SIRENE (Σειρῆνες, Sirēnes o Sirēnae)
Entità della mitologia e credenza popolare greca, la cui fondamentale caratteristica, anche se non l'unica, è l'aspetto esteriore, formato da un corpo di uccello con testa umana.
La provenienza del nome è discussa; mentre alcuni (Levy, Maròt) lo fanno derivare dal semitico sir (incantamento, canto magico), altri (Solmsen, Wilamowitz-Moellendorff, Latte) vogliono vedervi una connessione con il greco σείριος (incandescente, deteriorabile). Ugualmente discussa è la loro origine. Incontriamo le s. per la prima volta in Omero; nella Odissea (xii, 39-54 e 158-200) si narra dell'avventura di Ulisse con le s.: prima del ritorno in patria Circe lo mette in guardia dalle s., che incantano con la loro voce tutti i mortali che si avvicinano loro; chi ascolta il loro canto dimentica sposa e patria, ma soltanto per trovare misera morte presso le sirene. Dalle parole di Omero si capisce che si tratta di due s.; esse siedono su di un prato fiorito cantando, avendo tutt'intorno le ossa degli uomini morti. Esse sono capaci di influenzare il tempo e sono onniscenti; quando Ulisse si avvicina loro con la nave, cade il vento e le s. chiamano Ulisse per nome e sanno tutto delle vicende accadute davanti a Troia. Ulisse però ha tappato le orecchie dei suoi compagni con la cera ed egli stesso si è fatto legare all'albero della nave e così può scampare al disastro. In Omero però non apprendiamo niente circa il conseguente suicidio delle s., di cui si parla ripetutamente più tardi, né apprendiamo qualcosa circa il loro aspetto esteriore: Omero presuppone che ambedue le cose siano note, raccontando egli infatti una favola più antica, che forse si riporta alla spedizione degli Argonauti. Più tardi le s. vengono localizzate sulla costa occidentale dell'Italia, e inserite in un nesso genealogico: i tre nomi e la loro origine da Phorkys sono riconducibili ad Esiodo; esiste anche un'altra tradizione di nomi, che corrisponde ad una diversa genealogia: Achebo come padre, Sterope o una delle muse come madre. Oltre a queste s. omeriche poche altre sono conosciute per nome; tra esse emerge Partenope, che a Napoli godeva degli onori del culto e che divenne una divinità cittadina eponima. Oltre a questo culto particolare era attribuito alle s. anche un culto generale in una località a S-O di Sorrento (Strab., i, 22 e v, 247).
Da queste s. del mito e del culto vanno distinte le s. senza nome, illimitate nel numero, la cui unica caratteristica fissa è l'aspetto esteriore: un corpo di uccello con testa umana. Nel passato si supponeva che queste s., così chiamate anche nelle iscrizioni (hydrìa attica del VI sec. a. C., a Parigi) incarnassero le credenze popolari originarie (Weicker), e che solo in un secondo tempo, a causa di alcune caratteristiche comuni, fossero state messe in relazione con le s. del mito riferite da Omero; la ricerca più recente invece vede nelle s. omeriche o nelle figure mitiche più antiche che stanno alla loro origine, la tradizione originaria che venne collegata soltanto più tardi, a cavallo fra l'VIII e il VII sec. a. C., con le creature dal corpo di uccello e testa umana (Marót). Queste ultime non sono di origine greca: mentre precedentemente si facevano derivare dall'egizio uccello delle anime, ritrovamenti più recenti rendono invece probabile una loro provenienza dall'Oriente, forse dalla Fenicia. Alcune raffigurazioni artistiche cretesi isolate (frammento di Praisos), che pure si sono volute addurre in questo contesto, sono troppo diverse dalla figura greca della s. per poter valere come modello. Queste s. senza nome sono esistite in tutti i tempi in modo più o meno indipendente accanto alle s. della Odissea conosciute per nome; esse sono quasi sempre femminili, ma possono essere pensate anche come maschili. Il loro carattere è soggetto a variazioni nel tempo, ma alcune delle loro caratteristiche diventano sempre più precise e, fra queste, la loro correlazione con la musica, la morte e l'aldilà. Raramente sono attribuite a divinità; Pausania (ix, 34, 2) riferisce di un simulacro di Hera a Cheronea che recava su ambedue le mani s., e al quale due Perinzî dedicarono una s. maschile d'argento (iscrizione da Samo). Nei tempi più remoti erano intese più precipuamente come dannose e come démoni della morte, e venivano assimilate alle Arpie, alle Keres e ai vampiri; così quando un uccello dalla testa umana trasporta lontano un essere umano rappresentato in piccole