COWARD, Sir Noel
Coward, Sir Noël (propr. Noël Pierce)
Commediografo e sceneggiatore, compositore e attore teatrale e cinematografico inglese, nato a Teddington (Middlesex) il 16 dicembre 1899 e morto a Blue Harbor (Giamaica) il 26 marzo 1973. Ad appena ventisei anni la rivista londinese "The sketch" gli dedicò una famosa copertina, riprodotta in tutti i libri che gli vennero in seguito dedicati, che lo rappresenta impegnato nelle fatiche della colazione in una foto che sembra provenire da un musical e che, in un certo senso, grazie anche all'emblematica didascalia ("Noël the fortunate") definisce e riassume meglio di qualsiasi discorso biografico o critico l'essenza di quello che era allora il "giovane commediografo, attore e compositore" del momento. C. sarebbe infatti divenuto il simbolo dell'eleganza e di un raffinato saper vivere nell'Europa tra le due guerre, scrivendo commedie su commedie, componendo e interpretando canzoni e recitando, senza trascurare proficui rapporti con il mondo del cinema. Soprattutto, come spesso hanno scritto di lui (e come C. ammetteva volentieri), continuando a fare spettacolo di sé stesso e subordinando il proprio indiscutibile talento di autore al bisogno di esibire il proprio talento di interprete, soprattutto, ma non solo, sulla scena.
Proveniente da una famiglia modesta (il padre vendeva pianoforti a rate), definito fin dall'infanzia (retroattivamente da sé stesso nell'Autobiography, pubblicata postuma nel 1986) "uno sfacciato e insopportabile bambino prodigio", C. debuttò sulle scene londinesi a soli dodici anni e cominciò, sempre da ragazzo, a scrivere didascalie per film muti. Ai tempi della copertina di "The sketch" (29 aprile 1925) aveva già scritto sei o sette commedie, ne stava rappresentando contemporaneamente due con successo nei teatri del West End, The vortex (1924) e Fallen angels (1925), interpretava il ruolo del protagonista della prima e preparava libretto e musica di un nuovo spettacolo musicale, On with the dance, in attesa di vedere in scena anche Hay fever, scritta già da un paio d'anni, ma inizialmente rifiutata dall'attrice Marie Tempest perché 'troppo leggera' e priva di un vero e proprio intreccio. Perché le commedie di C. sono proprio così, lievi, gaie, mondane e sofisticate, a volte perfette nel loro gioco simmetrico (Private lives, 1929) a volte convincenti nella loro gaia assurdità (Hay fever). E quelle più brillanti, proprio in ragione della loro struttura scintillante, furono spesso portate sullo schermo, in modo fedele, come nel caso di Blithe spirit (1945; Spirito allegro) di David Lean, che non si distacca dal testo teatrale del 1941, tutto giocato sul sapiente sfruttamento di una semplice trovata (una seduta spiritica evoca la prima moglie del protagonista, che da quel momento non riesce più a liberarsene). Oppure ricorrendo a necessari aggiustamenti per evitare la censura, come nel caso della sceneggiatura elaborata da Ben Hecht per il film del grande Ernst Lubitsch Design for living (1933; Partita a quattro), tratta dall'omonima pièce di C. del 1932. "Non soltanto frivole ma una vera e propria difesa della frivolezza" (G. Almansi, introduzione a N. Coward, Commedie, 1978): le migliori commedie di C. possono infatti essere deliziosamente immorali, ma sicuramente non vengono mai meno alle regole dell'eleganza. E con il cambiamento dei gusti e dei tempi si presentavano come un perfetto bersaglio per la critica (che in realtà fu per lo più benevola) e soprattutto come un complesso di lavori destinato a cadere sotto i colpi del teatro degli angry young men che nella seconda metà degli anni Cinquanta prendevano d'assalto le platee eleganti del West End. E invece, anche se C., dal suo esilio in Giamaica per evitare le tasse, attaccava i giovani autori accusandoli di non conoscere le regole elementari della scrittura teatrale, le sue commedie, forse per reazione, proprio in quel periodo dovevano conoscere una seconda giovinezza. Harold Pinter, l'unico dei nuovi drammaturghi che C. apprezzasse, ne rimetteva in scena alcune come regista, la Granada Television mandava in onda una ricca scelta dei suoi lavori nel 1964, mentre C. dirigeva una nuova edizione di Hay fever al National Theater nello stesso anno, e, proclamato Sir nel 1970, otteneva il Tony Award nel 1971. Nei suoi ultimi lavori, come Waiting in the wings (1960), ambientato in una casa di riposo