CORBARI, Sirio (Silvio)
Nacque a Faenza il 10 genn. 1923 da Domenico e da Anna Ciani. Operaio meccanico, era anche noto negli ambienti sportivi come giocatore di calcio. Nel 1942 fu chiamato alle armi e destinato al 70 reggimento pontieri. L'8 sett. 1943 lo colse a Faenza, dove si trovava in licenza di convalescenza e dove fu coinvolto nei convulsi avvenimenti che seguirono l'annuncio dell'armistizio. Accusato di aver ucciso un milite fascista, il C. riuscì a darsi alla macchia, mentre suo fratello veniva deportato in Germania. Si rifugiò sull'Appennino forlivese, dove fu presto raggiunto da altri giovani di varie tendenze politiche, animati dalla comune determinazione di battersi contro Tedeschi e fascisti. Si costituì in tal modo, intorno ad un nucleo di una quindicina di uomini su basi spontaneistiche e senza alcun legame coi centri politici faentini, la banda "Corbari".
Anche in seguito, di fronte alle sollecitazioni politiche per un coordinamento della lotta, il C. difese con ostinazione il carattere apartitico della sua banda, benché dichiarasse genericamente di volersi battere, a guerra conclusa, per il comunismo. Proprio per il suo carattere autonomo la formazione guidata dal C. creò qualche problema e fu anche di ostacolo a una regolare distribuzione degli sforzi partigiani nell'Appennino tra Ravenna e Forlì.
La banda del C. fu tra le prime - appena pochi giorni dopo l'8 settembre - ad agire contro i nazifascisti, assaltando diverse caserme e impadronendosi di un consistente quantitativo di armi.
È opportuno, a questo punto, rilevare la difficoltà di tracciare un profilo biografico del C. mantenendosi entro rigorosi confini di attendibilità storica, dal momento che la principale fonte per la ricostruzione dell'attività partigiana del C. e della sua banda è costituita dalla memoria di persone che lo conobbero o che furono in qualche modo partecipi delle sue imprese.
Mentre non esistono documenti ufficiali sull'attività militare della banda "Corbari", la memoria collettiva ha tramandato un'immagine leggendaria del C. nel solco della tradizione popolare romagnola: "Era naturale - è stato in proposito osservato - che nella terra del Passatore, emergesse la figura di un partigiano come il C., espressione dello spirito ribelle della Romagna, insofferente all'oppressione e alle ingiustizie" (S. Flamigni-L. Marzocchi, p. 209). Di qui la possibilità che la ricostruzione di alcuni episodi della vita del C. presenti inesattezze o imprecisioni. Ad alimentare intorno alla figura del C. l'alone di leggenda concorsero indubbiamente le sue audaci imprese, che assunsero il carattere della beffa giocata al nemico, ricorrendo il C. a travestimenti e ad astuti stratagemmi. Per questo la fantasia popolare lo dava presente anche quando non c'era e gli attribuiva imprese compiute da altri. Bastava che si spargesse la voce che il C. era stato visto in un dato luogo in uno dei suoi travestimenti da prete, da mendicante, da contadino, da milite fascista, perché i nazifascisti si mobilitassero alla sua ricerca. Accadeva talvolta che tali voci fossero fatte circolare ad arte per prendersi scherno dei Tedeschi e dei fascisti.
Il 5 dic. 1943 per smentire la voce della sua uccisione il C. si recò, travestito da milite fascista, in un bar di Faenza, dove, dopo aver bevuto un caffè, distrusse i quadri con le immagini di Mussolini e dell'ex segretario nazionale fascista Ettore Muti e, una volta riconosciuto e inseguito, riusci a dileguarsi.
Numerosi sono gli episodi analoghi, di cui il C. fu vero o presunto protagonista, mentre di certo egli fu impegnato con la sua banda in una serie di operazioni di carattere militare nella zona fra Modigliana, Tredozio, Rocca San Casciano e la vallata di Marradi. Nell'invemo 1943-44 la banda "Corbari" occupò Tredozio e vi rimase una decina di giorni senza che il nemico fosse in grado di organizzare una seria reazione; subì quindi un rastrellamento che le procurò gravi perdite, tra cui quella di Aldo Celli, dirigente comunista faentino e principale organizzatore, insieme con il C., della formazione.
Nell'aprile 1944, il C. e pochi altri suoi uomini occuparono Modigliana, restandovi per un paio d'ore e prelevando denaro da una banca. Tornarono nuovamente a Modigliana dieci giorni dopo, questa volta agendo in stretta collaborazione con gli antiLascisti del luogo, che avevano sparso la voce di un imminente ingresso di consistenti forze partigiane. Temendo questa eventualità, i fascisti si ritirarono e gli uomini del C., non più di venti, poterono prelevare ìn tutta tranquillità le armi abbandonate nella locale caserma. Un mese più tardi, il 23 maggio 1944, il C. e Iris Versari, la donna che gli fu sempre al fianco, compirono una delle loro più famose imprese. Il C., fingendosi disposto a cessare l'attività partigiana aderendo così all'appello dei fascisti "agli italiani sbandati, ai fuggiaschi in montagna", prese contatto con il console della milizia di Forlì, Gustavo Marabini. In un incontro tra i due furono concordate le modalità della resa e quindi il C., insieme con la Versari e ufi altro partigiano, salì sulla macchina del console diretta a Forlì. Durante il viaggio, in circostanze non chiarite, il C. riuscì ad eludere la sorveglianza dei fascisti e ad uccidere, con un colpo di pistola, il Marabini.