dimensioni, diventa a volte difficile decidere quale creatura sia rappresentata. Con il periodo arcaico si perde il carattere demoniaco delle s. senza che venga abbandonata la loro correlazione con l'aldilà; le vediamo raffigurate sui monumenti funerarî fino all'epoca classica e postclassica nell'atto di fare musica o di lamentare. Già nell'antichità si riscontra una certa somiglianza con le Muse (Alkmanes, fr. 10 D), ma sempre però esse furono viste come creature particolari e il concetto di "Muse dell'aldilà" va pertanto inteso solo in senso metaforico. Mai però le s. sono state intese direttamente come anime dei defunti, e anche sui monumenti funerarî non hanno questo significato. A volte viene sottolineato il carattere erotico della natura delle s.; anche raffigurazioni ellenistiche, un rilievo ora perduto, un medaglione in stucco da Begram, e il rilievo su di una lampada di Rennes, che raffigurano un uomo nudo dormiente sul quale siede una figura femminile con piedi di uccello, si sono volute interpretare in questo senso, tuttavia a questa interpretazione contraddice la figura del démone femminile che differisce dalle solite rappresentazioni delle sirene. In età romana, nella tarda antichità e ancora agli inizî del cristianesimo sulla s. senza nome prevale invece quella del racconto della Odissea; viene accentuata la sua correlazione con la morte e con l'aldilà e in senso cristiano si esalta la forza del cristiano contro ogni errore paragonandola alla resistenza di Ulisse alle sirene. Anche l'albero della nave viene paragonato alla croce.
Le caratteristiche della natura delle s., a parte l'aspetto esteriore, si possono dedurre soprattutto dall'arte figurativa. Quando questa inizia a rappresentare le s., il processo di fusione fra la fantastica creatura greca antica e l'essere ibrido venuto dall'Oriente appare già largamente concluso. L'archetipo orientale lo troviamo su di un pendaglio di lapislazzuli del Cairo, forse proveniente dall'Anatolia; ad esso corrispondono le raffigurazioni greche più remote. Le S. greche più antiche appaiono alla fine del periodo geometrico, probabilmente ancora prima della metà dell'VIII sec. a. C. Vanno citati: una brocca di Rodi, un sigillo d'avorio di Sparta e un rilievo ionico in avorio di Efeso oltre a un'anfora paria di poco posteriore.
Da Sparta provengono figure in piombo trovate nel santuario di Artemide Orthìa, e uno specchio di piombo del VI sec. a. C. Nella pittura vascolare corinzia queste raffigurazioni iniziano ancora prima della metà del VII sec. a. C., ma diventano più numerose solo in un secondo tempo; la s. viene qui utilizzata normalmente in sequenze decorative, ma esistono anche singole S. grandi, come quella su di una òlpe del terzo venticinquennio del VI sec. a Firenze. Conosciamo invece esempî attici solo a partire dalla fine del VII sec. a. C.: su di una primitiva anfora panciuta ateniese appare la figura di una grande s. singola. Circa contemporanea è un'anfora melia che presenta due s. contrapposte, sedute. Queste prime s. hanno in genere ali volte verso l'alto, spesso a guisa addirittura di falce, in analogia con la sfinge, ma isolatamente compaiono anche delle ali ripiegate. Alcune volte sono provviste di artigli da rapace (anfora paria), più di rado dal corpo di uccello emergono braccia umane (anfora melia), elemento che riconduce probabilmente a modelli egizî, che esistevano accanto a quelli orientali. Accanto a s. femminili esistono spesso s. maschili, riconoscibili per la barba; ad esempio sui colli di due anfore protoattiche dell'agorà di Atene e su vasi corinzî. Corinzie sono anche le rare zampe di leone in sostituzione degli artigli di uccello. Spesso la s. è posta in correlazione con un ramo. I primi recipienti a corpo plastico a forma di d. sono originarî da fabbriche ioniche e corinzie del VI sec. a. C. Questi recipienti riproducono più frequentemente un uccello accovacciato quasi sempre con ali ripiegate e testa eretta volta lateralmente: esempI nei musei di Reggio Calabria e di Baltimora. Ad essi si aggiungono piccole figure plastiche di s. delle quali si conoscono esempî anche etruschi (figure di bronzo ad Amburgo e a Copenaghen della fine del V sec., vaso di bronzo ad Orvieto). Appartengono inoltre all'arte etrusca, che peraltro solo in casi sporadici presenta s. nella pittura vascolare, la lampada di Cortona che mostra una sequenza decorativa di s. in rilievo, e una s. di terracotta con piedi