HERSCHEL, Sir Frederik William (noto usualmente sotto questo secondo nome)
Astronomo, nato a Hannover il 16 novembre 1738, morto a Slough (Inghilterra) il 25 agosto 1822. Figlio di un capomusica dell'esercito hannoverese, entrò quattordicenne nella banda militare diretta dal padre e ne seguì nel 1755 il reggimento a Londra. Scoppiata la guerra dei Sette anni, assisté alla battaglia di Hastenbeck e, caduto ammalato e abbandonato l'esercito, riparò iu Inghilterra, dove per otto aani visse miseramente, insegnando musica. Nel 1765 fu nominato organista a Halifax, donde l'anno seguente passò a Bath. Nelle scarse ore di libertà studiava con appassionato desiderio di cultura le lingue, la filosofia, la fisica, la matematica, fino a poter affrontare la Harmonics e l'Optics di R. Smith, le Fluxions di C. Maclaurin, l'Astronomy di J. Ferguson; ed è da quest'ultima lettura che, ormai quasi trentacinquenne, trasse l'ardito disegno di darsi tutto alle osservazioni astronomiche. E poiché gli scarsi mezzi gl'impedivano di comperarsi un cannocchiale, si accontentò dapprima di usarne uno preso a nolo; poi nel 1773 si accinse alla costruzione del suo primo telescopio, frutto di arduo lavoro per la pulimentatura dello specchio e coronato da successo solo dopo prove molteplici e faticose. È del 1774 la sua prima osservazione sulla nebulosa di Orione col telescopio di sua fattura ed è del 1781 la famosa scoperta di Urano da lui fatta la sera del 10 marzo di quell'anno; scoperta che procurò al H. non solo fama mondiale di grande astronomo, ma altresì la benevolenza di re Giorgio III, il quale gli concesse un assegno annuo di 200 sterline onde potesse tutto dedicarsi alla ricerca nel campo della scienza. Nel 1784 passò a Datchet presso Windsor e nel 1786 a Slough, dove rimase fino alla morte.
L'opera scientifica di W. H. fu tanto grande che, se si volessero sintetizzare le ricerche astronomiche intorno al 1800 in pochi nomi atti a riassumerle, basterebbe nominare S. L. Laplace per l'astronomia gravitazionale, J. Bradley per l'astronomia osservativa di posizione, W. Herschel per l'astrofisica. Tutto il cielo fu da lui scandagliato a più riprese, ogni qual volta gli riuscì di ultimare un telescopio più poderoso del precedente. Incominciò, come accennammo, con un piccolo riflettore di 2 metri di foco, continuò quando ebbe pronto quello di 3 metri, riprese con il terzo di 6 metri e specchio di 45 centimetri di diametro; nel 1789 ultimò il grande riflettore di 12 metri di lunghezza con specchio di 120 centimetri. Non si curò né di affinare metodi matematici, né di elaborare teorie numeriche; sua massima aspirazione fu di avere telescopî sempre più potenti per sempre più affondare lo sguardo nell'universo, ché di questo egli voleva scrutare le peculiarità per risalirne alla struttura complessiva. Ed è così che affrontò il problema delle distanze stellari; non riusci, ma in cambio assicurò due scoperte essenziali: quella della esistenza di sistemi stellari doppî, con che la legge newtoniana della gravitazione risultò accertata anche nei remotissimi mondi delle stelle, e quella del moto del sistema solare nello spazio sulla considerazione delle peculiarità di moto presentate da 14 stelle sino a quei tempi indagate da questo punto di vista sulla designazione fatta già da Halley. È del Herschel la precisazione dell'apice del movimento solare.
Ma la ricerca che lega il nome di W. H. alla posterità è quella grandiosa, con cui egli giunse a una prima approssimazione, non importa se solo qualitativa, circa la struttura del sistema stellare della via Lattea. È infatti il frutto di decennî e decennî di scandagli del cielo, diretti a risalire dalla distribuzione apparente a quella vera delle stelle, l'induzione del H. che il sistema galattico possa essere concepito come un immenso disco disposto con la dimensione maggiore secondo il piano della Via Lattea e con uno spessore di circa 1/5 della dimensione maggiore anzidetta. Quando si pensi che tutto ciò fu intuito in un'epoca nella quale nulla si sapeva di distanze stellari, nulla dei moti lungo la visuale e ben poco circa i moti in senso normale alla visuale, non è chi non veda quale caposaldo rappresenti l'intuizione herscheliana nello sviluppo ulteriore delle ricerche circa la struttura del cosmo stellare.
Le nebulose furono esse pure oggetto di ricerca da parte del H. ed è sua la netta distinzione fra ammassi stellari risolubili in stelle e le nebulose propriamente dette, costituite, come egli disse "da un fluido splendente di natura a noi del tutto sconosciuta". È pur sua la teoria della condensazione nebulare per la quale dalle nebulose derivano poi le stelle.
Basterà infine appena accennare alle sue ricerche circa le stelle variabili, circa i maggiori pianeti del sistema solare (è sua anche la scoperta di due satelliti di Saturno, Encelado e Mimas) e circa il Sole, per il quale emise una sua teoria costitutiva, dimostratasi poi insostenibile. Sono le piccole mende che accompagnano sempre la produzione degli uomini di genio; ed è ben da perdonarsi che l'autorità altissima del nome dell'H. abbia dato valore a tale teoria, ormai da tempo abbandonata.
La sorella, Carolina Lucretia, nata a Hannover il 16 marzo 1750, morta ivi il 9 gennaio 1848, si recò presso William H. nel 1774 e gli fu per lunghi anni aiuto tenace, intelligente e affettuoso nelle osservazioni astronomiche e nella loro registrazione. Scoprì comete e nebulose.
Il figlio, Sir John Frederik William (nato a Slough 7 marzo 1792, morto a Collingwood presso Hawkhurst nel Kent 11 maggio 1871), ereditò dal padre l'entusiasmo per l'osservazione astronomica e molto lavorò nel campo delle stelle doppie, degli ammassi stellari e delle nebulose. Particolarmente interessanti le sue osservazioni eseguite nel cielo australe dal Capo di Buona Speranza, dove dimorò per quattro anni, dal 1834 al 1838.
Il suo nome è pure legato allo sviluppo della logica induttiva (On the study of natural philosophy, Londra 1830; trad. ital. sotto il titolo Discorso preliminare sullo studio della filosofia naturale, Torino 1840). Si veda in proposito F. Enriques, Per la storia della logica, Bologna 1922, pp. 223-227.