Sirene (serena)
Figure mitologiche, inizialmente geni della morte, dal volto femminile e dal corpo di uccello (ma già nella cultura tardo-antica rappresentate invece come donne nella parte superiore del corpo e pesci nell'inferiore, muniti però di zampe di gallinacci; la descrizione più frequente nei commenti trecenteschi della Commedia le vuole mostri dai volti di vergine, alati e con coda di pesce). Secondo Ovidio (Met. V 551-563) le S., figlie di Acheloo, sarebbero state compagne di Proserpina; il loro numero è indicato dai mitografi ora in due, ora in tre, ora in quattro (il Boccaccio [Genealogia deorum VII 20], sulla scorta di Leonzio Pilato, cita i seguenti nomi: Aglaosi, Telciepi, Pisinoi e Iligi; cui occorrerebbe aggiungere Partenope, anch'essa, secondo alcuni autori, sirena), e avrebbero avuto sede sulla costa tirrenica (anche la località varia da poeta a poeta e da mitografo a mitografo: Sicilia, Capri, Sorrento).
La fama delle S. è legata soprattutto all'episodio omerico (Odissea XII 39-54, 158-200): Ulisse, messo sull'avviso da Circe, dopo aver ordinato ai suoi compagni di otturarsi le orecchie con cera, volle ascoltare, legato all'albero della nave, il canto irresistibile delle S., che soleva attrarre ineluttabilmente i naviganti facendoli naufragare sugli scogli. Secondo alcuni mitografi, le S. si sarebbero quindi uccise per la rabbia e il dolore di veder trascorrere indenne l'eroe. Già i commentatori tardo-antichi, e naturalmente anche più poi i medievali, vollero ravvisare nell'episodio un valore allegorico morale: se i più indicano nel canto dolcissimo delle S. le blandizie delle meretrici (le S. sarebbero state anzi meretrici realmente esistite: cfr. Eusebio-Girolamo Chronicon, ediz, Helm, 1172 a.C.), non mancano però interpretazioni mistiche dell'episodio, specie in sarcofagi cristiani, e anche in senso cristologico: cfr. P. Antin, pp. 232-241 e P. Courcelle, pp. 75-97 (con bibliografia). E però nel Medioevo, mentre la natura demoniaca del piacere offerto dalle S. veniva denunciata sulla scorta di Is. 13, 22, rimase fondamentale un passo, citatissimo, del De Consolatione boeziano: " Sed abite potius Sirenes usque in exitium dulces meisque cum Musis curandum sanandumque relinquite " (I I 11): contrapposizione alle Muse che le chiose medievali intesero sottolineare distinguendo tra le vere e sante Muse della poesia che direttamente e indirettamente si rivolgeva a Dio e le " scaenicae meretriculae " (secondo la definizione anch'essa boeziana) rivolte alla " scientia mundana " - si ricordi la promessa di conoscenza delle cose offerta a Ulisse dalle S. omeriche: versi che ebbero una certa fortuna nella letteratura latina classica, e indirettamente anche in qualche testo medievale: cfr. A. Pézard, D. sous la pluie de feu, Parigi 1950, 150 - e comunque immagini false di bene, simbolo di quegl'interessi terreni (piaceri sensuali, ma anche scelte intellettuali) cui vanno contrapposti i veri valori morali e religiosi.
D., se accenna all'infinita dolcezza del loro canto in Pd XII 8 (quanto la luce diretta vince d'intensità la riflessa, tanto la musica paradisiaca vince di dolcezza l'umana: nostre muse - cioè le capacità artistiche dell'uomo - che sono le nostre serene poiché avvincono chiunque ascolti), nelle altre allusioni si rifà invece al significato morale delle S.: in Ep V 13 mette in guardia contro la cupidigia che, more Sirenum, nescio qua dulcedine, riesce a eludere la vigilanza della ragione; in Pg XIX 19 dolce serena è la femmina balba, che sta a rappresentare l'ingannevole felicità offerta dai beni mondani e la cui laidezza viene smascherata dalla donna... santa (v. 26); infine in Pg XXXI 45 si fa rimproverare da Beatrice per non essere stato sufficientemente forte udendo le serene, cioè per avere ceduto a seduzioni letterarie (ben più probabilmente che ad altri amori) che l'avevano condotto lontano dai più veri interessi mistici, già rispecchiati nella Vita Nuova.