retratti e volti verso lo spettatore. Quella rappresentata su un acroterio fittile di Gabii va completata probabilmente in modo analogo. Siccome la s. compare in queste raffigurazioni più antiche o sola in contrapposizione antitetica o come sequenza di figure di carattere decorativo, da esse non si possono fare deduzioni circa il suo essere; in ogni caso non appare ancora completato il collegamento con le s. dell'Odissea e per di più su di un vaso corinzio, accanto all'uccello dalla testa umana che accompagna Atena c'è l'iscrizione Vus. A partire dal VI sec. a. C. diventa più frequente il tipo di raffigurazioni in cui le s. compaiono in una connessione definita o sono caratterizzate in modo più preciso. Su di un piatto laconico compaiono s. ad un banchetto, con corona e ramo nelle mani, insieme ad eroti, su di un vaso etrusco a figure nere vediamo una s. che suona la lyra; anche un rilievo di Reggio Calabria ce la rappresenta nell'atto di suonare la lyra; analogamente, assieme a degli spettatori, una lèkythos di Londra a figure nere; su di un pìnax corinzio essa è raffigurata nell'atto di volare accanto a Posidone al di sopra di un minatore al lavoro; su una anfora di Exekias essa vola al di sopra di un guerriero che parte; su un'anfora a figure nere di Parigi al di sopra del toro di Maratona domato da Teseo, in altre scene a figure nere essa è affiancata ad Apollo o è recata per le ali da una divinità. Invece appaiono di tipo prevalentemente decorativo due s. rappresentate accanto ad una figura femminile nuda su di un sostegno di specchio di Monaco. Anche la pittura vascolare a figure rosse conosce la s. che suona la lyra: una lèkythos di Napoli ce la mostra seduta davanti ad una colonna: essa compare anche come accompagnatrice di divinità: una pittura vascolare di Ferrara mostra una s. che reca un ventaglio accanto a Hera in trono. Una s. volante compare su un cratere di Londra al di sopra di Prokris uccisa dal marito. Non è possibile dare un significato preciso a tutte queste scene; le s. compaiono qui in genere come accompagnatrici di divinità, come abitatrici e messaggere celesti prevalentemente benigne e anche già come musicanti. A partire dal tardo VI sec. a. C. si moltiplicano le raffigurazioni in cui sono poste in relazione con la morte. Gli uccelli dalla testa umana che portano via piccole figure umane raffigurate sul Monumento delle Arpie di Xanthos, a Londra, vanno forse considerate delle s.; ad esse si avvicinano piccole raffigurazioni italiche in terracotta. Un recipiente di bronzo arcaico a forma di s. del museo di Reggio Calabria, che presenta come manico al di sopra dei dorso dell'uccello una figura femminile, può probabilmente essere posto in relazione con la rappresentazione di una s. portatrice di anime. Sul rilievo del frontone di una costruzione funeraria di Xanthos (v.) una s. con le ali dispiegate sta assisa su una colonna accanto alla quale stanno le figure dei defunti. Nell'arte funeraria attica classica sono raffigurate s. singole e in coppie, nell'atto di fare musica o di lamentare; il frontone di un sarcofago ligneo di Memfi mostra una s. musicante davanti a un intreccio di rami; sul sarcofago del sepolcro principesco di Belevi compaiono tre s. musicanti; un sarcofago ad Istanbul e una stele sepolcrale a Vienna mostrano una coppia di queste s. piangenti.
L'aspetto esteriore di questi esseri è mutevole; frequentemente a partire dal V sec. a. C., tutto il corpo assume sembianze umane, non mancano quasi mai le braccia che servono per far musica o per gestire. Compaiono anche s. vestite, la cui coda di uccello sporge sotto la veste (Belevi, frammento di terra sigillata di Boston). A partire circa dalla metà del VI sec. a. C. non compare più la s. maschile. Anche le prime rappresentazioni a tutto tondo di maggiori proporzioni sono di questa epoca: un torso marmoreo di Delo e una s. marmorea che suona la lyra da Copenaghen, ambedue probabilmente offerte votive. Rappresentazioni a tutto tondo di epoca posteriore, come la s. con lyra di Atene, sono da considerare statue funerarie, una statua marmorea di Boston riproduce il gesto lamentatorio. Anche nel Serapeion di Memfi si trovavano statue di sirene. La s. singola è relativamente rara nell'arte romana; essa appare in modo quasi esclusivamente decorativo sul grande mosaico di Sousse a Tunisi, accanto ad altri esseri mitologici del tiaso marino, con doppio flauto o lyra, torso umano nudo e artigli da rapace.