A giugno la formazione del C. raggiunse la sua massima consistenza con circa trenta effettivi, ma non adottò neanche allora un preciso piano strategico continuando nella tattica dei colpi di mano, che pur riusciva ad infliggere gravi perdite al nemico. Un rapporto del comando militare tedesco di Ferrara, in data 15 giugno 1944, lamentava che non fosse stato ancora possibile "rendere innocuo il capobanda Corbari, uno dei più importanti fomentatori di disordini". Il 10 luglio la banda dovette trasferirsi sul monte Levane, dove gli Alleati avrebbero effettuato un aviolancio dì armi e rifornimenti.
Qui gli uomini del C. furono attaccati da tedeschi e fascisti, con i quali ingaggiarono un lungo combattimento che costrinse infine i partigiani alla ritirata. Prima di abbandonare la posizione, Adriano Casadei, l'aiutante in prima dei C., riuscì a far saltare la capanna, dove erano stati ammassati gli esplosivi aviolanciati, proprio nel momento in cui arrivavano i nemici, causando tra essi numerosi morti e feriti.
Anche la banda "Corbari" era ormai decimata dalle perdite e dagli arresti e la mancanza di collegamenti con le altre formazioni e comandi partigiani acuiva le crescenti difficoltà. In agosto, mentre il C. stava predisponendo con i suoi piùfidati compagni un piano per liberare dalle carceri di Forlì un partigiano, cadde vittima di un tradimento ad opera di un ex appartenente alla banda. All'alba del 18 ag. 1944 in una casa di campagna in località Cornia di S. Valentino, dove si erano rifugiati, il C., Iris Versari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli, furono circondati. Mentre la Versari, per non cadere nelle mani del nemico si uccise, gli altri tentarono di fuggire, ma furono raggiunti. Il C. e lo Spazzoli, gravemente feriti, furono caricati su una treggia trainata da buoi; il Casadei, catturato dopo esser accorso in aiuto del C., fu costretto a seguirli a piedi. Durante il tragitto lo Spazzoli venne finito a colpi di pistola. Giunti a Castrocaro il C. e il Casadei vennero impiccati in piazza Garibaldi; quindi trasportati a Forlì, i loro corpi furono appesi ai lampioni di piazza Saffi, ove il giorno successivo furono portati anche i cadaveri della Versari e dello Spazzoli.
Al C. venne concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria: la motivazione ne esaltava la "fama di leggendario eroe" guadagnata per aver colpito "con attacchi improvvisi e di estrema audacia i presidi nazifascisti della Romagna s, occupando e liberando villaggi e paesi. La scomparsa del C. e dei suoi compagni di comando sancì la fine della banda come unità autonoma.
Fonti e Bibl.: La Voce repubblicana, organo dei repubblicani dell'Emilia e della Romagna, n. 4, agosto 1944; E. Giunchi, Patrioti in Romagna. Uomini e gesta della banda Corbari, Torino 1945; D. Morri, S. C., in "Epopea partigiana", a cura di A. Meluschi, Bologna 1949, pp. 211-16; A. Zanelli, La Resistenza nel Forlivese, Rocca San Casciano 1962, pp. 110-15, 200; R. Zangrandi, 1943, 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, p. 606; Il movimento di liberaz. a Ravenna, a cura di L. Casali, Catalogo n. 1, Ravenna 1964, passim; Catalogo n. 2, Ravenna 1965, passim; Le medaglie d'oro al valor militare, Roma 1965, II, p. 525; L. Casali, Diario dell'attività Partigiana nel Ravennate dal luglio 1943alla liberaz. del capoluogo, in La Resistenza in Emilia-Romagna, numero unico (Bologna), giugno 1966, passim;S. Flamigni-L. Marzocchi, La Resistenza in Romagna, Milano 1969, pp. 153, 208-11, 213 s., ill. VII; Deputazione Emilia Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di liberazione, L'Emilia Romagna nella guerra di liberazione, Bari 1975, I, L. Bergonzini, La lotta armata, pp. 32, 34, 48, ss, 60 s., 64, 72; II, P. Alberghi, Partiti Politici e CLN, pp. 155, 176, 203, 216, 390 s., 425, 535 (ivi il saggio di E. Collotti, L'occupaz. tedesca nelle carte dell'amministrazione militare);Istituto storico della Resistenza - Forlì, Giornali dell'antifascismo forlivese, Cesena 1975, p. 161; Istituto storico della Resistenza - Ravenna, Le campagne ravennati e la Resistenza, a cura di G. F. Casadio-L. Casali, Ravenna 1977, passim; Le brigate Garibaldi nella Resistenza, II, giugno-novembre 1944, a cura di G. Nisticò, Milano 1979, p. 181; A. M. Quarzi-D. Tromboni, La Resistenza a Ferrara (1943-1945) Bologna 1980, ad Ind.;L. Arbizzani, Habitat e Partigiani in Emilia-Romagna (1943-45), Bologna 1981, pp, 181, 185; Encicl. d. antifascismo e della Resistenza, I, ad vocem.