Un'elegante questione è posta dalle parole della femmina balba: " Io son ", cantava, " io son dolce serena, / che ' marinari in mezzo mar dismago; / tanto son di piacere a sentir piena! / Io volsi Ulisse del suo cammin vago / al canto mio; e qual meco s'ausa, / rado sen parte; sì tutto l'appago! " (Pg XIX 19-24). Risulta chiaro che D. - il quale non poté conoscere direttamente il racconto omerico - ignora assolutamente che Ulisse, partito da Circe, riuscì a sfuggire alla seduzione delle S. (la diffrazione fu subito notata da Benvenuto, il primo dei commentatori del canto che ebbe contezza diretta del poema omerico: " Sed contra Homerus XI Odysseae dicit quod Ulixes vitavit Sirenes "): al contrario, secondo D. (che all'episodio di Circe fa seguire il folle volo), Ulisse - anche in ciò opposto al " pius " Enea, che sa tenersi prudentemente lontano dalle S.: cfr. Aen. V 864-868 - si sarebbe lasciato attrarre dal dolce canto di quella sirena, presso la quale (pare d'intendere: ché è Ulisse - anche se non necessariamente solo lui - colui che rado se ne sa partire) si sarebbe anzi soffermato per un certo periodo. Poiché il poeta parla non di S. in generale, bensì di una, ben precisa, sirena, nella femmina balba i più dei commentatori moderni ravvisano, sulla scia di lacopo della Lana, Circe, benché il Porena osservi saviamente: " L'identificazione con Circe converrebbe anche con quel non so che d'individuale che ha questa femmina dantesca, che non parla come se fosse una qualunque delle Sirene; ma c'è una difficoltà: che Circe non esercitava le sue seduzioni in alto mare, come Dante sapeva benissimo (Inf. XXVI 92) "; né ha risolto la questione l'intervento di H.S. Hatzantonis, il quale, pur ammettendo l'impossibilità che D. abbia confuso Circe con una sirena, pensa di poter riproporre l'identificazione tradizionale attribuendo a serena il valore di appellativo generico (ma vedi per contro la chiosa del Chimenz); mentre ancor meno persuasiva appare la lambiccata ipotesi del Parodi che si tratti di una menzogna a bella posta escogitata dalla sirena per sedurre altri (cfr. " Bull. " XXIII [1916] 45). Sta di fatto che D., mentre conosceva assai bene l'episodio di Ulisse e Circe per la narrazione ovidiana (Met. XIV 254-319) cui fa esplicito riferimento (e pertanto pone la sede della maga presso a Gaeta, mentre la sirena è in mezzo mar), mostra invece di avere idee generiche e confuse sulle S. e totalmente errate sull'episodio di Ulisse e le Sirene. Partendo da queste precise considerazioni - che intanto escludono dalle fonti delle affermazioni dantesche Cicerone De Finibus V XVIII 48-49 (segnalato da E. Moore, pp. 264-265; ma per i gravi dubbi sulla conoscenza dantesca dei libri III-V del De Finibus, cfr. G. Padoan, in " Convivium " n.s., I [1959] 18-20) in quanto vi è chiaramente detto che Ulisse non si lasciò irretire dalle S. - occorre constatare che in testi sicuramente ben noti al poeta accanto a Circe è nominata l'altra femmina che trattenne presso di sé lungamente l'eroe greco: cfr. ad esempio Cicerone De Officiis I XXXI 113 " Quam multa passus est Ulixes in illo errore diuturno, cum et mulieribus, si Circe et Calipso mulieres appellandae sunt, inserviret "; mentre del soggiorno di Ulisse presso Calipso in un'isola in mezzo al mare e poi della sua partenza parla a lungo Ovidio Ars amandi II 125-144. È tutt'altro che improbabile che D. abbia identificato in quel nome Calipso, che poco gli diceva, una sirena; cfr. Benvenuto: " dici potest quod poeta loquitur de Circe et de Calypso, quae vere sirenes detinuerunt Ulixem, Circes per annum, Calypso per multos ".
Ancora con riferimento alla dolcezza del canto, cfr. Detto 241 Il su' [della donna] danzar e 'l canto / val vie più ad incanto / che di nulla serena.
Bibl. - E. Moore, Studies in Dante. I. Scripture and classical authors in D., Oxford 1896; P. Courcelle, Quelques symboles funéraires du néoplatonisme latin, in " Revue des Études Anciennes " XLVI (1944); H.S. Hatzantonis, La Circe nella D.C., in " Romance Philology " XIII (1960) 390-400; P. Antin, Les Sirènes et Ulysse dans l'oeuvre de saint Jérôme, in " Revue des Études Latines " XXXIX (1961).
Per la fortuna del mito, specie nelle arti figurative dell'antichità, cfr. P. Rossi, Sirènes antiques. Poésie, philosophie, iconographie, in " Bulletin Budé " s. 1, IV (1970) 463-481; B. Candida, Tradizione figurativa nel mito di Ulisse e le S., in " Studi Classici e Orientali " XIX-XX (1970-71) 212-253 (e ID., Ulisse e le S. - Contributo alla definizione di quattro officine volterriane, in " Accad. Naz. Lincei Rend. Cl. Sc. Morali Storiche Filol. " s. 8, XXVI [1971] 199-235); G. Martellotti, Il Naritius dux del Boccaccio, in " Annali Sc. Norm. di Pisa ", s. III, IX 3 (1979), 1092.