Il passaggio di Ulisse davanti alle s. è rappresentato raramente in epoca classica e preclassica, ma diventa frequente in seguito, soprattutto nell'età romana e tardoantica. Un aröballos tardo corinzio di Boston ce ne mostra la versione più antica: Ulisse legato all'albero oltrepassa con la sua nave lo scoglio delle s. sul quale stanno in piedi due s. che cantano senza strumenti; dietro di esse si trova una figura femminile, forse la madre; sulla nave stanno appollaiati due avvoltoi. Una oinochòe a figure nere dal mercato antiquario svizzero è più recente e mostra già, al contrario del racconto dell'Odissea, le s. in numero di tre come in seguito diviene la regola; una suona il flauto, una seconda la lyra, una terza in mezzo è senza strumento. La prora della nave di Ulisse qui, come sull'aröballos di Boston, è una testa di cinghiale; Ulisse sta legato all'albero maestro al di sotto di una vela bianca e a lui è affiancata la iscrizione Olyteus e l'invocazione "liberami"; alle s. il nome Seren. I rematori sono disegnati con precisione, sul vaso di Boston. La rappresentazione è semplificata su di una lèkythos a figure nere: mostra solo una s. con doppio flauto davanti a Ulisse legato. Invece la scena rappresentata su di uno stàmnos a figure rosse di Londra è nuovamente più dettagliata: oltre alla nave con Ulisse, il timoniere e i rematori vediamo una delle tre s. che si precipita dallo scoglio in mare con gesti da suicida; qui le s. compaiono tutte senza strumenti musicali, ad una è posto accanto il nome di Himeropa. Un cratere di Paestum a Berlino mostra due s.: una con timpano l'altra con lyra. Qui esse presentano la forma che si incontra spesso più tardi, un busto intero di donna che sorge da un corpo di uccello. Ulisse è legato con il viso rivolto all'albero e con ambedue le mani protese in alto.
Pitture vascolari che mostrano s. musicanti da sole o con una nave sono più o meno strettamente connesse con questo tipo di raffigurazioni. Si sono conservati vasi a rilievo di età romana tra i quali una patera di Vulci a Berlino che descrive i fatti in due scene: Ulisse che viene legato all'albero e il suo passaggio accanto alle s.; alla prima scena assiste una s. che suona il flauto, alla seconda due. Anche urne cinerarie etrusche mostrano il passaggio della nave con Ulisse legato; su esse le tre s. musicanti hanno corpo totalmente umano e sono completamente vestite. La scena è entrata a far parte anche dell'arte dei sarcofagi, si tratta più precisamente quasi esclusivamente di sarcofagi tardi: un sarcofago del Laterano rappresenta la scena in modo completo: riconosciamo oltre a Ulisse legato e ai suoi compagni tre s. in piedi, con busto umano e zampe di uccello. Anche gli altri sarcofagi e frammenti di sarcofago mostrano tre s. (Ostia, Villa Albani, Museo delle Terme), delle quali due secondo la tipologia antica sono rappresentate nell'atto di suonare il flauto, o la lyra, mentre la terza non ha strumento; la scena può essere combinata con altre rappresentazioni, ad esempio con figure bacchiche. Anche un mosaico di Dugga riproduce la scena integrale con la nave e le tre s., che anche qui compaiono nell'atto di cantare e suonare il flauto e la lyra: hanno busto di donna e grandi artigli di rapace, e solo quella che canta è completamente vestita.
