutti gli antichi documenti concernenti lo Studio pavese rintracciabili nell'Archivio municipale, nel Vescovile e nel Diplomatico. Destinato ufficialmente a questa operazione nel 1804 col placet del rettore Scarpa, fu da questo invitato anche a compilare una storia dell'ateneo pavese. Ma l'opera, approvata dal governo, non ebbe seguito, così come non fu edito il repertorio dei letterati pavesi che (Oldelli, p. 75), era già "disposto per i torchi" nel 1807. Assorbito dalla cura dell'Archivio universitario (cui continuerà a dedicarsi sporadicamente fino al 1816 pur essendosi dimesso dall'incarico nel 1808) e dal Diplomatico pavese (nel 1809 aveva raccolto e ordinato più di 7.500 pergamene), il C., che con l'aiuto del Bossi si era fatto diligente raccoglitore delle più antiche edizioni pavesi, nel 1807 diede alle stampe in Pavia le Memorie bibliografiche per la storia della tipografia pavese del secolo XV.
Allo stesso periodo risalgono alcune opere di stampo prettamente erudito, in cui il C. metteva a frutto le sue ampie ricerche documentarie: la Memoria storico-diplomatica sul diritto del pubblico di Pavia al deposito e all'arca del gran vescovo d'Ippona, sant'Agostino (Pavia, 1803), ripubblicata l'anno successivo con nuovi ragguagli in risposta: alle obiezioni del capitolare della cattedrale di Pavia (Il diritto e possesso del pubblico di Pavia sul deposito e sull'arca di sant'Agostino, vescovo d'Ippona) e la Memoria storico-critica sopra Severino Boezio (Venezia 1812).
Morì a Pavia l'8 sett. 1821.
Fonti e Bibl.: Pavia, Bibl. univ., Mss. Ticinesi, 31, 38, 148, 267, 381, 439, 441; Ibid., Miscell., Belcredi, t. 25, n. 19: Poesie varie ed iscrizioni di cose e persone pavesi; Arch. di Stato di Milano, Uffici civici p. m., 154; Ibid., Autografi, 122; G. A. Oldelli, Dizionario storico-ragionato de gli uomini illustri del Canton Ticino. Lugano 1807, pp. 73-76; L. Bossi, Notizie compendiose della vita e degli studi di S.C., Milano 1822; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, II, Venezia 1835, p. 354; A. Corbellini, Ninfe e pastori sotto l'insegna dello "Stellino", in Boll. della Soc. Pavese di storia patria, IX (1909), pp. 188, 23-234, 238 s.; S. Manfredini, L'Accad. degli Affidati e le sue leggi, ibid., IX (1909), pp. 74 s.; M. De Bernardi, Un secolo di erudiz. pavese (1750-1850), ibid., n.s., I (1936), 3-4, pp. 35- 62; V. Inzaghi, Storia di Pavia, III, Pavia 1976, pp. 217, 258.