per attrici, si avverte comunque una vena di malinconia, in parte nuova per un autore che, molti anni prima, aveva così descritto la figura certo autobiografica di Garry Essendine in Present laughter (1943): "con tutto il suo talento, non sa far altro che indossare vestaglie e fare osservazioni spiritose". Un inedito aspetto serio di C. era affiorato, paradossalmente, proprio nel cinema, quel cinema di cui nei suoi Diaries (nel 1982 sono stati pubblicati quelli che vanno dal 1941 al 1969) parlava spesso con disprezzo, compiangendo gli amici che, come Laurence Olivier, Vivien Leigh e la famiglia Redgrave, dovevano spesso ricorrervi per pagare le tasse. Il cinema inglese gli deve infatti due delle opere drammatiche più importanti mai realizzate nel Paese. La prima è In which we serve (1942; Eroi del mare ‒ Il cacciatorpediniere Torrin), uno dei migliori film di propaganda della Seconda guerra mondiale, da C. prodotto, sceneggiato, codiretto (con Lean) e interpretato, per il quale nel 1943 ricevette uno speciale Oscar. La seconda è l'ammirevole trasposizione cinematografica, Brief encounter (1945; Breve incontro), diretta dal solo Lean in stato di grazia, di Still life (in origine parte di Tonight at 8:30, dieci atti unici composti a tempo di record da C. tra il 1935 e il 1936), storia commossa e crepuscolare, definita dallo stesso drammaturgo una "natura morta", di un uomo e una donna di mezza età, entrambi sposati da tempo, che si incontrano nel bar di una stazioncina e s'innamorano (il film venne poi malamente rifatto nel 1974, con Sophia Loren e Richard Burton, da Alan Bridges). Meno importanti gli altri appuntamenti di C. con il cinema, a partire da Easy virtue (1927; Fragile virtù), tratto dalla sua omonima commedia e diretto da un Alfred Hitchcock ancora immaturo, e passando per The vortex (1927) di Adrian Brunel o Bitter sweet (1933; Ottocento romantico) di Herbert Wilcox, una trasposizione definita volgare dal commediografo. C. fu quindi produttore e sceneggiatore del film This happy breed (1944; La famiglia Gibbon), tratto da una sua pièce e diretto da Lean, e sceneggiatore e protagonista di The astonished heart (1950; Lo spirito, la carne, il cuore) di Anthony Darnborough e Terence Fisher. Nella sua lunga carriera interpretò inoltre più di una trentina di ruoli, grandi e piccoli, in testi suoi o di altri, a teatro, al cinema o alla televisione. Per es., ebbe una breve parte in Around the world in 80 days (1956; Il giro del mondo in 80 giorni) di Michael Anderson, e una più consistente in Our man in Havana (1959; Il nostro agente all'Avana) di Carol Reed, nonché il ruolo del re dell'Anatolia in Surprise package (1960; Pacco a sorpresa) di Stanley Donen, e nel 1965 quello del padrone di casa nel film di Otto Preminger Bunny Lake is missing (Bunny Lake è scomparsa). Ma si produsse anche in 'partecipazioni straordinarie' in lavori di amici, come quando apparve in vesti femminili nel ruolo della strega di Capri, accanto a Elizabeth Taylor e Richard Burton in Boom! (1968; La scogliera dei desideri) di Joseph Losey, tratto da The milk train doesn't stop here any more di T. Williams; meno divertente sarebbe stata la sua ultima caratterizzazione in un modesto giallo di Peter Collison, The Italian job (1969; Un colpo all'italiana). E anche se il mestiere di attore non rappresentò che una minima parte della sua frenetica attività (documentata dai Diaries), pure contribuì a trasmettere agli intimi e al pubblico di lettori e spettatori l'immagine di gentleman raffinato, ironico, elegante, al di fuori e al di sopra della banalità e dei vari affanni della vita quotidiana, sempre attento a non venir meno alle regole della buona educazione, a non nascondere e al contempo non ostentare la sua omosessualità, ma anche a esprimere spavaldamente le sue opinioni riduttive su testi classici. Così vi è tutto C. nella delusione con cui, ripercorrendo il De profundis di O. Wilde, non riesce a comprendere come questi, con tutto il suo spirito sulla scena, non sapesse però trovarne nella vita: "non dico che dovesse apprezzare la vita in prigione e ridere tutto il giorno, ma un minimo di umorismo non avrebbe guastato, magari chiacchierando con il secondino" (The Noël Coward diaries, 1982, p. 135).
S. Morley, A talent to amuse: a biography of Noël Coward, London 1969; J. Russell, File on Coward, London 1987; C. Fisher, Noël Coward, London 1992.