Monumenti considerati. - Pendaglio al Cairo: F. Bisson de la Roque, G. Contenau, F. Chapoutier, Le trésor de Tod, tav. 67 e fig. ii. Figurazioni greche, egizie ed etrusche: G. Weicker, in Roscher, 1v, c. 601 ss., s. v. Seirenen; E. Buschor, Die Musen des Jenseits; qui anche il frammento da Praisos. Òlpe. in Firenze: Boll. d'Arte, xxxvi, 1951, p. 289 ss. Collo di anfora dell'Agorà: E. T. H. Brann,. Late Geometric and Protoattic Pottery, in The Athenian Agora, viii, 1962, tavv. 37-38. Rilievo in Reggio Calabria: Arch. Class., v, 1953, tav. 8. Vaso bronzeo in Reggio Calabria: ibid., tavv. 4-5. Vasi a sirena: ibid., tav. 7. Baltimora: Studies Robinson, II, 1953, tav. 18 a. Bronzi in Amburgo e Copenaghen: O. v. Vacano, Die Etrusker, tav. 82. Lampada di Cortona: ibid., tav. 103. Vasi: T. Dohrn, Die schwarzfig. etr. Vasen, tav. 4, n. 140. Acroterio da Gabii: Not. Scavi, 1942, p. 374 ss., figg. 1-9; Arch. Anz., 1950-51, p. 225 5., fig. 34. Serapeion di Memfi: J.-Ph. Lauer-Ch. Picard, Les statues Ptolemaïques du Serapieion de Memphis, 1955, p. 216 ss.; J.-Ph. .Lauer, in Rev. Arch., 1959, p. 159 ss. Mosaico in Tunisi: Inventaire des mosaïques de la Gaule et de l'Afrique, ii, fasc. 2, tav. 125. Oinochòe in Svizzera: Ars Antiqua. Antike Kunstwerke Auktion, iv; Lucerna 1962, tav. 42, n. 130. Lèkythos: C. H. E. Haspels, Attic Black-fig. Lekythoi, tav. 29, 3. Cratere in Berlino: Furtwängler-Reichhold, tav. 130. Kölix da Vulci in Berlino: R. Pagenstecher, Die calenische Reliefkeramik, 81, fig. 36. Urne etrusche: E. Buschor, Die Musen des Jenseits, p. 78, fig. 60. Sarcofagi: C. Robert, Die antiken Sarkophag-Reliefs, ii, tav. 52; F. Cabrol-H. Leclercq, Dict. Arch. Chrét., fasc. 166-167, 1950. Mosaico da Dugga a Tunisi:' Phot. Ist. Arch. Germ., Neg. 61.544.
Bibl.: G. Weicker, Der Seelenvogel, Lipsia 1902; id., in Roscher, IV, 1915, c. 601 ss. s. v. Seirenen; Zwicker, in Pauly-Wissowa, III A, 1929, c. 288 ss., s. v. Sirenen; E. Kunze, in Ath. Mitt., LVII, 1932, p. 124 ss.; Ch. Picard, Néreides et Sirènes, in Ann. Éc. des Hautes Ét. de Gand, 1938; E. Buschor, Die Musen des Jenseits, Monaco 1944; K. Latte, in Festschrift der Akademie in Göttingen, II, 1951, p. 67 ss.; contra: F. Brommer, in Antike und Abendland, IV, 1954, p. 42 ss.; F. Altheim-R. Stiel, Porphyrios und Empedokles, Tubinga 1954, p. 70 ss.; J. R. T. Pollard, in Class. Review, LXVI, 1952, p. 60 ss.; G. Klaffenbach, in Mitt. des Deutschen Arch. Inst., VI, 1953, p. 18 s.; G. Jacopi, in Arch. Class., V, 1953, p. 10 ss.; F. Chapoutier, in F. Bisson de la Roque-G. Contenau-F. Chapouthier, Le trésor de Tod, Il Cairo 1953, p. 37 ss.; G. Germain, Genèse de l'Odyssée, Parigi 1954, p. 382 ss.; M. P. Nilsson, Gesch. der griech. Religion, I, Monaco 1955, p. 228 s.; J. R. T. Pollard, in Journ. Hell. Studies, LXXXII, 1962, p. 159. Argomenti erotici: J.-Ph. Lauer-Ch. Picard, Les statues Ptolemaïques du Serapïeion de Memphis, Parigi 1955, p. 225 ss.; K. Marót, Die Anfänge der griech. Literatur, Budapest 1960, p. 155 ss. Sul culto: P. Mingazzini-F. Pfister, Surrentum, (Forma italica) 1946, p. 45 ss.; A. Maiuri, in Rend. Pont. Acc. Napoli, n. s., XXIX, 1954, p. 94 ss. Interpretazione cristiana H. Rahner, Griechische Mythe in christlicher Deutung, Zurigo 1945, p. 414 ss.